N. 47 SENTENZA 10 - 13 marzo 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati  di  competenza  del  giudice  di  pace  -   Esclusione   della
  sospensione condizionale della pena. 
- Decreto legislativo 28 agosto  2000,  n.  274  (Disposizioni  sulla
  competenza penale del giudice di pace,  a  norma  dell'articolo  14
  della legge 24 novembre 1999, n. 468), art. 60. 
-   
(GU n.13 del 19-3-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  60  del
decreto legislativo  28  agosto  2000,  n.  274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468), promosso dal Tribunale  di  Grosseto
nel procedimento penale a carico  di  M.T.L.  con  ordinanza  del  21
dicembre 2011, iscritta al  n.  55  del  registro  ordinanze  2012  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  15,  prima
serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  M.T.L.  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  25  febbraio  2014  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    uditi l'avvocato Rosa Ierardi per M.T.L. e l'avvocato dello Stato
Giovanni Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 21 dicembre 2011, il Tribunale di
Grosseto, in composizione monocratica, ha sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3 e  76  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 60 del decreto legislativo 28  agosto  2000,
n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a
norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n.  468),  nella
parte in cui non consente di applicare le disposizioni  di  cui  agli
artt. 163 e seguenti del codice  penale,  relative  alla  sospensione
condizionale della pena, nei casi di condanna a pena  pecuniaria  per
reati di competenza del giudice di pace ai sensi dell'art. 4, commi 1
e 2, del medesimo decreto legislativo, neppure  quando  il  beneficio
sia stato invocato dalla difesa. 
    1.1.- Il giudice a quo premette di essere investito  dell'appello
avverso la sentenza del 14 aprile 2010, con la quale  il  Giudice  di
pace di Grosseto aveva condannato l'imputata appellante alla pena  di
euro settecento di multa e al risarcimento dei danni in favore  della
parte  civile  costituita,  ritenendola  responsabile  del  reato  di
ingiuria (art. 594 cod. pen.). 
    Con l'atto  di  impugnazione,  l'appellante  ha  chiesto  in  via
principale l'assoluzione, assumendo che, alla luce  delle  risultanze
istruttorie, non sarebbe  stata  raggiunta  la  prova  della  propria
responsabilita'. In subordine - allegando di non essere in  grado  di
provvedere al pagamento della multa inflittale - ha  chiesto  che  le
venga concesso il  beneficio  della  sospensione  condizionale  della
pena,   eccependo   l'illegittimita'   costituzionale   della   norma
preclusiva di cui all'art. 60 del d.lgs. n. 274 del 2000. 
    Il rimettente rileva  che  l'appello  e'  ammissibile,  ai  sensi
dell'art. 37 del d.lgs. n. 274 del 2000, avendo l'imputata impugnato,
oltre al capo relativo alla  condanna  alla  pena  pecuniaria,  anche
quello inerente alla condanna al risarcimento dei danni. Le doglianze
formulate  in  via  principale  con  l'atto  di  gravame   sarebbero,
peraltro, infondate, risultando la pronuncia di  condanna  del  primo
giudice adeguatamente supportata dalle prove acquisite. 
    Verrebbe, di conseguenza, in rilievo la richiesta subordinata  di
concessione della sospensione condizionale. Ad avviso del rimettente,
l'imputata sarebbe meritevole del beneficio, trattandosi  di  persona
incensurata, nei cui confronti - tenuto conto  del  movente  e  della
ridotta gravita' del fatto  oggetto  di  giudizio  (consistito  nella
pronuncia di un epiteto ingiurioso all'indirizzo della persona offesa
nel corso di una telefonata, in un  impeto  di  gelosia)  -  potrebbe
essere senz'altro formulata la prognosi favorevole  di  cui  all'art.
164, primo comma, cod. pen. 
    All'accoglimento della richiesta osterebbe,  tuttavia,  la  norma
censurata, in forza della quale «Le disposizioni di cui agli articoli
163  e  seguenti  del  codice  penale,  relative   alla   sospensione
condizionale della pena, non si  applicano  alle  pene  irrogate  dal
giudice di pace»: norma da ritenere operante anche nei casi in cui un
reato di competenza del giudice di pace sia giudicato da  un  giudice
diverso, stante il disposto dell'art. 63 del d.lgs. n. 274 del  2000,
secondo il quale, in detti casi, si  osservano  le  disposizioni  del
Titolo II del medesimo decreto legislativo,  nel  quale  e'  compreso
anche l'art. 60. 
