N. 28 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 novembre 2013

Ordinanza del 7 novembre 2013  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per la regione Siciliana sul  ricorso  proposto  da  Edward
life sciences Italia S.p.a contro l'Azienda sanitaria provinciale  di
Trapani e Codan S.r.l.. 
 
Appalti pubblici - Norme della Regione Siciliana - Appalti di importo
  superiore a 100 migliaia di euro - Previsione, a pena  di  nullita'
  del bando, dell'obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero
  di conto  corrente  unico  sul  quale  gli  enti  appaltanti  fanno
  confluire tutte le somme relative all'appalto, compresi i pagamenti
  delle retribuzioni al personale, da  effettuarsi  esclusivamente  a
  mezzo di bonifico bancario, bonifico postale  o  assegno  circolare
  non trasferibile - Violazione del principio di uguaglianza sotto il
  profilo  dell'irragionevolezza  -  Violazione   dei   principi   di
  imparzialita' e buon andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Violazione della sfera di competenza legislativa esclusiva  statale
  in materia  di  ordine  pubblico  e  sicurezza  ed  in  materia  di
  ordinamento civile. 
- Legge della Regione Siciliana 20 novembre  2008,  n.  15,  art.  2,
  comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, comma secondo, 97, primo comma, e 117, comma
  secondo, lett. h) e l). 
Appalti pubblici - Norme della Regione Siciliana - Bandi  di  gara  -
  Previsione, a pena di nullita',  della  risoluzione  del  contratto
  nell'ipotesi in cui il legale rappresentante o  uno  dei  dirigenti
  dell'impresa  aggiudicataria  siano   rinviati   a   giudizio   per
  favoreggiamento nell'ambito di procedimenti  relativi  a  reati  di
  criminalita' organizzata - Lesione  del  principio  di  uguaglianza
  sotto il profilo dell'irragionevolezza,  nonche'  dei  principi  di
  imparzialita' e buon andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Lesione  del  principio  di  presunzione  di  innocenza  fino  alla
  condanna  definitiva  -  Violazione  della  sfera   di   competenza
  legislativa esclusiva statale  in  materia  di  ordine  pubblico  e
  sicurezza ed in materia di ordinamento civile. 
- Legge della Regione Siciliana 20 novembre  2008,  n.  15,  art.  2,
  comma 2. 
- Costituzione, artt. 3, comma secondo, 97, primo comma, e 117, comma
  secondo, lett. h) e l). 
(GU n.12 del 12-3-2014 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 648 del 213, integrato da motivi aggiunti, proposto
da: 
        Edwards Lifesciences Italia s.p.a.,  in  persona  del  legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e  difesa  dal  prof.  avv.
Salvatore Zilno e dall'avv.  Claudia  Molino,  con  domicilio  eletto
presso lo studio del primo difensore in Palermo, via Francesco  Paolo
Di Blasi n. 16; 
    Contro l'Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani, in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentata e  difesa  dall'avv.
Stefano  Polizzotto,  con  domicilio  eletto  presso  lo  studio  del
predetto difensore in Palermo, vis Nunzio Morello n. 40; 
    Nei  confronti  di  CODAN   s.r.l.,   in   persona   del   legale
rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; 
    Per l'annullamento: 
        quanto al ricorso introduttivo della comunicazione in data  7
marzo 2013 plot, n. 12782, a firma del Capo Settore Provveditorato ed
Economato, con la quale e stato reso noto alla ricorrente che: 
          a) in ordine  alla  domanda  di  accesso  agli  atti  della
procedura aperta per la fornitura quinquennale di dispositivi  medici
e materiali per chirurgia «Si provvedera' alla stessa successivamente
alla adozione del provvedimento di approvazione degli atti di gara  e
conseguente aggiudicazione definitiva»; 
          b) la Commissione tecnica si era  cosi'  pronunciata  sulla
domanda di riammissione in gara presentata  dalla  ricorrente  «linea
paziente di almeno almeno 120 cm a valle del trasduttore con  sistema
di prelievo a circuito chiusi needle free.  La  descrizione  pertanto
non prevedeva nessun riferimento che tale sistema di prelievo  needle
free fosse separato dalla linea paziente  cosi'  come  offerto  dalla
Edwards», nonche' per l'annullamento di  ogni  ulteriore  atto  della
procedura di gara e, in particolare, del disciplinare  di  gara,  del
capitolato tecnico, di tutti i  verbali  di  gara,  e,  segnatamente,
quelli in data 8 maggio 2012, 17 dicembre 2012, 19 febbraio 2013,  di
tutti i verbali  della  commissione  tecnica  aventi  ad  oggetto  la
verifica di conformita' tecnica  dei  prodotti  offerti  dalle  ditte
partecipanti al lotto  n.  19,  dei  provvedimenti  di  nomina  della
commissione di gara e della commissione tecnica, del provvedimento di
aggiudicazione  provvisoria  del  lotto  19,   ove   esistente,   del
provvedimento  di  aggiudicazione  definitiva  del  lotto   19,   ove
esistente; della eventuale  richiesta  di  campionatura  inviata,  in
corso di procedura, dalla  Azienda  sanitaria  alla  ditta  risultata
aggiudicataria del lotto 19; del verbale  della  commissione  tecnica
dal quale risulti la valutazione dell'offerta  e  della  campionatura
presentata  dalla  ditta   aggiudicataria   del   lotto   19;   della
comunicazione in data 19 dicembre 2012, Prot. n.  74294,  nonche'  di
ogni ulteriore atto anteriore, conseguente ovvero comunque coordinato
e/o connesso a quelli sopra indicati; 
        quanto al ricorso per motivi aggiunti: 
          oltre agli atti gia' gravati con il ricorso introduttivo; 
          della delibera n. 1698 dell'11 aprile 2013,  con  la  quale
l'ASP ha approvato gli atti di  gara  e  l'aggiudicazione  definitiva
della fornitura; 
          della nota prot. n. 20973 del 23 aprile 2013 della  ASP  di
Trapani, con la quale e' stata comunicata l'intervenuta  approvazione
degli atti di gara e l'aggiudicazione definitiva; 
    Visti il ricorso introduttivo e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio  dell'Azienda  Sanitaria
Provinciale di Trapani, con le relative deduzioni difensive; 
    Vista l'ordinanza collegiale n. 803 del 10 aprile 2013; 
    Visti il ricorso per motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Viste le deduzioni difensive depositate dalle parti costituite; 
    Visti gli atti tutti della causa; 
    Relatore il primo referendario dott. Maria Cappellano; 
    Uditi  alla  pubblica  udienza  del  giorno  24  ottobre  2013  i
difensori delle  parti  costituite,  presenti  come  specificato  nel
verbale; 
    Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11  marzo
1953, n. 87. 
 
                              In Fatto 
 
    1. - Con ricorso notificato il 22-25 marzo 2013 e  depositato  il
28 marzo seguente, la societa' ricorrente ha impugnato  gli  atti  in
epigrafe indicati relativi alla gara, indetta dall'Azienda  Sanitaria
Provinciale  di  Trapani,  per  la  fornitura   in   somministrazione
continuata per anni cinque  di  Presidi  sanitari  specialistici  per
«Anestesia e Rianimazione»  e  «Terapia  del  dolore»  occorrente  al
Bacino della Sicilia Occidentale,  suddivisa  in  245  lotti  per  il
Gruppo A e in 23 lotti per il Gruppo B, censurando la sua  esclusione
dal lotto n. 19; la predetta ha altresi' impugnato la  determinazione
della stazione appaltante, di differire l'accesso agli atti  di  gara
successivamente alla aggiudicazione definitiva. 
    Espone: 
        di avere partecipato al lotto n. 19, del valore complessivo a
base d'asta di € 2.749.100,00, avente ad  oggetto  la  fornitura  per
ogni anno di n. 8820 set per monitoraggio pressorio invasivo  ad  una
via (sub lotto a)  e  di  n.  6410  set  per  monitoraggio  pressorio
invasivo a due vie (sub lotto b); e di avere, su espressa  richiesta,
fornito  la  relativa  campionatura  per  l'esame  da   parte   della
commissione tecnica appositamente costituita; 
        di  avere  presentato,  a  seguito   del   provvedimento   di
esclusione, una richiesta di riesame e  di  conseguente  riammissione
alla  gara,  seguita  dalla  conferma,   con   diversa   motivazione,
dell'esclusione dalla gara stessa. 
    Precisa, altresi', di avere inoltrato  istanza  di  accesso  agli
atti di gara, il cui accoglimento e' stato differito alla definizione
della procedura con l'aggiudicazione definitiva. 
