N. 15 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 novembre 2013

Ordinanza del 22 novembre 2013 emessa dal Tribunale  di  Imperia  nel
procedimento penale a carico di G.F.. 
 
Reati e pene - Ragguaglio fra pene  pecuniarie  e  pene  detentive  -
  Ipotesi di sostituzione di pene detentive  brevi  -  Determinazione
  dell'ammontare della pena pecuniaria -  Individuazione  del  valore
  giornaliero al quale puo' essere assoggettato l'imputato -  Criteri
  di computo - Denunciata eccessiva onerosita'  del  coefficiente  di
  ragguaglio previsto - Mancata previsione che "il computo  ha  luogo
  calcolando euro 97, o frazione di euro 97, per un  giorno  di  pena
  detentiva" - Disparita' di trattamento tra l'imputato al quale  sia
  comminata direttamente una pena pecuniaria e  l'imputato  al  quale
  sia comminata una pena detentiva  sostituita  -  Contraddittorieta'
  rispetto alla  complessiva  finalita'  perseguita  dal  legislatore
  nonche' rispetto al contesto normativo - Violazione dei principi di
  ragionevolezza e proporzionalita' della pena. 
- Codice penale, art. 135, come modificato  dall'art.  3,  comma  62,
  della legge 15  luglio  2009,  n.  94,  limitatamente  al  richiamo
  operato dall'art. 53, comma secondo, della legge 24 novembre  1981,
  n. 689. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
(GU n.9 del 19-2-2014 )
 
                       IL TRIBUNALE DI IMPERIA 
 
    Letti gli atti dei procedimenti riuniti indicati in epigrafe  nei
confronti di G.F., nato ad Imperia  il  21  luglio  1987,  difeso  di
fiducia dall'Avvocato Carlo Fossati del Foro di Imperia,  all'udienza
del 22 novembre 2013 ha pronunciato la seguente, ordinanza. 
    1. La questione che si sottopone al giudizio della  Corte.  Norma
oggetto di giudizio. Rilevanza. 
    Con decreto in data 1° luglio 2010 il Pubblico  Ministero  presso
il Tribunale di Imperia ha disposto la citazione a giudizio  di  G.F.
per rispondere del reato di cui all'art. 186 comma 2 lett. b)  C.d.S.
per avere condotto la moto Honda tg. CG 37059 in  stato  di  ebbrezza
alcolica, con un tasso alcolemico accertato pari a 1,63 gr/l. 
    All'udienza del 18 aprile 2011 il difensore,  munito  di  procura
speciale, ha chiesto l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444
c.p.p. nei seguenti termini previo riconoscimento  delle  circostanze
attenuanti generiche, pena base 3  mesi  di  arresto  ed  € 1.500  di
ammenda, ridotta per  la  concessione  delle  circostanze  attenuanti
generiche a 2 mesi ed € 1.000, ridotta per il rito ad  1  mese  e  10
giorni di arresto ed € 800 di ammenda, con  sostituzione  della  pena
detentiva in pena pecuniaria, con ragguaglio pari  ad  €  100  (quale
"frazione di euro 250" ai sensi dell'art. 135 c.p.) per  ogni  giorno
di pena detentiva, e ritenendo equa la suddetta frazione  pari  ad  €
100 in funzione  dei  modesti  redditi  dell'imputato;  e  cosi'  con
l'applicazione della pena finale pari ad euro 4.800  [(100  x  40)  +
800] di ammenda. 
    Il Pubblico Ministero ha prestato il consenso. 
    Il Giudice alla successiva udienza del 9 maggio 2011 ha rigettato
l'istanza di applicazione della pena, dichiarando di  "non  accettare
la conversione della pena frazionata pecuniaria cosi'  come  indicata
nell'istanza". 
    A seguito dell'incompatibilita' del Giudice che  aveva  rigettato
la richiesta di applicazione della pena,  il  procedimento  e'  stato
assegnato allo scrivente giudicante. 
    Alla successiva udienza  il  legale  dell'imputato  ha  insistito
nell'istanza di patteggiamento gia' formulata, il Giudice ha disposto
un rinvio e, dopo un ulteriore rinvio per consentire al difensore  di
conferire con il cliente, la Difesa ha presentato  nuova  istanza  di
applicazione  della  pena,  con   la   medesima   previsione   quanto
all'entita' della pena, ma con richiesta di sostituzione  della  pena
mediante ragguaglio  pari  ad  euro  250  per  ogni  giorno  di  pena
detentiva e quindi con una pena finale di euro 10.800 [(250 x  40)  +
800] di ammenda, da pagarsi a rate. 
    Lo scrivente Giudice ha rinviato per esaminare  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 135 c.p. ed all'odierna udienza
ha emesso la presente ordinanza. 
    Cio'  premesso,  questo   Giudice   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 135 cpv, c.p. come  modificato  dall'art.  3
comma 6 legge  15  luglio  2009,  n.  94.  Tale  disposizione,  cosi'
modificata, prevede che: "Quando, per qualsiasi effetto giuridico, si
deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive,  il
computo ha luogo calcolando euro 250, o frazione di euro 250, di pena
pecuniaria per giorno di pena detentiva".  La  disposizione  comporta
cosi', dopo  16  anni  dalla  precedente  modifica,  un  aumento  del
criterio di ragguaglio da £. 75.000 (poi arrotondati ad euro  38  con
l'avvento dell'Euro) ad euro 250, pari a circa 6 volte  e  mezzo  del
precedente valore. 
