N. 7 SENTENZA 15 - 23 gennaio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Misure urgenti per il contenimento
  della spesa in materia di pubblico impiego. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in  materia  di
  stabilizzazione finanziaria e di competitivita'  economica),  artt.
  9, commi  1,  2  e  21,  e  12,  commi  7  e  10,  convertito,  con
  modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122. 
(GU n.5 del 29-1-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt.  9,  commi
1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10, del decreto-legge 31 maggio  2010,  n.
78 (Misure urgenti in materia di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, dalla legge
30  luglio  2010,  n.  122,  promossi  dal  Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio con ordinanze del 10, del 9 e dell'8 maggio 2012,
rispettivamente iscritte ai nn. 184, 185 e 194 del registro ordinanze
2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 37  e
38, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti gli atti di costituzione di  Abbonato  Rosa  ed  altri,  di
Falvella Lina ed altro, di Liberatore  Benedetta  Alessia  ed  altri,
nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  5  novembre  2013  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    uditi gli avvocati Aristide Police per Abbonato Rosa ed  altri  e
per Falvella Lina ed altro, Mario  Sanino  per  Liberatore  Benedetta
Alessia ed altri e l'avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo  regionale  del  Lazio,  con  tre
ordinanze di identico tenore (reg. ord. n. 184, n. 185 e n.  194  del
2012), ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 42, 53, 97 e
117 della Costituzione questione di legittimita' costituzionale degli
artt. 9, commi 1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10,  del  decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 
    1.1.- Il rimettente premette che i  giudizi  a  quibus  hanno  ad
oggetto   la   richiesta   di   annullamento:   1)   della   delibera
dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 114/11/CONS del
2 marzo 2011, pubblicata il 23 marzo 2011, con la  quale  sono  state
individuate le modalita' di attuazione  delle  disposizioni  previste
dal d.l. n. 78 del 2010, nonche' di ogni altro atto presupposto,  ivi
compresi: a) il Parere del  Dipartimento  della  Ragioneria  Generale
dello Stato in data 11  gennaio  2011,  reso  su  apposita  richiesta
dell'Autorita' Garante per la Concorrenza  ed  il  Mercato  prot.  n.
0068665 del 17  dicembre  2010  in  merito  all'applicabilita'  delle
disposizioni di cui al  d.l.  n.  78  del  2010;  b)  l'elenco  delle
Amministrazioni pubbliche inserite nel  conto  economico  consolidato
redatto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge  31
dicembre  2009,  n.  196;  c)  i  singoli  provvedimenti  individuali
adottati in esecuzione della predetta  delibera  n.  114/11/CONS  del
2011 nei confronti dei singoli ricorrenti; 2) il nuovo  elenco  delle
Amministrazioni pubbliche inserite nel  conto  economico  consolidato
redatto dall'ISTAT ai sensi dell'art. 1, comma 3, della legge n.  196
del 2009 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica,
serie generale, n.  228,  del  30  settembre  2011;  3)  la  delibera
dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 498/11/CONS del
13 settembre 2011, pubblicata in data 11 novembre 2011, con la quale,
in attuazione dell'art. 12, commi 7, 8, 9 e 10 del  d.l.  n.  78  del
2010 e dell'art. 7 della suddetta delibera n. 114/11/CONS del 2 marzo
2011, e' stata ridefinita  la  disciplina  del  trattamento  di  fine
rapporto del personale dell'Autorita'. 
    Il rimettente riferisce che gli atti impugnati sono tutti diretti
a dare attuazione alle norme censurate. 
    1.2.- Il TAR del Lazio evidenzia, in primo luogo,  l'infondatezza
dei motivi di ricorso sollevati dai ricorrenti nei giudizi  a  quibus
per  l'annullamento  degli  atti  impugnati  e  il  cui  accoglimento
priverebbe di rilevanza le questioni. 
    Il TAR del  Lazio  afferma  la  sussistenza  della  giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie in materia di
impiego alle dipendenze dell'Autorita'  garante  delle  comunicazioni
richiamando la pronuncia della Corte  di  cassazione  sezioni  unite,
ordinanza 23 giugno  2005,  n.  13446,  e  la  successiva  evoluzione
legislativa e giurisprudenziale. 
    Sempre  in  via  preliminare,  il  TAR  ritiene  che,   ai   fini
dell'interesse ad  agire  dei  ricorrenti  e  della  rilevanza  delle
questioni  di  legittimita'  costituzionale,   non   assuma   rilievo
assorbente - a differenza di quanto affermato  dai  ricorrenti  nella
memoria depositata in data 18 febbraio 2012 - la circostanza  che  la
sezione III-quater del medesimo  Tribunale  amministrativo  regionale
con la sentenza 11 gennaio 2012, n.  226,  abbia  annullato  l'elenco
ISTAT pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 228 del
30 settembre 2011, nella parte in cui inserisce anche l'AGCOM fra  le
predette Amministrazioni. 
    Secondo il rimettente, tale annullamento  non  sarebbe  rilevante
perche'  il  legislatore  ha  operato   un   rinvio   recettizio   al
provvedimento dell'ISTAT  e  da  cio'  deriverebbe  che  il  suddetto
annullamento non puo' dispiegare effetti sul provvedimento legificato 
    Il TAR, sempre motivando in punto di rilevanza, ritiene infondato
il motivo di ricorso che attiene  alla  presunta  non  applicabilita'
all'Autorita' delle comunicazioni della disciplina del d.l. n. 78 del
2010. Il Collegio ritiene che la prova della volonta' del legislatore
di includere anche l'AGCOM nel campo di applicazione degli  artt.  9,
commi 1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10, del  d.l.  n.  78  del  2010  si
rinvenga: a) nel  fatto  che  il  legislatore  quando  ha  menzionato
espressamente  le  autorita'  indipendenti  (come,   per   l'appunto,
nell'art. 6, commi 8, 9, 12, 13 e 14 del d.l.  n.  78  del  2010)  ha
utilizzato la formula  «incluse  le  autorita'  indipendenti»,  cosi'
limitandosi a specificare un dato - quale l'inclusione di  tali  enti
nell'elenco ISTAT - chiaramente evincibile da  una  semplice  lettura
del predetto elenco; b) nel fatto che lo stesso legislatore,  laddove
ha inteso garantire la specialita' di determinati soggetti  pubblici,
ha introdotto una disciplina  speciale  in  materia  di  contenimento
della spesa, come ha fatto, ad esempio, con l'art. 3,  comma  3,  del
medesimo decreto-legge, che riguarda soltanto la Banca d'Italia e non
le altre autorita' indipendenti. 
