N. 50 SENTENZA 10 - 14 marzo 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Locazione di immobili urbani - Disciplina dei contratti di  locazione
  ad uso abitativo non registrati entro il  termine  stabilito  dalla
  legge,  ovvero  registrati  per  un  importo  inferiore  a   quello
  effettivo, e dei contratti di comodato fittizio registrati. 
- Decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni  in  materia
  di federalismo Fiscale Municipale), art. 3, commi 8 e 9. 
-   
(GU n.13 del 19-3-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 8 e
9, del decreto legislativo 14 marzo  2011,  n.  23  (Disposizioni  in
materia di federalismo Fiscale Municipale), promossi dal Tribunale di
Salerno con ordinanza del 29 marzo 2012, dal Tribunale di Palermo con
ordinanza  del  15  novembre  2012,  dal  Tribunale  di  Firenze  con
ordinanza del 15 gennaio 2013, dal Tribunale di Genova con  ordinanza
del 30 gennaio 2013 e dal Tribunale di Roma,  sezione  distaccata  di
Ostia con ordinanza del 7 maggio 2013, rispettivamente iscritte al n.
206 del registro ordinanze 2012 e ai numeri 49, 78,  169  e  225  del
registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2012 e  numeri  12,
17, 29 e 43, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2014  il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale di Salerno solleva - in riferimento  agli  artt.
3, 42, 55 e 76 della Costituzione, nonche' in relazione agli artt. 2,
comma 2, 11, 12, 13, 21 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega
al  Governo  in  materia  di  federalismo  fiscale,   in   attuazione
dell'articolo 119 della Costituzione)  -  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto  legislativo  14
marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in  materia  di  federalismo  Fiscale
Municipale). 
    Premette il giudice a  quo  di  essere  stato  investito  da  una
domanda con la quale la locatrice di un  immobile  destinato  ad  uso
abitativo ha convenuto in giudizio la conduttrice  per  la  convalida
dello sfratto per morosita'  intimato  alla  medesima;  domanda  alla
quale l'intimata  si  era  opposta  deducendo  che  il  contratto  di
locazione, in vigore dal 1° febbraio 2011, era  stato  registrato  in
ritardo a cura della stessa  conduttrice  in  data  5  ottobre  2011.
Conseguentemente, a norma dell'art. 3 del d.lgs. n. 23 del  2011,  il
canone da lei dovuto era pari ad euro 223,80 mensili - di gran  lunga
inferiore a quello convenuto in euro 950 mensili -  a  far  data  dal
bimestre ottobre-novembre 2011, mentre per i mesi precedenti non  era
dovuto alcun canone, in quanto il  contratto  non  registrato  doveva
considerarsi nullo. L'intimante, a sua volta, chiedeva  disapplicarsi
l'evocata normativa per manifesta illegittimita', chiedendo  altresi'
l'emissione di ordinanza provvisoria di rilascio. 
    A fronte dei petita prospettati dalle parti, il Tribunale  rileva
che la normativa posta a base della  controversia  presenti  numerosi
profili di  illegittimita'  costituzionale.  Sussisterebbe,  infatti,
anzitutto, un difetto di delega, in quanto la richiamata legge-delega
n.  42  del  2009  non  conterrebbe  criteri  direttivi  che  possano
giustificare l'adozione, in  sede  di  legislazione  delegata,  delle
sanzioni  oggetto  di  censura.  Peraltro,  sostituendosi  il  canone
pattuito con la irrisoria misura stabilita ex lege, si determinerebbe
una riduzione  del  gettito  fiscale  IRPEF,  in  contrasto  con  gli
obiettivi tracciati dalla stessa legge di delegazione. Si  creerebbe,
al tempo  stesso,  un'irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra
conduttore e locatore, dal momento che - pur incombendo l'obbligo  di
registrazione  del  contratto  su  entrambi  -  la  sanzione  sarebbe
inflitta soltanto al locatore, mentre il conduttore beneficerebbe  di
una riduzione del canone. 
    Sarebbero violati anche gli artt. 55 e 42  Cost.,  in  quanto  le
sanzioni fiscali non possono comprimere oltre ogni limite il  diritto
di proprieta' attraverso  misure  che,  come  quelle  previste  dalla
normativa impugnata, si presentano sproporzionate e limitative  della
autonomia contrattuale, per  di  piu'  in  assenza  di  un  interesse
pubblico, dal momento che dopo l'avvenuta registrazione  tardiva  del
contratto, e' gia' stato effettuato il pagamento  della  sovraimposta
dovuta per il ritardo. 
