N. 275 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 ottobre 2013

Ordinanza del 15 ottobre 2013 emessa dalla Corte  di  cassazione  nel
procedimento penale a carico di D.C.L.. 
 
Reati e pene -  Circostanze  del  reato  -  Concorso  di  circostanze
  aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza  della  circostanza
  attenuante dei "casi di minore gravita'"  di  cui  al  terzo  comma
  dell'art. 609-bis cod.  pen.  (violenza  sessuale)  sull'aggravante
  della recidiva reiterata di cui all'art.  99,  comma  quarto,  cod.
  pen. - Violazione del principio di uguaglianza, per la  parita'  di
  trattamento di situazioni di diversa gravita'  -  Contrasto  con  i
  principi  di  offensivita'  e  di  proporzionalita'  della  pena  -
  Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2012. 
- Codice penale, art. 69, comma quarto. 
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo. 
(GU n.52 del 27-12-2013 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da:  1)
D.C.L., nato l'8 luglio 1976, avverso la sentenza del 3  maggio  2012
della Corte di appello di Napoli. 
    Sentita la relazione svolta dal consigliere Silvio Amoresano. 
    Sentite le conclusioni del P.G.,  dott.  Sante  Spinaci,  che  ha
chiesto sollevarsi questione di costituzionalita'  o,  in  subordine,
rigettarsi il ricorso. 
    Sentito il  difensore,  avv.  Alfredo  Guarino,  che  ha  chiesto
sollevarsi questione di costituzionalita'. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 3 maggio 2012,
in parziale riforma della sentenza del tribunale di Torre Annunziata,
emessa in data  15  luglio  2011,  con  la  quale  D.C.L.  era  stato
condannato alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione per i reati  di
cui agli articoli 81 cpv e 572 c.p. (capo a) e 609-bis c.p. (capo b),
in danno della moglie F.A., ritenuta la diminuente di cui al comma  3
del medesimo art. 609-bis c.p. equivalente alla contestata  recidiva,
rideterminava la pena, in accoglimento dell'appello del P.G., in anni
6 di reclusione. 
    Riteneva la Corte territoriale che erroneamente il primo giudice,
pur  avendo  riconosciuto  l'esistenza  della   contestata   recidiva
reiterata  ed   infraquinquennale,   avesse   omesso   di   procedere
all'obbligatorio giudizio di comparazione e  che  tale  giudizio  non
potesse che essere effettuato in  termini  di  equivalenza  ai  sensi
dell'art. 69, comma 4 c.p. 
    2. Ricorre per cassazione D.C.L., denunciando  la  violazione  di
legge, avendo la Corte territoriale proceduto,  in  accoglimento  del
ricorso del P.G., ad un aggravamento della  pena  senza  tener  conto
delle risultanze processuali e delle valutazioni del giudice di primo
grado che aveva riconosciuta la circostanza attenuante del  fatto  di
minore gravita'. Con memoria, depositata in cancelleria  in  data  27
marzo 2013,  si  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 69, comma 4 c.p. nella parte in cui prevede il  divieto  di
prevalenza della circostanza  attenuante  di  cui  all'art.  609-bis,
comma 3 c.p. sulla recidiva ex art. 99, comma 4 c.p., con riferimento
al  principio  di  ragionevolezza  dell'ordinamento  giuridico  dello
Stato, di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., e di  proporzionalita'
della pena e del suo fine rieducativo ex art. 27, comma 3 Cost. 
    Si evidenzia che la Corte costituzionale con sentenza n. 251/2012
ha, gia', dichiarato l'illegittimita' costituzionale della  norma  in
questione in relazione al reato di  cui  all'art.  73,  comma  5  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990. 