    Ritiene questo Giudice che la norma  sia  in  contrasto  con  gli
articoli 3 e 27 della Costituzione (il primo evocato non solo  e  non
tanto sotto il profilo della disparita' di trattamento  quanto  sotto
quello  della  ragionevolezza);  infatti  detta  disposizione,   come
modificata,   configura,   innanzitutto,   un   aumento   del   tutto
sproporzionato ed irragionevole, contrario - ad una lettura attenta -
con le finalita' della norma stessa e della legislazione  intervenuta
negli ultimi anni, in cui la norma e' andata  ad  inserirsi;  in  tal
modo, comporta inoltre, tramite il ragguaglio,  una  pena  pecuniaria
irragionevolmente  eccessiva,  in  contrasto  con  il  principio   di
proporzionalita'   della   pena,   garantito   dall'art.   27   della
Costituzione. 
    In punto rilevanza, e' sufficiente  osservare  che  nel  presente
giudizio, stante la richiesta difensiva di  sostituzione  della  pena
detentiva in pena  pecuniaria,  occorre  applicare  l'art.  135  c.p.
pervenendo ad una sanzione  pecuniaria  che  appare  appunto  -  come
accennato e per quanto si dira' oltre -  sproporzionata  rispetto  al
disvalore del fatto ed irragionevole rispetto  alle  finalita'  della
norma che ha aggiornato il criterio di ragguaglio. 
    Occorre  precisare  che  non  e'  in   alcun   modo   praticabile
l'interpretazione  proposta  in  un  primo   momento   dalla   Difesa
dell'imputato  ed  avvallata  dal  Pubblico  Ministero  secondo  cui,
prevedendo la norma che il computo avvenga calcolando per ogni giorno
di pena detentiva "euro 250 o frazione di  euro  250",  possa  essere
procedersi al  ragguaglio  sostituendo  ad  ogni  giorno  di  arresto
l'ammenda pari ad euro 100, intesa quest'ultima quale  "frazione  di 
250": infatti, quando occorre  convertire  (o  sostituire)  una  pena
detentiva in pena pecuniaria, non c'e'  necessita'  di  ricorrere  ad
alcuna frazione; tale necessita' si presenta invece nel caso  opposto
(ed e'  per  tale  motivo  che  l'art.  135  contiene  la  previsione
«frazione di ...»), giacche' la pena pecuniaria  comminata  ben  puo'
non essere pari all'importo previsto per il ragguaglio (ieri euro 38,
oggi euro 250) o ad un suo multiplo, cosicche'  in  presenza  di  una
pena pecuniaria comminata pari ad esempio ad euro 350, per la  stessa
dovra' essere computata una pena detentiva  (secondo  la  norma  oggi
vigente) di 2 giorni. 
    Una diversa interpretazione (mai proposta da alcuno prima d'ora e
significativamente avanzata  proprio  oggi  in  virtu'  dell'evidente
sproporzione tra disvalore del fatto e la pena pecuniaria determinata
in caso di conversione) comporterebbe d'altra parte un  inaccettabile
vulnus al principio di tassativita', lasciando al Giudice  il  potere
di sostituire ogni giorno di pena detentiva con qualsiasi frazione di
€ 250, e quindi anche - in  ipotesi  -  con  1  solo  Euro,  di  pena
pecuniaria. 
    E d'altra parte tale interpretazione e' esclusa testualmente, per
il caso di specie, dall'art. 53 comma 2 legge n. 689/81, secondo  cui
il Giudice deve individuare il valore giornaliero di pena pecuniaria,
tenuto conto delle condizioni economiche  dell'imputato,  valore  che
"non puo' essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135  c.p.  e
non puo' superare di dieci volte tale ammontare". Il  valore  di  cui
all'art. 135 c.p.  -  oggi  e  250  -  costituisce  quindi  l'importo
giornaliero minimo sotto il quale non si puo' scendere per operare la
sostituzione. 
    Ma e' assai indicativo che Accusa e  Difesa  abbiano  sentito  la
necessita' di scendere al di sotto  di  tale  soglia  (sul  punto  si
tornera' alla fine del § 3.1). 
    2. Le finalita' dell'art. 6 legge n.  94/2009.  L'intervento  del
Legislatore penale del 2009  ha  rappresentato  solo  l'ultima  delle
modifiche che la norma  originaria  ha  subito  al  fine  di  rendere
costantemente adeguata l'entita' della pena pecuniaria  alla  realta'
economico-sociale,  tanto   da   conservarne   intatta   la   portata
retributiva e detenente. 
    Il coefficiente di ragguaglio e' stato interessato, nel tempo, da
modifiche legislative avvenute a cadenza dilazionata nel  tempo:  per
fermarsi all'ultimo trentennio, per rispondere a  identiche  esigenze
di attualizzazione, si  registrano  gli  interventi  della  legge  24
novembre 1981, n. 689, che ha  portato  il  tasso  di  conversione  a
25.000 lire, ed in seguito, il  primo  incremento  "corposo"  operato
triplicando tale cifra ad opera della legge 5 ottobre 1993 n. 402. Il
valore di 75.000 lire cosi'  ottenuto  venne  poi  convertito  -  con
arrotondamento - in curo quasi dieci anni dopo, nella  misura  di  38
euro o frazione per giorno di detenzione. 