    La norma censurata, infatti, manterrebbe in vita un contratto che
il  locatore  non  avrebbe  mai  sottoscritto  a  quelle  condizioni,
costringendolo a sopportare un canone  irrisorio  per  la  potenziale
durata di otto anni (quattro piu'  quattro).  Il  tutto  in  evidente
contrasto con l'art. 1419 del codice civile, a  norma  del  quale  la
nullita' parziale non travolge l'intero contratto solo se risulti che
i contraenti lo avrebbero comunque  concluso  anche  senza  la  parte
nulla: evenienza, questa, che evidentemente non ricorre. 
    2.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri, rappresentato e  difeso  dalla  Avvocatura  generale  dello
Stato, la quale  ha  chiesto  dichiararsi  inammissibile  e  comunque
infondata la proposta questione. 
    A  proposito  del  preteso  difetto   di   delega,   l'Avvocatura
sottolinea come il disegno tracciato dalla legge n. 42 del 2009 fosse
orientato verso l'approntamento  di  «piu'  stringenti  strumenti  di
contrasto all'evasione»: il che, specie nel quadro di un  complessivo
riassetto della materia e del coinvolgimento degli enti  locali,  non
puo' non comprendere anche «la conseguente correlata possibilita'  di
determinare le sanzioni conseguenti all'inadempimento fiscale». 
    Si sottolinea anche come  la  materia  delle  locazioni  sia  tra
quelle piu' esposte  all'evasione  fiscale,  considerata  la  diffusa
prassi delle cosiddette locazioni "in nero". In tale  prospettiva  si
giustifica il  regime  di  favore  per  il  locatore,  attraverso  la
previsione  della  cosiddetta  cedolare  secca.  Il  locatore   puo',
infatti, optare, all'atto della  stipula  del  contratto,  o  per  il
regime ordinario o per l'applicazione di una aliquota fissa  del  21%
sul canone, sostitutivo anche della imposta di registro e  di  bollo.
Meccanismo, questo, che, in presenza di  redditi  alti,  comporta  un
beneficio fiscale, con correlativa diminuzione  del  gettito  per  lo
Stato, compensato, pero', dalla emersione dell'evasione. 
    Con le previsioni oggetto di censura, il legislatore -  adottando
la politica del  conflitto  di  interessi  tra  le  parti,  cosicche'
l'interesse  all'evasione  dell'una   sia   compensato   dall'opposto
interesse dell'altra - ha inteso premiare il conduttore in modo  tale
da indurre il locatore ad effettuare tempestivamente la registrazione
del  contratto  e  a  non  mantenere  il  rapporto  "al   nero".   Si
tratterebbe, dunque, di un meccanismo particolarmente severo, ma  che
adempie alle sue funzioni, come sarebbe dimostrato proprio  dal  caso
di specie. La disciplina in esame sarebbe efficace,  funzionale  agli
interessi del fisco, e non irragionevole. 
    Il parametro dell'art. 55 Cost. sarebbe poi inconferente,  mentre
risulterebbe improprio il richiamo all'art. 1419 cod. civ., in quanto
norma non di rango costituzionale. 
    Quanto alla pretesa violazione dell'art. 42 Cost. la difesa dello
Stato sottolinea la funzione  sociale  della  proprieta'  in  stretto
raccordo con l'art. 2 della Carta fondamentale, che impone a tutti  i
cittadini l'adempimento degli  inderogabili  doveri  di  solidarieta'
economica e sociale, che ben possono giustificare limiti  al  diritto
di proprieta' a fronte di interessi pubblici meritevoli di tutela. 
    3.- Identica questione dell'art. 3, commi  8  e  9,  del  decreto
legislativo n. 23 del 2011 e' sollevata - in riferimento  agli  artt.
3, 23, 42, 53, 70, 76, 97 Cost. e in relazione agli artt. 2, comma 2,
11, 12, 13, 21 e 26 della ricordata legge n.  42  del  2009,  nonche'
agli artt. 6, comma 2, e 10  della  legge  27  luglio  2000,  n.  212
(Disposizioni in materia di statuto dei diritti del  contribuente)  -
pure dal Tribunale di Palermo, chiamato anch'esso a  pronunciarsi  su
una azione di sfratto per morosita' a fronte della quale gli intimati
opponevano l'omessa tempestiva registrazione del contratto  cui  essi
stessi avevano  poi  provveduto,  corrispondendo  alla  locatrice  il
canone rideterminato a norma del comma 8 dell'art. 3 denunciato. 