    Di qui, dunque, la rilevanza della questione. 
    1.2.- Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il giudice  a
quo dubita della legittimita' costituzionale della norma, nella parte
in cui non consente di sospendere condizionalmente la pena pecuniaria
inflitta per  reati  di  competenza  del  giudice  di  pace,  neppure
nell'ipotesi in cui il beneficio sia stato invocato dalla difesa. 
    Per tal verso, la  disposizione  censurata  violerebbe  l'art.  3
Cost., determinando una irragionevole disparita' di trattamento tra i
reati di competenza del giudice di pace e quelli  di  competenza  del
tribunale in  composizione  monocratica  parimenti  puniti  con  pena
pecuniaria. 
    Al riguardo, il rimettente rileva che,  in  riferimento  a  detto
parametro, la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  60
del d.lgs. n. 274 del 2000 - gia' sottoposta  all'esame  della  Corte
costituzionale, ma da essa mai scrutinata nel  merito  (ordinanze  n.
370 del 2004 e n. 290 del 2003) - e' stata dichiarata, per  converso,
in piu' d'una  occasione  manifestamente  infondata  dalla  Corte  di
cassazione. Ad avviso del giudice  a  quo,  tuttavia,  gli  argomenti
addotti  a  sostegno  di  tale  declaratoria  non  potrebbero  essere
condivisi. 
    Al fine di giustificare la disparita' di  trattamento  denunciata
non varrebbe, in particolare, far leva  sulla  diversa  natura  delle
sanzioni irrogate nei due casi. La pena pecuniaria inflitta per reati
di competenza del giudice  di  pace  non  differirebbe,  infatti,  da
quella irrogata per reati di competenza  del  giudice  professionale,
che pure e' reputata dalla giurisprudenza pacificamente  suscettibile
di sospensione, anche  se  applicata  in  sostituzione  di  una  pena
detentiva ai sensi dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n.  689
(Modifiche  al  sistema  penale),  come  del  resto  attesterebbe  la
previsione del successivo art. 57, terzo comma. Nel sistema  vigente,
la sospensione condizionale potrebbe essere concessa, d'altra  parte,
anche per i reati di competenza del tribunale punibili  con  la  sola
ammenda, e cio' soprattutto allorche' lo  stesso  imputato  ne  abbia
fatto richiesta, posto  che,  in  tale  ipotesi,  egli  non  potrebbe
dolersi del  carattere  svantaggioso  della  decisione  adottata  dal
giudice. 
    Neppure si potrebbe  parlare  di  una  «insindacabile  scelta  di
politica   criminale»   del   legislatore,   volta   a   privilegiare
l'effettivita' della pena in  correlazione  alle  speciali  forme  di
definizione anticipata del procedimento previste dagli artt. 34 e  35
del d.lgs. n. 274 del 2000, prive  di  equivalente  nel  procedimento
davanti al tribunale. 
    Nessuna correlazione sarebbe, infatti, ravvisabile tra il divieto
di sospensione condizionale della pena e  l'istituto  dell'esclusione
della procedibilita' per particolare tenuita' del  fatto  (art.  34):
senza considerare che tale istituto, presupponendo il consenso  della
persona offesa, non potrebbe trovare applicazione  ove  quest'ultima,
costituendosi parte civile, abbia  dimostrato  -  come  nel  caso  di
specie - di avere interesse alla condanna. 
    Riguardo, poi, all'estinzione del reato  conseguente  a  condotte
riparatorie (art. 35), istituti analoghi sarebbero previsti anche per
i  reati  di  competenza  del  tribunale  in  forza   di   specifiche
disposizioni di legge, quali, ad esempio, gli  artt.  341-bis  e  641
cod. pen., in tema, rispettivamente, di  oltraggio  e  di  insolvenza
fraudolenta; l'art. 181, comma 1-quinquies,  del  d.lgs.  22  gennaio
2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del  paesaggio,  ai  sensi
dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), in tema di reati
paesaggistici; l'art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge 12  settembre
1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e  sanitaria  e
per il contenimento  della  spesa  pubblica,  disposizioni  per  vari
settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni  termini),
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n.  638,
in tema di omesso versamento di ritenute previdenziali. In  questi  e
consimili casi, peraltro, non e' affatto esclusa la  possibilita'  di
sospendere condizionalmente le pene  inflitte  nei  casi  di  mancata
riparazione. 
