N. 275 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 ottobre 2013
Ordinanza del 15 ottobre 2013 emessa dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di D.C.L.. Reati e pene - Circostanze del reato - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza della circostanza attenuante dei "casi di minore gravita'" di cui al terzo comma dell'art. 609-bis cod. pen. (violenza sessuale) sull'aggravante della recidiva reiterata di cui all'art. 99, comma quarto, cod. pen. - Violazione del principio di uguaglianza, per la parita' di trattamento di situazioni di diversa gravita' - Contrasto con i principi di offensivita' e di proporzionalita' della pena - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2012. - Codice penale, art. 69, comma quarto. - Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.(GU n.52 del 27-12-2013 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da: 1) D.C.L., nato l'8 luglio 1976, avverso la sentenza del 3 maggio 2012 della Corte di appello di Napoli. Sentita la relazione svolta dal consigliere Silvio Amoresano. Sentite le conclusioni del P.G., dott. Sante Spinaci, che ha chiesto sollevarsi questione di costituzionalita' o, in subordine, rigettarsi il ricorso. Sentito il difensore, avv. Alfredo Guarino, che ha chiesto sollevarsi questione di costituzionalita'. Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 3 maggio 2012, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Torre Annunziata, emessa in data 15 luglio 2011, con la quale D.C.L. era stato condannato alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione per i reati di cui agli articoli 81 cpv e 572 c.p. (capo a) e 609-bis c.p. (capo b), in danno della moglie F.A., ritenuta la diminuente di cui al comma 3 del medesimo art. 609-bis c.p. equivalente alla contestata recidiva, rideterminava la pena, in accoglimento dell'appello del P.G., in anni 6 di reclusione. Riteneva la Corte territoriale che erroneamente il primo giudice, pur avendo riconosciuto l'esistenza della contestata recidiva reiterata ed infraquinquennale, avesse omesso di procedere all'obbligatorio giudizio di comparazione e che tale giudizio non potesse che essere effettuato in termini di equivalenza ai sensi dell'art. 69, comma 4 c.p. 2. Ricorre per cassazione D.C.L., denunciando la violazione di legge, avendo la Corte territoriale proceduto, in accoglimento del ricorso del P.G., ad un aggravamento della pena senza tener conto delle risultanze processuali e delle valutazioni del giudice di primo grado che aveva riconosciuta la circostanza attenuante del fatto di minore gravita'. Con memoria, depositata in cancelleria in data 27 marzo 2013, si solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4 c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3 c.p. sulla recidiva ex art. 99, comma 4 c.p., con riferimento al principio di ragionevolezza dell'ordinamento giuridico dello Stato, di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., e di proporzionalita' della pena e del suo fine rieducativo ex art. 27, comma 3 Cost. Si evidenzia che la Corte costituzionale con sentenza n. 251/2012 ha, gia', dichiarato l'illegittimita' costituzionale della norma in questione in relazione al reato di cui all'art. 73, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990. Gli stessi argomenti adoperati dal giudice delle leggi in detta sentenza possono valere anche in relazione al divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di minore gravita' sulla recidiva. Considerato in diritto 1. Va preliminarmente ricordato che, come affermato dalle sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 35738 del 27 maggio 2010, una volta contestata la recidiva nel reato, anche reiterata, purche' non ai sensi dell'art. 99, comma quinto cod.pen., qualora essa sia stata esclusa dal giudice, non solo non ha luogo l'aggravamento della pena, ma non operano neanche gli ulteriori effetti commisurativi della sanzione costituiti dal divieto del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, di cui all'art. 69, comma quarto cod.pen., dal limite minimo di aumento della pena per il cumulo formale di cui all'art. 81, comma quarto stesso codice, dall'inibizione dell'accesso al cosiddetto patteggiamento allargato ed alla relativa riduzione premiale di cui all'art. 444, comma 1-bis cod.proc.pen.; effetti che si determinano integralmente qualora, invece, la recidiva non sia stata esclusa, per essere stata ritenuta sintomo di maggiore colpevolezza e pericolosita'. Anche secondo la giurisprudenza costituzionale il giudice e' tenuto ad applicare la recidiva, quando, considerando la natura e il tempo di commissione dei precedenti, ritiene il nuovo episodio delittuoso concretamente significativo sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo (sentenza n. 192 del 2007; ordinanze n. 257 del 2008, n. 193 del 2008, n. 90 del 2008, n. 33 del 2008 e n. 409 del 2007). 