    Si duole degli atti impugnati, affidando il ricorso alle  censure
di: 1) Incompetenza. Violazione  e  falsa  applicazione  delle  norme
dettate dal capitolato tecnico di gara ed  in  particolare  dall'art.
14.  Eccesso  di  potere  per  errore  nei  presupposti,  difetto  di
motivazione, travisamento, carenza  di  istruttoria,  violazione  del
principio di collegialita'; 2) Violazione e falsa applicazione  delle
regole  dettate  dal  capitolato  tecnico.  Eccesso  di  potere   per
travisamento,   errore   nei   presupposti,   carenza   di   adeguata
istruttoria,  difetto  assoluto   di   motivazione,   Sviamento;   3)
Violazione e falsa applicazione  dell'art.  13  e  dell'art.  79  del
decreto legislativo n. 163/2006, in combinata disposto con i principi
di cui alla legge n. 241/1990.  Eccesso  di  potere  per  errore  nei
presupposti,  travisamento,  difetto  di  motivazione  e  carenza  di
istruttoria. 
    Ha, quindi, chiesto l'annullamento della propria esclusione, e la
conseguente  riammissione  alla  gara,   nella   quale   risulterebbe
aggiudicataria provvisoria in  base  al  ribasso  offerto,  chiedendo
contestualmente la pronuncia di questo  Tribunale  sulla  istanza  di
accesso. 
    2. - Si e' costituita in giudizio l'Azienda Sanitaria Provinciale
di Trapani (d'ora in poi  «Azienda»),  depositando  documentazione  e
chiedendo la reiezione del ricorso, in quanto infondato. 
    3. - Con ordinanza collegiale n. 803 del 10 aprile 2013 e'  stata
in parte respinta l'istanza istruttoria presentata in seno al ricorso
introduttivo; per il resto, si e' dato atto  dell'avvenuto  deposito,
da  parte  della  resistente  amministrazione,  della  documentazione
immediatamente ostensibile. 
    4. - Con ricorso per motivi aggiunti,  notificato  il  30  aprile
2013 e depositato il 9 maggio seguente, la ricorrente ha impugnato  i
medesimi atti gia' gravati con il  ricorso  introduttivo,  censurando
anche la  deliberazione  di  aggiudicazione  definitiva  di  numerosi
lotti, per i seguenti motivi: 
        1) violazione e falsa applicazione della lex specialis  della
gara. Eccesso di potere per  errore  nei  presupposti,  travisamento,
difetto di istruttoria, omessa motivazione; 
        2) violazione e falsa applicazione delle regole dettate dalla
lex specialis della procedura. Eccesso di potere  per  disparita'  di
trattamento,  difetto  di   istruttoria   e   adeguata   motivazione,
contraddittorieta'; 3) violazione e falsa applicazione dell'art. 81 e
segg. del decreto legislativo n. 163/2006, nonche'  dei  principi  in
materia di operazioni di gara.  Eccesso  di  potere  per  errore  nei
presupposti, carenza di potere, incompetenza, difetto di  istruttoria
e di adeguata motivazione. 
    Ha quindi chiesto raccoglimento del complessivo  gravame,  previa
adozione di una idonea misura cautelare. 
    5. - Con memoria difensiva la resistente Azienda ha avversato  il
gravame  aggiuntivo,  eccependo  preliminarmente   l'inammissibilita'
dell'impugnazione  avverso  la   determinazione   di   aggiudicazione
definitiva,  in  quanto  espressamente  non  riferita  al  lotto   in
contestazione, rimasto sospeso. 
    6. - Alla camera di  consiglio  del  giorno  23  maggio  2013  la
trattazione della causa e' stata rinviata al merito. 
    7. - In vista della discussione del ricorso nel merito  le  parti
hanno argomentato sulla questione della nullita' del bando  di  gara,
per mancato inserimento delle  disposizioni  contenute  nell'art.  2,
primo e  secondo  comma,  della  legge  regionale  n.  15  del  2008;
insistendo, per il resto e quanto al merito della controversia, nelle
rispettive posizioni e conclusioni. 
    8. - Alla pubblica udienza del giorno 24 ottobre 2013, presenti i
difensori delle parti costituite, come da verbale, il Presidente  del
Collegio ha dato atto, ai sensi dell'art. 73,  comma  3,  cod.  proc.
amm.,  della   questione,   rilevata   d'ufficio,   della   eventuale
illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  primo  e  secondo  comma,
della legge regionale n. 15 del 2008; quindi,  il  ricorso  e'  stato
posto in decisione. 
 
                             In Diritto 
 
    1. - Rilevanza della  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, primo e secondo comma, della legge regionale 20 novembre
2008, n. 15, in riferimento all'alt 117, secondo comma, lettere h)  e
l),  art.  3,  secondo  comma,  e  art.  97,   primo   comma,   della
Costituzione, e, limitatamente all'art. 2, secondo comma, della n. 15
del  2008,  in  riferimento  all'art.  27,   secondo   comma,   della
Costituzione. 
    Il bando della gara per la quale  e'  controversia  non  reca  le
clausole previste, a pena di nullita', dall'art. 2, primo  e  secondo
comma, della legge della Regione Siciliana 20 novembre 2008,  n.  15,
secondo cui: 
    1. Per gli appalti di importo superiore a 100 migliaia di euro, i
bandi di gara prevedono, pena la nullita' dei  bando,  l'obbligo  per
gli aggiudicatari di indicare un numero di conto corrente  unico  sul
quale gli enti appaltanti fanno confluire  tutte  le  somme  relative
all'appalto. L'aggiudicatario si avvale di tale  conto  corrente  per
tutte le operazioni relative all'appalto, compresi i pagamenti  delle
retribuzioni al personale da effettuarsi esclusivamente  a  mezzo  di
bonifico  bancario,  bonifico  postale  o   assegno   circolare   non
trasferibile. Il mancato rispetto dell'obbligo  di  cui  al  presente
comma comparta la risoluzione per inadempimento contrattuale. 
    2. I bandi di gara prevedono, pena la nullita' degli  stessi,  la
risoluzione   del   contratto   nell'ipotesi   in   cui   il   legale
rappresentante o uno dei diligenti dell'impresa aggiudicataria  siano
rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito  di  procedimenti
relativi a reati di criminalita' organizzata. 
    La giurisprudenza di questo Tribunale (sede e sezione staccata) e
del  Giudice   d'appello   territoriale   (Consiglio   di   Giustizia
Amministrativa  per  la  Regione  Siciliana)  si  e'   fatta   carico
dell'accertata carenza di quelle previsioni ed e' pervenuta ad alcune
conclusioni in grande prevalenza del tutto univoche. 
    Esse riguardano: 
        a)  il  pieno  titolo  dell'organo  giurisdizionale  adito  a
rilevare, d'ufficio  la  nullita'  del  bando,  in  applicazione  del
precetto contenuto nell'art. 31, quarto comma, secondo  periodo,  del
decreto legislativo 2  luglio  2010,  n.  104  (codice  del  processo
amministrativo), peculiarmente in materia attribuita,  ex  art.  133,
primo  comma,  lettera  e),  del  medesimo  testo   normativo,   alla
giurisdizione esclusiva  del  giudice  amministrativo  (Consiglio  di
Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza 27 luglio
2012, n. 721, richiamata dall'ordinanza,  resa  dal  medesimo  organo
giurisdizionale in sede di appello cautelare 16 ottobre 2013, n. 786;
T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, sentenza 20 maggio 2013, n. 1441); 
        b)  la  sostanziale  applicabilita'  a  tutti   gli   appalti
pubblici, non solo cioe' a quelli relativi alla  materia  dei  lavori
pubblici, riservata alla  legislazione  esclusiva  della  Regione  ai
sensi dell'art. 14, lettera g)  del  decreto  legislativo  15  maggio
1946, n. 455, recante lo Statuto della Regione  Siciliana  (approvato
con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2): un indirizzo  tanto
consolidato, da costituire «diritto vivente» a livello regionale., ha
ritenuto che anche gli appalti di  servizi  e  forniture  di  importo
superiore ai 100.000,00  curo  dovessero  rispettare,  nel  difficile
contesto dell'Isola, la speciale disciplina in tema di tracciabilita'
dei flussi finanziari e di' tutela avanzata nei confronti  dei  reati
di criminalita' organizzata, come stabilita nei commi primo e secondo
dell'art. 2 della citata legge regionale n. 15 del 2008 (Consiglio di
Giustizia  Amministrativa  per  la  Regione  Siciliana,  sentenza  n.
721/2012 cit.; ordinanza n. 786/2013 cit.; T.A.R. Sicilia, sez.  ILI,
sentenza 19 dicembre 2011, n. 2406;  T.A.R.  Sicilia,  Catania,  sez.