    Infine, a differenza di  quanto  affermato  dai  ricorrenti,  non
assumerebbe rilievo  decisivo  il  parere  del  Consiglio  di  Stato,
commissione speciale, 26 gennaio 2012, n. 385. In tale sede, infatti,
il  Consiglio  di  Stato  -  chiamato  a  chiarire   l'applicabilita'
dell'art. 6, comma 21,  del  d.l.  n.  78  del  2010  all'AGCOM,  sul
presupposto che il sistema di finanziamento dell'Autorita'  e'  quasi
interamente autonomo, essendo  affidato  al  contributo  versato  dai
soggetti regolati, mentre solo una minima ed irrilevante parte  delle
entrate e' a carico del bilancio dello Stato - dopo aver ribadito «il
principio di corrispondenza tra gli oneri imposti agli operatori e  i
costi amministrativi sostenuti per  l'esercizio  dei  compiti  svolti
dall'Autorita'», ha affermato che le somme ricavate  da  economie  di
gestione dall'Autorita' possono essere destinate al bilancio  statale
solo relativamente alla parte imputabile ai contributi ricevuti dallo
Stato, ossia nella misura corrispondente  al  valore  percentuale  di
tali   contributi   sul   complesso   delle    entrate    finanziarie
dell'Autorita'. Secondo il rimettente, il parere citato confermerebbe
ulteriormente l'applicabilita' delle norme di cui al d.l. n.  78  del
2010 all'AGCOM. 
    1.3.-  Dopo  aver   evidenziato,   ai   fini   della   rilevanza,
l'infondatezza dei motivi di ricorso proposti nell'ambito dei giudizi
a quibus, il TAR motiva in ordine  alla  non  manifesta  infondatezza
delle singole questioni di costituzionalita'. 
    La  prima,  sollevata  dal  rimettente  d'ufficio,  e'   relativa
all'art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del  2010,  nella  parte  in  cui
introduce un contributo di solidarieta'  per  i  dipendenti  pubblici
pari alla decurtazione del 5% dei trattamenti  economici  complessivi
superiori  a  € 90.000  e  del  10%  per  i   trattamenti   economici
complessivi superiori a € 150.000. Secondo  il  rimettente  la  norma
violerebbe gli artt.  3  e  53,  Cost.,  poiche',  colpendo  la  sola
categoria dei dipendenti pubblici, si porrebbe in  contrasto  con  il
principio di universalita' dell'imposizione  a  parita'  di  reddito,
creando un  effetto  discriminatorio,  reso  evidente  dalla  diversa
disciplina riservata al contributo di solidarieta', oltre  i  300.000
euro di reddito, previsto per gli altri cittadini, il quale,  sebbene
giustificato dalla medesima ratio, prevedrebbe una soglia  superiore,
un'aliquota inferiore e la deducibilita' dal reddito complessivo. 
    In  via  subordinata,  il   rimettente   solleva   questione   di
costituzionalita' anche con riferimento agli artt. 2  e  3  Cost.  in
quanto, rideterminando «in senso ablativo  un  trattamento  economico
gia' acquisito alla sfera  del  pubblico  dipendente  sub  specie  di
diritto soggettivo», inciderebbe in pejus sullo status economico  dei
lavoratori, alterando  quel  sinallagma  che  e'  il  fondamento  dei
rapporti di durata  ed,  in  particolare,  proprio  dei  rapporti  di
lavoro, trasmodando in un  regolamento  irrazionale  con  riguardo  a
situazioni  fondate  su  leggi  precedenti  e  cosi'  frustrando   il
principio del legittimo affidamento,  da  intendersi  quale  elemento
costitutivo dello Stato di diritto. 
    Il TAR del Lazio ritiene violato anche l'art. 42  Cost.  perche',
una volta  che  fosse  esclusa  la  natura  tributaria  del  prelievo
dovrebbe necessariamente riconoscersi la sua  natura  sostanzialmente
espropriativa, dal momento che  verrebbe  a  costituire  una  vera  e
propria ablazione di redditi formanti  oggetto  di  diritti  quesiti,
senza alcuna indennita',  attraverso  una  norma-provvedimento  priva
della fase del procedimento e senza neanche la  partecipazione  degli
interessati,  cui  e'  negato  il  diritto  di   interloquire   sulla
legittimita'  ed  opportunita'  delle  scelte  cui  sono  chiamati  a
contribuire con il loro sacrificio. 
    Inoltre il rimettente evoca la violazione  dell'art.  97,  Cost.,
perche' sarebbe completamente svuotata la capacita'  autorganizzativa
delle pubbliche amministrazioni,  che  dovrebbe  normalmente  potersi
esprimere anche in riferimento allo stato economico del personale. 
    1.4.- Il rimettente ritiene di dover sollevare, d'ufficio  -  con
riferimento agli articoli 2,  3,  42,  53  e  97  Cost.  -  anche  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma  7,  del
d.l. n. 78 del 2010, secondo il  quale:  a  «titolo  di  concorso  al
consolidamento dei conti pubblici attraverso  il  contenimento  della
dinamica della spesa corrente nel rispetto degli obiettivi di finanza
pubblica previsti dall'Aggiornamento del programma  di  stabilita'  e
crescita, dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento,
con riferimento ai dipendenti delle  amministrazioni  pubbliche  come
individuate dall'Istituto Nazionale di Statistica  (ISTAT)  ai  sensi
del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n.  196  il
riconoscimento dell'indennita' di buonuscita, dell'indennita'  premio
di servizio, del  trattamento  di  fine  rapporto  e  di  ogni  altra
indennita' equipollente corrisposta una  tantum  comunque  denominata
spettante a seguito di cessazione  a  vario  titolo  dall'impiego  e'
effettuato: a) in un unico importo annuale se l'ammontare complessivo
della prestazione, al lordo delle  relative  trattenute  fiscali,  e'
complessivamente pari o inferiore a 90.000 euro; b)  in  due  importi
annuali se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo  delle
relative trattenute fiscali, e' complessivamente superiore  a  90.000
euro ma inferiore a 150.000  euro.  In  tal  caso  il  primo  importo
annuale e' pari a 90.000 curo e il secondo importo  annuale  e'  pari
all'ammontare residuo; c)  in  tre  importi  annuali  se  l'ammontare
complessivo della prestazione, al  lordo  delle  relative  trattenute
fiscali, e' complessivamente uguale o superiore a  150.000  euro,  in
tal caso il primo importo annuale e' pari a 90.000 curo,  il  secondo
importo annuale e' pari a 60.000 euro e il terzo importo  annuale  e'
pari all'ammontare residuo». 