    Il giudice rimettente deduce l'assenza, nella legge di delega  n.
42 del 2009, di principi o  criteri  direttivi  che  abilitassero  il
Governo ad adottare le  misure  oggetto  di  censura,  sottolineando,
anzi, come le  disposizioni  censurate  tradiscano  gli  intendimenti
della  delega,  «sostituendo  al  canone  pattuito   dai   contraenti
l'irrisorio importo commisurato al triplo della rendita  catastale  e
riducendo in tal modo la base imponibile del  tributo  persino  nelle
ipotesi in cui sia stato registrato un contratto di locazione per  un
canone inferiore a quello effettivo, ma pur sempre superiore a quello
"sostitutivo"»; in tal modo riducendo il  gettito  della  imposta  di
registro e di quelle sul reddito. 
    Inoltre, si ravvisa un contrasto con l'art. 2, comma  2,  lettera
c), della legge di  delega,  che  impone  il  rispetto  dei  principi
sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente, il quale  esclude
che la violazione di norme tributarie possa determinare  la  nullita'
del  contratto,  che  invece  scaturisce   con   il   meccanismo   di
sostituzione ex lege oggetto di censura, per di piu'  in  assenza  di
qualsiasi contestazione, pur prevista dallo stesso statuto. 
    Violato sarebbe anche l'art. 42 Cost., in quanto  il  diritto  di
proprieta' sarebbe sacrificato attraverso  l'imposizione  per  almeno
quattro  anni,  prorogabili,  in  determinate  condizioni,  di  altri
quattro, di una locazione ad un canone irrisorio. 
    Si lamenta anche la  violazione  dell'art.  3  Cost.,  sotto  due
profili.  Da  un  lato,  infatti,  la  disciplina  in  questione   si
applicherebbe solo ai contratti di locazione per uso abitativo e  non
a quelli per uso  commerciale,  pur  essendo  identici  gli  obblighi
tributari e l'esigenza di contrastare l'evasione.  D'altro  lato,  il
meccanismo  censurato  risulterebbe  premiale  per  i  conduttori   e
punitivo  per  i  locatori,  generando  una  vistosa  disparita'   di
trattamento  fra  le  parti  pur  ugualmente  obbligate   sul   piano
tributario;  e  cio'  in  particolare  quando  la  registrazione  sia
avvenuta d'ufficio, e non su «delazione» del conduttore. 
    Inoltre, il fatto che il comma 9 denunciato estenda la disciplina
in questione anche  all'ipotesi  di  simulazione  relativa  determina
l'equiparazione  fra  situazioni  differenti  (evasione   totale   ed
evasione  parziale),  «riducendo  cosi'  l'entrata   tributaria   con
nocumento per l'Erario e avvantaggiando il solo conduttore». 
    4.- Anche in questo giudizio e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura
generale  dello  Stato,  la  quale  ha  sviluppato  argomentazioni  e
rassegnato conclusioni identiche a quelle di cui si e' gia' detto. 
    5.- Del tutto analoghe sono le censure proposte all'art. 3, comma
8, lettera c), del decreto legislativo n. 23 del 2011- in riferimento
all'art. 76 Cost. e in relazione agli artt. 2, comma 2, 11,  12,  13,
21 e 26 della richiamata legge n. 42 del  2009  -  dal  Tribunale  di
Firenze, chiamato anch'esso a pronunciarsi su una azione  di  sfratto
per morosita' alla quale il conduttore si  e'  opposto  deducendo  la
tardivita' della registrazione del  contratto  ed  il  pagamento  del
canone nella misura determinata ex lege. 
    La censura e' specificamente diretta, in riferimento al  predetto
parametro, sul rilievo che solo questa previsione inciderebbe ai fini
della risoluzione della  controversia.  Infatti,  «la  riduzione  del
canone operata dal conduttore a partire dalla registrazione (tardiva)
incide per la sussistenza, consistenza e gravita'  dell'inadempimento
dedotto come risolutivo ed anche per la domanda  di  pagamento  delle
differenze tra il pattuito ed il versato, formulata in  giudizio  dai
locatori». 