    Cio' che  oggi  viene  in  discussione  e'  la  costituzionalita'
dell'odierno tasso di conversione, che, a distanza di quasi  16  anni
dall'ultimo intervento di adeguamento  (legge  n.  402/93  da  ultimo
richiamata), ha comportato un aumento delle pene pecuniarie all'esito
della conversione o sostituzione pari a circa  6  volte  e  mezzo  in
termini nominali e - cio' che importa e che qui si censura - a  quasi
5  volte  in  termini  reali  (ovvero   depurando   l'aumento   dalla
svalutazione). 
    Occorre chiedersi se tale aumento cosi' considerevole sia  frutto
di un preciso disegno legislativo, sorretto da una specifica ratio; o
se,  al  contrario,  sia  irragionevole  in  relazione  alle   stesse
finalita' della legge 94/2009 ed in  contrasto  con  la  ratio  della
normativa preesistente, in particolare dell'art. 4 comma 1  lett.  a)
legge 12 giugno 2003 n. 134 (che,  modificando  l'art.  53  legge  n.
689/81, ha tra l'altro innalzato da 3 a 6 mesi  il  limite  entro  il
quale  la  pena  detentiva  puo'  essere  sostituita  con   la   pena
pecuniaria). 
    Obiettivo dichiarato dell'art. 3 comma da 60 a 65 legge 15 luglio
2009, n. 94 e' quello di rafforzare la portata detenente  della  pena
pecuniaria. Riprendendo e facendo  proprie  le  considerazioni  della
sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2012 (intervenuta in materia
di conversione delle pene pecuniarie non eseguite per  insolvibilita'
del condannato in liberta' controllata), si osserva che  "La  recente
modifica dell'art. 135 cod pen. si colloca, infatti, nell'ambito  del
piu' ampio intervento di adeguamento al mutato quadro  economico  del
sistema delle sanzioni pecuniarie,  sia  penali  che  amministrative,
operato dalla legge n. 94 del 2009, in coerenza con il suo  obiettivo
generale di potenziamento del sistema repressivo  penale.  In  questa
prospettiva, il legislatore ha ritenuto, in  particolare,  necessario
assicurare una maggiore incisivita'  della  pena  pecuniaria,  tenuto
conto  anche  della  notevole  svalutazione   monetaria   intervenuta
rispetto all'ultimo adeguamento risalente alla legge n. 689 del 1981. 
    L'obiettivo  e'  stato  perseguito   mediante   tre   ordini   di
interventi: il sensibile innalzamento dei  limiti  minimi  e  massimi
della multa e dell'ammenda, stabiliti dagli articoli  24  e  26  cod.
pen.  (art.  3,  commi  60  e  61,  della  legge  n.  94  del  2009);
l'aggiornamento - appunto - del  parametro  di  ragguaglio  tra  pene
pecuniarie e pene detentive, previsto dall'art. 135 cod.  pen.  (art.
3, comma 62); infine, la delega al Governo ad  adottare  uno  o  piu'
decreti legislativi, diretti a rivalutare  l'ammontare  delle  multe,
delle  ammende  e  delle  sanzioni   amministrative   originariamente
previste come sanzioni penali (art. 3, comma 65)". 
    Cio' che emerge ad una lettura attenta dell'art. 3 (nei comma che
interessano),  dei  relativi  lavori  preparatori  e   della   stessa
interpretazione data dalla Corte, e' che  a  ben  vedere  l'obiettivo
principale del legislatore e'  quello  di  un  mero  "adeguamento"  o
"aggiornamento" delle pene pecuniarie, in considerazione  del  mutato
valore dell'Euro in virtu' della  svalutazione  monetaria,  obiettivo
che viene raggiunto aumentando l'importo in  termini  nominali  delle
sanzioni; ed in tale ottica - in parte - si parla di  "potenziamento"
del sistema  penale,  giacche'  mantenere  immutate  tali  pene,  con
l'erosione del valore della moneta determinato dalla svalutazione, ne
comporta un "depotenziamento". Accanto a tale obiettivo  si  affianca
quello di un sensibile ed obiettivo inasprimento delle  stesse  pene,
considerate dal legislatore troppo lievi (anche dopo  l'aggiornamento
ISTAT), ottenuto aumentando l'importo  delle  sanzioni  non  solo  in
termini nominali, ma anche in termini reali (ovvero, come  detto,  al
netto della rivalutazione). Ma - appunto - tale  aumento  (sempre  da
una lettura complessiva del sistema, e ferma restando la liberta' del
legislatore di prevedere consapevolmente  un  maggiore  inasprimento)
deve essere sensibile e non sproporzionato. 