    Gli stessi argomenti adoperati dal giudice delle leggi  in  detta
sentenza possono valere anche in relazione al divieto  di  prevalenza
della circostanza attenuante  del  fatto  di  minore  gravita'  sulla
recidiva. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Va preliminarmente ricordato che, come affermato dalle sezioni
unite di questa Corte, con la sentenza n. 35738 del 27  maggio  2010,
una volta contestata la recidiva nel reato, anche reiterata,  purche'
non ai sensi dell'art. 99, comma quinto cod.pen.,  qualora  essa  sia
stata esclusa dal giudice, non solo non ha luogo l'aggravamento della
pena, ma non operano  neanche  gli  ulteriori  effetti  commisurativi
della sanzione costituiti dal  divieto  del  giudizio  di  prevalenza
delle circostanze  attenuanti,  di  cui  all'art.  69,  comma  quarto
cod.pen., dal limite minimo di  aumento  della  pena  per  il  cumulo
formale  di  cui   all'art.   81,   comma   quarto   stesso   codice,
dall'inibizione dell'accesso al cosiddetto  patteggiamento  allargato
ed alla relativa riduzione premiale di cui all'art. 444, comma  1-bis
cod.proc.pen.; effetti  che  si  determinano  integralmente  qualora,
invece, la recidiva non sia stata esclusa, per essere stata  ritenuta
sintomo di maggiore colpevolezza e pericolosita'. 
    Anche secondo la  giurisprudenza  costituzionale  il  giudice  e'
tenuto ad applicare la recidiva, quando, considerando la natura e  il
tempo di  commissione  dei  precedenti,  ritiene  il  nuovo  episodio
delittuoso concretamente significativo sotto il  profilo  della  piu'
accentuata  colpevolezza  e  della  maggiore  pericolosita'  del  reo
(sentenza n. 192 del 2007; ordinanze n. 257  del  2008,  n.  193  del
2008, n. 90 del 2008, n. 33 del 2008 e n. 409 del 2007). 
    2. La Corte territoriale  ha  ritenuto  che  non  potesse  essere
esclusa la contestata recidiva (reiterata  ed  infraquinquennale)  in
quanto i reati contestati all'imputato, gia'  gravato  di  precedenti
per  evasione  e  violazione  della  normativa  sugli   stupefacenti,
costituivano espressione di  maggiore  colpevolezza  e  pericolosita'
sociale in  quanto  si  inquadravano  «senza  dubbio  alcuno  in  una
progressione criminosa ulteriore, essendo ampliato  il  ventaglio  di
beni aggrediti dalle condotte antigiuridiche del D.C.L. (pag. 2). 
    E, in accoglimento dell'appello  del  P.G.,  ha  ineccepibilmente
posto rimedio all'errore in cui era incorso il giudice di primo grado
che  aveva  omesso  di   procedere   all'obbligatorio   giudizio   di
comparazione tra la ritenuta recidiva e la circostanza attenuante  di
cui all'art. 609-bis, comma 3 c.p. (anche essa gia' riconosciuta). 
    Ed ha, altrettanto correttamente, ritenuto che tale giudizio  non
potesse  che  essere  espresso  in  termini  di  equivalenza  per  il
tassativo disposto di cui all'art. 69, comma 4 c.p. 
    Ha, quindi, una  volta  riconosciuta  resistenza  della  recidiva
reiterata ed infraquinquennale,  fatto  discendere  «automaticamente»
dal divieto normativo la impossibilita'  di  ritenere  la  prevalenza
della circostanza attenuante. 
    Di   qui   la   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 69, comma 4 c.p.  nella  parte  in  cui  non
prevede, comunque (anche quando non si tratti di recidiva specifica),
la  possibilita'  per  giudice  di  dichiarare  la  prevalenza  della
circostanza attenuante di cui all'art. 69-bis,  comma  3  c.p.  sulla
recidiva ex art. 99, comma 4 c.p. 
    3.  Come  ribadito  dalla  Corte  costituzionale,  anche  con  la
sentenza n. 68/2012, «al pari della configurazione delle  fattispecie
astratte di reato anche la commisurazione delle sanzioni per ciascuna
di esse e' materia affidata alla discrezionalita' dei legislatore  in
quanto  involge  apprezzamenti  tipicamente   politici.   Le   scelte
legislative sono pertanto sindacabili soltanto ove  trasmodino  nella
manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio, come avviene a fronte  di
sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette  da
alcuna ragionevole giustificazione (ex plurimis sentenze n.  161  del
2009, n. 324 del 2008, n. 22 del 2007, n. 394 del 2006)», sicche'  il
giudice delle leggi, pur non potendo rimodulare  le  scelte  punitive
effettuate   dal   legislatore    ne'    stabilire    quantificazioni
sanzionatorie,  ha  il  compito  di  verificare   che   l'uso   della
discrezionalita' legislativa rispetti il limite della  ragionevolezza
e il principio di proporzionalita' tra  qualita'  e  quantita'  della
sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra. Con la sentenza n.  341
del 1994  (richiamandosi  le  precedenti  sentenze  n.  422/1993;  n.