    Da ultimo, non  gioverebbe  neanche  far  richiamo  «al  contesto
sanzionatorio di minor rigore»  nel  quale  il  divieto  risulterebbe
inserito. Non sempre, infatti, i reati di competenza del  giudice  di
pace sono puniti con pene piu' lievi di  quelle  irrogabili  per  gli
altri reati. La selezione dei  reati  devoluti  alla  cognizione  del
giudice onorario non si  fonda,  infatti,  solo  sulla  gravita'  del
fatto, ma anche su altri criteri, quale,  ad  esempio,  il  grado  di
complessita' dell'accertamento: tanto e' vero che, malgrado i delitti
siano sempre piu' gravi delle contravvenzioni,  vi  sono  delitti  di
competenza del giudice di pace (quale quello di ingiuria,  contestato
nella specie) e contravvenzioni punibili con l'ammenda di  competenza
del tribunale. 
    Ne' si potrebbe sostenere che le  pene  pecuniarie  inflitte  dal
giudice di pace siano sempre di modesta consistenza, cosi' da non far
emergere un concreto interesse alla loro sospensione. Basti  pensare,
ad esempio, alla pena dell'ammenda da 5.000 a 10.000  euro,  prevista
per il reato di cui all'art. 10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), o,  piu'
in generale, alla pena massima di euro 2.582, prevista dall'art.  52,
comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 274  del  2000,  che  risulterebbe
pari a cinque volte «un'attuale pensione minima». 
    L'impossibilita' di sospendere le pene inflitte per  i  reati  di
competenza del giudice  onorario  potrebbe  condurre,  d'altronde,  a
risultati ingiustamente afflittivi tutte le volte in cui -  come  nel
caso di specie - il condannato, non essendo in grado di provvedere al
pagamento della pena pecuniaria inflittagli, chieda il  beneficio  al
fine di non subire gli effetti negativi conseguenti alla  conversione
per insolvibilita' (art. 55 del d.lgs. n. 274 del 2000). 
    1.3.- La norma censurata violerebbe anche l'art.  76  Cost.,  per
eccesso di delega. 
    Il d.lgs. n. 274 del 2000 e' stato emanato  in  attuazione  della
legge 24 novembre 1999, n. 468  (Modifiche  alla  legge  21  novembre
1991, n. 374, recante istituzione del  giudice  di  pace.  Delega  al
Governo in materia  di  competenza  penale  del  giudice  di  pace  e
modifica dell'articolo 593 del codice di procedura  penale),  il  cui
art. 14 aveva delegato il Governo ad adottare un decreto  legislativo
«concernente la competenza penale del giudice  di  pace,  nonche'  il
relativo procedimento e l'apparato sanzionatorio dei  reati  ad  esso
devoluti», secondo i principi e  i  criteri  direttivi  previsti  dai
successivi artt. 15, 16 e 17. 
    Il divieto in questione non  troverebbe,  peraltro,  alcuna  base
espressa in tali principi e criteri direttivi - totalmente silenti in
ordine all'istituto della sospensione  condizionale  -  ne'  potrebbe
essere  considerato   come   un   loro   «fisiologico   sviluppo»   o
completamento, ponendosi, al contrario, in  rapporto  di  sostanziale
«discontinuita'» con essi. 
    L'istituto della sospensione condizionale  costituisce,  infatti,
«parte integrante del sistema penale», ricollegandosi alla  finalita'
rieducativa della pena e  al  principio  di  individualizzazione  del
trattamento sanzionatorio. In questa prospettiva, esso ha  registrato
una progressiva espansione, anche per effetto di pronunce della Corte
costituzionale (quale la sentenza n.  95  del  1976),  che  ne  hanno
ampliato i presupposti operativi. 
    La norma censurata avrebbe, dunque,  introdotto  una  eccezionale
deroga «in malam partem» al regime ordinario, operante  in  direzione
inversa rispetto a quella indicata dall'art. 16 della  legge  n.  468
del 1999, che, con  riguardo  all'apparato  sanzionatorio  dei  reati
devoluti  alla  competenza  del  giudice  di  pace,  prefigurava  una
disciplina di segno piu' favorevole per  l'imputato,  prevedendo,  in
specie, la sostituzione delle pene detentive con pene  pecuniarie  e,
nei  casi  di  maggiore  gravita'  o  di  recidiva,   con   «sanzioni
alternative alla detenzione».  Ne',  d'altro  canto,  la  preclusione
della sospensione condizionale potrebbe essere considerata  come  una
sorta di  «effetto  compensativo»  della  predetta  sostituzione.  Un
simile assunto risulterebbe smentito dalle previsioni della legge  n.