III, ord. 11 luglio 2013, n. 646). 
    Tale indirizzo appare, peraltro, coerente con  il  chiaro  tenore
letterale della disposizione regionale, la quale fa riferimento,  con
formulazione volutamente ampia, agli «appalti di importo superiore  a
100 migliaia di euro». 
    Da cio', la collocazione della norma regionale all'interno di  un
corpus normativo - legge  regionale  n.  15  del  2008  -  contenente
«Misure  di  contrasto  alla  criminalita'  organizzata»,  a   fronte
dell'iniziale previsto inserimento, nel disegno di  legge  presentato
all'Assemblea Regionale Siciliana, quale collima aggiunto all'art. 19
della legge 11 febbraio 1994, n. 109  (come  introdotta  dalla  legge
regionale 2 agosto 2002, n. 7 e successive modifiche),  disciplinante
solo gli appalti di lavori pubblici. 
    In ragione di quanto  esposto,  questo  Tribunale,  nel  doveroso
esercizio  del  potere-dovere  di  rilevare  la  nullita',   dovrebbe
procedere alla declaratoria della nullita' del bando  pure  impugnato
in questa sede e, comunque, costituente la lex specialis  della  gara
per cui e' controversia. 
    Va, inoltre, aggiunto che  la  parte  ricorrente,  nella  memoria
depositata in vista della trattazione  del  ricorso  nel  merito,  ha
espressamente chiesto la declaratoria di nullita' del bando  di  gara
proprio in applicazione della norma regionale, della cui legittimita'
costituzionale si dubita. 
    Ne' la nullita' del bando di gara, come disegnata dal legislatore
regionale, potrebbe configurarsi come solo  parziale,  piuttosto  che
totale, con  conseguente  ipotizzata  applicabilita'  del  meccanismo
dell'inserzione automatica di clausole, di  cui  all'art.  1339  cod.
civ. (ove applicabile anche all'atto amministrativo  recante  la  lex
specialis di una gara d'appalto), atteso che, ad avviso del Collegio,
siffatta  configurazione  esegetica  travalicherebbe  i   limiti   di
compatibilita' con il tenore letterale della legge regionale, che  un
interprete - alieno dal sostituirsi al  legislatore  -  e'  tenuto  a
osservare. 
    La norma regionale,  infatti,  non  reca  una  mera  sanzione  di
generica nullita',  e  neppure  di  «nullita'  assoluta»  (come,  per
esempio, si legge invece nell'ottavo comma del citato  art.  3  della
legge statale n. 136  del  2010);  bensi'  una  precisa  sanzione  di
«nullita' del bando». 
    Il Giudice di seconde cure (C.G.A., ord.  n.  786/2013  cit.)  ha
ritenuto, con argomentazioni condivisibili, che non si possono  avere
dubbi sul fatto che il legislatore regionale abbia inteso  sanzionare
con la nullita' del bando (vale a dire di tutto il bando,  ossia  del
bando nella sua interezza) la violazione,  da  parte  della  stazione
appaltante, del precetto posto dall'art. 2, primo comma, della L.R.S.
n. 15 del 2008. 
    Stesse  considerazioni  valgono,  altresi',  per   l'ipotesi   di
nullita' prevista a sanzione del mancato rispetto del precetto di cui
al secondo comma della stessa norma regionale. 
    La scelta e' frutto della valutazione, da ritenere  evidentemente
consapevole,  del  legislatore  regionale:  il   che   impedisce   di
ipotizzare  nullita'  parziale   dei   bandi,   con   meccanismi   di
eterointegrazione delle singole  lex  specialis  ai  sensi  del  gia'
ricordato art. 1339 cod. civ. (e conseguente  salvezza  dell'atto  di
indizione della gara). 
    Tanto vale a rendere  rilevante,  ai  fini  della  decisione  del
ricorso nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, primo e secondo comma, della legge regionale n.  15  del
2008, che si solleva con la presente ordinanza per le ragioni di  non
manifesta infondatezza in prosieguo esposte. 
    2. - Non manifesta infondatezza della questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art.  2,  primo  e  secondo  comma,  della  legge
regionale 20 novembre 2008,  n.  15,  in  riferimento  all'art.  117,
secondo comma, lettere h) e l), art. 3, secondo  comma,  e  art.  97,
primo comma, della  Costituzione,  nonche',  del  secondo  comma  del
ridetto art. 2 della L.R.S. n. 15 del 2008, in  riferimento  all'art.
27, secondo comma, della Costituzione. 
    2.1. - Sul primo comma  dell'art.  2  della  legge  regionale  20
novembre 2008, n. 15. 
    Questo Tribunale dubita della legittimita'. costituzionale  della
disposizione  contenuta  nell'art.  2,  primo  comma,   della   legge
regionale 20 novembre 2008,  n.  15,  in  riferimento  all'art.  117,
secondo comma, lettere h) e l), della Costituzione. 
    2.1.1. - Per quanto attiene al primo parametro  costituzionale  -
art. 117, secondo comma, lettera h) - deve premettersi che, in virtu'
dell'art. 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136  e'  stata  introdotta
una disciplina statale sulla tracciabilita'  dei  flussi  finanziari,
caratterizzata da previsioni in parte divergenti e, comunque, non del
tutto coincidenti con quelle  contenute  nell'art.  2,  primo  comma,
della su citata legge regionale n. 15 del 2008. 
    Le differenze possono essere cosi' sintetizzate: 
        per il legislatore statale, la carenza  di  previsioni  sulla
tracciabilita' dei flussi finanziari non determina alcuna nullita'  a
monte della procedura ad evidenza pubblica -  cioe'  alcuna  sanzione
sul bando di gara - ma solo  a  valle  della  stessa,  nei  contratti
sottoscritti con gli appaltatori (art. 3, ottavo comma, legge n.  136
del 2010); la legge regionale n. 15 del  2008,  invece,  sanziona  di
nullita' il bando, il quale non contenga  le  previsioni  di  cui  al
primo (oltre che al secondo) comma, del menzionato art. 2 della legge
regionale; 
        nella norma statale non sono fissati limiti di importo per la
tracciabilita' dei  flussi  finanziari;  invece,  nella  disposizione
regionale la soggezione  alla  peculiare  disciplina  opera  per  gli
appalti di importo superiore a 100 migliaia di euro; 
        l'art. 3, primo comma, della legge n. 136 del  2010  consente
l'utilizzo di uno  o  piu'  conti  correnti  bancari  o  postali;  il
precetto regionale, per contro,  impone  agli  aggiudicatari  di  far
confluire tutte le somme relative all'appalto in  un  conto  corrente
unico; 
        il comma 9-bis del citato art. 3 della legge n. 136 del  2010
consente  il  pagamento  dei  debiti  dell'aggiudicatario  con  mezzi
diversi  dal  bonifico  bancario  o  postale,  purche'  quegli  altri
strumenti siano idonei a consentire  la  piena  tracciabilita'  delle
operazioni; la legge regionale in  esame  esclude,  invece,  in  modo
esplicito pagamenti non effettuati con bonifico postale o con assegno
circolare non trasferibile; 
        l'ottavo comma dell'art.  3  della  legge  n.  136  del  2010
impone, a pena di nullita' assoluta, l'inserzione nel  contratto  con
l'aggiudicatario di una apposita clausola con la  quale  si  assumono
gli  obblighi   di   tracciabilita',   con   l'effetto   di   rendere
l'inqualificazione giuridica  derivante  da  norma  imperativa  quale
esito  dell'aperto  contrasto  con   interessi   generali   (peraltro
espressione di valori costituzionali), si' da  impedire  qualsivoglia
vicenda conservativa per il tramite dello strumento automatico  della
conversione; la legge  regionale  prevede  che  il  mancato  rispetto
dell'obbligo dell'indicazione del conto corrente  unico  comporta  la
risoluzione per inadempimento contrattuale, fattispecie, alla quale -
a prescindere dalla sua conformita' costituzionale come  si  esporra'
nel prosieguo - puo' essere equiparata la  disciplina  contenuta  nel
citato comma 9-bis dell'art. 3 della legge n. 136 del 2010. 
    Risulta  evidente  da  quanto  appena  esposto  come  non   possa
affermarsi una piena compatibilita' tra il primo  comma  dell'art.  2
della L.R.S. n. 15 del 2008 e l'art. 3 della legge n. 136 del 2010 in
ragione dell'ambito applicativo,  dei  contenuti  e  delle  modalita'
operative. 