343/1993; n. 313/1990; n. 409/1989, si osservava in proposito che «il
principio di uguaglianza, di cui  all'art.  3,  primo  comma,  Cost.,
esige che la pena sia proporzionata al disvalore del  fatto  illecito
commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia  nel  contempo
alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni
individuali;  ...  le  valutazioni  all'uopo   necessarie   rientrano
nell'ambito  del  potere  discrezionale  del  legislatore,   il   cui
esercizio puo' essere censurato, sotto il profilo della  legittimita'
costituzionale, soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato  il
limite della ragionevolezza» (v. pure nello stesso senso sentenze nn.
343 e 422 del 1993). Infatti, piu'  in  generale,  «il  principio  di
proporzionalita' ... nel campo del diritto penale equivale  a  negare
legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee
a  raggiungere  finalita'   statuali   di   prevenzione,   producono,
attraverso  la   pena,   danni   all'individuo   (ai   suoi   diritti
fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente  maggiori  dei
vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la  tutela  dei
beni e valori offesi dalle predette incriminazioni» (sentenza n.  409
del 1989), in altre recenti decisioni, inoltre, la Corte ha  maturato
la convinzione che  la  finalita'  rieducativa  della  pena  non  sia
limitata alla sola fase dell'esecuzione, ma  costituisca  «una  delle
qualita' essenziali e generali che caratterizzano  la  pena  nel  suo
contenuto antologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta
previsione normativa, fino a quando in concreto  si  estingue»:  tale
finalita' rieducativa implica  pertanto  un  costante  «principio  di
proporzione» tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e
offesa, dall'altra (sentenza n. 313 del 1990; v. pure sentenza n. 343
del 1993, confermata dalla sentenza n. 422 del 1993), in applicazione
di questi principi le sentenze da  ultimo  ricordate  sono  giunte  a
dichiarare   costituzionalmente   illegittime,    come    palesemente
irragionevoli, diverse previsioni di sanzioni penali  giudicando  che
la  loro  manifesta  mancanza   di   proporzionalita'   rispetto   al
fatti-reato si traduceva in arbitrarie e ingiustificate disparita' di
trattamento, o in violazioni dell'art. 27, terzo comma, Cost.». 
    4. Ritiene il collegio che il  divieto  di  prevalenza  (previsto
dall'art. 69, comma 4  c.p.)  della  circostanza  attenuante  di  cui
all'art. 609-bis, comma 3 c.p. sulla recidiva ex  art.  99,  comma  4
c.p. (in particolare quando non  si  tratti  di  recidiva  specifica)
violi i principi di uguaglianza, di ragionevolezza e proporzionalita'
con riferimento agli articoli 3 e 27, comma 3 Costituzione. 
    5. La legge 15 febbraio 1996, n. 66, ha unificato la congiunzione
carnale violenta e gli atti  di  libidine  previsti  dalla  normativa
previgente nella nozione unitaria di atti sessuali, collocando  detti
reati tra i delitti contro la persona invece che tra quelli contro la
moralita' pubblica ed il buon costume. La  sfera  processuale  quindi
diventa diritto della  persona  di  gestire  liberamente  la  propria
sessualita', con la conseguenza che la condotta rilevante  penalmente
va  valutata  in  relazione  al  rispetto  dovuto  alla  persona   ed
all'attitudine ad  offendere  la  liberta'  di  determinazione  della
stessa. 
    La ratio e la lettera della norma inducono allora a dare di  atti
sessuali una nozione «oggettiva»,  facendovi  rientrare  cioe'  tutti
quegli  atti  che  siano  oggettivamente  idonei  ad  attentare  alla
liberta' sessuale del soggetto passivo con invasione della sua  sfera
sessuale (cfr. Cass. sez. 3 n. 28815 del 9 maggio 2008, Belli). 
