N. 279 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 ottobre 2013
Ordinanza del 16 ottobre 2013 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna sul ricorso proposto da C. M. R. contro Ministero dell'interno e Dipartimento della pubblica sicurezza.. Impiego pubblico - Sanzioni disciplinari nei confronti degli agenti di P.S. - Destituzione automatica in caso di sottoposizione ad una misura di sicurezza personale di cui all'art. 215 c.p. (nella specie: liberta' vigilata), ovvero ad una misura di prevenzione prevista dall'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 - Ingiustificata diversa disciplina rispetto a fattispecie analoghe oggetto delle sentenze della Corte costituzionale nn. 971/1988, 197/1993 e 363/1996 - Lesione dei principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. - Decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737, art. 8, comma 1, lett. c). - Costituzione, artt. 3 e 97.(GU n.2 del 8-1-2014 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SARDEGNA Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 918 del 2012, proposto da: C. M. R. rappresentato e difeso dagli avv.ti Patrizia Romagnoli e Nicola Norfo, con elezione di domicilio come da procura speciale in atti; Contro il Ministero dell'interno, in persona del Ministro in carica e il Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Cagliari, presso i cui uffici in Cagliari sono per legge domiciliati; Per l'annullamento: del decreto del Capo della Polizia del 7 agosto 2012 con il quale e' stata applicata nei confronti del ricorrente la destituzione di diritto ex art. 8, lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 25 ottobre 1981; ove occorra, del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio disposta con decreto del questore di Nuoro, Cat. 2.8/Ris/Pers./2011/93 del 23 marzo 2011; di tutti gli atti comunque connessi e/o consequenziali. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno e del Ministero dell'interno - Dipartimento di pubblica sicurezza; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 52 decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, comma 8; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 giugno 2013 il dott. Marco Lensi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Col ricorso in esame si chiede l'annullamento degli atti indicati in epigrafe, rappresentando quanto segue. Il ricorrente e' un ex assistente capo della Polizia di Stato, effettivo al commissariato distaccato di Pubblica sicurezza di Siniscola (questura di Nuoro). Il ricorrente e' stato indagato per i reati di cui agli articoli 610 c.p., 628, comma 1 e 3 c.p., 61 n. 2 c.p. e articoli 4 e 7 della legge n. 895/1967, nonche' per i reati di cui agli articoli 635 c.p., 697 c.p., 703 c.p., 73, 80 comma 1, lettera d) del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990. Con decreto del questore di Nuoro del 23 marzo 2011, veniva disposta nei confronti del ricorrente la sospensione cautelare a norma dell'art. 9, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981. Con la sentenza n. 81 del 29 febbraio 2012, divenuta irrevocabile il 18 giugno 2012, il tribunale di Tempio Pausania - Ufficio del giudice dell'udienza preliminare, assolveva il ricorrente dal reato di cui agli articoli 73, 80 comma 1 lettera D) del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato, mentre, in relazione agli altri capi di imputazione, il ricorrente veniva assolto perche', «al momento dei fatti, era incapace di intendere e di volere a cagione di vizio totale di mente». Il giudice applicava nei confronti del ricorrente la misura di sicurezza della liberta' vigilata con obbligo per lo stesso di dimorare presso una comunita', psichiatrica residenziale indicata in sentenza e fissando in anni uno il termine di durata della predetta misura di sicurezza. Con decreto del 7 agosto 2012 il Capo della Polizia applicava nei confronti del ricorrente la destituzione di diritto, ex art. 8, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737. Il ricorrente, ritenendo tale provvedimento illegittimo e gravemente lesivo, lo ha impugnato col ricorso in esame, per i seguenti motivi di diritto: 1) violazione dell'art. 8, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737; violazione dell'art. 9 della legge n. 19 del 7 febbraio 1990; violazione dell'art. 24 della Costituzione; carenza di potere; sviamento; violazione dei principi del rispetto del contraddittorio e del giusto procedimento nell'esercizio dell'azione disciplinare; improcedibilita' dell'azione