    Le   discrasie   appena    individuate    non    sono    superate
dall'affermazione,  secondo  la  quale  il  precetto   regionale   si
inquadrerebbe nell'alveo della  legislazione  esclusiva  in  tema  di
«lavori pubblici»  riconosciuta  e  garantita  dal  citato  art.  14,
lettera g) dello Statuto della  Regione  Siciliana  (argomento  fatto
proprio da T.A.R. Sicilia, Catania, 20 maggio 2013, n. 1441; nonche',
da C.G.A., ord. 26 settembre 2013, n. 786, gia' citate). 
    Proprio avuto riguardo a  tale  specifico  profilo,  il  Collegio
dubita della legittimita' costituzionale  della  norma  regionale  in
commento,  tenuto   conto   dei   principi   espressi   dalla   Corte
costituzionale con la recente sentenza n. 35 del 2012. 
    Con quella pronuncia: si a' qualificata la  legislazione  statale
sulla tracciabilita' dei flussi  finanziari,  contenuta  nell'art.  3
della legge n. 136 del 2010,  come  materia  dell'ordine  pubblico  e
sicurezza, in. quanto tale,  sottratta  alla  competenza  legislativa
delle Regioni ai sensi dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  h),
della Carta fondamentale; si e' ritenuto  altresi'  che  detta  norma
statale sia stata emanata per garantire la tracciabilita' dei  flussi
finanziari  finalizzata  a  prevenire  infiltrazioni  criminali   nel
settore degli appalti pubblici. 
    Ad  avviso  del  Tribunale,  la  circostanza  che  la  disciplina
dichiarata costituzionalmente illegittima  fosse  di  una  regione  a
statuto ordinario (nel caso  di  specie,  la  Regione  Calabria)  non
altera le conclusioni  raggiungibili  anche  nei  riguardi  della  su
indicata norma della Regione Siciliana. 
    Cio' per la fondamentale ragione  che  la  ritenuta  appartenenza
della legislazione sulla tracciabilita' dei flussi  alla  prevenzione
in materia di ordine pubblico e  sicurezza  non  puo'  modificarsi  a
seconda dell'ambito territoriale  nel  quale  si  venga  ad  operare;
sicche',  gia'  sotto  questo  riguardo,  si  ravvisano  ragioni  per
rimettere la questione al Giudice delle leggi. 
    Ne', tanto meno,  puo'  configurarsi  una  peculiare  specialita'
della causa che modificherebbe, per la  tipicita'  della  prevenzione
relativa ai fenomeni mafiosi, l'appartenenza della materia  a  quella
per dir cosi' allargata dei  «lavori  pubblici»  in  sede  regionale,
anziche' all'ordine pubblico e sicurezza con estensione nazionale. 
    Giova,   invero,   sottolineare   che,   pur   se   con   origini
prevalentemente insulari, le metodiche e le pratiche connesse a  quei
fenomeni sono estese e gestite  su  tutto  il  territorio  nazionale,
cosi' che risulta ben difficile, allo  stato  delle  cose,  formulare
un'ipotesi normativa esclusivamente orientata al quadro regionale, il
quale presenta, di sicuro, una  maggiore  intensita',  ma  non  certo
l'esclusivita' rispetto al citato fenomeno. 
    Al di fuori  delle  notazioni  per  dir  cosi'  sociologiche,  e'
comunque evidente che la normativa  antimafia,  come  codificata  nel
decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159,  appartiene  quasi  per
definizione alla legislazione statale esclusiva. 
    Ed e' nel codice antimafia che puo' rinvenirsi la prova ulteriore
della non confluenza in diversa materia, laddove  si  stabilisce  che
«il prefetto puo', altresi', desumere il tentativo  di  infiltrazione
mafiosa  da....  nonche'  dall'accertamento  delle  violazioni  degli
obblighi di tracciabilita' dei flussi finanziari di  cui  all'art.  3
della legge 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione  della
reiterazione prevista dall'art. 8-bis della legge 24  novembre  1981,
n. 689. In tali casi, entro il termine di cui all'art.  92,  rilascia
l'informazione antimafia interdittiva» (art. 91, sesto comma, decreto
legislativo n. 159 del 2011). 
    Il precetto statale assume particolare rilievo non  solo  perche'
assegna la tematica della  tracciabilita'  dei  flussi  finanziari  a
misure sanzionatorie  specifiche  (confermando,  di  conseguenza,  la
riferibilita' della disciplina alla  legislazione  sull'ordine  e  la
pubblica sicurezza), ma anche per il riaffermato ricorso,  per  scopi
di prevenzione, alla norma statale contenuta nell'art. 3 della citata
legge n. 136 del 2010. 
    A quest'ultima disposizione e', dunque, demandata, con  carattere
di esclusivita',  la  funzione  di  tutela  nel  delicato  campo  del
controllo dei movimenti del numerarlo dei soggetti pubblici. 
    Tali essendo le conclusioni raggiunte,  ritiene  il  Collegio  di
doversi altresi' misurare con il «diritto vivente» che scaturisce dai
differenti, e per certi aspetti opposti, tentativi di consentire  una
lettura «costituzionalmente orientata» della norma regionale. 
    Si fa qui riferimento: 
        da un lato all'orientamento espresso da questa stessa sede di
Palermo del T.A.R. Sicilia con le sentenze rispettivamente della sez.
III, 28 febbraio 2013, n. 468 e della sez. II, 26 marzo 2013, n. 725,
secondo cui la norma regionale sarebbe stata tacitamente abrogata per
effetto dell'entrata  in  vigore  della  sopravvenuta  norma  statale
(merce' il meccanismo di cui all'art.  10  della  legge  10  febbraio
1953, n. 62, secondo cui la legge statale emanata  successivamente  a
quella regionale, che abbia regolato il medesimo oggetto, ha  effetto
abrogativo della preesistente legislazione regionale nel caso in  cui
la norma statale sopravvenuta ponga principi diversi da quelli cui la
precedente disciplina era ispirata); 
        dall'altro, all'orientamento,  per  certi  aspetti  di  segno
opposto, espresso dal giudice di appello (C.G.A. Sent. 721/2011 cit.,
confermato ancora di recente in sede cautelare  giusta  ordinanza  n.
786 del 16 ottobre 2013) secondo cui le norme in argomento  risultano
perfettamente     sovrapponibili,     non     manifestando     quella
incompatibilita' assoluta,  che  e'  presupposto  indispensabile  per
eventualmente predicare la sopravvenuta abrogazione implicita di  una
norma preesistente; con conseguente vigenza di entrambe le previsioni
di  legge  (nazionale  e  regionale)  da  applicare  rispettivamente,
secondo il giudice di appello, in funzione dell'importo  del  singolo
appalto (quella nazionale gli appalti al di sotto dei  100.000  euro;
quella regionale per gli appalti di importo superiore). 
    La condivisibile valorizzazione della sovrapponibilita' delle due
norme, ampiamente motivata dal giudice di appello con l'ordinanza  n.
786/2013, osta alla riconferma in questa sede  dell'orientamento  (di
abrogazione implicita) gia' espresso da questo stesso Tribunale. 
    Anche nel caso in esame l'interprete  deve  invero  confrontarsi,
per un verso, con una normativa statale - art. 3 della legge  n.  136
del  2010  -  emanata  nell'esercizio  della   potesta'   legislativa
esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza; per altro verso,
con una normativa regionale - art. 2, primo comma, della L.R.S. n. 15
del 2008 - che, secondo il diritto vivente  sopra  citato,  e'  stata
emanata  nell'esercizio  di  una   potesta'   legislativa   regionale
esclusiva (in materia di appalti  di  lavori);  laddove,  invece,  la
stessa disposizione regionale, per le chiare ed univoche  indicazioni
che promanano dalla  seder  materiae  in  cui  e'  inserita,  per  la
finalita' che persegue e per l'oggetto materiale  su  cui  impatta  -
nonche' per  lo  strumento  normativo  impiegato  (cfr.  Cort.  cost.
35/2012) - gravita  senza  dubbio  nell'ambito  di  una  materia  (la
sicurezza e  l'ordine  pubblico)  che  e'  certamente  di  competenza
esclusiva  statale  ancor  prima  (e  potremmo  dire  a  prescindere)
dall'avvenuto o meno esercizio legislativo da  parte  del  Parlamento
nazionale. 
    Ne' risulterebbe  utile,  nel  rinnovato  tentativo  che  incombe
sull'interprete di  percorrere  tutte  le  opzioni  per  una  lettura
costituzionalmente orientata della norma prima di  adire  il  Giudice
delle leggi, il richiamo alla cd. clausola di cedevolezza  desumibile
dall'art. 1, primo comma, della legge n. 131 del 2003:  non  solo  in
quanto  detta  disposizione   fa   espressamente   riferimento   alle
«disposizioni normative regionali vigenti alla  data  di  entrata  in
vigore» della stessa legge n. 131 del 2003; ma soprattutto, in quanto
l'applicazione  di  detta  clausola  e'   tendenzialmente   riservata
all'ambito delle materie a competenza concorrente  (art.  117,  terzo
comma, Cost.), in quanto funzionale a regolare  la  successione,  nel
tempo, fra norme di principio statali e norme di dettaglio regionali.