    Come piu' volte affermato da questa  Corte  l'aggettivo  sessuale
attiene  al  sesso  dal  punto  di  vista  anatomico,  fisiologico  o
funzionale, ma non limita la sua valenza ai  puri  aspetti  genitali,
potendo estendersi anche a tutte le altre zone ritenute erogene dalla
scienza non  solo  medica,  ma  anche  psicologica,  antropologica  e
sociologica (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3  n.  25112/2007;  Cass.
pen. sez. 3 11 gennaio 2006 - Beraido; Cass. sez. 3 1° dicembre 2000,
Gerardi; Cass. sez. 3 n. 7772/2000, Calo'). Sicche' nella nozione  di
atti sessuali debbono farsi rientrare tutti quelli che siano idonei a
compromettere  la  libera  determinazione  della  sessualita'   della
persona e ad invadere  la  sua  sfera  sessuale  (in  questa  facendo
rientrare anche  le  zone  erogene)  con  modalita'  connotate  dalla
costrizione (violenza, minaccia o abuso di  autorita'),  sostituzione
ingannevole  di  persona,  ovvero  abuso  di  inferiorita'  fisica  o
psichica. E tra gli atti  idonei  ad  integrare  il  delitto  di  cui
all'art. 609-bis c.p.  vanno  ricompresi  anche  quelli  insidiosi  e
rapidi, purche' ovviamente riguardino zone  erogene  su  persona  non
consenziente (come ad es. palpamenti, sfregamenti, baci)  cfr.  Cass.
pen. sez. 3 n. 549/2005. 
    6. La «unificazione» in una sola fattispecie  criminosa  di  ogni
attentato  alla  sfera  sessuale  ha  indotto  il  legislatore,   per
differenziare  sul  piano  sanzionatorio  le   ipotesi   meno   gravi
(rientranti secondo la previgente disciplina negli atti di libidine),
a configurare una circostanza attenuante speciale. 
    L'art. 609-bis, comma 1 c.p. prevede una pena da 5 a 10  anni  di
reclusione, mentre il medesimo art. 609-bis al comma 3 stabilisce che
«nei casi di minore gravita'» la pena  e'  diminuita  in  misura  non
eccedente i due terzi. Sicche', in caso di riconoscimento di siffatta
attenuante,  la  pena  (applicandosi   l'attenuante   nella   massima
estensione) puo' variare  da  un  minimo  di  1  anno  e  8  mesi  di
reclusione ad un massimo di 3 anni e 4 mesi. 
    Il  massimo  della  pena  edittale,  previsto   nell'ipotesi   di
riconoscimento della circostanza  attenuante  speciale  della  minore
gravita' (anni 3  e  mesi  4),  e'  quindi,  in  modo  considerevole,
inferiore al minimo della pena prevista per l'ipotesi di cui al comma
1 (anni 5). 
    La  «differenza»  delle  diverse  ipotesi  di  violenza  sessuale
(ricomprese tutte nella fattispecie di cui all'art. 609-bis c.p.)  e'
stata tenuta presente dal legislatore anche  in  tema  di  disciplina
delle misure  cautelari.  Ed  infatti  in  sede  di  conversione  del
decreto-legge, l'art. 2, comma  1,  lettera  a-bis)  della  legge  23
aprile 2009, n. 39, aggiunse all'art. 275, comma 3 c.p.p. il seguente
periodo: «Le disposizioni di cui al periodo precedente  si  applicano
anche  in  ordine  ai  delitti  previsti  dagli   articoli   609-bis,
609-quater e 609-octies del codice penale,  salvo  che  ricorrano  le
circostanze attenuanti dagli stessi contemplate». 
    Gia' prima che la Corte costituzionale, con sentenza n.  265/2010
dichiarasse la illegittimita' costituzionale dell'art. 275,  comma  3
c.p.p. nella parte in cui, nel prevedere che, quando sussistono gravi
indizi di colpevolezza in ordine ai  delitti  di  cui  agli  articoli
600-bis, primo comma, 609-bis  e  609-quater  c.p.  e'  applicata  la
custodia cautelare in carcere, non fa salva l'ipotesi  in  cui  siano
acquisiti elementi specifici, in  relazione  al  caso  concreto,  dai
quali risulti che le esigenze cautelari  possono  essere  soddisfatte
con altre misure, il legislatore  aveva  escluso  la  presunzione  di
adeguatezza della misura di massimo rigore per le ipotesi  di  minore
gravita' di cui all'art. 609-bis, comma 3 c.p. 
    E tanto a conferma del fatto che tali ipotesi  si  differenziano,
sotto il profilo del danno cagionato  alla  vittima  dall'aggressione
alla sfera sessuale, da quelle previste dal comma 1. 