689 del 1981, che,  nell'introdurre  un  meccanismo  di  sostituzione
delle pene detentive brevi, ha lasciato comunque al giudice il potere
di sospendere condizionalmente la pena sostitutiva,  come  si  desume
dal gia' citato art. 57, terzo comma, di detta legge. 
    Con la norma censurata il legislatore delegato ha reso,  inoltre,
inoperante anche la previsione dell'art. 165 cod. pen., che  consente
al giudice di subordinare la sospensione della  pena  all'adempimento
degli obblighi restitutori, risarcitori o riparatori entro un termine
determinato.  Anche  tale  effetto  si  porrebbe   in   rapporto   di
discontinuita' con i principi  e  i  criteri  direttivi  della  legge
delega, intesi viceversa a valorizzare il piu' possibile le  condotte
riparatorie o risarcitorie dell'imputato (art. 17, comma  1,  lettera
h, della legge n. 468 del 1999). 
    2.- Si e' costituita M.T.L., imputata appellante nel  giudizio  a
quo,   la   quale   -   associandosi   alle   argomentazioni   svolte
nell'ordinanza di rimessione - ha  chiesto  che  la  questione  venga
accolta. 
    3.- E' intervenuto, altresi', il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. 
    La difesa dello Stato rileva come la Corte  costituzionale  abbia
reiteratamente evidenziato che  il  procedimento  penale  dinanzi  al
giudice  di  pace  rappresenta  un  modello  di   giurisdizione   non
comparabile con il  procedimento  penale  dinanzi  al  tribunale,  in
quanto  improntato  a  connotati  di  snellezza,  semplificazione   e
rapidita' tali  da  giustificare  sensibili  deviazioni  rispetto  al
modello ordinario. 
    Il d.lgs. n. 274 del 2000 devolve alla competenza del giudice  di
pace reati espressivi di conflitti  a  carattere  interpersonale,  in
relazione ai quali appare preminente la  finalita'  conciliativa:  il
che giustificherebbe la  previsione  dell'estinzione  del  reato  per
effetto di condotte riparatorie e la predisposizione di  un  autonomo
apparato sanzionatorio, dal quale e' bandita la  pena  detentiva.  In
tale contesto  normativo,  nel  quale  l'irrogazione  della  sanzione
dovrebbe costituire un esito eccezionale, conseguente  all'insuccesso
dei diversi meccanismi volti a favorire la definizione anticipata del
giudizio, la norma sottoposta  a  scrutinio  risulterebbe  del  tutto
ragionevole, in quanto preordinata a munire la sanzione irrogata  dal
giudice  di   pace   dell'effettivita'   necessaria   ad   assicurare
l'assolvimento della  sua  funzione  di  prevenzione  generale  e  di
stimolo alla composizione del conflitto. 
    La disposizione denunciata non violerebbe neppure l'art. 76 Cost.
La scelta di escludere la sospensione condizionale  della  pena,  pur
nel silenzio della  legge  delega  sul  punto,  non  potrebbe  essere
ritenuta in contrasto con gli  indirizzi  generali  di  quest'ultima,
laddove collocata all'interno del sottosistema penale, sostanziale  e
processuale, disegnato dal d.lgs. n.  274  del  2000,  nel  quale  il
divieto considerato risulterebbe funzionale a favorire la definizione
anticipata o bonaria del processo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  di   Grosseto   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 60 del decreto legislativo 28  agosto  2000,
n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a
norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n.  468),  nella
parte in cui non consente di applicare le disposizioni  di  cui  agli
artt. 163 e seguenti del codice  penale,  relative  alla  sospensione
condizionale della pena, nei casi di condanna a pena  pecuniaria  per
reati di competenza del giudice di pace, neppure quando il  beneficio
sia stato invocato dalla difesa. 
    Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe l'art.
3 Cost., determinando una ingiustificata  disparita'  di  trattamento
tra i reati di competenza del giudice di pace e quelli di  competenza
del tribunale in composizione monocratica, egualmente puniti con pena
pecuniaria. 