disciplinare; 2) violazione dell'art. 8, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737; violazione dell'art. 2 della legge n. 689/1981; violazione degli articoli 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 339/1982 e 129 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957; violazione dei principi che governano il procedimento disciplinare; carenza di potere; difetto dei presupposti per l'esercizio del potere disciplinare; 3) violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241; eccesso di potere per difetto dei presupposti; carenza di istruttoria; ingiustizia manifesta; 4) illegittimita' costituzionale dell'art. 8, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737, per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione; ingiustizia manifesta e disparita' di trattamento. Conclude per l'accoglimento del ricorso. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'interno e il Ministero dell'interno - Dipartimento di pubblica sicurezza, sostenendo l'inammissibilita' e l'infondatezza nel merito del ricorso, di cui si chiede il rigetto. Con successive memorie le parti hanno approfondito le proprie argomentazioni, insistendo per le contrapposte conclusioni. Alla pubblica udienza del 19 giugno 2013, su richiesta delle parti, la causa e' stata trattenuta in decisione. Col ricorso in esame si chiede l'annullamento del decreto del Capo della Polizia del 7 agosto 2012, con il quale e' stata applicata nei confronti del ricorrente la destituzione di diritto ex art. 8, lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 25 ottobre 1981; ove occorra, del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio disposta con decreto del questore di Nuoro, Cat. 2.8/Ris/Pers./2011/93 del 23 marzo 2011; di tutti gli atti comunque connessi e/o consequenziali. Deve prendersi atto che l'Amministrazione resistente, con l'impugnato decreto del 7 agosto 2012, ha dato applicazione automatica e vincolata al chiaro e univoco disposto di una norma di legge (art. 8, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 25 ottobre 1981), in forza della quale, senza eccezioni o distinzioni e senza la necessita' della previa instaurazione di un procedimento disciplinare, l'Amministrazione e' tenuta ad applicare la destituzione di diritto nei confronti dell'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza al quale sia stata applicata «una misura di sicurezza personale di cui all'art. 215 del codice penale ovvero di una misura di prevenzione prevista dall'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423». Cio' stante, ribadito che l'impugnato decreto del 27 agosto 2012 discende in via automatica e vincolata dal disposto della citata norma di legge, che stabilisce, per il caso in esame, l'applicazione della destituzione di diritto, senza eccezioni o distinzioni e senza la necessita' della previa instaurazione di un procedimento disciplinare, deve ritenersi che l'unica eventuale possibilita' di esito favorevole del ricorso per l'istante risieda nell'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' della norma in questione. Deve essere conseguentemente esaminata la questione di costituzionalita' dell'art. 8, primo collima, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 25 ottobre 1981, in forza del quale, col provvedimento impugnato, e' stata applicata nei confronti del ricorrente la destituzione di diritto, per possibile violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione. In primo luogo, deve ritenersi la rilevanza di tale questione di costituzionalita'. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente nella memoria del 14 febbraio 2013, deve ritenersi che la norma citata sia attualmente in vigore, non essendo stata abrogata da altra disposizione di legge (in particolare, non dall'art. 9 della legge n. 19/1990 che concerne la destituzione di diritto a seguito di condanna penale) o dichiarata incostituzionale a seguito di sentenza della Corte costituzionale. Cio' stante, e per le considerazioni gia' in precedenza espresse, in presenza del disposto della norma in questione che espressamente statuisce la destituzione di diritto a seguito dell'applicazione di una misura di sicurezza personale di cui all'art. 215 del codice penale ovvero di una misura di prevenzione prevista dall'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, a 1423», risulta evidente che, nel caso di specie, l'Amministrazione era senz'altro tenuta ad adottare l'impugnato provvedimento di destituzione, in forza della norma in questione, posto