    Il rimettente, nel motivare la non manifesta  infondatezza  della
questione, fa riferimento ad  altra  questione  di  costituzionalita'
dell'art. 12, comma 7, del predetto decreto-legge sollevata  dal  TAR
Calabria (ordinanza n. 89 del 1° febbraio 2012). In tale ordinanza si
evidenzia che la disposizione in esame comporta lo  scaglionamento  -
in favore  del  solo  datore  di  lavoro  pubblico  -  dell'onere  di
corresponsione  delle  indennita',  comunque  denominate,   di   fine
rapporto  con   differenti   modalita'   a   seconda   dell'ammontare
complessivo  delle  prestazioni.  Cio'   comporta   una   diminuzione
patrimoniale certa, che si identifica nella mancata corresponsione di
interessi per la dilazione del pagamento.  La  misura  determinerebbe
anche una piu' profonda compromissione  del  rapporto  sinallagmatico
tra datore di lavoro e dipendente pubblico, giacche' le somme di  cui
trattasi hanno pacificamente natura retributiva, sia pure  differita,
e si tratterebbe di una misura strutturale, non limitata - nella  sua
vigenza - ad un periodo di tempo predefinito. 
    Inoltre,  il  TAR  osserva  che  «il  mero   differimento   della
retribuzione non risponde ad alcuna logica di riduzione di spesa, ne'
puo' essere apprezzato in sede comunitaria, atteso che non si  tratta
di una misura strutturale ma  di  un  mero  rinvio  della  spesa,  di
talche' la razionalita' del "prelievo" mascherato cede  innanzi  alle
esigenze di trasparenza dello Stato con il cittadino,  oltre  che  di
lealta' dello Stato-datore di lavoro con il dipendente che  esige  la
giusta remunerazione di una vita di lavoro; analogo rilievo vale  per
la nuova e diversa incisione del  computo  dei  trattamenti  di  fine
servizio». 
    In  tal  modo,  verrebbe  leso  -  senza  che  lo   richieda   il
soddisfacimento di altri e piu'  pregnanti  principi  costituzionali,
nell'ottica  di  un  ragionevole  bilanciamento  -  il  principio  di
affidamento del pubblico dipendente nell'ordinario sviluppo economico
della carriera, comprensivo del trattamento collegato alla cessazione
del rapporto di impiego. 
    Si lamenta anche la discriminazione che subirebbero  in  peius  i
pubblici dipendenti rispetto a tutti gli altri lavoratori, con palese
violazione dell'art. 3 Cost., posto che il datore di  lavoro  privato
non e' legittimato ad effettuare alcuna rateizzazione del trattamento
di fine rapporto. 
    Sarebbe palese anche «la violazione dell'art.  36  Cost.,  tenuto
conto  che  il  trattamento  di  fine  rapporto,   e   gli   istituti
equivalenti, altro non sono se non una retribuzione differita, i  cui
importi devono pertanto essere restituiti al  lavoratore  al  momento
della cessazione del rapporto. 
    Infine, anche in questo caso verrebbe completamente  svuotata  la
capacita'  autorganizzativa  delle  pubbliche  amministrazioni,   che
dovrebbero normalmente potersi  esprimere  pur  in  riferimento  allo
stato economico del personale, secondo i generali  principi  espressi
dall'art. 97 Cost. 
    1.5.-  Il  Tribunale  rimettente  considera   rilevante   e   non
manifestamente  infondata  anche   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  sollevata  con  il   secondo   motivo   del   ricorso
introduttivo, ove viene denunciata l'incostituzionalita' degli  artt.
9, commi 1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10, del d.l. n. 78 del 2010,  per
violazione  degli  artt.  3,  97  e  117,  primo  comma,  Cost.,  sul
presupposto della ritenuta inapplicabilita' all'AGCOM dello  speciale
regime previsto per la Banca d'Italia dall'art. 3, comma 3, del  d.l.
n. 78 del 2010. 
    In punto di rilevanza  di  quest'ultima  questione,  il  Collegio
osserva che la tesi secondo la quale l'art. 3, comma 3, del  d.l.  n.
78 del  2010  sarebbe  implicitamente  applicabile  anche  all'AGCOM,
sostenuta  dai  ricorrenti,  sulla  scorta  del  combinato   disposto
dell'art. 2, comma 28, della legge 14 novembre 1995,  n.  481  (Norme
per la concorrenza e per  la  regolazione  dei  servizi  di  pubblica
utilita'. Istituzione delle Autorita' di regolazione dei  servizi  di
pubblica utilita'), e dell'art. 11, comma 2, della legge  10  ottobre
1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e  del  mercato),
non puo' essere condivisa perche', a fronte  della  gia'  evidenziata
inclusione  delle  autorita'  indipendenti  (ivi  compresa   1'AGCOM)
nell'elenco ISTAT, la disposizione dell'art. 3, comma 3, del d.l.  n.
78 del 2010 si presenta come una norma eccezionale e, come tale,  non
suscettibile  di  essere  applicata  in  ambiti  diversi  da   quelli
espressamente indicati dal legislatore. 
    In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  in  aggiunta   alle
considerazioni svolte dai ricorrenti nel primo motivo sulla autonomia
ed indipendenza organizzativa e finanziaria  (considerazioni  che  il
rimettente richiama integralmente), il Collegio  ritiene  sufficiente
evidenziare che la mancata applicazione all'AGCOM del regime speciale
previsto dall'art. 3, comma 3, del d.l. n. 78 del 2010 per  la  Banca
d'Italia,  oltre  a  comportare   un'ingiustificata   disparita'   di
trattamento tra enti appartenenti  alla  medesima  categoria  (quella
delle autorita' indipendenti), finisce  per  pregiudicare  gravemente
l'autonomia e l'indipendenza organizzativa e finanziaria riconosciuta
all'AGCOM dall'ordinamento comunitario  e  da  quello  nazionale,  in
contrasto con gli articoli 3, 97 e 117, primo comma, Cost. 
    2.- Si e' costituito nei giudizi il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. 
    L'Avvocatura dello Stato premette che le  disposizioni  censurate
si inseriscono nell'ambito dell'articolata  ed  organica  manovra  di
contenimento delle spese nel settore del pubblico impiego  effettuata
nell'anno  2010.  Tale  manovra  economica   e'   stata   determinata
dall'eccezionalita'  della  situazione  economica  internazionale   e
dall'esigenza  prioritaria  del  raggiungimento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica concordati in sede europea. In  tale  contesto,  uno
dei settori di intervento per il contenimento della spesa, e'  stato,
necessariamente, quello dell'impiego pubblico. 
    In tal modo si e' fornita una risposta  anticipata  a  quanto  e'
stato espressamente richiesto,  successivamente,  con  lettera  della
Banca centrale europea (BCE). 