    Violerebbe, altresi', l'art. 76 Cost., per eccesso di delega.  La
scelta operata dal Governo, infatti, non solo non troverebbe espressi
agganci  nella  legge  di  delegazione  24  novembre  1999,  n.   468
(Modifiche alla legge 21 novembre 1991, n. 374,  recante  istituzione
del giudice di pace. Delega  al  Governo  in  materia  di  competenza
penale del giudice di pace e modifica dell'articolo 593 del codice di
procedura penale)  -  alla  quale  resta  estraneo  ogni  riferimento
all'istituto della  sospensione  condizionale  della  pena  -  ma  si
porrebbe, altresi', in rapporto di «discontinuita'» con i principi  e
criteri direttivi enunciati da detta legge, intesi,  da  un  lato,  a
prefigurare una disciplina sanzionatoria dei  reati  attribuiti  alla
competenza del giudice di pace di segno piu' favorevole  per  il  reo
(art. 16) e, dall'altro, a  valorizzare  le  condotte  riparatorie  e
risarcitorie dell'imputato (art. 17, comma 1, lettera  h),  viceversa
svilite dall'impossibilita' di subordinare  ad  esse  la  sospensione
condizionale della pena, ai sensi dell'art. 165 cod. pen. 
    2.- La questione non e' fondata. 
    3.- Quanto alla censura di violazione dell'art. 76  Cost.  -  che
merita di essere esaminata prioritariamente, in quanto incidente  sul
piano delle fonti - la giurisprudenza di questa Corte e' costante nel
ritenere che la delega legislativa non esclude ogni  discrezionalita'
del legislatore delegato, la quale puo' essere piu' o meno ampia,  in
relazione al grado di specificita' dei criteri  fissati  nella  legge
delega: pertanto, per valutare se il legislatore  abbia  ecceduto  da
tali margini di discrezionalita', occorre individuare la ratio  della
delega, per verificare se la norma delegata sia con  questa  coerente
(ex plurimis, sentenze n. 119 del 2013, n. 272 del 2012, n.  293  del
2010 e n. 98 del 2008). 
    In particolare, l'art. 76 Cost.  non  impedisce  l'emanazione  di
norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un
completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante (tra le
molte, sentenza n. 426 del 2006, ordinanza n. 73 del 2012), dovendosi
escludere che la funzione del legislatore delegato  sia  limitata  ad
una mera scansione linguistica delle previsioni stabilite  dal  primo
(sentenze n. 230 del 2010 e n. 98 del 2008). Di conseguenza,  neppure
il silenzio del  legislatore  delegante  sullo  specifico  tema  puo'
impedire, a certe  condizioni,  l'adozione  di  norme  da  parte  del
delegato (sentenza n. 134 del  2013),  trattandosi  in  tal  caso  di
verificare che le scelte di quest'ultimo non siano in  contrasto  con
gli indirizzi generali della stessa legge delega (sentenza n. 272 del
2012). 
    Di tali principi la Corte ha gia' fatto applicazione in  rapporto
ad altre disposizioni del d.lgs. n. 274 del  2000,  regolativo  della
competenza penale del giudice di pace, escludendo, sulla loro base, i
denunciati vizi di eccesso di delega. Cio' e' avvenuto, tra  l'altro,
con riguardo alla norma che esclude la possibilita' di far ricorso ai
riti alternativi (e, in particolare, all'applicazione della  pena  su
richiesta delle parti) nel procedimento davanti al  giudice  onorario
(art. 2): norma che, al pari di quella oggi sottoposta  a  scrutinio,
non rinviene un fondamento espresso nei criteri  di  delega,  silenti
sull'argomento (ordinanze n. 312 e n. 228 del 2005). 