che - come esattamente rilevato nel decreto impugnato - «gli effetti della sottoposizione alla misura di sicurezza personale si producono "ope legis" sul rapporto di pubblico impiego, escludendo, quindi, ogni potere discrezionale dell'Amministrazione». Deve altresi' ritenersi la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 8, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981, per possibile violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione. A seguito della sentenza della Corte costituzionale 12-14 ottobre 1988, n. 971, e' stata - tra l'altro - dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8, primo comma lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica n. 737/1981. Relativamente alla diversa fattispecie di cui alla lettera b) della medesima norma, deve invece richiamarsi la sentenza della Corte costituzionale 5-9 luglio 1999, n. 286, con la quale e' stata dichiarata non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 29, primo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione. Nell'ordinanza di rimessione il giudice «a quo» - richiamando la «ratio decidendi» su cui si fondano le sentenze n. 363 del 1996, n. 239 del 1996 e n. 197 del 1993 e le ordinanze n. 201 del 1994 e n. 137 del 1994 - avrebbe voluto che dalla pena accessoria - applicabile secondo i principi generali solo in base a una condanna penale definitiva - non scaturisse l'automatismo della rimozione, ma si affermasse nella sua ineludibilita' l'interposizione del giudizio disciplinare. Con la sentenza richiamata, la questione di legittimita' costituzionale e' stata invece dichiarata non fondata dalla Corte Costituzionale, evidenziandosi come «l'affermazione del principio della necessita' del procedimento disciplinare, in luogo della destituzione di diritto dei pubblici dipendenti, non concerne le pene accessorie di carattere interdittivo, in genere, ne' l'interdizione dai pubblici uffici, in particolare. La risoluzione del rapporto d'impiego costituisce, in questo caso, soltanto un effetto indiretto della pena accessoria comminata in perpetuo", per cui, in tale ipotesi, la destituzione di diritto costituisce soltanto un effetto indiretto della «pena accessoria comminata in perpetuo». Alla luce dei principi in proposito espressi nelle sentenze sopra richiamate e avuto riguardo al caso di specie concernente la destituzione di diritto conseguente all'applicazione di una misura di sicurezza personale ex art. 215 del codice penale, non puo' che rilevarsi come in tale ipotesi la destituzione di diritto non possa configurarsi quale mero effetto indiretto dell'applicazione di una misura accessoria di carattere interdittivo «comminata in perpetuo», non potendosi qualificare la misura di sicurezza personale della liberta' vigilata quale misura di carattere interdittivo «comminata in perpetuo», stante, in particolare, la natura temporanea della misura medesima la cui durata, nel caso di specie, e' stata stabilita dal giudice penale in anni uno, soggetta a rivalutazione da parte della competente autorita' in relazione al perdurare o meno della pericolosita' sociale del soggetto interessato, con la conseguenza che debbano ritenersi valide per l'ipotesi in esame le considerazioni di carattere generale che hanno portato alla dichiarazione di incostituzionalita' della fattispecie di cui alla lettera a) della norma in esame e cioe' della destituzione di diritto in conseguenza di condanna penale ed oggetto delle richiamate sentenze della Corte costituzionale n. 971 del 1988, n. 197 del 1993 e n. 363 del 1996. Ulteriori considerazioni depongono nel senso della non manifesta incostituzionalita' della norma in questione. In sede penale il ricorrente e' stato assolto dai «reati ascrittigli perche' lo stesso, al momento dei fatti, era incapace di intendere e di volere a cagione di vizio totale di mente». Nella medesima sede penale, in considerazione della pericolosita' sociale del ricorrente, al medesimo e' stata applicata la misura di sicurezza personale della liberta' vigilata, la cui durata, nel caso di specie, e' stata stabilita dal giudice penale in anni uno. Cio' stante, in assenza di profili di imputabilita' (in quanto riconosciuto incapace di intendere e di volere) in capo al soggetto destinatario dell'applicazione di una misura di sicurezza personale ex art. 215 del codice penale, puo' dubitarsi che i menzionati profili di obiettiva pericolosita' sociale del soggetto medesimo (che costituiscono il presupposto dell'applicazione della misura di sicurezza personale