    Per meglio comprendere quale sia  l'inasprimento  delle  sanzioni
pecuniarie realmente voluto dal legislatore del 2009  e'  sufficiente
analizzare il comma 65, relativo alla  rivalutazione  (tale  definita
letteralmente) delle sanzioni pecuniarie, attuata  con  lo  strumento
della delega legislativa al Governo: "Entro centottanta giorni  dalla
data di entrata in vigore della presente legge il Governo e' delegato
ad adottare uno o  piu'  decreti  legislativi  diretti  a  rivalutare
l'ammontare   delle   multe,   delle   ammende   e   delle   sanzioni
amministrative  originariamente  previste   come   sanzioni   penali,
attualmente vigenti", rivalutazione da  operarsi  "Fermi  restando  i
limiti minimi e massimi delle multe  e  delle  ammende  previsti  dal
codice penale, nonche' quelli previsti per le sanzioni amministrative
dall'articolo 10 della legge 24  novembre  1981,  n.  689  (...)  nel
rispetto dei seguenti  principi  e  criteri  direttivi:  a)  le  pene
pecuniarie, il cui attuale ammontare  sia  stato  stabilito  con  una
disposizione entrata in vigore anteriormente  al  24  novembre  1981,
sono moltiplicate, tenuto conto della serie storica degli  indici  di
aumento dei prezzi al consumo, per un coefficiente non inferiore a  6
e non superiore a 10". 
    Fermando per  un  attimo  l'analisi  alla  lettera  a)  (sanzioni
definite ante 24 novembre 1981), e tenuto conto  che  il  legislatore
delegante impone di tenere conto - nella scelta  tra  i  coefficienti
tra 6 e 10 - della variazione  dell'indice  dei  prezzi  al  consumo,
appare evidente che l'indice dovra' essere pali a 6 per  le  sanzioni
stabilite in epoca prossima al novembre 1981 e via via  ad  aumentare
fino ad un massimo di 10 per sanzioni definite  in  epoca  anteriore.
Una sanzione fissata a 1.000 il 1 novembre 1981 dovra' quindi  essere
moltiplicata per 6 e portata quindi a 6.000. 
    Ora, la variazione percentuale dell'indice dei prezzi al  consumo
dal novembre 1981 al luglio 2009 (data di emanazione della  legge  n.
94/09) e' pari al 245,1 %; cio' significa che un valore di 1.000  nel
novembre 1981 corrisponde ad un valore di 3.451 nel luglio 2009 e che
essendo la sanzione innalzata a 6.000 (anziche' a  3.451),  l'aumento
in termini reali (e quindi l'effettivo inasprimento)  delle  sanzioni
fissate in epoca prossima al novembre 1981 e' pari al 73,86%,  ovvero
a circa tre quarti. 
    Proseguendo, il comma 65 dell'art. 3 prevede i seguenti  principi
e criteri direttivi: "b) le pene pecuniarie, il cui attuale ammontare
sia  stato  stabilito  con  una  disposizione   entrata   in   vigore
successivamente al 24 novembre 1981 e prima del 31 dicembre 1986,  ad
eccezione delle leggi in materia di imposte dirette  e  di  tasse  ed
imposte indirette sugli affari, sono moltiplicate, tenuto conto della
serie storica degli indici di aumento dei prezzi al consumo,  per  un
coefficiente non inferiore a 3 e non superiore a 6; c) (...) con  una
disposizione entrata in vigore successivamente al 31 dicembre 1986  e
prima del 31 dicembre 1991, ad eccezione delle leggi ecc.  (...)  per
un coefficiente non inferiore a 2 e non superiore a 3; d)  (...)  con
una disposizione entrata in vigore  successivamente  al  31  dicembre
1991 e prima del 31  dicembre  1996  (..)  per  un  coefficiente  non
inferiore a 1,50 e non superiore a 2; e) con una disposizione entrata
in vigore successivamente al 31 dicembre 1996 e prima del 31 dicembre
2001 (...) per un coefficiente non inferiore a 1,30 e non superiore a
1,50". 
    Applicando gli stessi principi di cui sopra, una sanzione fissata
in epoca di poco successiva al novembre 1981 dovra' essere (cosi come
quella in epoca di poco anteriore) moltiplicata per 6  e  via  via  a
diminuire fino alle sanzioni fissate  in  epoca  vicina  al  dicembre
1986, da moltiplicarsi per 3. E cosi' via. 
    Sviluppando il conseguente calcolo alla luce  dell'aumento  degli
indici ISTAT dei prezzi al consumo di operai ed impiegati, si  evince
quanto segue: 
        (lettera b) dal dicembre 1986 al luglio  2009  la  variazione
percentuale e' pari al 111,3 % (1.000 nel  dicembre  '86  equivale  a
2.113 nel luglio '09), mentre la sanzione viene elevata a 3.000,  con
un aumento in termini reali del 41,98%, ovvero di meno della meta'. 
        (lettera c) dal dicembre 1991 al luglio  2009  la  variazione
percentuale e' pari al 58,7 % (1.000  nel  dicembre  '91  equivale  a
1.587 nel luglio '09), mentre la sanzione viene elevata a 2.000,  con
un aumento in termini reali del 26,02%, ovvero di circa un quarto. 
        (lettera d) dal dicembre 1996 al luglio  2009  la  variazione
percentuale e' pari al 29 %  (1.000  equivale  a  1.290),  mentre  la
sanzione viene elevata a 1.500, con un aumento in termini  reali  del
16,28%. 
        infine (lettera c), dal  dicembre  2001  al  luglio  2009  la
variazione percentuale e' pari al 16,6 % (1.000  equivale  a  1.166),
mentre la sanzione viene elevata a 1.300, con un aumento  in  termini
reali dell'11,49%. 
    Sinteticamente, puo' pertanto dirsi che il legislatore, al di la'
dell'adeguamento voluto a  causa  della  svalutazione  monetaria,  ha
inteso inasprire realmente le pene pecuniarie, in misura maggiore per
quelle piu' risalenti e in misura minore  per  quelle  piu'  recenti,
aumentandole,  sempre  in  termini  reali,  secondo  un  coefficiente
(ovvero un moltiplicatore) che va da  un  minimo  del  1,1149  ad  un
massimo del 1,7386. 