Il che e' da escludere nel caso di specie, attesa  la  qualificazione
giuridica che la stessa Corte costituzionale ha gia'  chiaramente  ed
univocamente attribuito  alla  materia  afferente  ai  controlli  dei
flussi finanziari. 
    Sempre nell'ulteriore sforzo ermeneutico  di  addivenire  ad  una
lettura costituzionalmente orientata della norma  regionale,  ritiene
il  collegio  di  non  potere  neppure  percorrere  la  strada,  pure
tracciata dal Giudice siciliano di appello nella citata ordinanza  n.
786/2013, circa l'asserita sussistenza di un rapporto di  specialita'
tra legge statale e legge regionale. 
    Secondo  tale  ricostruzione,  in  Sicilia  opererebbe  la  legge
statale n. 136 del 2010 in tutti gli appalti di importo non superiore
a  € 100.000,00,  per  via  del  «doppio  recepimento»  (della  legge
nazionale sugli  appalti  che  a  sua  volta  richiama  la  normativa
antimafia); di contro,  per  gli  appalti  di  importo  superiore  ai
100.000,00 euro, «per  il  ricordato  principio  di  specialita',  e'
giocoforza affermare che debba trovare applicazione  (solo)  comma  1
della citata legge regionale» (cfr. ordinanza n. 786/2013 citata). 
    Ed invero, in  primo  luogo,  non  sembra  in  via  di  principio
condivisibile l'idea che una norma  statale  espressamente  dedicata,
con strumenti di controllo tipici dell'attivita' di prevenzione, alla
tutela e al contrasto di reati anche di  tipo  mafioso  abbia  dovuto
sottoporsi a un duplice  recepimento  per  operare  nella  Regione  a
Statuto speciale. 
    Il primo comma dell'art. 247 del decreto  legislativo  12  aprile
2006, n. 163, e' - al pari di  altre  norme  sparse  nel  Codice  dei
Contratti Pubblici -  una  disposizione  pleonastica,  che  non  puo'
fungere certo da valvola di scambio per la ricezione della disciplina
ivi ricordata, attesa la piena capacita' di quest'ultima  di  operare
indipendentemente da qualsivoglia «autorizzazione» da parte di  altri
testi normativi. 
    Si tratta cioe' di norma-promemoria,  valida  quale  memento,  ma
priva  di  ogni  innovativita':  sicche',  fare  scaturire  da   quel
precetto,  e  dalla  ricezione  del  codice  dei  contratti  pubblici
disposta con legge della Regione Siciliana 12  luglio  2011,  n.  12,
l'operativita' del citato art. 3 della legge  n.  136  del  2010  non
appare al Collegio una valutazione ermeneutica condivisibile. 
    In secondo luogo, va sottolineato che i  fatti  normati,  proprio
per le distinzioni su rammentate,  non  possono  essere  sussunti  in
un'unica piattaforma, nella quale alla legge regionale e'  assicurata
la priorita' specifica. 
    Cio' equivarrebbe ad affermare che l'art. 3 della  legge  n.  136
del 2010 opera in Sicilia come norma cedevole, creando  evidentemente
una irragionevole antinomia  tra  appalti  ai  quali  si  applica  il
precetto regionale, e quelli  (di  importo  inferiore  ai  100.000,00
euro) disciplinati dal precetto statale. 
    E', inoltre, logico dedurne, a questa stregua,  che,  se  le  due
disposizioni  si  applicano  in  contesti  finitimi,  piu'   che   di
specialita' occorrerebbe parlare di ambiti  normativi  complementari.
L'applicazione del criterio  di  specialita'  implica  l'appartenenza
delle disposizioni correlate ad una  materia  unitaria,  nella  quale
possa  operare  una  priorita'  escludente  rispetto  a   fattispecie
astrattamente assoggettabili ad identico precetto. 
    Deve ritenersi, cioe', che dette norme abbiano la medesima ratio,
sottendano la medesima voluntas  lesis  e  partecipino  della  stessa
materia: materia che, in relazione all'art. 3 della legge n. 136  del
2010,   e'   stata   gia'   chiaramente   individuata   dalla   Corte
costituzionale con la menzionata sentenza n. 35 del 2012. 
    Anche  a  voler  considerare  solo  «parziale»  il  rapporto   di
specialita' individuato nella  su  citata  ordinanza  del  C.G.A.  n.
786/2013 tra la norma regionale e quella statale, si addiverrebbe  al
risultato, non condivisibile, che l'interesse primario  di  contrasto
alla criminalita' - di competenza esclusiva statale anche sub  specie
di tracciabilita' dei flussi finanziari  intesa  come  mezzo  per  il
perseguimento di politiche specifiche di ordine e sicurezza  pubblici
-  valga  solo  per  gli  appalti  sotto  i  100.000,00   euro,   per
trasformarsi, al di sopra di detta soglia,  nel  recessivo  interesse
(di competenza regionale) alla trasparenza nei pubblici appalti e  al
buon  funzionamento  degli   uffici   (ivi   comprese   le   stazioni
appaltanti). 
    In  ogni  caso  si  determina,  anche  solo  potenzialmente,  una
interferenza con una materia sicuramente di competenza  dello  Stato,
come chiarito dalla Corte costituzionale (v.  sentenza  n.  35/2012).
Non e' infatti in discussione la legittimita' di possibili interventi
normativi, anche in ambito regionale, preposti alla promozione  della
legalita' in quanto tesa alla diffusione dei  valori  di  civilta'  e
pacifica convivenza su cui si regge la Repubblica:  cio'  in  quanto,
come riconosciuto dalla stessa Corte  costituzionale  (sent.  35/2012
cit.)  la   promozione   della   legalita'   «non   e'   attribuzione
monopolistica, ne' puo' divenire oggetto di contesa  tra  i  distinti
livelli di legislazione e di  governo:  e'  tuttavia  necessario  che
misure predisposte a tale  scopo  nell'esercizio  di  una  competenza
propria della Regione, per  esempio  nell'ambito  dell'organizzazione
degli uffici  regionali,  non  costituiscano  strumenti  di  politica
criminale,  ne',  in  ogni   caso,   generino   interferenze,   anche
potenziali, con la disciplina statale di  prevenzione  e  repressione
dei reati (sentenza n. 55 del 2001; da ultimo, sentenza  n.  325  del
2011)». 
    E la stessa Regione Siciliana ha  predisposto  tali  misure,  con
l'adozione, sul piano interno proprio alla pubblica  amministrazione,
del c.d. Codice  Vigna  («Codice  antimafia  e  anticorruzione  della
pubblica  amministrazione»),  richiamato  anche  dall'art.  15  della
L.R.S. n. 5 del 2011; nonche' con l'atto di indirizzo  pubblicato  in
G.U.R.S. 30 dicembre 2011, n. 54. 
    Ad avviso del Collegio la disposizione di cui all'art.  2,  primo
comma, della legge regionale n. 15/2008 non pare appartenere  a  tale
tipologia di (consentite) misure e,  pertanto,  esorbita  dai  limiti
individuati dal Giudice delle leggi, invadendo la sfera di competenza
legislativa dello Stato. 
    Per tutto quanto finora esposto, e' non manifestamente  infondata
- oltre che rilevante, per le ragioni sopra spiegate -  la  questione
di legittimita' costituzionale del  primo  comma  dell'art.  2  della
legge regionale 20 novembre 2008, n. 15,  per  contrasto  con  l'art.
117, comma 2, lettera h), della Costituzione. 
    2.1.2. - Per quanto attiene al secondo parametro costituzionale -
art. 117, secondo comma, lettera D - va considerato che la diversita'
tra le due discipline in esame - statale e regionale - non si arresta
agli aspetti piu' propriamente pubblicistici con  la  sanzione  della
nullita' del bando - rispetto alla quale,  e'  bene  soggiungere,  la
nullita' del contratto prevista dalla legge statale, si  palesa  come
previsione di maggiore ragionevolezza e proporzionalita' - ma  incide
altresi' nell'ambito della disciplina contrattuale vera e propria. 
    Il  Collegio  ritiene  che  la  risoluzione  del  contratto   per
inadempimento contrattuale prevista  nell'ultimo  periodo  del  primo
comma  dell'art.  2  della  L.R.S.  n.  15  del  2008  confligga  con
l'attribuzione all'ordinamento civile che la lettera l)  del  secondo
comma  dell'art.  117  Cost.  riserva  alla  legislazione   esclusiva
statale. 