    4.- Per quanto  attiene  piu'  specificamente  all'odierno  thema
decidendum, occorre muovere dalla  considerazione  che  il  censurato
art. 60 - nello stabilire che «Le disposizioni di cui  agli  articoli
163  e  seguenti  del  codice  penale,  relative   alla   sospensione
condizionale della pena, non si  applicano  alle  pene  irrogate  dal
giudice  di  pace»  -  recepisce  una  indicazione  formulata   dalla
Commissione giustizia del Senato in sede di  espressione  del  parere
sullo schema preliminare di decreto  delegato  (atto  del  25  luglio
2000). A sostegno di tale  indicazione,  la  Commissione  aveva,  tra
l'altro, richiamato i lavori  parlamentari  relativi  alla  legge  di
delegazione n. 468 del 1999, rimarcando come nel corso di essi  fosse
stato «piu'  volte  espresso  il  convincimento,  anche  se  non  poi
tradotto in espliciti enunciati  normativi,  che  il  diritto  penale
affidato al giudice di  pace  dovesse  essere  "un  diritto  mite  ma
effettivo"; e che proprio  la  rinuncia  alla  pena  detentiva  e  il
notevole  spazio  e   l'ampio   sforzo   dedicati   a   funzioni   di
ricomposizione sociale giustificassero appieno  l'effettivita'  delle
sanzioni alle quali il giudice  di  pace  dovesse  determinarsi,  una
volta falliti gli strumenti di conciliazione o di riparazione»  (alla
linea del «diritto mite ma effettivo» aveva  fatto,  in  particolare,
riferimento il relatore nella seduta del Senato della Repubblica  del
29 settembre 1999, in sede di  approvazione  definitiva  della  legge
delega). 
    E' significativo come anche la Commissione giustizia della Camera
dei deputati  -  pur  formulando  un  suggerimento  diverso  -  abbia
mostrato comunque di ritenere che, nonostante il silenzio della legge
delega sullo specifico tema, l'adozione di una disciplina  limitativa
della sospensione condizionale rientrasse nell'ambito delle possibili
opzioni del legislatore  delegato.  Nell'esprimere  il  parere  sullo
schema preliminare (atto del 27 luglio 2000), detta Commissione aveva
invitato, infatti, il Governo, se pure non ad escludere del tutto  il
beneficio, ad  introdurre  speciali  limiti  alla  sua  fruizione  in
rapporto alle  pene  inflitte  dal  giudice  onorario:  da  un  lato,
subordinando   la    sospensione    condizionale    alla    richiesta
dell'imputato;  dall'altro,  rendendola   inapplicabile   alle   pene
pecuniarie per la parte non eccedente un milione di lire. 
    5.- Conformemente all'avviso espresso dalla Commissione giustizia
del Senato, d'altro canto, il divieto censurato si presenta  coerente
con l'impianto complessivo della giurisdizione penale del giudice  di
pace, quale delineato dalla legge delega e, in  attuazione  di  essa,
dal decreto delegato. 
    Il giudice di pace e' stato chiamato,  infatti,  a  conoscere  di
reati di ridotta gravita', espressivi,  per  lo  piu',  di  conflitti
interpersonali a carattere privato (art. 15 della legge  n.  468  del
1999, art. 4 del  d.lgs.  n.  274  del  2000):  reati  dei  quali  la
giurisdizione ordinaria non era spesso  in  grado  di  occuparsi  con
sufficiente  tempestivita'  ed  efficacia,  dando   cosi'   luogo   a
situazioni  obiettive  di   denegata   giustizia,   suscettibili   di
incentivare, per un verso, il ricorso a forme di illecita  autotutela
privata  e  di  ingenerare,  per  altro  verso,  una  convinzione  di
impunita'. 
    In ordine a tali reati, e' stato configurato un nuovo e  autonomo
assetto  sanzionatorio,  nel  segno  della  complessiva   mitigazione
dell'afflittivita',  lungo  le  tre  linee  direttrici  della  totale
rinuncia alla pena detentiva, della centralita' della pena pecuniaria
e del ricorso, nei  casi  di  maggiore  gravita'  o  di  recidiva,  a
speciali  sanzioni   "paradetentive",   limitative   della   liberta'
personale, ma comunque  nettamente  distinte  dalle  pene  carcerarie
(permanenza domiciliare e lavoro  sostitutivo)  (art.  16,  comma  1,
lettera a, della legge n. 468 del  1999):  sanzioni  che  il  decreto
delegato ha reso particolarmente "flessibili", in una prospettiva  di
salvaguardia delle esigenze familiari, di  lavoro,  di  studio  e  di
salute del condannato (artt. 53 e 54 del d.lgs. n. 274 del 2000). 