    Il legislatore ha ritenuto  che  anche  il  personale  dell'AGCOM
dovesse  concorrere  al  conseguimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica, in termini non dissimili da quanto  avvenuto  per  tutti  i
pubblici dipendenti con l'art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992,
n. 384 (Misure urgenti in materia di  previdenza,  di  sanita'  e  di
pubblico impiego,  nonche'  disposizioni  fiscali),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438. 
    L'Avvocatura dello Stato ricorda che le questioni di legittimita'
costituzionale sollevate con riferimento a quest'ultima  disposizione
legislativa sono state dichiarate manifestamente infondate (ordinanza
n. 299 del 1999). Peraltro, quando s'impone l'esigenza di  effettuare
manovre correttive di finanza pubblica incisive e si deve intervenire
con misure che attengono direttamente al rapporto di  impiego,  anche
il  personale  dell'AGCOM  e'  tenuto  a  contribuirvi.  Sarebbe  non
ragionevole chiedere sacrifici ai dipendenti di tutti i settori della
pubblica   amministrazione   (sia   in   regime   privatistico    che
pubblicistico) esentandone alcuni. 
    Secondo la  difesa  dello  Stato,  l'intervento  legislativo  non
avrebbe  natura  tributaria,  perche'   altrimenti   avrebbe   dovuto
riguardare tutti i cittadini, si tratterebbe invece di un  intervento
adottato al fine di ridurre la spesa di quel determinato settore  (la
pubblica amministrazione) che e'  stato  individuato  anche  in  sede
europea quale elemento distorsivo in eccesso del debito pubblico.  In
materia fiscale, d'altronde, il  legislatore  non  si  e'  mai  fatto
carico di salvaguardare  gli  effetti  previdenziali  dell'emolumento
oggetto di imposizione, come, invece, e' previsto dalla norma oggetto
di censura, nella quale si e' precisato che «tale riduzione non opera
ai fini previdenziali». Pertanto,  dovrebbe  ritenersi  infondata  la
prospettata violazione dell'art. 53 Cost. 
    L'intervento  normativo  in  questione  dunque  sarebbe,  secondo
l'Avvocatura, ragionevole e sostanzialmente equo,  e  non  violerebbe
ne' l'art. 2 ne' l'art. 3 Cost. Esso non violerebbe  nemmeno  l'artt.
97 Cost., pure richiamato dal giudice rimettente, perche' il predetto
«precetto  costituzionale  non  puo'  essere  invocato  al  fine   di
giustificare la pretesa al conseguimento di miglioramenti  economici»
(Corte costituzionale, ordinanza n. 290 del 2006). 
    Non  sembrerebbe  fondata  neanche  la  questione  relativa  alla
violazione  dell'art.  36  Cost.,  giacche',  per  valutare  se   una
riduzione   del   trattamento   economico   incida   sul    principio
dell'adeguatezza del trattamento economico, bisogna avere riguardo al
trattamento economico complessivo del dipendente e non  alle  singole
componenti di esso: e la misura della riduzione prevista, nel caso di
specie,  non  puo'  dirsi   che   comprometta   l'adeguatezza   della
retribuzione (sentenza n. 287 del 2006). 
    Secondo la  difesa  dello  Stato,  le  considerazioni  svolte  in
relazione alla prima questione sono  riferibili  anche  alle  censure
formulate,  per  ragioni  sostanzialmente  analoghe,   nei   riguardi
dell'art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, che ha  previsto  uno
scaglionamento del pagamento della indennita' di buonuscita  e  delle
indennita' analoghe spettanti  ai  dipendenti  pubblici  per  importi
superiori ad euro 90.000,00. 
    In  particolare,  si  osserva  che  non  sussiste  la  violazione
dell'art. 36 Cost., perche' le indennita' dovute non  sono  negate  o
decurtate, ma solo in parte differite. Non  sussiste  violazione  dei
principi di solidarieta', di uguaglianza, di  legalita'  e  di  buona
amministrazione, perche' la misura adottata si applica in egual  modo
per  tutti  i  dipendenti  pubblici  e  risponde   ad   esigenze   di
solidarieta' sociale, essendo finalizzata  a  fronteggiare  la  grave
situazione di crisi della finanza pubblica insorta nella recente fase
di integrazione europea. Ne' puo' dirsi che  sussista  disparita'  di
trattamento tra dipendenti pubblici e privati, che  sono  soggetti  a
diverso trattamento giuridico ed economico. 
    Neppure  sarebbero   fondate   le   censure   di   illegittimita'
costituzionale formulate dai ricorrenti e recepite dal  TAR,  secondo
cui l'art. 9, commi l, 2 e 21, e l'art. 12, commi 7 e 10, del d.l. in
esame, sarebbero illegittimi per violazione degli artt. 3, 97  e  117
Cost., in quanto determinerebbero una disparita' di  trattamento  dei
dipendenti dell'AGCOM rispetto a quelli della Banca d'Italia. 
    Sebbene si possa riconoscere che  la  Banca  d'Italia  e  l'AGCOM
costituiscano autorita'  indipendenti  e  godano,  pertanto,  di  una
speciale  autonomia  organizzativa  e  funzionale,  occorre  tuttavia
evidenziare che  la  Banca  d'Italia  presenta  caratteri  del  tutto
peculiari, che la differenziano da ogni altra autorita'. Ne  consegue
che,  con  riferimento  alla  Banca  d'Italia,   non   e'   possibile
configurare una identita' di situazioni che  costituisca  presupposto
dell'eccepita violazione del principio di uguaglianza. 
    Invero, osserva l'Avvocatura dello  Stato,  mentre  le  autorita'
indipendenti di regolazione sono  enti  nazionali,  preposti  a  dare
concreta  attuazione  alle   direttive   europee   nei   mercati   di
riferimento,  le  banche  centrali  -  come  la  Banca   d'Italia   -
costituiscono ormai organi del Sistema  europeo  di  banche  centrali
(SEBC)  previsto  dagli  artt.  127  e  seguenti  del  Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea. Esse, pertanto, non possono essere
considerate come autorita' indipendenti nazionali, bensi'  come  enti
federati di un ente federale europeo. Per queste ragioni, si e'  reso
necessario  adottare  una  normativa  di  carattere  speciale  per  i
dipendenti della Banca d'Italia, sottoposta  al  parere  obbligatorio
della Banca centrale europea ai sensi della decisione  del  Consiglio
98/15/CE  del  29  giugno  1998,  allo  scopo  di  salvaguardare   la
particolare  autonomia  delle  istituzioni  comunitarie.  Dunque,  la
previsione di un regime specifico per la Banca d'Italia  concerne  la
sua veste di Banca centrale nazionale,  che  e'  propria  solo  della
Banca d'Italia e non certamente dell'AGCOM. 