    Non emerge in alcun  modo  un  intendimento  del  legislatore  di
inasprire in misura maggiore le pene pecuniarie applicate  attraverso
lo strumento della sostituzione di  pene  detentive  brevi  ai  sensi
dell'art. 53 legge  n. 689/81  rispetto  a  quelle  invece  comminate
direttamente dal Giudice. Ci si sarebbe aspettato, allora, che  anche
il coefficiente di  ragguaglio  di  cui  all'art.  135  c.p.  venisse
aumentato in modo da comportare - appunto - un aumento analogo. 
    3. Analisi della norma sottoposta  al  vaglio  della  Corte.  Sua
irragionevolezza. Al contrario, dall'ottobre 1993 (1)  al luglio 2009
l'aumento percentuale e' del 46,3%;  nel  2009  l'equivalente  di  £.
75.000 e' quindi L. 109.725, pari ad euro 55,60, La  pena  pecuniaria
corrispondente ad un giorno viene invece elevata ad Euro 250,  ovvero
quasi quintuplicata, con un aumento  in  termini  reali  del  349,64%
(moltiplicatore 4,4964). 
    Ora, pur non potendosi escludere, in astratto - come  piu'  volte
precisato - che il  legislatore  possa  ragionevolmente  operare  una
notevole  differenziazione   tra   pene   pecuniarie   comminate   in
sostituzione di pene detentive mediante il criterio di  ragguaglio  e
pene pecuniarie comminate direttamente, cio' e' da escludere nel caso
di specie in assenza di una chiara scelta innovativa in tal senso. 
    E se e' cosi, se realmente  l'intenzione  del  legislatore  fosse
stata quella di inasprire cosi' fortemente le pene pecuniarie,  quasi
quintuplicandole, avrebbe  parimenti  quasi  quintuplicato  anche  le
sanzioni pecuniarie comminate direttamente. 
    Ne' elementi di segno diverso sull'intenzione e sul  disegno  del
legislatore si traggono dal terzo  intervento  volto  all'adeguamento
delle pene pecuniarie,  ovvero  l'innalzamento  dei  limiti  edittali
degli artt. 24 e 26 c.p., decuplicati nel minimo e nel massimo (2)  .
Quanto ai limiti minimi edittali, gli stessi erano fissati  ormai  in
misura praticamente non piu' che simbolica (e 2  ed  5)  ed  i  nuovi
limiti (E 20 ed 50) sono obiettivamente  adeguati  per  una  sanzione
penale e non tali da avere alcun effetto diroppente sul sistema (come
invece ha - si vedra' meglio oltre - il  criterio  di  ragguaglio  in
argomento). Nessun effetto diroppente hanno neanche i limiti massimi,
se si considera che il limite massimo e' nella  quasi  totalita'  dei
casi fissato dalla singola norma incriminatrice e  che  tali  massimi
hanno solo la funzione di limite -  si  scusi  il  bisticcio  -  agli
aumenti oggetto della delega legislativa (3) . 
    3.1 (Segue) Contrasto del nuovo criterio  di  ragguaglio  con  la
normativa  preesistente  e  con  le  generali  finalita'   deflattive
perseguite dal  legislatore.  Non  si  trovano  parole  migliori,  in
merito, di  quelle  della  Relazione  dell'Ufficio  massimario  della
Suprema Corte di Cassazione, che, investita  del  vaglio  dell'intera
legge (4)  , ha soffermato la propria attenzione  anche  sul  profilo
riguardante l'art. 135  del  codice  penale.  Uno  stralcio  di  tale
intervento si riporta e si fa interamente proprio (le  sottolineature
sono di questo giudicante). 
    La  Cassazione  rileva  preliminarmente  che   la   rivalutazione
dell'entita' delle sanzioni penali come  quello  di  adeguamento  del
panorama delle pene  pecuniarie  al  mutato  quadro  economico  fosse
"Intervento che periodicamente si rende necessario per garantirne  la
funzione a fronte  dell'usura  cui  il  tempo  le  sottopone  per  la
progressiva svalutazione dei valori monetari che le caratterizzano  e
che il  legislatore  non  provvedeva  ad  effettuare  da  esattamente
vent'anni, atteso  che  l'ultimo  intervento  organico  in  proposito
risale alla legge  24  novembre  1981,  n.  689  (l'importo,  per  il
ragguaglio con le pene detentive,  di  lire  75.000  e'  stato,  poi,
introdotto, nell'art. 135 cod. pen., in  sostituzione  di  quello  in
precedenza previsto di lire 25.000, dalla legge 5  ottobre  1993,  n.
402).  L'intervento  in  questione  e',  dunque,  in   qualche   modo
fisiologico   ed   indubbiamente   opportuno,   atteso   com'e'   sin
dall'avvento della moneta unica europea". 
    La  Corte  esprime  poi   perplessita'   proprio   in   relazione
all'impatto del nuovo coefficiente  di  ragguaglio  sull'applicazione
dell'art. 53 della legge n. 689/81: "Infine la novella ha  provveduto
altresi' a rivalutare anche il coefficiente di  ragguaglio  tra  pene
detentive e pene pecuniarie di cui all'art. 135 cod.  pen.,  portando
il "tasso" di conversione, attualmente fissato in  euro  38,72,  fino
alla soglia dei 250 euro. Sul piano pratico, quest'aumento  di  oltre
sei  volte  del  valore  di  cambio   comporta   innanzi   tutto   un
significativo  aumento  dei  costi  della  conversione   delle   pene
detentive brevi ai sensi dell'art. 53 legge n. 689 del 1981, istituto
dalla cui applicazione rischiano  dunque  di  essere  definitivamente
espulsi i cittadini meno abbienti, nonostante nel 2003 il legislatore
ne avesse promosso una  piu'  massiccia  applicazione  aumentando  il
limite massimo di pena detentiva sostituibile  da  tre  a  sei  mesi.
Infatti, se fino ad oggi tre mesi di reclusione, ad esempio, venivano
convertiti  3.420  euro  di  multa,  dopo  la  novella  la   medesima
operazione di conversione verra' a costare  all'imputato  ben  22.500
euro. 
    Ed in tal senso la rivalutazione del coefficiente  di  ragguaglio
rischia di incidere sull'efficienza del procedimento per  decreto  in
tutti quei casi in cui lo stesso viene  adottato  previa  conversione
della pena detentiva  in  pena  pecuniaria:  infatti  e'  ragionevole
attendersi che il sensibile aumento di quest'ultima faccia registrare
una maggior numero di opposizioni. 
    Per converso, la rivalutazione del "tasso di cambio"  si  traduce
in un vantaggio per il condannato nelle ipotesi previste dagli  artt.
163 (ai fini della sospensione condizionale della pena) e 175,  comma
secondo (ai fini  del  beneficio  della  non  menzione),  cod.  pen.,
nonche' dall'art. 735, comma secondo, cod. proc. pen. (per il caso di
riconoscimento di sentenze straniere), anche perche', trattandosi  di
norma piu' favorevole, in tali casi trova applicazione retroattiva." 
    Riprendendo le argomentazioni di cui sopra, si osserva che con il
nuovo criterio di ragguaglio anche  per  un  reato  -  cio'  vale  in
particolare per  i  delitti  -  di  gravita'  modestissima,  la  pena
detentiva minima di 15 giorni dovrebbe essere sostituita con la  pena
pecuniaria di € 3.750, somma  che  se  non  esorbitante  e'  comunque
ragguardevole  e  sproporzionata  alla   lievita'   del   reato.   Il
procedimento per  decreto  (quando  il  reato  sia  punito  con  pena
detentiva  ed  occorra  quindi  effettuare  il  ragguaglio)   diventa
difficilmente attuabile, prestandosi assai spesso  ad  un'inevitabile
opposizione anche quando l'imputato non sia intenzionato a  sollevare
serie contestazioni sulla propria colpevolezza, ma al  solo  fine  di
evitare la sostituzione della pena, preferendo magari alla  stessa  -
quando ne ricorrano i presupposti - altri benefici (sostituzione  con
liberta' controllata, sospensione condizionale, ecc.). 
    La  situazione  che  si  determina   ad   opera   dell'intervento
riformatore  dell'art.  135  cpv.  comporta   poi   una   sostanziale
abrogazione de facto, dopo soli 6 anni, dell'art. 4 comma l lett.  a)
legge 134/2003, che aveva innalzato il limite massimo di pena "breve"
sostituibile,  passato  da  3  a  6  mesi.  Come  sottolineato  dalla
richiamata relazione della Corte di Cassazione,  tale  riforma  viene
svuotata di significato, giacche' una pena di 6 mesi dovrebbe  essere
sostituita con la pena pecuniaria di € 45.000, somma proibitiva  -  a
fronte del beneficio che se ne  otterrebbe  -  non  solo  per  i  non
abbienti, ma per la stragrande maggioranza dei cittadini. 
    Tutto  cio'  appare  immotivato  anche  alla  luce   dei   lavori
preparatori  che  hanno  preceduto  l'approvazione  definitiva  della
legge: nell'articolato iter parlamentare del disegno di legge, nessun
elemento concorre infatti a far trasparire l'intenzione  di  ottenere
gli effetti appena menzionati, che devono pertanto  considerarsi  una
conseguenza non voluta  e  non  calcolata  dal  legislatore,  che  ha
pertanto emanato una legge del tutto irragionevole  ed  in  contrasto
con i suoi stessi  intenti,  come  emergono  -  ad  esempio  -  dalla
modifica dell'art. 53 1. 689/81 da pochi anni approvata. 
    Ed e' d'altra parte assai significativo che nel presente giudizio
Difesa e  Accusa  abbiano  sentito  la  necessita'  di  proporre  una
interpretazione del combinato disposto degli artt. 135 c.p. e  53  l.
689/81,  interpretazione  che,  per  quanto   sopra   detto,   appare
improponibile alla luce del dettato legislativo, ma tale da riportare
il coefficiente di ragguaglio nei parametri della ragionevolezza. 
    Deve concludersi che, pur non essendo precluso al legislatore  un
maggiore  inasprimento  delle   pene   pecuniarie   all'esito   della
sostituzione delle  pene  detentive,  purche'  si  tratti  di  scelta
rispondente  a  criteri  di  ragionevolezza,  avuto   riguardo   alle
conseguenze  del  suo  innesto  nella  complessiva  disciplina  della
materia, nei caso in esame l'innegabile squilibrio  introdotto  dalla
riforma  non  e'  ascrivibile  a   una   scelta   discrezionale   del
legislatore, munita di adeguata base giustificativa, ed impedisce  di
pervenire a una ragionevole ricostruzione del sistema. 
    4. I parametri costituzionali che si assumono violati. 
    4.1 Va  premesso  che,  una  volta  affrancato  il  principio  di
ragionevolezza sia dal principio di uguaglianza,  sia  dalla  ricerca
del tertium comparationis, la Corte costituzionale ne ha affermato la
violazione  anche  in  assenza  di  una  sostanziale  disparita'   di
trattamento tra fattispecie omogenee, allorche' la norma presenti una
intrinseca incoerenza, contraddittorieta' od illogicita' rispetto  al
contesto normativo preesistente o rispetto alla complessiva finalita'
perseguita dal legislatore. 
    Cio' detto, e richiamando tutto quanto  sopra  esposto,  e  senza
necessita' di argomentare ulteriormente, appare evidente che la norma
qui in esame si pone in contrasto con l'art. 3 Cost., che sancisce il
principio di ragionevolezza: a) per la disparita' di trattamento  che
crea tra l'imputato al quale  sia  comminata  direttamente  una  pena
pecuniaria (per  la  quale  la  legge  delega  prevede  nei  principi
direttivi, come visto,  un  aumento  massimo  in  termini  reali  del
73,86%) e l'imputato  al  quale  sia  comminata  una  pena  detentiva
sostituita (con un aumento, sempre in termini  reali,  del  349,64%),
ovvero semplificando,  una  pena  quasi  5  volte  maggiore;  b)  per
contraddittorieta' intrinseca tra la complessiva finalita' perseguita
dal legislatore (ovvero  un  adeguamento  delle  pene  pecuniarie  al
mutato valore della moneta  per  effetto  della  svalutazione  ed  un
sensibile inasprimento delle stesse pene, al netto  dell'adeguamento)
e  la  disposizione  espressa   dalla   norma   censurata;   c)   per
contraddittorieta' con il contesto normativo in cui  la  disposizione
viene ad inserirsi, limitando  fortemente  -  quale  conseguenza  non
voluta - l'applicazione della sostituzione di cui  all'art.  53 legge
n. 689/81, applicazione che lo stesso invece  lo  stesso  legislatore
aveva da poco inteso agevolare. 
    Approfondendo quanto  appena  affermato  alla  lettera  b),  deve
chiarirsi che il nuovo criterio di ragguaglio (e  quindi  l'art.  135
c.p.)  e'  sicuramente  eccessivo   rispetto   alle   finalita'   del
legislatore, e pertanto  irragionevole,  sia  quando  utilizzato  per
sostituire una pena detentiva in pecuniaria, sia quando  si  debba  a
qualunque effetto, in senso inverso, parametrare la  pena  pecuniaria
in pena detentiva; si pensi, a  titolo  di  esempio,  al  caso  della
valutazione della concessione della  sospensione  condizionale  della
pena o del beneficio della non menzione, ovvero  a  quando  si  debba
convertire la pena pecuniaria comminata per violazione  dell'ad.  186
C.d.S. in pena detentiva "virtuale" ai fini  della  sua  sostituzione
con pari giorni di lavoro di pubblica utilita'. 
    Soffermandoci  ad  esempio  sul   lavoro   sostitutivo   previsto
dall'art. 186 comma 9-bis C.d.S., si osserva che, cosi' come nei casi
sopra  esaminati  (applicazione  art.  53 legge   689/81)   la   pena
pecuniaria e' eccessivamente  elevata,  applicando  il  citato  comma
9-bis la  pena  detentiva  sara'  eccessivamente  lieve,  comportando
(sempre come effetto non realmente voluto dal legislatore), un numero
di giorni di lavoro sostitutivo che e', nella  parte  in  cui  questi
sono calcolati in sostituzione della pena pecuniaria, pari a meno  di
un sesto di quanto avveniva precedentemente. 
    In sintesi, quando applicato "in senso opposto" a quanto  avviene
nel presente giudizio, il coefficiente di ragguaglio  introdotto  con
1. 94/2009 comporta un non voluto favor per il reo.  Ma  e'  evidente
che tale effetto di favor, se puo' essere ritoccato dal  legislatore,
non puo' essere toccato da una pronuncia della Corte  Costituzionale,
stante il divieto di declaratoria di incostituzionalita' ife pejus. 
    La questione che si sottopone al vaglio della Corte  e'  pertanto
quella di legittimita' costituzionale dell'art. 135  c.p.,  nei  soli
casi in cui il detto criterio di ragguaglio  e'  utilizzato  ai  fini
dell'applicazione dell'art. 53 1. 698/81, ovvero in altre parole, del
combinato disposto degli artt. 135 c.p. e 53 1. 689/81. 
    4.2 La palese eccessivita' della pena  pecuniaria  sostituita  in
applicazione dell'art. 53 cit. si pone inoltre in  contrasto  con  il
principio di  proporzionalita'  della  pena,  espresso  dall'art.  27
Cost., comportando la comminazione di pene pecuniarie  sproporzionate
alla gravita' del reato. 
    5. La riconduzione dell'art. 135 c.p. ai canoni di ragionevolezza
e proporzionalita' della pena. Una volta appurato che il criterio  di
ragguaglio di cui all'art. 135 c.p. e' irragionevole  e  che,  quando
utilizzato per sostituire la pena ai sensi dell'art. 53 legge 689/81,
comporta la comminazione di pene eccessive, si pone  il  problema  se
sia possibile individuare un coefficiente che,  entro  i  limiti  del
giudizio di costituzionalita' - e quindi senza andare ad  interferire
con la discrezionalita' del legislatore - possa dirsi "ragionevole". 
    Si e' coscienti, infatti, che la Corte non  puo'  sostituirsi  al
legislatore   nell'individuare   un   coefficiente   di    ragguaglio
"adeguato", o "ragionevole". Ed allora, delle due l'una: 
        1) o e' possibile individuare tale coefficiente adottando  un
parametro oggettivo evincibile dal sistema, ovvero - ancor  meglio  -
dalla  stessa  1.   94/2009;   ed   allora   potra'   ritenersi   non
manifestamente infondata la norma in esame nella  parte  in  cui  non
prevede detto coefficiente; 
        2) oppure tale operazione  risulta  impossibile,  ed  allora,
ferma l'illegittimita'  del  coefficiente  di  ragguaglio  introdotto
dalla legge 94/2009, non potra' che ritenersi la disposizione che  ha
modificato l'art. 135 c.p. incostituzionale  tout  court,  il  tutto,
sempre limitatamente al combinato disposto  con  l'art.  53  comma  2
legge n. 689/81. 
    Ritiene lo  scrivente  che  possa  percorrersi  la  strada  sopra
indicata sub 1). Un parametro oggettivo si trova infatti nell'art.  3
comma  65  legge  n.  94/09,  ovvero  nella  norma  di  delega  sopra
analizzata nel dettaglio al § 2. In detta norma troviamo la  reale  e
consapevole  intenzione  del  legislatore,  ovvero   quello   di   un
inasprimento delle pene pecuniarie in termini  reali  che  va  da  un
minimo dell'11,49% ad un massimo del 73,86%. 
    Dovra' allora ritenersi che violi  il  principio  di  uguaglianza
(art. 3 Cost.), che sia irragionevole (ancora art.  3  Cost.)  e  che
preveda una pena pecuniaria eccessiva (art. 27 Cost.), e che sia come
tale incostituzionale, un criterio  di  ragguaglio  che  comporti  un
aumento della pena pecuniaria - sostituita  alla  pena  detentiva  -,
sempre in termini reali, maggiore del 73,86% rispetto alla disciplina
previgente. 
    Tradotto in numeri, considerato: che la  disposizione  introdotta
nel 1993 prevede un coefficiente di  ragguaglio  di  £.  75.000;  che
l'importo di £. 75.000 (come gia' visto) corrisponde nel luglio  2009
(tradotto in Euro) ad € 55,60; che l'importo di  €  55,60,  aumentato
del 73,86%, porta ad un valore di € 96,66 (arrotondato a  97),  tutto
cio' considerato sara' incostituzionale per i motivi  sopra  indicati
un criterio di ragguaglio superiore ad € 97, o frazione  di  97,  per
ogni giorno di pena detentiva. 
    Cosi' corretto il criterio di ragguaglio, e' possibile  pervenire
ad una ragionevole ricostruzione del sistema. 
    La questione, in tali termini, non e' manifestamente infondata  e
si sottopone pertanto al giudizio della Corte. 

(1) Come visto, la 5 ottobre 1993 n. 402 aveva infatti elevato  a  £.
    75.000 il criterio di ragguaglio dell'art. 135 c,p. 

(2) All'art. 24 le parole "non inferiore a euro  5  ne'  superiore  a
    euro 5.164" sono state sostituite da "non inferiore a euro 50 ne'
    superiore a  curo  50.000",  mentre  l'art.  26  reca  oggi  "non
    inferiore a euro 20 ne' superiore a euro 10.000", in luogo  della
    precedente formulazione "non inferiore a euro 2 ne'  superiore  a
    curo 1.032 ". 

(3) V. l'art. 3 comma 65 1. 94/09, gia' riportato: "Fermi restando  i
    limiti minimi e massimi delle multe e delle ammende previsti  dal
    codice  penale,  nonche'  quelli   previsti   per   le   sanzioni
    amministrative dall'articolo 10 della legge 24 novembre 1981,  n.
    689, la rivalutazione delle sanzioni pecuniarie e' stabilita  nel
    rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi (...)" 

(4) Corte  di  Cassazione,  Relazione  III/09/09,  oggetto:   Novita'
    legislative - Legge 15  luglio  2009  n.  94  -  Disposizioni  in
    materia di sicurezza pubblica, Roma, 27 luglio 2009, consultabile
    su www.cortedicassazione.it/Documenti/Relazione%20III_09_09.pdf 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost., 23 e segg. legge n.  87/1953 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 135 c.p. nella parte in  cui  -
limitatamente al richiamo operato dall'art. 53 comma 2 L 689/81 - non
prevede che "il computo ha luogo calcolando € 97, o frazione di € 97,
per un giorno di pena detentiva", 
    Sospende il giudizio in corso e dispone la immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che la presente ordinanza, a cura della  Cancelleria,  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e  comunicata  ai
Presidenti delle due Camere. 
        Imperia, addi' 22 novembre 2013 
 
                       Il Giudice: Colamartino