    Delle condanne per reati di competenza del giudice di pace non si
fa, inoltre, mai menzione nei certificati del  casellario  giudiziale
rilasciati su richiesta dei privati e le relative iscrizioni  vengono
automaticamente eliminate decorsi cinque o dieci anni, a seconda  che
si tratti di condanna a pena pecuniaria o "paradetentiva"  [art.  17,
comma 1, lettera p, della legge n. 468 del 1999; artt. 45  e  46  del
d.lgs. n. 274 del 2000, successivamente trasfusi negli artt. 5, comma
2, lettere g e h, e 24, comma  1,  lettere  i  e  l,  del  d.P.R.  14
novembre 2002, n. 313, recante il  «Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia di casellario  giudiziale,  di
anagrafe delle sanzioni amministrative  dipendenti  da  reato  e  dei
relativi carichi pendenti. (Testo A)»]. 
    A cio' si e' accompagnata la previsione  di  un  rito  orientato,
piu' che alla repressione del conflitto sotteso al  singolo  episodio
criminoso, alla sua composizione, oltre che a  finalita'  deflattive.
Depurata "a monte" la giurisdizione  penale  onoraria  delle  vicende
"bagatellari",    tramite    l'istituto     dell'esclusione     della
procedibilita' nei casi di «particolare tenuita' del fatto» (art. 17,
comma 1, lettera f, della legge n. 468 del 1999, art. 34  del  d.lgs.
n. 274 del 2000), si e' imposto, per il resto, al giudice di  tentare
la conciliazione delle parti, ove il reato sia perseguibile a querela
(come lo e' il reato  di  ingiuria,  per  il  quale  si  procede  nel
giudizio a quo), in modo da propiziarne la remissione (art. 17, comma
1, lettera g, della legge n. 468 del 1999,  art.  29,  comma  4,  del
d.lgs. n. 274 del 2000), e si e' previsto, inoltre, che  le  condotte
riparatorie o risarcitorie dell'imputato  siano  atte  a  determinare
l'estinzione del reato (art. 17, comma 1, lettera h, della  legge  n.
468 del 1999, art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000). 
    In  siffatto  contesto  -  come  si  evidenzia  nella   relazione
governativa al d.lgs. n. 274 del 2000  -  il  divieto  sancito  dalla
norma denunciata  risulta  funzionale  ad  evitare  che  le  sanzioni
applicabili dal giudice  di  pace  restino  prive  di  ogni  concreta
attitudine dissuasiva e, con essa, anche della capacita'  di  fungere
da stimolo alla collaborazione con l'opera di mediazione del  giudice
e, amplius, alla  composizione  del  conflitto.  A  questo  fine,  e'
apparso infatti  necessario  che,  nei  casi  in  cui  -  in  ragione
dell'insuccesso dei diversi  "filtri"  conciliativo-deflattivi  -  si
pervenga  all'irrogazione  della  sanzione,  questa,  pur  nella  sua
"mitezza", sia pero' effettivamente  eseguita,  e  non  resti  invece
neutralizzata - piu' o meno immancabilmente, in assenza di precedenti
penali  ostativi   del   condannato   -   dall'istituto   sospensivo:
prospettiva nella quale - tenuto conto anche dell'evidenziato  regime
delle iscrizioni nel casellario - il microsistema penale, sostanziale
e processuale, del giudice onorario rischierebbe di risultare carente
di incisivita'. 
    Il divieto censurato  non  collide,  dunque,  con  gli  indirizzi
generali della legge delega - come sostiene il giudice a quo - ma  si
colloca in linea di continuita' e  di  complementarita'  rispetto  ad
essi. 
    6.- Considerazioni  analoghe  a  quelle  ora  svolte  valgono  ad
escludere anche la denunciata violazione dell'art. 3 Cost. 
    Questa Corte ha reiteratamente  affermato  che  la  giurisdizione
penale  del  giudice  di  pace  presenta  caratteristiche  peculiari,
esprimendosi in un  modulo  processuale  improntato  a  finalita'  di
snellezza,  semplificazione  e  rapidita',  tali  da   renderlo   non
comparabile  con  il  procedimento  davanti   al   tribunale   e   da
giustificare  comunque  sensibili  deviazioni  rispetto  al   modello
ordinario (ex plurimis, sentenze n. 64 del 2009 e n.  298  del  2008;
ordinanze n. 56 e n. 32 del 2010, n. 28 del 2007). 
    Il ragionamento puo' estendersi,  mutatis  mutandis,  alla  norma
oggi in esame, che ha carattere sostanziale. 