    Neppure sussisterebbe violazione  degli  artt.  97  e  117  Cost.
Invero, l'indipendenza delle  autorita'  di  regolazione  -  qual  e'
l'AGCOM - non implica che esse siano dotate di un'assoluta  autonomia
patrimoniale e finanziaria e di una totale autarchia nel governo  del
personale.  Viceversa,  esse  costituiscono  parte   della   pubblica
amministrazione e sono soggette al principio di  legalita'  stabilito
dall'art. 97 Cost., con la conseguenza che giustamente il trattamento
economico e retributivo del  proprio  personale  viene  regolato  per
legge, cosi' come avviene per tutte le altre categorie  del  pubblico
impiego, e non e' invece riservato agli autonomi poteri delle singole
autorita'. 
    3.- Con riferimento alle ordinanze di rimessione n. 184 e n.  185
del 2012 si sono costituiti nel giudizio costituzionale i  ricorrenti
nei giudizi a quibus riservandosi di illustrare in un secondo momento
le proprie difese. 
    4.- Con riferimento all'ordinanza di rimessione n. 194  del  2012
si sono costituiti i ricorrenti nel giudizio a quo chiedendo  che  la
Corte, in accoglimento delle questioni sollevate dal TAR  del  Lazio,
dichiari l'illegittimita' costituzionale degli artt. 9, commi 1, 2  e
21, e 12, commi 7 e 10, del d.l. n. 78 del 2010. 
    In particolare,  le  parti  private  compiono  una  ricostruzione
completa del quadro normativo nazionale e comunitario in  materia  di
autorita' indipendenti al fine  di  evidenziare  che  tali  autorita'
devono godere di piena autonomia, anche con riferimento al potere  di
autoregolamentarsi in relazione al personale dipendente. 
    Quanto alle singole censure,  vengono  sviluppate  argomentazioni
analoghe a quelle dell'ordinanza di rimessione. 
    5.- Con memorie depositate in prossimita'  dell'udienza  tutti  i
ricorrenti nei giudizi a quibus  ribadiscono  le  proprie  richieste,
insistendo  nell'accoglimento  delle  questioni  e,  in  particolare,
sostenendo  l'equiparabilita'  della   disciplina   delle   autorita'
indipendenti a  quella  prevista  per  la  Banca  d'Italia  a  tutela
dell'autonomia e dell'indipendenza. 
    6.-  Con  memoria   depositata   in   prossimita'   dell'udienza,
l'Avvocatura  dello  Stato  insiste  nella  proprie   richieste.   In
particolare,  l'Avvocatura  sottolinea  che,   successivamente   alla
proposizione dell'ordinanza, e' intervenuta la sentenza  n.  223  del
2012 con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale
degli artt. 9, comma 2, e 12, comma 10, del  d.l.  n.  78  del  2010.
Pertanto,   in   relazione   a   tali   norme,   le   questioni    di
costituzionalita'  sono  divenute  inammissibili  per   mancanza   di
oggetto. 
    Con riferimento alla questione relativa all'art. 12, comma 7, del
d.l.  n.  78   del   2010,   l'Avvocatura   dello   Stato   eccepisce
l'inammissibilita' della questione in conformita' con  quanto  deciso
da questa Corte nella citata sentenza n. 223  del  2012.  Nel  merito
tale questione sarebbe comunque infondata per le ragioni gia' esposte
nell'atto di costituzione. 
    Infine, con riferimento alla questione  relativa  agli  artt.  9,
commi 1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10, del d.l. n. 78 del  2010,  nella
parte  in  cui  non  estendono  anche  ai  dipendenti  dell'AGCOM  la
disciplina prevista  per  la  Banca  d'Italia  per  l'adeguamento  ai
principi contenuti nel  medesimo  decreto-legge,  l'Avvocatura  dello
Stato  eccepisce  l'inammissibilita'  delle  censure  relative   alla
violazione degli artt. 97 e 117, primo comma, Cost.  per  difetto  di
motivazione. 
    L'ordinanza di  rimessione  omette,  infatti,  di  esplicitare  i
motivi per i quali, a suo avviso, sarebbe  violato  il  principio  di
buon andamento della pubblica amministrazione, ed omette altresi'  di
indicare  le  norme  comunitarie  che  costituirebbero  parametro  di
riferimento interposto e che sarebbero  state  violate  nel  caso  di
specie. 
    Quanto alla violazione dell'art. 3 per disparita' di  trattamento
con  la  Banca  d'Italia,  l'Avvocatura   ribadisce   i   motivi   di
infondatezza gia' evidenziati nell'atto di costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con tre ordinanze di identico tenore (reg. ord.  n.  184,  n.
185 e n. 194 del 2012)  il  Tribunale  amministrativo  regionale  del
Lazio ha sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 9, commi 1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10,  del  decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010,  n.  122,  per  violazione
degli artt. 2, 3, 36, 42, 53, 97 e 117 della Costituzione. 
    1.1.- In  considerazione  dell'identita'  delle  questioni,  deve
essere disposta la riunione dei giudizi, al  fine  di  definirli  con
un'unica pronuncia. 
    Va,   preliminarmente,   affermato   che   e'   da    condividere
l'argomentazione con cui il TAR ritiene di respingere  la  tesi,  che
priverebbe di rilevanza la questione di costituzionalita', con cui  i
ricorrenti nel giudizio principale sostengono  che  sussisterebbe  un
limite non superabile delle somme  da  destinare  al  bilancio  dello
Stato, rappresentato dai soli importi corrispondenti ai contributi da
quest'ultimo direttamente versati all'AGCOM. Lo Stato  non  potrebbe,
con un atto di normazione primaria avente ad oggetto le  retribuzioni
di coloro che vi lavorano, eccedere rispetto a tale importo, che, per
gli esercizi finanziari  rientranti  nel  periodo  di  vigenza  delle
misure in oggetto, sarebbe di entita'  irrilevante  e  non  potrebbe,
quindi, estendere il  prelievo  alla  parte  relativa  ai  contributi
versati dai soggetti regolati, anche se tale contribuzione deriva  da
scelte di finanziamento coattivo operate dalla legislazione  statale.
Poiche' a fondamento di tale tesi viene  invocato  un  parere  emesso
nell'Adunanza della commissione speciale del Consiglio di  Stato  (n.
385 del 26 gennaio 2012),  deve  rilevarsi  che,  anche  prescindendo
dalla  condivisibilita'  delle   conclusioni   cui   perviene,   esso
riguardava un  aspetto  diverso,  vale  a  dire  la  destinazione  al
bilancio dello Stato delle somme provenienti dalle riduzioni di spesa
conseguenti all'applicazione dell'art. 6, comma 21, del  d.l.  n.  78
del 2010, e che, quindi, esso si riferiva ad una fase successiva  che
presupponeva proprio l'applicazione della normativa contestata. 