in questione), possano ragionevolmente legittimare l'automatica adozione di un provvedimento di destituzione di diritto, cosi' come stabilito dalla norma in esame (contra TAR Catania n. 541 del 27 marzo 2007, che ha ritenuto palesemente infondata la questione di costituzionalita' della norma in esame in ragione della «pericolosita' sociale» del soggetto cui e' stata applicata la misura di sicurezza personale ex art. 215 del codice penale, in considerazione, altresi', della delicatezza dei compiti cui sono chiamati gli appartenenti alla Polizia di Stato). Premesso che le esigenze connesse alla delicatezza dei compiti cui sono chiamati gli appartenenti alla Polizia di Stato, giustamente evidenziate nella citata sentenza del TAR Catania, possono comunque essere tutelate e fatte salve come sara' di seguito evidenziato, ritiene invece il collegio che, pur debitamente considerati i' menzionati profili di obiettiva pericolosita' sociale del soggetto destinatario dell'applicazione di una misura di sicurezza personale ex art. 215 del codice penale, nel caso di specie, debbano essere altresi' debitamente considerati non solo la gia' rilevata circostanza dell'assenza, nel caso di specie, di profili di. imputabilita' in capo al ricorrente (riconosciuto incapace di intendere e di volere a cagione di vizio totale di mente, al momento dei fatti), ma altresi' i rilevanti aspetti di ordine sanitario e di natura medico-psichiatrica, cosi' come riconosciuti sussistenti in sede penale; con la conseguenza che puo' dubitarsi della legittimita' costituzionale della norma che stabilisce in via automatica l'adozione di un provvedimento di destituzione di diritto in conseguenza dell'applicazione della misura di sicurezza personale in questione, per possibile violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, in considerazione dell'oggettiva natura sanzionatoria della destituzione di diritto, che puo' ritenersi non adeguata e giustificata in ragione delle predette peculiarita' della fattispecie concreta in esame, potendosi invece ritenere piu' adeguata a tale fattispecie - in cui, si ribadisce, rivestono decisiva rilevanza sia la circostanza dell'assenza di profili di imputabilita' in capo al soggetto destinatario dell'applicazione della misura di sicurezza personale, sia l'ulteriore circostanza della sussistenza, nel caso di specie, di «emergenze di natura medico-psichiatrica» come rilevate in sede penale - una valutazione in ordine alla permanenza o meno in capo al soggetto interessato dei necessari requisiti psicofisici il cui possesso e' richiesto ed e' necessario ai fini del permanere del rapporto di pubblico impiego, con conseguente valutazione della posizione del soggetto interessato in termini di idoneita' o meno al servizio, anziche' in termini di automatica destituzione di diritto, considerato altresi' che tale valutazione della posizione del soggetto interessato in termini di idoneita' o meno al servizio consentirebbe comunque di salvaguardare e garantire le esigenze connesse alla delicatezza dei compiti cui sono chiamati gli appartenenti alla Polizia di Stato, giustamente evidenziate nella citata sentenza del TAR Catania n. 541 del 27 marzo 2007, che pertanto verrebbero comunque fatte salve anche a prescindere dall'applicazione, nel caso di specie, dell'automatica destituzione di diritto. Per le suesposte considerazioni, ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 25 ottobre 1981, in forza del quale, col provvedimento impugnato, e' stata applicata nei confronti della ricorrente la destituzione di diritto, per possibile violazione dell'articoli 3 e 97 della Costituzione, deve pertanto sollevarsi la relativa questione di legittimita' costituzionale, con la conseguente sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Riservata ogni altra pronuncia in rito, nel merito e sulle spese in ordine al ricorso in epigrafe; Ritenuta rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale di cui in motivazione; Sospende il giudizio in corso; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della conseguente pronuncia della Corte costituzionale decorre il termine perentorio di mesi sei per la riassunzione in questa sede del giudizio medio tempore sospeso con la presente ordinanza. Manda alla segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all'oscuramento delle generalita' nonche' di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento. Cosi' deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 19 giugno 2013 Il Presidente: Monticelli L'estensore: Lensi