    La simmetria  tra  la  pena  pecuniaria  inflitta  per  reati  di
competenza del giudice di pace, non sospendibile, e  quella  inflitta
per reati attribuiti alla competenza del tribunale, che  puo'  essere
invece sospesa, e' in effetti solo "formale".  Il  divieto  censurato
non puo' essere  valutato  isolatamente,  senza  tenere  conto  delle
connotazioni  complessive  del  "microcosmo  punitivo"  in   cui   si
inserisce e da cui ripete la  propria  giustificazione,  come  questa
Corte ha, del  resto,  gia'  segnalato  -  sia  pure  nell'ambito  di
pronunce di manifesta  inammissibilita'  per  ragioni  processuali  -
nelle due precedenti occasioni nelle quali le e' stata sottoposta, in
riferimento  all'art.  3  Cost.,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale della norma oggi denunciata (ordinanze n. 370 del 2004
e n. 290 del 2003). 
    I tratti  d'assieme  dell'apparato  sanzionatorio  dei  reati  di
competenza del giudice di pace,  composto  da  sanzioni  con  modesto
tasso di afflittivita' e carenti di effetti  desocializzanti,  da  un
lato; le peculiari coordinate del procedimento  all'esito  del  quale
dette  sanzioni  sono  applicate,  volte  a  privilegiare   soluzioni
deflattive e  conciliative,  anziche'  repressive,  dall'altro:  sono
questi  gli  elementi  che  -  alla  luce   della   funzione   dianzi
evidenziata, intesa a dar corpo alla seconda  meta'  della  direttiva
del «diritto mite ma  effettivo»  -  impediscono  di  scorgere  nella
preclusione denunciata un vulnus al principio di eguaglianza. 
    La validita' della conclusione non e' inficiata  dagli  argomenti
posti in campo dal giudice rimettente: e cosi', in particolare, dalla
circostanza che il giudice di pace possa trovarsi ad infliggere  pene
pecuniarie piu' gravi, per specie o quantita', di quelle irrogate dal
tribunale nei processi  per  determinati  tipi  di  reato  (quali  le
contravvenzioni  punibili  con  sola  ammenda);  o   che   l'istituto
dell'esclusione della procedibilita' nei casi di particolare tenuita'
del  fatto  possa  rimanere  inoperante  per  carenza  dei   relativi
presupposti, e segnatamente di quelli correlati  all'interesse  della
persona offesa; o, ancora, che particolari cause  di  estinzione  del
reato o di non punibilita', collegate alla riparazione  post  factum,
siano previste anche in rapporto a taluni  reati  di  competenza  del
tribunale in forza di speciali disposizioni di legge, senza che  cio'
impedisca l'applicazione dell'istituto sospensivo. 
    Quello che conta, ai presenti fini, non e'  la  correlazione  del
divieto della sospensione  condizionale  con  le  singole  componenti
della costellazione punitiva, sostanziale e processuale, del  giudice
di pace, isolatamente considerate, quanto piuttosto il fatto che esso
si  inserisce  in  un  sistema  diversamente  strutturato   nel   suo
complesso:  sistema  con  il  quale,  per  quanto  detto,  la  scelta
legislativa di privilegiare l'effettivita'  della  pena  -  allorche'
alla  sua  irrogazione   si   pervenga   -   puo'   essere   ritenuta
ragionevolmente coerente. 
    In questa prospettiva, neppure giova il richiamo  del  rimettente
agli effetti,  in  tesi,  ingiustamente  afflittivi  che  il  divieto
censurato sarebbe suscettibile di produrre, allorche' la  sospensione
condizionale venga richiesta - come nel caso di specie -  da  persona
che assume di non essere in grado di provvedere  al  pagamento  della
pena pecuniaria inflittale e che tema, percio',  di  incorrere  nella
sua conversione per insolvibilita' (art. 55 del  d.lgs.  n.  274  del
2000). Anche tale effetto negativo non puo' essere, infatti, ritenuto
irragionevolmente discriminatorio, alla luce del sistema  in  cui  si
colloca. 
    7.- La questione va dichiarata, pertanto, non fondata in rapporto
ad entrambi i parametri evocati. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art.  60  del  decreto  legislativo  28  agosto  2000,  n.   274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione,  dal  Tribunale  di
Grosseto con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                   Massimiliano BONI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2014. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Massimiliano BONI