    6.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che  la  circostanza
attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3  c.p.  deve  considerarsi
applicabile in tutte quelle fattispecie in  cui,  avuto  riguardo  ai
mezzi, alle modalita' esecutive ed alle circostanze dell'azione,  sia
possibile  ritenere  che   la   liberta'   sessuale   della   vittima
(bene-interesse tutelato dalla norma) sia stata compressa in  maniera
non grave. Deve quindi farsi riferimento ad una  valutazione  globale
del fatto, quali mezzi, modalita'  esecutive,  grado  di  coartazione
esercitato sulla vittima, condizioni fisiche  e  mentali  di  questa,
caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'eta', cosi' da
poter ritenere che la liberta' sessuale sia stata compressa  in  modo
non grave, come, pure, il danno arrecato anche  in  termini  psichici
(cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 5002 del 7 novembre 2006; Cass. pen.  sez.
3 n. 45604 del 13 novembre 2007). Bisogna tener  conto  cioe',  oltre
che della  materialita'  del  fatto,  di  tutte  le  modalita'  della
condotta criminosa e del danno arrecato alla parte lesa ovvero  degli
elementi indicati dal comma primo dell'art. 133 c.p., ma non  possono
venire in rilievo gli ulteriori elementi  di  cui  al  comma  secondo
dello stesso  art.  133,  utilizzabili  solo  per  la  commisurazione
complessiva della pena (Cass. pen. sez. 3 n.  2597  del  25  novembre
2003). 
    Ai fini del riconoscimento dell'attenuante della minore  gravita'
non rileva di per se' la «natura» e «l'entita'»  dell'abuso,  essendo
necessario valutare il fatto nel suo complesso (Cass. sez. 3 n. 10085
del 5 febbraio 2009). 
    L'accertamento della minore gravita' compete al giudice che  deve
valutare il fatto  nel  suo  complesso  per  applicare  una  sanzione
proporzionata all'entita' dell'aggressione alla sfera sessuale. 
    Risulta evidente, quindi, che la circostanza attenuante di cui al
comma 3 dell'art. 609-bis c.p. rappresenti  un  «temperamento»  della
unificazione in un unico  reato  di  condotte  che  si  differenziano
nettamente in relazione alla diversa  intensita'  della  lesione  del
bene giuridico tutelato. 
    7. La norma di cui all'art. 69,  comma  4  c.p.  che  prevede  il
divieto di prevalenza della circostanza attenuante  di  cui  all'art.
609-bis, comma 3 c.p. sulla recidiva di  cui  all'art.  99,  comma  4
c.p.,  impedisce  sostanzialmente  l'applicazione  di  una   sanzione
adeguata   e   proporzionata   all'entita'    (anche    se    minima)
dell'aggressione alla sfera sessuale della vittima, ponendo l'accento
esclusivamente sulle condizioni soggettive del reo. 
    La Corte costituzionale,  con  la  sentenza  n.  251/2012  del  5
novembre  2012,  nel   dichiarare   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito  dalla
legge 5 dicembre 2005, nella parte  in  cui  prevede  il  divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73,  comma  V
del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  309/1990  sulla
recidiva di cui all'art. 99, quarto comma del codice penale, ha  gia'
evidenziato  che  «il  giudizio  di  bilanciamento  tra   circostanze
eterogenee consente al giudice di "valutare il fatto in tutta la  sua
ampiezza circostanziale, sia eliminando  dagli  effetti  sanzionatori
tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di  quelle  che
aggravano la quantitas delicti, oppure  soltanto  di  quelle  che  la
diminuiscono" (sentenza n. 38 del  1985).  Deroghe  al  bilanciamento
pero'  sono  possibili  e  rientrano  nell'ambito  delle  scelte  del
legislatore, che sono  sindacabili  da  questa  Corte  "soltanto  ove
trasmodino  nella   manifesta   irragionevolezza   o   nell'arbitrio"
(sentenza n. 68 del 2012), ma in ogni caso  non  possono  giungere  a
determinare un'alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti
nella strutturazione della responsabilita' penale;  alterazione  che,
come si vedra', emerge per piu' aspetti nella situazione normativa in
questione». «La recidiva  reiterata  riflette  i  due  aspetti  della
colpevolezza e della pericolosita', ed e' da ritenere che questi, pur
essendo pertinenti al reato, non possano assumere,  nel  processo  di
individualizzazione  della  pena,  una  rilevanza  tale  da  renderli
comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo: principio di
offensivita'  e'  chiamato  ad  operare  non   solo   rispetto   alla
fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto  a  tutti  gli
istituti che incidono sulla individualizzazione della  pena  e  sulla
sua  determinazione  finale.  Se  cosi'  non  fosse,   la   rilevanza
dell'offensivita'   della   fattispecie   base   potrebbe   risultare
"neutralizzata" da un processo di individualizzazione prevalentemente
orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosita'». 
    8. Anche in relazione alla fattispecie  in  esame,  per  effetto,
dell'applicazione dell'art. 69, comma 4 c.p. la sanzione da  irrogare
risulta palesemente irragionevole  e  non  proporzionata  rispetto  a
fatti anche di minima entita'  (come  ad  esempio  lievi  toccamenti,
sfregamenti, baci). 
    Tali  condotte  vengono,  invero,  per  effetto  del  divieto  in
questione, ad essere irragionevolmente sanzionate con la stessa pena,
prevista dal comma 1  dell'art.  609-bis  c.p.,  per  le  ipotesi  di
violenza piu' gravi, vale a dire per condotte, che pur aggredendo  il
medesimo bene  giuridico,  sono  completamente  diverse  sia  per  le
modalita' che per il danno arrecato alla vittima. 
    Con la conseguenza che l'autore di condotte di  minore  gravita',
che sia pero' recidivo ex art. 99, comma  4  c.p.,  viene  ad  essere
punito  con  la  stessa  pena  prevista  per  chi  ponga  in   essere
comportamenti di grave aggressione alla sfera sessuale della vittima. 
    Tale disparita' di trattamento e' piu' evidente nel caso  in  cui
non si tratti di recidiva specifica. 
    L'accentuazione della condizione soggettiva dell'autore del reato
si manifesta, invero, ancor  di  piu'  quando  il  soggetto  non  sia
incline a commettere reati della stessa indole (nella  specie  contro
la liberta' personale). 
    Risulta violato anche  il  principio  di  proporzionalita'  della
pena. Come gia' rilevato dalla Corte costituzionale con  la  sentenza
n. 251/2012, «L'incidenza della regola preclusiva  sancita  dall'art.
69, quarto comma cod. pen. ... attribuisce alla risposta  punitiva  i
connotati  di  una   pena   palesemente   sproporzionata   e   dunque
inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato (sent.  n.  68
del 2012). Questa conclusione non puo' essere confutata  dal  rilievo
dell'Avvocatura dello Stato secondo cui la previsione di  trattamenti
sanzionatori piu'  severi  per  i  recidivi  reiterati  non  potrebbe
condurre a un trattamento sanzionatorio di  per  se'  sproporzionato.
Invero,  la   legittimita',   in   via   generale,   di   trattamenti
differenziati per il recidivo, ossia per "un  soggetto  che  delinque
volontariamente pur dopo aver subito un processo ed una condanna  per
un  delitto   doloso,   manifestando   l'insufficienza,   in   chiave
dissuasiva,  dell'esperienza   diretta   e   concreta   del   sistema
sanzionatorio penale" (sentenza n. 249 del 2010),  non  sottrae  allo
scrutinio di legittimita' costituzionale  le  singole  previsioni,  e
questo scrutinio nel caso in esame rivela  il  carattere  palesemente
sproporzionato del trattamento sanzionatorio determinato dall'innesto
della deroga al  giudizio  di  bilanciamento  sull'assetto  delineato
dall'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n.  309  del
1990. Percio' deve concludersi che la norma censurata e' in contrasto
anche con la  finalita'  rieducativa  della  pena,  che  implica  "un
costante ʽprincipio di proporzione' tra qualita'  e  quantita'  della
sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra" (sentenza  n.  341  del
1994)». 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 83. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4 c.p. nella parte in
cui esclude che la circostanza attenuante di  cui  all'art.  609-bis,
comma 3  c.p.  possa  essere  dichiarata  prevalente  sulla  recidiva
prevista dall'art. 99, comma 4 c.p., con riferimento agli articoli  3
e 27, comma 3 Costituzione. 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  fino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti  siano  trasmessi
alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia  notificata
alle parti, nonche' al Presidente del Consigli dei ministri e che sia
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
 
      Cosi' deciso in Roma, il 26 settembre 2013 
 
                        Il Presidente: Teresi 
 
 
                                       Il consigliere est.: Amoresano