2. La Corte territoriale ha ritenuto che non potesse essere esclusa la contestata recidiva (reiterata ed infraquinquennale) in quanto i reati contestati all'imputato, gia' gravato di precedenti per evasione e violazione della normativa sugli stupefacenti, costituivano espressione di maggiore colpevolezza e pericolosita' sociale in quanto si inquadravano «senza dubbio alcuno in una progressione criminosa ulteriore, essendo ampliato il ventaglio di beni aggrediti dalle condotte antigiuridiche del D.C.L. (pag. 2). E, in accoglimento dell'appello del P.G., ha ineccepibilmente posto rimedio all'errore in cui era incorso il giudice di primo grado che aveva omesso di procedere all'obbligatorio giudizio di comparazione tra la ritenuta recidiva e la circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3 c.p. (anche essa gia' riconosciuta). Ed ha, altrettanto correttamente, ritenuto che tale giudizio non potesse che essere espresso in termini di equivalenza per il tassativo disposto di cui all'art. 69, comma 4 c.p. Ha, quindi, una volta riconosciuta resistenza della recidiva reiterata ed infraquinquennale, fatto discendere «automaticamente» dal divieto normativo la impossibilita' di ritenere la prevalenza della circostanza attenuante. Di qui la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4 c.p. nella parte in cui non prevede, comunque (anche quando non si tratti di recidiva specifica), la possibilita' per giudice di dichiarare la prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 69-bis, comma 3 c.p. sulla recidiva ex art. 99, comma 4 c.p. 3. Come ribadito dalla Corte costituzionale, anche con la sentenza n. 68/2012, «al pari della configurazione delle fattispecie astratte di reato anche la commisurazione delle sanzioni per ciascuna di esse e' materia affidata alla discrezionalita' dei legislatore in quanto involge apprezzamenti tipicamente politici. Le scelte legislative sono pertanto sindacabili soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio, come avviene a fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione (ex plurimis sentenze n. 161 del 2009, n. 324 del 2008, n. 22 del 2007, n. 394 del 2006)», sicche' il giudice delle leggi, pur non potendo rimodulare le scelte punitive effettuate dal legislatore ne' stabilire quantificazioni sanzionatorie, ha il compito di verificare che l'uso della discrezionalita' legislativa rispetti il limite della ragionevolezza e il principio di proporzionalita' tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra. Con la sentenza n. 341 del 1994 (richiamandosi le precedenti sentenze n. 422/1993; n. 343/1993; n. 313/1990; n. 409/1989, si osservava in proposito che «il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo comma, Cost., esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali; ... le valutazioni all'uopo necessarie rientrano nell'ambito del potere discrezionale del legislatore, il cui esercizio puo' essere censurato, sotto il profilo della legittimita' costituzionale, soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza» (v. pure nello stesso senso sentenze nn. 343 e 422 del 1993). Infatti, piu' in generale, «il principio di proporzionalita' ... nel campo del diritto penale equivale a negare legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni» (sentenza n. 409 del 1989), in altre recenti decisioni, inoltre, la Corte ha maturato la convinzione che la finalita' rieducativa della pena non sia limitata alla sola fase dell'esecuzione, ma costituisca «una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto antologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue»: tale finalita' rieducativa implica pertanto un costante «principio di proporzione» tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra (sentenza n. 313 del 1990; v. pure sentenza n. 343 del 1993, confermata dalla sentenza n. 422 del 1993), in applicazione di questi principi le sentenze da ultimo ricordate sono giunte a dichiarare costituzionalmente illegittime, come palesemente irragionevoli, diverse previsioni di sanzioni penali giudicando che la loro manifesta mancanza di proporzionalita' rispetto al fatti-reato si traduceva in arbitrarie e ingiustificate disparita' di trattamento, o in violazioni dell'art. 27, terzo comma, Cost.». 