    1.2.- La prima questione posta dal rimettente riguarda l'art.  9,
comma 2, del d.l. n. 78 del 2010 nella parte in cui  dispone  che  «a
decorrere  dal  1°  gennaio  2011  e  sino  al  31  dicembre  2013  i
trattamenti economici complessivi dei singoli  dipendenti,  anche  di
qualifica dirigenziale, previsti dai  rispettivi  ordinamenti,  delle
amministrazioni pubbliche inserite nel  conto  economico  consolidato
della  pubblica  amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3,  dell'art.  1,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori a 90.000  euro  lordi
annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto
importo fino a 150.000 euro, nonche' del 10 per cento  per  la  parte
eccedente 150.000 euro». 
    La citata  disposizione  violerebbe  gli  artt.  3  e  53  Cost.,
poiche', colpendo la  sola  categoria  dei  dipendenti  pubblici,  si
porrebbe   in   contrasto   con   il   principio   di   universalita'
dell'imposizione  a  parita'   di   reddito,   creando   un   effetto
discriminatorio, reso evidente dalla diversa disciplina  relativa  al
contributo di solidarieta' previsto per gli altri cittadini,  che  fa
riferimento ai redditi  oltre  i  300.000  euro,  il  quale,  sebbene
giustificato dalla medesima ratio, prevederebbe una soglia superiore,
un'aliquota inferiore e la deducibilita' dal reddito complessivo. 
    Inoltre, in via  subordinata,  il  Tribunale  rimettente  ritiene
violati gli artt. 2 e 3 Cost. in quanto  la  norma  rideterminerebbe,
«in senso ablativo, un  trattamento  economico  gia'  acquisito  alla
sfera del pubblico dipendente sub specie di diritto soggettivo» e, in
tal modo, verrebbe ad incidere in pejus sullo  status  economico  dei
lavoratori, alterando quel sinallagma che e' il proprium dei rapporti
di durata ed, in  particolare,  caratteristica  non  eliminabile  dei
rapporti di lavoro, trasmodando in  un  regolamento  irrazionale  con
riguardo a situazioni fondate su leggi precedenti e cosi'  frustrando
il principio del legittimo affidamento, da intendersi quale  elemento
fondamentale dello Stato di diritto. 
    Infine, il TAR del Lazio ritiene che, qualora  si  escludesse  la
natura tributaria dell'art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del  2010,  in
questo caso la norma si porrebbe in  contrasto  in  primo  luogo  con
l'art. 42 Cost., avendo  natura  sostanzialmente  espropriativa,  dal
momento che determinerebbe una vera e propria  ablazione  di  redditi
formanti oggetto di diritti quesiti, senza alcuna indennita',  e,  in
secondo luogo, con l'art.  97,  Cost.,  perche'  verrebbe  ad  essere
completamente svuotata la capacita' autorganizzativa delle  pubbliche
amministrazioni, che dovrebbe normalmente potersi esprimere anche  in
riferimento allo stato economico del personale. 
    1.3.- La seconda questione di costituzionalita'  riguarda  l'art.
12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui  dispone  lo
scaglionamento della corresponsione del trattamento di fine  rapporto
fino a tre importi  annuali,  a  seconda  dell'ammontare  complessivo
della prestazione. 
    Secondo il rimettente,  la  citata  disposizione  violerebbe  gli
artt. 3 e 36 Cost., in quanto sarebbe irragionevole imporre  ai  soli
dipendenti pubblici lo scaglionamento dell'indennita'  di  buonuscita
e,  una  tale  previsione  costituirebbe  anche  una  violazione  del
principio di adeguatezza  della  retribuzione,  caratterizzandosi  la
buonuscita come «retribuzione differita». 
    Il TAR del Lazio ritiene sussistere anche la violazione dell'art.
97 Cost. perche' risulta svuotata  la  capacita'  auto  organizzativa
della pubblica  amministrazione,  che  dovrebbe  normalmente  potersi
esprimere anche in riferimento allo stato economico del personale. 
    1.4.- La terza e ultima questione ha  ad  oggetto  gli  artt.  9,
commi 1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10, del d.l. n. 78 del  2010,  nella
parte  in  cui  non  estendono  anche  ai  dipendenti  dell'AGCOM  la
disciplina prevista dall'art. 3, comma 3, del medesimo  decreto-legge
per la Banca d'Italia. 
    Secondo  il  Tribunale  rimettente,   la   mancata   applicazione
all'AGCOM  del  regime  speciale  previsto  per  la  Banca   d'Italia
violerebbe gli articoli 3, 97 e 117, primo comma,  Cost.  in  quanto,
oltre a comportare una ingiustificata disparita' di  trattamento  tra
enti   appartenenti   alla   medesima   categoria   delle   autorita'
indipendenti,    pregiudicherebbe    gravemente     l'autonomia     e
l'indipendenza organizzativa  e  finanziaria  riconosciuta  all'AGCOM
dall'ordinamento comunitario e da quello nazionale. 
    2.- Le questioni relative agli artt. 9, comma 2, e 12, comma  10,
del d.l. n. 78 del 2010 sono inammissibili. 
    Questa Corte, con sentenza  n.  223  del  2012,  successiva  alla
proposizione delle ordinanze in esame, ha ritenuto costituzionalmente
illegittimo l'art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del  2010,  in
quanto, integrando una decurtazione patrimoniale con i caratteri  del
tributo, si pone in evidente contrasto con gli articoli 3 e 53 Cost. 
    In tale occasione si e' anche affermato che l'introduzione di una
imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale,  in  relazione
soltanto  ai  redditi  di  lavoro  dei  dipendenti  delle   pubbliche
amministrazioni  inserite  nel  conto  economico  consolidato   della
pubblica amministrazione viola il principio della parita' di prelievo
a parita' di presupposto  d'imposta  economicamente  rilevante.  Tale
violazione si manifesta sotto due diversi  profili:  da  un  lato,  a
parita' di reddito lavorativo,  il  prelievo  e'  ingiustificatamente
limitato ai soli dipendenti pubblici; d'altro lato,  il  legislatore,
pur avendo richiesto (con l'art. 2 del  d.l.  n.  138  del  2011)  il
contributo di solidarieta' (di indubbia natura tributaria) del 3% sui
redditi annui superiori  a  300.000,00  euro,  al  fine  di  reperire
risorse per la stabilizzazione finanziaria, ha inopinatamente  scelto
di imporre ai soli dipendenti pubblici, per  la  medesima  finalita',
l'ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura. 