    Come da ultimo ribadito dalla Corte costituzionale  con  sentenza
27 giugno 2013, n. 159: «l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
ha codificato il limite del  «diritto  privato»,  consolidatosi  gia'
nella giurisprudenza anteriore alla riforma costituzionale  del  2001
(ex multis: sentente n. 295 del 2009, n. 401 del  2007,  n.  190  del
2001, 279 del 1994, e n. 35 del 1992). Questa  Corte  ha  piu'  volte
affermato che «L'ordinamento del diritto privato si pone quale limite
alla legislazione regionale, in quanto fondato sull'esigenza, sottesa
al  principio  costituzionale  di  eguaglianza,  di   garantire   nel
territorio nazionale l'uniformita' della  disciplina  dettata  per  i
rapporti tra privati. Esso, quindi, identifica un'area riservata alla
competenza esclusiva della  legislazione  statale  e  comprendente  i
rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione» (sentenza n.  352
del 2001). 
    In particolare, questa Corte ha stabilito che la  disciplina  dei
rapporti contrattuali (artt. 1321 e seguenti del  codice  civile)  va
riservata alla legislazione statale (sentenze n.  411  e  n.  29  del
2006).». 
    Le  affermazioni  appena  trascritte  trovano,  ad   avviso   del
Collegio,  piana  applicazione  anche  alla  disposizione   contenuta
nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 2 della  L.R.S.  n.  15
del 2008, per l'evidente invasione della competenza  esclusiva  dello
Stato relativamente alla regolazione dei rapporti  contrattuali,  nei
quali si esprime sia il principio di autonomia privata, sia quello di
presidio e garanzia di eguaglianza nell'intero territorio nazionale. 
    Il legislatore regionale ha, pertanto, previsto  una  ipotesi  di
risoluzione  del  contratto  -  utilizzando  percio',   un   istituto
giuridico  dell'ordinamento  civile,   incidente   sul   rapporto   -
attraverso  l'esplicita  qualificazione  di  inadempimento   di   una
determinata condotta tenuta dal contraente in fase di esecuzione  del
contratto. 
    Sicche', ad avviso del Collegio la norma regionale - seppure  per
via mediata, attraverso  la  sanzione  della  nullita'  del  bando  -
finisce sostanzialmente per incidere sul  contratto,  atteso  che  la
massima sanzione imposta sulla legge di gara non puo' che  travolgere
tutti gli atti posti in essere a  valle  e,  in  ultima  analisi,  il
contratto di appalto. 
    Prima di concludere l'esame del primo  comma  dell'art.  2  della
L.R.S. n. 15 del 2008, preme al Collegio precisare  che,  sebbene  la
normativa regionale  appaia  preconitrice  rispetto  alla  successiva
normativa  nazionale  nell'introdurre   significative   cautele   nel
delicato settore degli appalti pubblici, la stessa,  proprio  per  la
specificita' dello strumento introdotto  (tracciabilita'  dei  flussi
finanziari)   rispetto   alla   finalita'   di   prevenzione    delle
infiltrazioni criminali, ha, per cio' stesso,  invaso  una  sfera  di
esclusiva pertinenza del legislatore statale. 
    In definitiva, ritiene  questo  Tribunale  che,  per  le  ragioni
addotte - e, in particolare  in  base  ai  principi  affermati  dalla
Consulta nella sentenza n. 35/2012 sulla  natura  della  legislazione
relativa alla tracciabilita' dei flussi finanziari; nonche',  per  la
violazione  della  riserva  alla  competenza  statale   relativamente
all'ordinamento civile - debba essere rimessa al Giudice delle  leggi
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma,
della L.R.S. n. 15 del 2008 in relazione all'art. 117, secondo comma,
lettera h), Cost. 
    2.1.3. - Venendo allo sviluppo del terzo parametro costituzionale
sopra menzionato - art. 3, secondo comma, Cost. qui invocato  in  via
gradata rispetto ai parametri costituzionali  gia'  richiamati  -  va
rilevato che il legislatore regionale, sebbene possa,  nell'esercizio
del   potere   discrezionale,   dettare    canoni    normativi    per
l'organizzazione dell'attivita' amministrativa del proprio apparato e
degli enti sottoposti al proprio  controllo  (ivi  ricomprese  quindi
anche le stazioni appaltanti), non possa, tuttavia,  prescindere  dal
rispetto   del   principio   di   ragionevolezza   intrinseca;   ne',
dall'osservanza  del  divieto  di  introdurre  meri  automatismi  non
coerenti con lo stesso canone di ragionevolezza, desumibile,  secondo
l'insegnamento  della  Corte  costituzionale,  proprio  dall'art.  3,
secondo comma, della Carta fondamentale. 
    Con la sentenza n. 87 del 2012 la Corte costituzionale  riafferma
e ripercorre la giurisprudenza che desume dall'art. 3 Cost. un canone
di  «razionalita'»  della  legge  svincolato  da  una  normativa   di
raffronto,     rintracciato     nell'«esigenza     di     conformita'
dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita'» (sentenza n. 421
del  1991)  ed  a  criteri  di   coerenza   logica,   teleologica   e
storico-cronologica, che costituisce un presidio  contro  l'eventuale
manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze  della  stessa
(sentenze n. 46 del 1993, n.  81  del  1992)  (cfr.  relazione  sulla
Giurisprudenza costituzionale dell'Anno  2012  del  Presidente  della
Corte costituzionale,  Riunione  Straordinaria  della  Corte  del  12
aprile 2013, pagg. 95 e ss.). 
    Mutuando le considerazioni svolte (ancorche'  in  riferimento  ad
altri contesti normativi) dalla Corte costituzionale  (cfr.  sentenza
n. 166 del 2012), la scelta  di  introdurre  «automatismi»  normativi
deve costituire  il  risultato  di  un  ragionevole  e  proporzionato
bilanciamento degli  interessi  coinvolti,  soprattutto  quando  quel
meccanismo sia suscettibile di incidere (non solo e non semplicemente
sul  piano   interno   dell'attivita'   amministrativa,   ma   anche)
sull'affidamento ingenerato all'esterno sulla validita' del bando  di
gara e sul conseguente contratto sottoscritto dall'aggiudicatario. 
    Il che, ad avviso del Collegio, sembra difettare nella  norma  in
esame, in quanto il legislatore regionale, introducendo un'ipotesi di
nullita'  automatica  e  non  sanabile  del  bando  di  gara,  sembra
prescindere dalla possibilita'  di  operare  -  ove  l'intento  fosse
realmente stato solo quello di approntare quanto necessario  per  una
corretta  e   trasparente   organizzazione   del   proprio   apparato
amministrativo, e non anche di incidere su  una  materia  coperta  da
riserva assoluta di legge statale - sul piano del controllo  interno,
traslando invece sui terzi gli effetti  del  mancato  rispetto  della
norma per causa della stessa P.A. (che predispone il bando). 
    2.1.4. - Per quanto attiene al quarto parametro costituzionale  -
art. 97, primo comma, Cost. - il Collegio osserva che la norma,  cosi
come  formulata,  ancorche'  voglia  costituire  un  contributo  alla
trasparenza  e  alla  correttezza  dell'agere  publicum,  rischia  di
rappresentare (per l'impossibilita' gia' evidenziata di  far  ricorso
alla  etero-integrazione  della  lex  specialis)  occasione  per   la
proposizione  di  variegate  e  plurime  azioni  (anche   di   natura
risarcitoria) contro la pubblica amministrazione, esperibili  persino
da parte di soggetti esclusi  dalle  gare  medesime,  che  perseguano
l'interesse alla  declaratoria  di  nullita'  delle  stesse,  con  il
travolgimento dei contratti sottoscritti. 
    Tale rischio si e', infatti, dimostrato tutt'altro che  meramente
potenziale, siccome si e' invece tradotto in concrete azioni proposte
per la declaratoria di nullita'  dei  bandi,  con  domande  formulate
anche in via gradita, con conseguenti pronunce di nullita'  d'ufficio
dei medesimi bandi di gara decretate  dal  Giudice  cui  erano  state
rimesse le questioni di legittimita' dei relativi esiti (cfr.  C.G.A.
sent. 721/2011 cit. di conferma della sentenza T.A.R.  Palermo,  Sez.
III, n. 2406/2011; il presente giudizio a quo). 