    Disattesa, dunque,  parzialmente  l'eccezione  di  illegittimita'
costituzionale sollevata dalla parte attrice,  il  rimettente  reputa
fondato il dubbio di legittimita' costituzionale  in  riferimento  al
difetto di  delega.  Scandagliata,  infatti,  la  ratio  della  norma
introdotta dal legislatore delegato e sottolineato come la  legge  di
delega abbia imposto il rispetto dei principi affermati nello statuto
dei diritti del contribuente -  il  quale  espressamente  prevede,  a
tutela dell'affidamento e della buona  fede,  che  le  violazioni  di
disposizioni esclusivamente tributarie  non  possono  determinare  la
nullita'  del  negozio  privato  -,  si  osserva  che  la  disciplina
censurata  non  rinvenga  nella   legge   di   delega   alcuna   base
giustificativa.  L'introduzione  di  un  meccanismo  di  sostituzione
legislativa della volonta' contrattuale a titolo di sanzione per  una
parte e di premio per l'altra,  al  fine  di  scoraggiare  l'evasione
fiscale, si tradurrebbe, infatti, in una «sorta di "sanzione civile"»
corrispondente ad una «nullita'/inefficacia del patto  relativo  alla
misura del canone», con effetti  per  di  piu'  irrazionali:  non  si
comprende, infatti, il motivo per il quale, se l'ambito della  delega
e'  quello  del  contrasto  all'evasione  fiscale,  la   disposizione
censurata valga solo per le  locazioni  abitative  e  non  anche  per
quelle «non abitative e parimenti rilevanti fiscalmente». 
    6.- E' stato depositato, da parte dell'Avvocatura generale  dello
Stato, atto  di  intervento  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, di contenuto identico a quello di cui innanzi si e' detto. 
    7.- Pure il Tribunale di Genova  dubita  -  in  riferimento  agli
artt. 3 e 76 Cost. e in relazione agli artt. 2, comma 2, 11, 12,  13,
21 e 26 della legge n. 42 del 2009  nonche'  all'art.  10,  comma  3,
della legge n. 212  del  2000  -  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23 del 2011. 
    Analizzata la rilevanza della questione in  rapporto  all'oggetto
del contenzioso tra le parti, il Giudice a  quo  sottolinea  come  da
nessuna delle disposizioni della legge  di  delega  n.  42  del  2009
emergano  principi  atti  a  legittimare  l'adozione  del   peculiare
meccanismo sanzionatorio oggetto di censura: meccanismo  che  prevede
la nullita' del contratto di locazione anche  nei  casi  in  cui  nel
contratto registrato sia stato indicato un canone inferiore a  quello
effettivo o sia stato registrato un contratto di comodato fittizio, e
che introduce una sostituzione ex lege, in  caso  di  non  tempestiva
registrazione,   quanto   alla   durata   del   contratto   ed   alla
determinazione del canone rispetto a quanto pattuito. 
    La legge di delega sarebbe violata anche nella parte  in  cui  e'
stato previsto che i relativi decreti legislativi  fossero  informati
ai principi sanciti dallo statuto dei diritti  del  contribuente,  il
quale  a  sua  volta  stabilisce  che  le   violazioni   di   rilievo
esclusivamente tributario non possono essere causa  di  nullita'  del
contratto. 
    Si ravvisa anche una violazione dell'art. 3  Cost.,  dal  momento
che, essendo le  sanzioni  volte  a  circoscrivere  l'evasione  delle
imposte sui redditi, e' irragionevole che  le  stesse  si  applichino
solo alle locazioni per uso abitativo. Sussisterebbe, poi, anche  una
irragionevole disparita' di trattamento tra locatore e conduttore, in
quanto, malgrado siano entrambi obbligati al pagamento della  imposta
di registro, soltanto il primo sarebbe sanzionato, mentre il  secondo
premiato  con  una  sostituzione  del  canone  pattuito   con   altro
determinato ex lege in misura irrisoria. 
    Sarebbe  inoltre  irragionevole  l'applicazione  delle   medesime
sanzioni sia nel caso di omessa registrazione del  contratto  sia  in
caso di registrazione di un contratto con canone inferiore  a  quello
effettivo, cosi' come in contrasto con lo stesso parametro sarebbe la
riduzione dei canoni, che determinerebbe un gettito inferiore per  le
imposte sui redditi e per quella annuale di registro. 
    8.- Anche il Tribunale di Roma, sezione distaccata di Ostia - pur
non  fornendo  alcuna  descrizione  della  fattispecie  dedotta   nel
giudizio  -,  solleva  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23 del 2011,  per  contrasto  con
gli artt. 3, 41, 42 e 76 Cost., in relazione all'art.  10,  comma  3,
della legge n. 212 del 2000. 
    Rileva il rimettente che la  norma  censurata  costituirebbe  una
sorta di sanzione a carico del locatore  per  la  mancata  tempestiva
registrazione  del  contratto,   che   travolgerebbe   il   principio
consensualistico sostituendo la volonta' contrattuale e  creando  uno
squilibrio  degli  interessi  ed  un  sacrificio  eccessivo  per   la
proprieta' privata e per la libera iniziativa economica; il  tutto  a
discapito  del  locatore  e  con  beneficio  per  il  conduttore,  in
violazione anche del principio generale per il quale le violazioni di
norme tributarie non possono essere causa di nullita' del contratto. 
    Sarebbe violato anche l'art. 76 Cost., «dovendo  demandarsi  agli
enti a cio' deputati il controllo e l'applicazione delle sanzioni per
le violazioni delle disposizioni  in  materia  tributaria  e  per  la
repressione  del  fenomeno   dell'evasione   fiscale,   non   potendo
sostituirsi ad essi la dichiarazione unilaterale di registrazione del
contratto che impone un regime  di  locazione  legale  come  sanzione
prevalentemente    e    sproporzionatamente    punitiva    per     il
proprietario/locatore». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale di Salerno (r.o. n. 206 del 2012), il  Tribunale
di Palermo (r.o. n. 49 del 2013), il Tribunale di Firenze (r.o. n. 78
del 2013), il Tribunale di Genova (r.o. n. 169 del 2013), nonche'  il
Tribunale di Roma, sezione distaccata  di  Ostia  (r.o.  n.  225  del
2013), hanno sollevato - in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 42, 53,
55, 70, 76 e  97  della  Costituzione  -  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto  legislativo  14
marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in  materia  di  federalismo  Fiscale
Municipale),  nella  parte  in  cui  prevedono   un   meccanismo   di
sostituzione sanzionatoria della durata del  contratto  di  locazione
per uso abitativo e di commisurazione del relativo canone in caso  di
mancata registrazione  del  contratto  entro  il  termine  di  legge,
nonche' l'estensione di tale disciplina - e di quella  relativa  alla
nullita' dei contratti di  locazione  non  registrati  -  anche  alle
ipotesi di contratti di locazione  registrati  nei  quali  sia  stato
indicato un importo inferiore a quello effettivo, o di  contratti  di
comodato fittizio registrati. 
    Stabilisce il comma 8 dell'art. 3 del citato d. lgs.  n.  23  del
2011 che, per i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo i
quali, «ricorrendone i presupposti,  non  sono  registrati  entro  il
termine  stabilito  dalla  legge»,  la  disciplina  convenzionalmente
stabilita dalle parti subisce significative  modificazioni.  Infatti,
la durata della locazione viene fissata in quattro anni, a  decorrere
dalla data di registrazione,  volontaria  o  d'ufficio;  al  relativo
rinnovo si applica, poi, la disciplina prevista dall'art. 2, comma 1,
della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del
rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), per  la  quale  il
contratto di locazione viene rinnovato  per  un  periodo  di  quattro
anni, fatti salvi alcuni casi specifici; il canone annuo,  infine,  a
decorrere  dalla  data  della  registrazione  del  contratto,   viene
fissato, salvo che le parti abbiano pattuito  un  canone  di  importo
inferiore, in misura pari al triplo della  rendita  catastale,  oltre
l'adeguamento, dal secondo  anno,  pari  al  75%  dell'aumento  degli
indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed
operai. 
    Stabilisce, a sua volta, il comma  9  dello  stesso  art.  3  che
queste disposizioni - oltre a quelle previste dall'art. 1, comma 346,
della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  legge  finanziaria
2005), che sancisce  la  nullita'  dei  contratti  di  locazione  non
registrati - si applicano anche nei casi in cui: a) nel contratto  di
locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello
effettivo; b) sia stato registrato un contratto di comodato fittizio. 
    Tale disciplina risulterebbe in  contrasto,  anzitutto,  con  gli
artt. 70 e 76 Cost., in riferimento agli artt. 2, comma  2,  11,  12,
13, 21, 25 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega  al  Governo
in materia di federalismo fiscale, in  attuazione  dell'articolo  119
della Costituzione), nonche' in relazione anche agli artt.  6,  comma
2, e 10, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in
materia di statuto dei diritti del contribuente): la citata legge  di
delega n. 42 del 2009, infatti, non soltanto non  avrebbe  introdotto
principi alla  stregua  dei  quali  consentire  l'introduzione  delle
disposizioni oggetto di censura, ma  avrebbe  previsto,  all'art.  2,
comma 2, lettera c), che il  legislatore  delegato  si  attenesse  ai
principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente,  di  cui
alla citata legge n. 212 del 2000: statuto il cui art. 10  stabilisce
che  «le  violazioni  di  disposizioni  di   rilievo   esclusivamente
tributario non possono  essere  causa  di  nullita'  del  contratto»;
mentre l'art. 6 prevede che l'amministrazione finanziaria informi «il
contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza, dai  quali
possa  derivare  il  mancato   riconoscimento   di   un   credito   o
l'irrogazione di una sanzione». 
    I giudici a quibus prospettano anche, sia pure  con  varieta'  di
accenti, il contrasto con gli artt. 3, 41, 42 e 53 Cost.,  in  quanto
le   sanzioni   previste   dalla   normativa   oggetto   di   censura
risulterebbero ingiustificatamente penalizzanti per il locatore,  dal
momento  che  sostituiscono  il  canone   convenzionale   con   altro
determinato ex lege in misura irrisoria, e premiali, invece,  per  il
conduttore, dando anche al  contratto  una  durata  di  quattro  anni
rinnovabile per altri quattro anni. 
    Le disposizioni denunciate, inoltre, sarebbero non  proporzionate
all'inadempimento fiscale dell'omessa registrazione nei termini e non
perseguirebbero un obiettivo di interesse  pubblico,  limitandosi  ad
introdurre solo il predetto meccanismo premiale per il  conduttore  -
con correlativo turbamento del diritto  di  proprieta'  e  di  libera
iniziativa economica - senza generare alcun incremento di entrate per
il fisco.  Riducendosi  il  canone,  si  ridurrebbe,  infatti,  anche
l'ammontare dell'imposta di  registro  oltre  che  il  gettito  delle
imposte dirette. 
    La disciplina  in  esame  creerebbe,  ancora,  una  irragionevole
disparita' di trattamento tra locazioni ad  uso  abitativo  ed  altri
tipi di locazione e si  porrebbe  in  contrasto  con  i  principi  di
autonomia negoziale e con  il  disposto  dell'art.  1419  del  codice
civile, in base al quale il contratto  parzialmente  nullo  e'  fatto
salvo solo ove risulti che le parti lo avrebbero ugualmente concluso. 
    La violazione degli artt. 23 e 97 Cost. non risulta, invece, aver
formato oggetto di una specifica motivazione. 
    2.- Deve preliminarmente rilevarsi che le questioni sollevate  si
riferiscono alle medesime disposizioni, o a disposizioni connesse,  e
che identiche o analoghe risultano le prospettate ragioni di censura. 
    I giudizi vanno pertanto riuniti per essere definiti con un'unica
pronuncia. 
    3.- Ancora in via  preliminare  deve  rilevarsi  che  l'ordinanza
pronunciata dal Tribunale  di  Roma,  sezione  distaccata  di  Ostia,
omettendo completamente di indicare l'oggetto del  procedimento  e  i
termini della domanda proposta al giudice rimettente, risulta carente
nella  descrizione  della  fattispecie  e,  correlativamente,   nella
motivazione  sulla  rilevanza.  Cio'  impedisce  a  questa  Corte  di
procedere al  doveroso  scrutinio  in  ordine  alla  sussistenza  del
necessario nesso di pregiudizialita' tra la questione proposta  e  la
definizione del giudizio principale, rendendo, dunque, manifestamente
inammissibile la questione medesima (ordinanza n. 314 del 2012). 
    4.- La questione proposta  dagli  altri  giudici  rimettenti  e',
invece, fondata, in  particolare  riferimento  al  parametro  di  cui
all'art. 76 Cost., sotto il profilo del difetto di delega. 
    A proposito  dei  rapporti  che  devono  correlare  la  legge  di
delegazione approvata dal Parlamento e il decreto legislativo emanato
dal Governo, questa Corte ha,  in  varie  occasioni,  avuto  modo  di
sottolineare come il sindacato di legittimita'  costituzionale  sulla
delega legislativa si esplichi attraverso un confronto tra gli  esiti
di  due  processi  ermeneutici  paralleli.  Il  primo   riguarda   le
disposizioni che  determinano  l'oggetto,  i  principi  e  i  criteri
direttivi indicati dalla  legge  di  delegazione,  tenuto  conto  del
contesto normativo in cui si collocano e si individuano le ragioni  e
le finalita' relative. Il secondo riguarda le disposizioni  stabilite
dal  legislatore   delegato,   da   interpretarsi   nel   significato
compatibile con i principi e i criteri direttivi della delega. 
    Scaturisce da cio' che, agli  effetti  dell'anzidetto  sindacato,
occorre, da un lato, considerare la ratio complessiva  della  delega,
per individuare gli ineludibili  punti  di  riferimento  e  i  limiti
indicati al legislatore delegato;  dall'altro,  tenere  in  conto  la
possibilita' - intrinseca nello stesso strumento della delega, specie
ove riguardi interi  settori  di  disciplina  o,  comunque,  organici
complessi  normativi  -  che  il   legislatore   delegato   introduca
disposizioni  che   costituiscano   un   coerente   sviluppo   e   un
completamento delle indicazioni fornite  dal  legislatore  delegante,
nel rigoroso ambito dei "confini" stabiliti. 
    Resta  indubbio   che   tale   opera   di   completamento   debba
necessariamente mantenersi nell'alveo delle scelte di  fondo  operate
dal legislatore della delega, senza potersi spingere  «ad  allargarne
l'oggetto, fino a ricomprendervi materie che  ne  erano  escluse.  In
particolare, il  test  di  raffronto  con  la  norma  delegante,  cui
soggiace la norma delegata,  deve  ritenersi  avere  esito  negativo,
quando quest'ultima intercetta un campo di interessi cosi'  connotato
nell'ordinamento, da non poter essere assorbito in campi piu' ampi  e
generici, e da esigere, invece, di essere  autonomamente  individuato
attraverso la delega» (sentenza n. 219 del 2013). 
    Va sottolineato come la giurisprudenza di questa Corte abbia piu'
volte avuto modo di chiarire che, nei casi in cui il Parlamento abbia
ritenuto di delegare al Governo il compito di procedere al  riassetto
di  determinati  settori  normativi,  l'esercizio,   da   parte   del
legislatore delegato, «di poteri innovativi della normazione vigente,
non  strettamente   necessari   in   rapporto   alla   finalita'   di
ricomposizione sistematica perseguita», debba ritenersi  circoscritto
entro limiti rigorosi. Con la conseguenza che, in linea di principio,
«l'introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative  rispetto  al
sistema legislativo previgente» puo' ritenersi ammissibile  «soltanto
nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a
circoscrivere la discrezionalita' del legislatore delegato» (sentenza
n. 80 del 2012, con richiamo della sentenza n. 293 del 2010). 
    5.- Ebbene, alla luce dei richiamati rilievi, emerge con evidenza
che la  disciplina  oggetto  di  censura  -  sotto  numerosi  profili
"rivoluzionaria" sul piano  del  sistema  civilistico  vigente  -  si
presenti del tutto priva di  "copertura"  da  parte  della  legge  di
delegazione: in riferimento sia al  relativo  ambito  oggettivo,  sia
alla sua riconducibilita'  agli  stessi  obiettivi  perseguiti  dalla
delega. 
    Con la legge n. 42 del  2009,  infatti  -  come  emblematicamente
enunciato dalla disposizione programmatica di cui all'art. 1, comma 1
-, il Parlamento ha inteso introdurre «disposizioni volte a stabilire
in via esclusiva i  principi  fondamentali  del  coordinamento  della
finanza  pubblica  e   del   sistema   tributario,   a   disciplinare
l'istituzione  ed  il  funzionamento  del  fondo  perequativo  per  i
territori  con  minore  capacita'  fiscale   per   abitante   nonche'
l'utilizzazione delle  risorse  aggiuntive  e  l'effettuazione  degli
interventi speciali di cui  all'articolo  119,  quinto  comma,  della
Costituzione perseguendo lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella
prospettiva  del  superamento  del  dualismo  economico  del  Paese».
Accanto a cio', l'obiettivo dichiarato e' quello di  disciplinare  «i
principi generali per  l'attribuzione  di  un  proprio  patrimonio  a
comuni, province, citta' metropolitane e  regioni»,  dettando  «norme
transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale». 
    Del tutto coerenti appaiono, quindi, «oggetto e finalita'»  della
delega definiti dall'art. 2 della legge, ove si precisa, appunto, che
l'esercizio della funzione  legislativa  e'  conferito  «al  fine  di
assicurare, attraverso la definizione dei principi  fondamentali  del
coordinamento della finanza pubblica e del sistema  tributario  e  la
definizione della perequazione, l'autonomia  finanziaria  di  comuni,
province,  citta'  metropolitane  e  regioni  nonche'  al   fine   di
armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio dei medesimi
enti e  i  relativi  termini  di  presentazione  e  approvazione,  in
funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione
della finanza pubblica». 
    Si tratta, dunque, di un ambito normativo rispetto  al  quale  il
tema di cui alla disciplina denunciata risulta  del  tutto  estraneo,
essendo questa destinata ad introdurre una determinazione  legale  di
elementi essenziali del  contratto  di  locazione  ad  uso  abitativo
(canone  e  durata),  in  ipotesi  di  ritardata  registrazione   dei
contratti o di simulazione  oggettiva  dei  contratti  medesimi,  pur
previste ed espressamente sanzionate nella disciplina  tributaria  di
settore. 
    La tesi dell'Avvocatura generale, secondo cui un principio  della
delega sarebbe ricavabile  dall'art.  26  della  legge,  in  tema  di
contrasto all'evasione fiscale,  che  -specificando  quanto  previsto
all'art. 2, comma 2, lettera d) -  evoca,  al  comma  1,  lettera  b)
«forme premiali  per  gli  enti  territoriali  che  abbiano  ottenuto
risultati positivi in termini di maggiore gettito» non puo' ritenersi
condivisibile. 
    Il tema della lotta  all'evasione  fiscale,  che  costituisce  un
chiaro obiettivo dell'intervento  normativo  in  discorso,  non  puo'
essere configurato anche come criterio per l'esercizio della  delega:
il quale, per definizione, deve indicare  lo  specifico  oggetto  sul
quale interviene il legislatore delegato, entro  i  previsti  limiti.
Ne' il riferimento alle «forme premiali» anzidette puo' ritenersi  in
alcun modo correlabile con il  singolare  meccanismo  "sanzionatorio"
oggetto di censura. 
    Del resto - e come puntualmente messo in evidenza dai  giudici  a
quibus - nella citata legge di  delegazione  si  formula  un  preciso
enunciato, formalmente e sostanzialmente evocabile quale principio  e
criterio direttivo generale, secondo il quale - nel richiamare  (art.
2, comma 2, lettera c), «razionalita' e coerenza dei singoli  tributi
e del sistema tributario nel  suo  complesso»  (compresi,  dunque,  i
profili di carattere sanzionatorio  ed  i  "rimedi"  tecnici  tesi  a
portare ad emersione cespiti o redditi assoggettabili ad imposizione)
- espressamente prescrive di procedere all'esercizio della delega nel
«rispetto  dei  principi  sanciti  dallo  statuto  dei  diritti   del
contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212». Statuto  che,
a sua volta, come ricordato, prevede, all'art. 10,  comma  3,  ultimo
periodo, che «Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente
tributario non possono essere causa di nullita' del  contratto»:  con
l'ovvia conseguenza che, tanto piu', la mera inosservanza del termine
per  la  registrazione  di  un  contratto  di  locazione   non   puo'
legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una  novazione  -
per factum principis - quanto a canone e a durata. 
    Ne' appare superfluo soggiungere che gli obblighi di informazione
del  contribuente,  parimenti  prescritti   dal   predetto   statuto,
risultano nella specie totalmente negletti,  operando  la  denunciata
"sostituzione" contrattuale in via automatica, solo a  seguito  della
mancata tempestiva registrazione del contratto. 
    6.- Le ragioni  esposte  con  particolare  riferimento  a  quanto
previsto al comma 8 dell'art.  3  valgono,  naturalmente,  anche  per
quanto previsto al comma 9 del medesimo art. 3. 
    Le disposizioni denunciate devono,  pertanto,  essere  dichiarate
costituzionalmente illegittime per  contrasto  con  l'art.  76  della
Costituzione,   restando   assorbiti   gli   ulteriori   profili   di
illegittimita' prospettati. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  3,
commi  8  e  9,  del  decreto  legislativo  14  marzo  2011,  n.   23
(Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale); 
    2) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma  8,  del   decreto
legislativo  14  marzo  2011,  n.  23  (Disposizioni  in  materia  di
federalismo Fiscale Municipale), come sollevata, in riferimento  agli
artt. 3, 41, 42 e 76  della  Costituzione,  dal  Tribunale  di  Roma,
sezione distaccata di Ostia, con l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                   Massimiliano BONI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2014. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Massimiliano BONI