    L'irragionevolezza  non   risiede   nell'entita'   del   prelievo
denunciato, ma nella  ingiustificata  limitazione  della  platea  dei
soggetti passivi. La sostanziale identita' di  ratio  dei  differenti
interventi "di solidarieta'", poi, prelude essa stessa ad un giudizio
di  irragionevolezza  ed  arbitrarieta'   del   diverso   trattamento
riservato ai pubblici dipendenti, foriero peraltro di un risultato di
bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e piu' favorevole  per
lo Stato, laddove il legislatore  avesse  rispettato  i  principi  di
eguaglianza  dei  cittadini  e  di  solidarieta'   economica,   anche
modulando diversamente un "universale" intervento impositivo. 
    Con la medesima sentenza n. 223  del  2012  e'  stata  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 10, del  d.l.  n.
78 del 2010 con la seguente motivazione «a fronte dell'estensione del
regime di cui all'art. 2120 del codice civile (ai  fini  del  computo
dei trattamenti  di  fine  rapporto)  sulle  anzianita'  contributive
maturate   a   fare   tempo   dal   1º   gennaio   2011,    determina
irragionevolmente l'applicazione dell'aliquota del 6,91%  sull'intera
retribuzione,  senza  escludere  nel  contempo   la   vigenza   della
trattenuta  a  carico  del  dipendente  pari  al  2,50%  della   base
contributiva  della  buonuscita,  operata   a   titolo   di   rivalsa
sull'accantonamento per l'indennita' di buonuscita, in combinato  con
l'art. 37 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032. 
    Nel consentire  allo  Stato  una  riduzione  dell'accantonamento,
irragionevole perche' non collegata con la qualita' e  quantita'  del
lavoro prestato e perche' - a parita' di retribuzione - determina  un
ingiustificato trattamento deteriore dei dipendenti pubblici rispetto
a quelli privati, non sottoposti a rivalsa da  parte  del  datore  di
lavoro, la disposizione impugnata viola per cio' stesso gli  articoli
3 e 36 della Costituzione». 
    Da  quanto  detto  consegue  che  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale degli artt. 9, comma 2, e 12, comma 10, del d.l. n. 78
del 2010, dopo la sentenza n. 223 del 2012, sono  divenute  prive  di
oggetto e vanno, quindi, dichiarate  inammissibili  in  relazione  ai
profili prospettati con le ordinanze di rimessione. 
    3.- Le questioni relative all'art. 12, comma 7, del  d.l.  n.  78
del 2010 sono pur esse, anche se per diverso motivo, inammissibili. 
    Deve nuovamente richiamarsi la sentenza n. 223 del  2012  con  la
quale  le  medesime  questioni  di   costituzionalita'   sono   state
dichiarate  inammissibili  perche'  non  risulta  «individuato  alcun
immediato pregiudizio subito  dai  dipendenti  in  servizio,  diverso
dalla rateizzazione, che essi subiranno nel momento del  collocamento
a riposo per raggiunti limiti di eta', il giorno successivo a  quello
del compimento del settantesimo anno di eta' o a quello  fissato  nel
provvedimento di trattenimento in servizio, ovvero per anzianita'  di
servizio, ovvero per dimissioni» (sentenza n. 223 del 2012). 
    Anche nel caso in esame deve evidenziarsi che  in  nessuna  delle
ordinanze il Tribunale rimettente riferisce di  essere  investito  di
una domanda  da  parte  di  un  dipendente  in  quiescenza  che,  per
qualunque causa, in epoca  successiva  al  30  novembre  2010,  abbia
subito gli effetti della norma. L'assenza di un pregiudizio e  di  un
interesse attuale a ricorrere rende evidente che  il  rimettente  non
deve fare applicazione della norma impugnata. 
    4.- Anche la questione relativa all'art. 9, commi  1  e  21,  del
d.l. n. 78 del 2010 sollevata con riferimento  ai  parametri  di  cui
agli artt. 97 e 117, primo comma, Cost. e' inammissibile. 
    L'ordinanza di rimessione, infatti, e' del  tutto  carente  sulle
ragioni  della  non  manifesta  infondatezza  della  violazione   dei
suddetti parametri costituzionali. Sul punto  la  motivazione  si  e'
limitata ad un mero  richiamo  alle  argomentazioni  dei  ricorrenti,
senza riprodurle. 
    Secondo  la  consolidata  giurisprudenza  di  questa  Corte,  nei
giudizi incidentali di costituzionalita' delle leggi non  e'  ammessa
la cosiddetta motivazione per relationem. Il rimettente deve  rendere
espliciti,  facendoli  propri,   i   motivi   della   non   manifesta
infondatezza e non puo' limitarsi  ad  un  mero  richiamo  di  quelli
evidenziati dalle parti nel corso del giudizio (ex plurimis, sentenze
n. 234 del 2011 e n. 143 del 2010, ordinanze n. 175 del 2013, n.  239
e n. 65 del 2012). 
    Inoltre, poiche' tali argomenti, prospettati dalle parti private,
riguardano i motivi dell'invocata illegittimita'  amministrativa  dei
provvedimenti impugnati, gli stessi non  possono  essere  utilizzati,
con un mero richiamo, per sostenere la violazione  dei  parametri  di
costituzionalita' che si pretendono violati. 
    5.- La questione relativa all'art. 9, commi 1 e 21, del  d.l.  n.
78 del 2010, per violazione dell'art. 3 Cost. non e' fondata. 
    Il TAR del Lazio ritiene che l'art. 9, commi 1 e 21, del d.l.  n.
78 del 2010, nella parte in cui non  estendono  anche  ai  dipendenti
dell'AGCOM la disciplina prevista dall'art. 3, comma 3, del  medesimo
decreto-legge per la Banca  d'Italia,  determinino  un'ingiustificata
disparita'  di  trattamento,  trattandosi  in  entrambi  i  casi   di
autorita' amministrative  indipendenti,  e  sussistendo  le  medesime
esigenze di salvaguardia dell'autonomia delle stesse. 
    5.1.- L'art. 3, comma 3, ora richiamato  dispone  che  «La  Banca
d'Italia  tiene  conto,  nell'ambito  del  proprio  ordinamento,  dei
principi di  contenimento  della  spesa  per  il  triennio  2011-2013
contenuti nel presente titolo. A tal fine, qualora non  si  raggiunga
un accordo con le organizzazioni sindacali sulle materie  oggetto  di
contrattazione  in  tempo  utile  per  dare  attuazione  ai  suddetti
principi, la  Banca  d'Italia  provvede  sulle  materie  oggetto  del
mancato  accordo,  fino  alla  successiva  eventuale   sottoscrizione
dell'accordo». 