    L'automatismo della sanzione della nullita'  del  bando,  che  e'
atto   amministrativo   unilateralmente   predisposto   dalla   P.A.,
lascerebbe altresi' impregiudicata la strada ad  azioni  risarcitorie
anche da parte degli aggiudicatari incolpevoli; di contro, si osserva
che la differente previsione contenuta nell'art. 3 della legge n. 136
del 2010, spostando la sanzione della «nullita'» sull'atto  negoziale
del contratto, all'evidenza coinvolge e responsabilizza  al  rispetto
della norma citata lo stesso aggiudicatario. 
    Va infine  rilevato  che  la  nullita'  del  bando,  per  mancato
inserimento delle condizioni previste dall'art. 2 della L.R.S. n.  15
del 2008, non consente alla  stazione  appaltante  di  esercitare  il
tradizionale - e codificato (v. art. 21-nonies legge n. 241 del  1990
come recepito dall'art. 37 della legge  Regione  Sicilia  n.  10  del
1991)  potere  di  «autotutela  amministrativa»,  cui   doverosamente
sarebbe tenuta in presenza  dei  necessari  presupposti  anche  nella
prospettiva dell'eventuale convalida del provvedimento  (annullabile)
in presenza di ragioni di pubblico-  interesse;  ma,  al  contempo  -
operando automaticamente ed essendo rilevabile da chiunque -  rischia
di incidere sullo  stesso  buon  andamento  dell'amministrazione,  la
quale non potrebbe dar seguito alla gara. 
    3. - Sul secondo comma  dell'art.  2  della  legge  regionale  20
novembre 2008, n. 15.  Questo  Tribunale  dubita  della  legittimita'
costituzionale della  disposizione  contenuta  nell'art.  2,  secondo
comma, della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15, in  riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettere h) e l),  all'art.  27,  secondo
collima, all'art, 3, secondo comma, e all'art. 97 della Costituzione. 
    3.1. - Per quanto attiene al  primo  parametro  costituzionale  -
art. 117, secondo comma, lettera h) - la disposizione  introduce  una
causa di nullita' del bando, il quale non preveda la risoluzione  del
contratto nell'ipotesi in cui il  legale  rappresentante  o  uno  dei
dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano rinviati a  giudizio  per
favoreggiamento nell'ambito  di  procedimenti  relativi  a  reati  di
criminalita'  organizzata,  stabilendo  che  «2.  I  bandi  di   gara
prevedono,  pena  la  nullita'  degli  stessi,  la  risoluzione   del
contratto nell'ipotesi in cui il. legale  rappresentante  o  uno  dei
dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano rinviati a  giudizio  per
favoreggiamento nell'ambito  di  procedimenti  relativi  a  reati  di
criminalita' organizzata.». 
    Si   tratta,   quindi,   di   una   disposizione   che   colpisce
immediatamente la legge  di  gara,  la  quale,  in  assenza  di  tale
clausola, non e' in grado di condurre  la  procedura  a  buon  esito,
attesa la previsione della sanzione massima, dalla  cui  applicazione
derivano irrecuperabili conseguenze demolitorie. 
    Anche  per  tale  disposizione  e'   necessario   misurarsi   con
l'orientamento espresso con le gia' citate sentenze  rese  da  questo
Tribunale (nn. 468 e 725 del 2013), secondo cui  la  norma  regionale
sarebbe stata implicitamente abrogata con il recepimento  in  Sicilia
del Codice dei Contratti, avvenuto con legge regionale n. 12 del 2011
e, per tale via, del recepimento del Codice Antimafia (approvato  con
il decreto legislativo n. 159 del 2011). 
    Ritiene il collegio che l'art. 2, secondo comma, della L.R.S.  n.
15 del 2008, costituente un  unicum  nel  panorama  legislativo,  non
abbia subito detto fenomeno  di'  abrogazione  implicita,  come,  del
resto, ritenuto dal Giudice siciliano di appello (C.G.A.,  ordin.  n.
786/2013 cit.). 
    Ed invero - rinviando a quanto gia' argomentato  in  ordine  alla
superfluita' di qualsivoglia recepimento della normativa antimafia ai
fini della applicabilita'  in  Sicilia  -  non  si  riscontra  alcuna
sovrapposizione tra le norme statali sopravvenute e quella regionale. 
    In primo luogo, la norma regionale contenuta nell'art. 2, secondo
comma, della L.R.S.  n.  15  del  2008  prevede  un  meccanismo  piu'
rigoroso rispetto alla  normativa  contenuta  nel  codice  antimafia,
statuendo una automatica risoluzione del contratto per il solo  fatto
che il  legale  rappresentante,  o  uno  dei  dirigenti  dell'impresa
aggiudicataria, sia stato rinviato  a  giudizio  per  favoreggiamento
nell'ambito  di  procedimenti  relativi  a  reati   di   criminalita'
organizzata. 
    Di contro, in applicazione  dell'art.  94  del  Codice  Antimafia
(decreto legislativo n.  159  del  2011),  il  previsto  recesso  dal
contratto  eventualmente  stipulato  deve  essere   preceduto   dalla
valutazione discrezionale del Prefetto, che, allo scopo,  emette  una
informazione antimafia interdittiva; residuando, peraltro, alla parte
pubblica - pur in presenza di quell'atto prefettizio - la facolta' di
non procedere al recesso dal contratto nei casi  previsti  dal  terzo
comma del citato art. 94 (nel caso in cui l'opera  sia  in  corso  di
ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e  servizi  ritenuta
essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico,  qualora  il
soggetto che la fornisce non sia sostituibile tempi rapidi). 
    Poiche' la norma regionale ha introdotto un meccanismo molto piu'
rigoroso di quello introdotto dalla normativa  antimafia  -  peraltro
operando sul piano, antecedente al contratto,  della  predisposizione
dell'atto  di  indizione  della  gara  -  non  si  rinvengono  indizi
significativi, dai quali possa desumersi con certezza che tale  norma
speciale  sia  stata  implicitamente   abrogata   per   effetto   del
recepimento in Sicilia del Codice dei Contratti (e, per tale via, del
rinvio al Codice Antimafia). Va, altresi', considerato che,  al  pari
del primo comma, anche il secondo comma dell'art. 2 della L.R.S n. 15
del 2008 non e' indicato tra le norme che l'art. 32 della  L.R.S.  12
luglio 2011, n. 12 considera abrogate in conseguenza del  recepimento
del  codice  dei  contratti  pubblici  (operato  dalla  stessa  legge
regionale n. 12 del 2011): sicche', anche tenendo conto di tale  dato
normativo, l'art. 2, secondo comma, e' norma vigente. 
    Va anche evidenziato che, a prescindere  da  qualche  atecnicita'
della formulazione, la norma si discosta chiaramente da  qualsivoglia
altra previsione, nonche' dalla pur estesa  casistica  sui  requisiti
generali contenuta, tra l'altro, nell'art. 38 del decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163, ormai recepito  nella  Regione  Siciliana  in
virtu' della legge regionale n. 12 del 2011. 
    Le diversita' tra la norma in esame e la disciplina recepita sono
evidenti: 
        il secondo comma del citato art. 2 della  L.R.S.  n.  15  del
2008 struttura il (mero) rinvio a giudizio  non  gia'  come  semplice
requisito - e, quindi come eventuale causa di esclusione dalla gara -
bensi' come causa di nullita' del  bando  per  mancanza  di  clausola
risolutiva  espressa,  pur   in   assenza   di   tutte   le   cautele
procedimentali e di coerenza del giudizio  che,  rispetto  alla  mera
sussistenza del requisito, pone l'ultimo periodo della lettera m-ter)
del primo comma dell'art. 38 del decreto legislativo, n. 163 del 2006
relativamente a soggetto  non  destinatario  comunque  del  rinvio  a
giudizio; 
        la norma regionale prevede  come  sanzione  la  nullita'  del
bando, mentre la legislazione statale, per la fattispecie piu' vicina
individuabile nell'art. 38, primo comma,  lettera  m-ter),  coinvolge
problemi di esclusione dalla gara e non gia' di nullita'  dell'intera
procedura   conseguente   all'accertata   carenza   della    clausola
risolutiva. 
    La norma, cosi' come redatta, appare,  pertanto,  strutturalmente
priva di ogni altra finalita' che ecceda  quelle  di  contrasto  alla
criminalita' organizzata, ponendosi, in tal modo, in palese contrasto
con la riserva della legislazione esclusiva  statale  in  materia  ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. 
    3.2. - Per quanto attiene. al secondo  parametro  costituzionale,
di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l). 
    Oltre che per gli aspetti differenziali rispetto alla  disciplina
del codice dei contratti pubblici, la norma in  esame  si  rivela  di
assai dubbia legittimita' costituzionale sotto un ulteriore  profilo:
la prescrizione di una specifica causa di risoluzione  del  contratto
non sembra conforme al dettato costituzionale, perche' invasiva della
riserva statale in materia  di  ordinamento  civile,  secondo  le  su
esposte osservazioni da ritenersi qui  integralmente  riprodotte  (v.
punto 2.1.2). 
    3.3. - Per quanto  attiene  al  terzo  parametro  costituzionale,
contenuto nell'art. 27, secondo comma, Costituzione. 
    La  previsione  della  sanzione,  automatica  e  definitiva,   in
presenza di un mero rinvio  a  giudizio  sembra  confliggere  con  la
presunzione di  non  colpevolezza,  prevista  dall'art.  27,  secondo
comma, della Costituzione (v.  C.G.A.,  orditi.  n.  786/2013  cit.),
secondo cui  «L'imputato  non  e'  considerato  colpevole  sino  alla
condanna definitiva». Il principio  e'  stato  ripreso  nell'art.  6,
secondo comma, della Convenzione Europea  dei  diritti  dell'uomo,  a
mente del quale «Ogni  persona  accusata  di  un  reato  e'  presunta
innocente fino a quando la sua colpevole a non sia  stata  legalmente
accertata». 
    Il  principio  costituzionale  di  non   colpevolezza   (fino   a
definitiva statuizione giurisdizionale)  sembra  opporsi  anche  alla
incondizionata operativita' di una cosi' incisiva causa  di  nullita'
sulla  legge  di  gara,  ponendo  l'interesse  generale   sottostante
all'inqualificazione in un contesto temporale, nel quale  non  ne  e'
certa la sussistenza (ad esempio per una successiva  assoluzione  con
formula piena). 
    E' ben vero che  il  legislatore  statale  ha  previsto  numerosi
temperamenti alla  incondizionata  operativita'  di  tale  principio,
introducendo misure finalizzate ad evitare che il decorso  del  tempo
possa costituire un pericolo  per  l'accertamento  del  reato  o  per
l'esecuzione di una sentenza (misure cautelaci personali e reali),  o
misure  special-preventive,  formalmente  di  natura  amministrativa,
dirette ad evitare la commissione di reati da  parte  di  determinate
categorie di soggetti considerati socialmente pericolosi  (misure  di
prevenzione); ma, a tale contemperamento e' addivenuto nell'esercizio
della potesta'  legislativa  esclusiva  in  ambito  penale,  o  nella
delicata materia dell'ordine pubblico e sicurezza;  e,  sovente,  con
l'introduzione di misure di carattere provvisorio. 
    Nel caso della norma in commento, la non  manifesta  infondatezza
della questione,  sotto  tale  profilo,  si  apprezza  ulteriormente,
tenendo conto  dell'inscindibile  collegamento,  creato  dalla  norma
regionale, tra il  dato  del  rinvio  a  giudizio  e  la  risoluzione
automatica del contratto medio  tempore  stipulato;  con  conseguente
diretta e definitiva incidenza  del  (mero)  rinvio  a  giudizio  sul
rapporto negoziale in  corso,  destinato  -  pur  in  presenza  della
apposita clausola nel presupposto bando di gara - ad essere risolto. 
    Tale definitiva ed automatica conseguenza sul contratto non trova
riscontro neppure nella normativa nazionale emanata nel settore degli
appalti pubblici, contenuta nell'art. 38 del decreto  legislativo  n.
163 del 2006, il cui primo comma,  alla  lettera  c),  esclude  dalla
partecipazione alle gare i (soli) soggetti nei cui confronti e' stata
pronunciata sentenza di  condanna  passata  in  giudicato,  o  emesso
decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza  di
applicazione della pena su richiesta,  ai  sensi  dell'art.  444  del
codice di procedura penale, per reati gravi in danno  dello  Stato  o
della  Comunita'  che  incidono  sulla  moralita'  professionale;   o
sentenza di condanna, passata in giudicato, per uno o piu'  reati  di
partecipazione  a  un'organizzazione  criminale,  corruzione,  frode,
riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'art. 45,
paragrafo 1, direttiva CE 2004/18; indicando i titolari di poteri, di
cui vanno accertati i predetti precedenti penali. 
    L'analisi  di  tale  costruzione  giuridica  rende  ulteriormente
evidente - qualora ve ne fosse bisogno -  la  reale  finalita'  della
norma  regionale,  di  prevenzione  e  contrasto   di   fenomeni   di
infiltrazioni criminali nel delicato settore degli appalti  pubblici;
compito  riservato  dalla  Carta   Fondamentale   esclusivamente   al
legislatore statale, al quale compete di stabilire il contemperamento
tra i principi costituzionali che vengono in rilievo, per mezzo della
normativa, penale o para-penale, esclusivamente  volta  al  contrasto
della criminalita' (organizzata e non). 
    3.4. - Venendo al  quarto  parametro  costituzionale  -  art.  3,
secondo comma, Cost. - il Collegio ritiene  di  poter  richiamare  in
questa sede le considerazioni gia' sopra svolte al punto 2.1.3.,  cui
si rinvia. 
    Appare tuttavia utile aggiungere come, in  relazione  al  secondo
comma dell'art. 2 della L.R.S. n.  15  del  2008,  l'irragionevolezza
dell'automatismo introdotto  dalla  norma  si  appalesa  maggiormente
laddove connette  la  nullita'  del  bando  alla  mancata  previsione
dell'ipotesi di risoluzione del contratto, nei casi in cui il  legale
rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria  siano
rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito  di  procedimenti
relativi  a   reati   di   criminalita'   organizzata,   prescindendo
dall'esistenza di informative tipiche ovvero atipiche  di  competenza
dell'autorita' di polizia. 
    3.5 - Per quanto attiene al  quinto  parametro  costituzionale  -
art. 97, primo comma, Costituzione - per brevita' di  trattazione  il
Collegio rinvia alle considerazioni gia' svolte in  ordine  al  primo
comma (e per il  medesimo  parametro  costituzionale)  al  precedente
punto 2.1.4., che qui si intendono integralmente richiamate. 
    4. -  In  conclusione,  appare  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  che,  con  la
presente  ordinanza,  viene  rimessa  alla  corte  costituzionale  in
ordine: 
        all'art. 2, primo comma, della legge della Regione  Siciliana
20 novembre 2008, n. 15, per  violazione  degli  artt.  117,  secondo
comma, lettere h) e l), Cost.; art. 3, secondo comma,  Cost.  e  art.
97, primo comma, della Costituzione; 
        all'art.  2,  secondo  comma,  della  legge   della   Regione
Siciliana 20 novembre 2008, n. 15, per violazione  degli  artt.  117,
secondo comma, lettere h) e l), Cost.; art. 27, secondo comma, Cost.;
art.  3,  secondo  comma,  Cost.  e  art.  97,  primo  comma,   della
Costituzione. 
    Il processo deve,  pertanto,  essere  sospeso,  con  trasmissione
degli  atti  alla  Corte   costituzionale,   per   ogni   conseguente
statuizione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Non definitivamente pronunciando: 
        a) dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale: 
          dell'art.  2,  primo  comma,  della  legge  della   Regione
Siciliana 20 novembre 2008, n. 15, per violazione  degli  artt.  117,
secondo comma, lettere h) e D, Cost.; art. 3, secondo comma, Cost., e
art. 97, primo comma, della Costituzione; 
          dell'art. 2,  secondo  comma,  della  legge  della  Regione
Siciliana 20 novembre 2008, n. 15, per violazione  degli  artt.  117,
secondo comma, lettere h) e l), Cost.; art. 27, secondo comma, Cost.;
art.  3,  secondo  comma,  cost.  e  art.  97,  primo  comma,   della
Costituzione; 
        b) sospende il presente giudizio ai sensi dell'art. 79, primo
comma, cod. proc. amm.; 
        c) ordina l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale, per il competente  controllo  di  legittimita'  sulle
questioni sollevate; 
        d) rinvia ogni definitiva statuizione in rito  e  nel  merito
del ricorso in epigrafe, nonche' sulle spese di lite,  all'esito  del
promosso giudizio di  legittimita'  costituzionale,  ai  sensi  degli
artt. 79 e 80 cod. proc. amm. 
    Ordina che, a cura della segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza: a) sia notificata a tutte le parti in causa, ivi  comprese
espressamente, quelle intimate e non costituite, al Presidente  della
Regione Siciliana nonche' al Presidente del Consiglio  dei  Ministri;
b) sia comunicata alla Presidenza dell'Assemblea Regionale  Siciliana
nonche' ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in Palermo nella camera di consiglio del  giorno  24
ottobre 2013. 
 
                      Il Presidente: D'Agostino 
 
 
                                              L'estensore: Cappellano