4. Ritiene il collegio che il divieto di prevalenza (previsto dall'art. 69, comma 4 c.p.) della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3 c.p. sulla recidiva ex art. 99, comma 4 c.p. (in particolare quando non si tratti di recidiva specifica) violi i principi di uguaglianza, di ragionevolezza e proporzionalita' con riferimento agli articoli 3 e 27, comma 3 Costituzione. 5. La legge 15 febbraio 1996, n. 66, ha unificato la congiunzione carnale violenta e gli atti di libidine previsti dalla normativa previgente nella nozione unitaria di atti sessuali, collocando detti reati tra i delitti contro la persona invece che tra quelli contro la moralita' pubblica ed il buon costume. La sfera processuale quindi diventa diritto della persona di gestire liberamente la propria sessualita', con la conseguenza che la condotta rilevante penalmente va valutata in relazione al rispetto dovuto alla persona ed all'attitudine ad offendere la liberta' di determinazione della stessa. La ratio e la lettera della norma inducono allora a dare di atti sessuali una nozione «oggettiva», facendovi rientrare cioe' tutti quegli atti che siano oggettivamente idonei ad attentare alla liberta' sessuale del soggetto passivo con invasione della sua sfera sessuale (cfr. Cass. sez. 3 n. 28815 del 9 maggio 2008, Belli). Come piu' volte affermato da questa Corte l'aggettivo sessuale attiene al sesso dal punto di vista anatomico, fisiologico o funzionale, ma non limita la sua valenza ai puri aspetti genitali, potendo estendersi anche a tutte le altre zone ritenute erogene dalla scienza non solo medica, ma anche psicologica, antropologica e sociologica (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 25112/2007; Cass. pen. sez. 3 11 gennaio 2006 - Beraido; Cass. sez. 3 1° dicembre 2000, Gerardi; Cass. sez. 3 n. 7772/2000, Calo'). Sicche' nella nozione di atti sessuali debbono farsi rientrare tutti quelli che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualita' della persona e ad invadere la sua sfera sessuale (in questa facendo rientrare anche le zone erogene) con modalita' connotate dalla costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorita'), sostituzione ingannevole di persona, ovvero abuso di inferiorita' fisica o psichica. E tra gli atti idonei ad integrare il delitto di cui all'art. 609-bis c.p. vanno ricompresi anche quelli insidiosi e rapidi, purche' ovviamente riguardino zone erogene su persona non consenziente (come ad es. palpamenti, sfregamenti, baci) cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 549/2005. 6. La «unificazione» in una sola fattispecie criminosa di ogni attentato alla sfera sessuale ha indotto il legislatore, per differenziare sul piano sanzionatorio le ipotesi meno gravi (rientranti secondo la previgente disciplina negli atti di libidine), a configurare una circostanza attenuante speciale. L'art. 609-bis, comma 1 c.p. prevede una pena da 5 a 10 anni di reclusione, mentre il medesimo art. 609-bis al comma 3 stabilisce che «nei casi di minore gravita'» la pena e' diminuita in misura non eccedente i due terzi. Sicche', in caso di riconoscimento di siffatta attenuante, la pena (applicandosi l'attenuante nella massima estensione) puo' variare da un minimo di 1 anno e 8 mesi di reclusione ad un massimo di 3 anni e 4 mesi. Il massimo della pena edittale, previsto nell'ipotesi di riconoscimento della circostanza attenuante speciale della minore gravita' (anni 3 e mesi 4), e' quindi, in modo considerevole, inferiore al minimo della pena prevista per l'ipotesi di cui al comma 1 (anni 5). La «differenza» delle diverse ipotesi di violenza sessuale (ricomprese tutte nella fattispecie di cui all'art. 609-bis c.p.) e' stata tenuta presente dal legislatore anche in tema di disciplina delle misure cautelari. Ed infatti in sede di conversione del decreto-legge, l'art. 2, comma 1, lettera a-bis) della legge 23 aprile 2009, n. 39, aggiunse all'art. 275, comma 3 c.p.p. il seguente periodo: «Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano anche in ordine ai delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, salvo che ricorrano le circostanze attenuanti dagli stessi contemplate». Gia' prima che la Corte costituzionale, con sentenza n. 265/2010 dichiarasse la illegittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3 c.p.p. nella parte in cui, nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater c.p. e' applicata la custodia cautelare in carcere, non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, il legislatore aveva escluso la presunzione di adeguatezza della misura di massimo rigore per le ipotesi di minore gravita' di cui all'art. 609-bis, comma 3 c.p. E tanto a conferma del fatto che tali ipotesi si differenziano, sotto il profilo del danno cagionato alla vittima dall'aggressione alla sfera sessuale, da quelle previste dal comma 1. 6.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che la circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3 c.p. deve considerarsi applicabile in tutte quelle fattispecie in cui, avuto riguardo ai mezzi, alle modalita' esecutive ed alle circostanze dell'azione, sia possibile ritenere che la liberta' sessuale della vittima (bene-interesse tutelato dalla norma) sia stata compressa in maniera non grave. Deve quindi farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, quali mezzi, modalita' esecutive, grado di coartazione esercitato sulla vittima, condizioni fisiche e mentali di questa, caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'eta', cosi' da poter ritenere che la liberta' sessuale sia stata compressa in modo non grave, come, pure, il danno arrecato anche in termini psichici (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 5002 del 7 novembre 2006; Cass. pen. sez. 3 n. 45604 del 13 novembre 2007). Bisogna tener conto cioe', oltre che della materialita' del fatto, di tutte le modalita' della condotta criminosa e del danno arrecato alla parte lesa ovvero degli elementi indicati dal comma primo dell'art. 133 c.p., ma non possono venire in rilievo gli ulteriori elementi di cui al comma secondo dello stesso art. 133, utilizzabili solo per la commisurazione complessiva della pena (Cass. pen. sez. 3 n. 2597 del 25 novembre 2003). Ai fini del riconoscimento dell'attenuante della minore gravita' non rileva di per se' la «natura» e «l'entita'» dell'abuso, essendo necessario valutare il fatto nel suo complesso (Cass. sez. 3 n. 10085 del 5 febbraio 2009). L'accertamento della minore gravita' compete al giudice che deve valutare il fatto nel suo complesso per applicare una sanzione proporzionata all'entita' dell'aggressione alla sfera sessuale. Risulta evidente, quindi, che la circostanza attenuante di cui al comma 3 dell'art. 609-bis c.p. rappresenti un «temperamento» della unificazione in un unico reato di condotte che si differenziano nettamente in relazione alla diversa intensita' della lesione del bene giuridico tutelato. 7. La norma di cui all'art. 69, comma 4 c.p. che prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3 c.p. sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4 c.p., impedisce sostanzialmente l'applicazione di una sanzione adeguata e proporzionata all'entita' (anche se minima) dell'aggressione alla sfera sessuale della vittima, ponendo l'accento esclusivamente sulle condizioni soggettive del reo. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 251/2012 del 5 novembre 2012, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dalla legge 5 dicembre 2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma V del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma del codice penale, ha gia' evidenziato che «il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee consente al giudice di "valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando dagli effetti sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la quantitas delicti, oppure soltanto di quelle che la diminuiscono" (sentenza n. 38 del 1985). Deroghe al bilanciamento pero' sono possibili e rientrano nell'ambito delle scelte del legislatore, che sono sindacabili da questa Corte "soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio" (sentenza n. 68 del 2012), ma in ogni caso non possono giungere a determinare un'alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita' penale; alterazione che, come si vedra', emerge per piu' aspetti nella situazione normativa in questione». «La recidiva reiterata riflette i due aspetti della colpevolezza e della pericolosita', ed e' da ritenere che questi, pur essendo pertinenti al reato, non possano assumere, nel processo di individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo: principio di offensivita' e' chiamato ad operare non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto a tutti gli istituti che incidono sulla individualizzazione della pena e sulla sua determinazione finale. Se cosi' non fosse, la rilevanza dell'offensivita' della fattispecie base potrebbe risultare "neutralizzata" da un processo di individualizzazione prevalentemente orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosita'». 8. Anche in relazione alla fattispecie in esame, per effetto, dell'applicazione dell'art. 69, comma 4 c.p. la sanzione da irrogare risulta palesemente irragionevole e non proporzionata rispetto a fatti anche di minima entita' (come ad esempio lievi toccamenti, sfregamenti, baci). Tali condotte vengono, invero, per effetto del divieto in questione, ad essere irragionevolmente sanzionate con la stessa pena, prevista dal comma 1 dell'art. 609-bis c.p., per le ipotesi di violenza piu' gravi, vale a dire per condotte, che pur aggredendo il medesimo bene giuridico, sono completamente diverse sia per le modalita' che per il danno arrecato alla vittima. Con la conseguenza che l'autore di condotte di minore gravita', che sia pero' recidivo ex art. 99, comma 4 c.p., viene ad essere punito con la stessa pena prevista per chi ponga in essere comportamenti di grave aggressione alla sfera sessuale della vittima. Tale disparita' di trattamento e' piu' evidente nel caso in cui non si tratti di recidiva specifica. L'accentuazione della condizione soggettiva dell'autore del reato si manifesta, invero, ancor di piu' quando il soggetto non sia incline a commettere reati della stessa indole (nella specie contro la liberta' personale). Risulta violato anche il principio di proporzionalita' della pena. Come gia' rilevato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 251/2012, «L'incidenza della regola preclusiva sancita dall'art. 69, quarto comma cod. pen. ... attribuisce alla risposta punitiva i connotati di una pena palesemente sproporzionata e dunque inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato (sent. n. 68 del 2012). Questa conclusione non puo' essere confutata dal rilievo dell'Avvocatura dello Stato secondo cui la previsione di trattamenti sanzionatori piu' severi per i recidivi reiterati non potrebbe condurre a un trattamento sanzionatorio di per se' sproporzionato. Invero, la legittimita', in via generale, di trattamenti differenziati per il recidivo, ossia per "un soggetto che delinque volontariamente pur dopo aver subito un processo ed una condanna per un delitto doloso, manifestando l'insufficienza, in chiave dissuasiva, dell'esperienza diretta e concreta del sistema sanzionatorio penale" (sentenza n. 249 del 2010), non sottrae allo scrutinio di legittimita' costituzionale le singole previsioni, e questo scrutinio nel caso in esame rivela il carattere palesemente sproporzionato del trattamento sanzionatorio determinato dall'innesto della deroga al giudizio di bilanciamento sull'assetto delineato dall'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Percio' deve concludersi che la norma censurata e' in contrasto anche con la finalita' rieducativa della pena, che implica "un costante ʽprincipio di proporzione' tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra" (sentenza n. 341 del 1994)».
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 83. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4 c.p. nella parte in cui esclude che la circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3 c.p. possa essere dichiarata prevalente sulla recidiva prevista dall'art. 99, comma 4 c.p., con riferimento agli articoli 3 e 27, comma 3 Costituzione. Sospende il giudizio in corso fino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata alle parti, nonche' al Presidente del Consigli dei ministri e che sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, il 26 settembre 2013 Il Presidente: Teresi Il consigliere est.: Amoresano