    La  scelta  del  legislatore  di  prevedere  un   meccanismo   di
adeguamento della Banca d'Italia alla normativa introdotta  dal  d.l.
n.  78  del  2010  corrisponde  all'esigenza,  imposta  dai  Trattati
relativi alle modalita'  di  funzionamento  dell'Unione  europea,  di
consultare  preventivamente  la  Banca  centrale  europea  per   ogni
modifica che riguardi una banca centrale nazionale. 
    La Banca d'Italia,  infatti,  e'  parte  integrante  del  Sistema
europeo di banche  centrali  (SEBC).  L'art.  130  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione prevede che: «Nell'esercizio dei  poteri  e
nell'assolvimento dei  compiti  e  dei  doveri  loro  attribuiti  dai
trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, ne' la Banca  centrale
europea ne' una banca centrale nazionale ne' un membro dei rispettivi
organi decisionali possono sollecitare o accettare  istruzioni  dalle
istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione, dai  governi
degli Stati membri ne' da qualsiasi altro organismo. Le  istituzioni,
gli organi e gli organismi dell'Unione nonche' i governi degli  Stati
membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare  di
influenzare i membri degli organi decisionali  della  Banca  centrale
europea o delle banche centrali nazionali nell'assolvimento dei  loro
compiti», principio ribadito ed esplicitato anche dall'art.  7  dello
statuto del SEBC e della BCE. 
    Inoltre, ai sensi dell'art. 2, paragrafo 1, terzo  alinea,  della
decisione del Consiglio 98/15/CE del 29  giugno  1998  «Le  autorita'
degli Stati membri consultano la BCE su ogni progetto di disposizioni
legislative che rientri nelle sue competenze ai sensi del trattato e,
in  particolare,  per  quanto  riguarda  [...]  le  banche   centrali
nazionali». 
    Deve riconoscersi  che  la  normativa  comunitaria  tende  ad  un
rafforzamento dell'indipendenza anche delle  autorita'  nazionali  di
regolazione. A tal fine, tuttavia, si  ritiene  sufficiente  che  sia
garantito mediante una previsione esplicita che l'autorita' nazionale
responsabile  della  regolazione  ex  ante  del   mercato   o   della
risoluzione di controversie tra imprese sia al riparo, nell'esercizio
delle sue funzioni,  da  qualsiasi  intervento  esterno  o  pressione
politica che possa compromettere la  sua  imparzialita'  di  giudizio
nelle questioni che e' chiamata a dirimere. 
    In particolare, per il settore in esame, la direttiva  2002/21/CE
del Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  del  7  marzo  2002,  che
istituisce un quadro normativo comune per le reti  ed  i  servizi  di
comunicazione  elettronica  (cosiddetta  direttiva  quadro),  prevede
all'undicesimo "considerando" che: «In conformita' al principio della
separazione  delle  funzioni  di  regolamentazione   dalle   funzioni
operative, gli Stati membri sono tenuti  a  garantire  l'indipendenza
delle autorita' nazionali di regolamentazione in modo  da  assicurare
l'imparzialita' delle loro decisioni. Il requisito  dell'indipendenza
lascia  impregiudicata  l'autonomia  istituzionale  e  gli   obblighi
costituzionali degli Stati  membri,  come  pure  il  principio  della
neutralita'  rispetto  alla  normativa  sul  regime   di   proprieta'
esistente negli Stati membri sancito nell'articolo 295 del  trattato.
Le autorita' nazionali di regolamentazione dovrebbero  essere  dotate
di tutte le  risorse  necessarie,  sul  piano  del  personale,  delle
competenze e dei mezzi finanziari,  per  l'assolvimento  dei  compiti
loro  assegnati».  Si  richiede,  inoltre,  in  base  al  tredicesimo
considerando della direttiva n. 2009/140/CE del Parlamento europeo  e
del  Consiglio  del   25   novembre   2009,   che   siano   stabilite
preventivamente le norme riguardanti i motivi  di  licenziamento  del
responsabile dell'Autorita'  nazionale  di  regolazione  in  modo  da
dissipare ogni dubbio circa la neutralita' di  tale  ente  e  la  sua
impermeabilita' ai fattori esterni e che le autorita'  dispongano  di
un  bilancio  proprio  che  permetta  loro  di  assumere  sufficiente
personale qualificato. 
    Dall'esame  della  disciplina   europea   risulta   evidente   la
differenza che esiste tra le banche centrali nazionali e le autorita'
di  regolazione  dei  mercati  ex  ante  e   di   risoluzione   delle
controversie tra imprese. 
    Pertanto, pur godendo tanto la Banca d'Italia che l'AGCOM di  una
speciale autonomia organizzativa e funzionale  a  tutela  della  loro
indipendenza,  occorre  tuttavia  affermare  che  la  Banca  d'Italia
presenta caratteri del tutto peculiari che la differenziano  da  ogni
altra autorita' amministrativa indipendente. 
    In conclusione, il diverso  trattamento  riservato  dall'art.  3,
comma 3, del d.l.  n.  78  del  2010  alla  Banca  d'Italia  rispetto
all'AGCOM e'  giustificato  dall'esigenza  imposta  dalla  disciplina
dell'Unione di previa consultazione della Banca centrale  europea  da
parte  delle  autorita'  nazionali  sui  progetti   di   disposizioni
legislative concernenti, tra l'altro, le banche  centrali  nazionali.
Poiche' analoga esigenza non viene in rilievo  con  riferimento  alle
altre autorita' amministrative indipendenti, la disciplina  riservata
alla Banca d'Italia non puo' costituire,  sotto  questo  profilo,  un
utile tertium comparationis per una pretesa disparita' di trattamento
e la prospettata questione di legittimita' costituzionale e' priva di
fondamento in riferimento all'art. 3 Cost. 
      
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
      
    1)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 9, comma 2,  e  12,  commi  7  e  10,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio  2010,  n.  122,
sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 36,  42,  53,  97  e  117,
primo  comma,  della  Costituzione,  dal   Tribunale   amministrativo
regionale del Lazio con le ordinanze indicate in epigrafe; 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9, commi 1 e 21, del d.l. n.  78  del  2010,
sollevate, in riferimento agli artt. 97 e 117,  primo  comma,  Cost.,
dal Tribunale amministrativo regionale del  Lazio  con  le  ordinanze
indicate in epigrafe; 
    3)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9, commi 1 e 21, del d.l. n.  78  del  2010,
sollevate,  in  riferimento   all'art.   3   Cost.,   dal   Tribunale
amministrativo regionale del  Lazio  con  le  ordinanze  indicate  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                  Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI