N. 192 SENTENZA 23 giugno - 4 luglio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Sicurezza pubblica - Misure economiche di  sostegno  a  favore  delle
  vittime delle  richieste  estorsive  e  dell'usura  -  Proroga  dei
  termini di scadenza  degli  adempimenti  amministrativi  e  per  il
  pagamento dei ratei dei mutui bancari ed ipotecari,  e  sospensione
  dei termini di prescrizione e perentori,  legali  e  convenzionali,
  sostanziali e processuali - Efficacia a seguito  del  provvedimento
  favorevole del Procuratore della Repubblica. 
- Legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di
  solidarieta'  per  le   vittime   delle   richieste   estorsive   e
  dell'usura), art. 20, comma 7, come sostituito dall'art.  2,  comma
  1, lettera d), numero  1),  della  legge  27  gennaio  2012,  n.  3
  (Disposizioni in materia di  usura  e  di  estorsione,  nonche'  di
  composizione delle crisi da sovraindebitamento). 
-   
(GU n.29 del 9-7-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Sabino CASSESE; 
Giudici  :Paolo  Maria   NAPOLITANO,   Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO,  Paolo  GROSSI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  20,  comma
7, della legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni  concernenti  il
Fondo di solidarieta' per le  vittime  delle  richieste  estorsive  e
dell'usura), come sostituito dall'art. 2, comma 1, lettera d), numero
1), della legge 27 gennaio 2012, n. 3  (Disposizioni  in  materia  di
usura e  di  estorsione,  nonche'  di  composizione  delle  crisi  da
sovraindebitamento), promosso dal Tribunale  ordinario  di  Roma  nel
procedimento vertente  tra  l'Immobiliare  Tirrena  spa  e  R.A.  con
ordinanza dell'11 novembre 2013,  iscritta  al  n.  16  del  registro
ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 9, prima serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21  maggio  2014  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  Tribunale  ordinario  di  Roma,  con  ordinanza  dell'11
novembre 2013, ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale
dell'art.  20,  comma  7,  della  legge  23  febbraio  1999,  n.   44
(Disposizioni concernenti il Fondo di  solidarieta'  per  le  vittime
delle richieste estorsive e dell'usura), come sostituito dall'art. 2,
comma 1, lettera d), numero 1), della legge 27  gennaio  2012,  n.  3
(Disposizioni in  materia  di  usura  e  di  estorsione,  nonche'  di
composizione delle crisi  da  sovraindebitamento),  secondo  cui  «Le
sospensioni dei termini di cui ai commi 1, 3 e 4 e la proroga di  cui
al comma 2 hanno effetto a seguito del provvedimento  favorevole  del
procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine  ai
delitti che hanno causato l'evento  lesivo  di  cui  all'articolo  3,
comma 1. In presenza di piu' procedimenti penali  che  riguardano  la
medesima parte offesa,  anche  ai  fini  delle  sospensioni  e  della
proroga anzidette, e' competente il procuratore della Repubblica  del
procedimento iniziato anteriormente», in riferimento agli artt.  101,
secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione. 
    2.- Premette il Tribunale di essere stato  adito  dalla  societa'
Immobiliare Tirrena spa che, con citazione in data 12 febbraio  2013,
intimava a R.A. lo sfratto per morosita', in relazione ad un immobile
sito  in  Roma,  in  ragione  dell'omesso  pagamento  del  canone  di
locazione a partire dal mese di agosto 2012. 
    La parte intimata, costituitasi in giudizio, aveva chiesto che le
fosse concesso il  cosiddetto  "termine  di  grazia"  per  sanare  la
morosita', ai sensi dell'art. 55, della legge 27 luglio 1978, n.  392
(Disciplina delle locazioni di immobili urbani). 
    Alla successiva udienza cosi' fissata, la societa' locatrice dava
atto che nessun pagamento era intervenuto, mentre R.A.  produceva  un
provvedimento emesso  dal  pubblico  ministero  presso  il  Tribunale
ordinario di Roma, in data 2 maggio  2013,  del  seguente  tenore  su
«richiesta datata 30 aprile 2013»  della  medesima  intimata,  «visto
l'art. 20 comma 7 della legge n. 44 del 1999  come  modificata  dalla
legge n. 3 del 2012; rilevato che R.A. e F.N. risultano parti  offese
nel delitto di usura nell'ambito del  procedimento»  [...]  «pendente
presso questo ufficio in fase di interrogatorio richiesto  a  seguito
della notifica ex  art.  415-bis  del  codice  di  procedura  penale,
sospende i termini della procedura attivata nei  confronti  di  R.A.»
[...] «pendente innanzi al Tribunale civile di Roma per la durata  di
giorni 300». 
    3.- Tanto premesso, rileva il  giudice  a  quo  che  il  pubblico
ministero aveva inteso fare applicazione dell'art. 20, in particolare
i commi 3 e 7, della legge n. 44 del 1999. 
    4.- Assume il rimettente che con detta norma  il  legislatore  ha
apprestato una serie di benefici di varia natura (proroga  dei  ratei
di mutuo e dei termini delle procedure esecutive, proroga dei termini
per  adempimenti  fiscali,  sospensione  di  tutti  i  termini,   sia
sostanziali che processuali, da cui derivi  la  perdita  di  diritti,
azioni, facolta', sospensione dei titoli esecutivi  di  rilascio)  in
favore dei  soggetti  persone  offese  dei  delitti  di  usura  e  di
estorsione che abbiano utilmente formulato richiesta  di  elargizione
come previsto dalla medesima legge n. 44 del 1999. 
    Cio', al fine  di  favorire  il  risanamento  patrimoniale  delle
predette persone offese, alleggerendo il carico delle obbligazioni di
qualsiasi  specie,   quali   derivanti   da   contratti   di   mutuo,
dall'imposizione  fiscale,  da  provvedimenti   giurisdizionali,   da
contratti in genere. 
    5.- Quindi, rilevava il giudice  rimettente,  che  il  cosiddetto
termine di grazia ha natura di termine sostanziale ad adempiere. Esso
viene  assegnato  al  convenuto  inadempiente  in  virtu'  della  lex
specialis contenuta nella legge n.  392  del  1978,  in  deroga  alla
disciplina   generale   della   risoluzione   del    contratto    per
inadempimento. 
    Anche detto termine, rientrerebbe, pertanto, nel novero dell'art.
20, comma 3, della legge n. 44 del 1999, con la  conseguenza  che  lo
stesso puo' essere sospeso ai sensi di quanto previsto dal comma 7. 
    6.- Ritenuta le rilevanza della questione, il Tribunale ordinario
di Roma a sostegno della non manifesta infondatezza della stessa,  ha
prospettato le seguenti argomentazioni, deducendo  la  lesione  degli
artt. 101, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost. 
    7.- Espone il rimettente che la norma impugnata consentirebbe  al
pubblico ministero di incidere direttamente  sulla  controversia,  in
aperta violazione del principio della soggezione del giudice soltanto
alla legge. 
    Da detto principio  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  fatto
discendere l'illegittimita' di disposizioni che assegnavano ad organi
terzi e diversi dal giudice investito della singola controversia,  il
potere  di  ingerirsi  e  di  incidere  sul  procedimento   ad   esso
attribuito. 
    In tal senso, il giudice a quo ricorda le sentenze n. 40 del 1964
e la sentenza n. 22 del 1959, nonche' la sentenza n. 457 del 2005 che
dichiarava l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  20,  comma  7,
della legge n. 44 del 1999, «limitatamente alla parola favorevole». 
    Ed infatti, si afferma nella citata sentenza, la  valutazione  in
ordine alla  sussistenza  dei  presupposti  per  la  sospensione  del
processo esecutivo in favore dei  soggetti  presi  in  considerazione
dalla norma risulta, in tal modo, integralmente  attribuita  (non  al
giudice dell'esecuzione, bensi') al prefetto, e cioe'  ad  un  organo
del  potere  esecutivo,  mentre,   rispetto   a   tale   valutazione,
l'autorita'  giudiziaria  e'  chiamata  a  svolgere,  attraverso   la
previsione del parere non vincolante del  presidente  del  tribunale,
solo una funzione consultiva. 
    La  violazione  dei  principi  costituzionali  posti  a  presidio
dell'indipendenza e  dell'autonomia  della  funzione  giurisdizionale
appare pertanto palese, considerato che il prefetto viene  ad  essere
investito, dalla norma impugnata, del potere di  decidere  in  ordine
alle istanze di  sospensione  dei  processi  esecutivi  promossi  nei
confronti delle  vittime  dell'usura;  potere  che,  proprio  perche'
incidente sul processo  e,  quindi,  giurisdizionale,  non  puo'  che
spettare in via esclusiva all'autorita' giudiziaria. 
    8.- Proprio le statuizioni contenute nella sentenza  n.  457  del
2005 rafforzerebbero il dubbio di costituzionalita' del  citato  art.
20, comma 7, anche nell'attuale formulazione,  atteso  che  e'  stato
riassegnato ad un organo diverso dal giudice  naturale  precostituito
per legge e designato  per  la  trattazione  il  potere  di  incidere
direttamente  e,  quindi,  decidere  della   controversia,   mediante
l'adozione di un provvedimento di sospensione  di  termini  stabiliti
dal giudicante, con la conseguente violazione dell'art. 101,  secondo
comma, Cost. 
    9.- Sarebbe, altresi' leso l'art. 111,  primo  e  secondo  comma,
Cost., poiche' non sembra possa definirsi  "giusto  processo"  quello
nel quale un'autorita' diversa dal giudice puo'  influire  sull'esito
della controversia, a favore di una delle parti in lite. 
    10.- La violazione dei citati  parametri  costituzionali  sarebbe
ancora piu' evidente laddove si consideri che la norma in  esame  non
prevede neanche  la  possibilita'  per  il  giudice  investito  della
controversia, di verificare e  valutare  l'effettiva  ricorrenza  dei
presupposti previsti dall'art. 20 della legge n. 44 del 1999  per  la
concedibilita' del beneficio della sospensione dei termini di cui  al
comma 3 dell'art. 20 della legge n. 44 del 1999, e se  del  caso,  di
interloquire  con  l'ufficio  del  pubblico  ministero,  laddove   il
provvedimento di sospensione risulti gravemente carente  anche  sotto
il profilo formale (ad esempio) privo dell'indicazione del dies a quo
di decorrenza del periodo di sospensione di trecento giorni, e  della
data  dell'evento  lesivo,  la  cui  ricognizione,   invece,   appare
indispensabile per la stessa applicazione della norma. 
    11.- E' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. 
    12.-  Dopo  aver  richiamato  il  contenuto  della   disposizione
impugnata e il contesto normativo in cui la  stessa  si  colloca,  la
difesa dello Stato assume la inammissibilita' della questione proprio
per le carenze del provvedimento del pubblico  ministero  evidenziate
dal rimettente. 
    Ed infatti, poiche' ai sensi del comma 1 dell'art. 20, la proroga
concerne i termini che ricadono entro un anno dalla data  dell'evento
lesivo, in assenza di qualunque  indicazione  nel  provvedimento  del
pubblico  ministero   della   data   dell'evento   lesivo   e   della
possibilita', dunque, di stabilire se il termine di  cui  si  discute
nel processo principale rientri o meno in tale ambito  temporale,  la
sospensione dei termini non risulta applicabile  nel  caso  all'esame
del giudice rimettente. 
    13.- Nel  merito,  ad  avviso  dell'Avvocatura  dello  Stato,  la
questione  sarebbe  non  fondata,  in  quanto  il  provvedimento   di
sospensione e' affidato al pubblico  ministero  che  con  il  giudice
partecipa all'esercizio della funzione giurisdizionale  nelle  stesse
condizioni di indipendenza degli altri poteri dello Stato e  comunque
il  provvedimento  incide  solo  temporalmente  sull'esercizio  delle
funzioni giurisdizionali e sui diritti dei terzi, per  una  finalita'
di  protezione   di   interessi   che   l'ordinamento   ha   ritenuto
particolarmente meritevoli di tutela. Pertanto non sembra realizzarsi
quell'indebita    ingerenza     nell'esercizio     delle     funzioni
giurisdizionali che l'art. 101, secondo comma, Cost., esclude. 
    L'attribuzione al pubblico  ministero  del  potere  in  questione
trova, altresi', giustificazione nella circostanza  che  quest'ultimo
e' l'organo che  nella  fase  delle  indagini  e'  in  condizione  di
valutare al meglio la serieta' della notitia criminis, tenendo  conto
dei possibili sviluppi della vicenda investigativa. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  ordinario  di  Roma,  con  ordinanza  dell'11
novembre 2013, ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale
dell'art.  20,  comma  7,  della  legge  23  febbraio  1999,  n.   44
(Disposizioni concernenti il Fondo di  solidarieta'  per  le  vittime
delle richieste estorsive e dell'usura), come sostituito dall'art. 2,
comma 1, lettera d), numero 1), della legge 27  gennaio  2012,  n.  3
(Disposizioni in  materia  di  usura  e  di  estorsione,  nonche'  di
composizione delle crisi  da  sovraindebitamento),  che  prevede  «Le
sospensioni dei termini di cui ai commi 1, 3 e 4 e la proroga di  cui
al comma 2, hanno effetto a seguito del provvedimento favorevole  del
procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine  ai
delitti che hanno causato l'evento  lesivo  di  cui  all'articolo  3,
comma 1. In presenza di piu' procedimenti penali  che  riguardano  la
medesima parte offesa,  anche  ai  fini  delle  sospensioni  e  della
proroga anzidette, e' competente il procuratore della Repubblica  del
procedimento iniziato anteriormente». 
    2.- Il giudizio principale ha ad oggetto intimazione  di  sfratto
per morosita' per omesso pagamento del canone  di  locazione,  e  nel
corso del  procedimento  il  giudice  aveva  concesso  il  cosiddetto
termine di grazia, previsto dall'art. 55, secondo comma, della  legge
27 luglio 1978,  n.  392  (Disciplina  delle  locazioni  di  immobili
urbani), per consentire al conduttore di sanare la  mora.  Senonche',
ai sensi della disposizione censurata, il  pubblico  ministero  aveva
disposto la sospensione temporanea del termine di  grazia  in  favore
del conduttore quale parte offesa del reato di usura. 
    Secondo  il  rimettente  l'attribuzione  di  tale  potere  ad  un
soggetto  diverso  dal  giudice  concreterebbe  la   violazione   sia
dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione, sia dell'art.  111,
primo e secondo comma, Cost. 
    3.- La norma impugnata si inserisce in un  articolata  disciplina
dettata, nel tempo, dal legislatore per contrastare il reato di usura
e quello di estorsione, non solo mediante  una  compiuta  definizione
delle fattispecie penali che prevedono e puniscono tali  delitti,  ma
anche attraverso misure economiche di sostegno per le  vittime  e  le
persone offese. 
    4.- In relazione a quest'ultimo aspetto, la legge 7  marzo  1996,
n. 108 (Disposizioni in materia di usura), all'art. 14, ha  istituito
il Fondo  di  solidarieta'  per  le  vittime  dell'usura,  prevedendo
l'erogazione di mutui senza interessi  di  durata  non  superiore  al
decennio  ai  soggetti  che  esercitano  attivita'   imprenditoriale,
commerciale, artigianale o comunque economica, ovvero una libera arte
o professione, i quali dichiarino di essere vittime  del  delitto  di
usura e risultino parti offese nel relativo procedimento penale. 
    5.- La legge n.  44  del  1999  -  nel  costituire  il  Fondo  di
solidarieta'  per  le  vittime  delle  richieste   estorsive   e   la
elargizione di una somma di danaro a favore dei soggetti  danneggiati
da attivita' estorsive - ha introdotto un istituto non presente nella
disciplina dettata  dalla  legge  n.  108  del  1996,  prevedendo  la
sospensione dei termini a favore dei soggetti in questione. 
    In particolare al comma 1, l'art. 20 stabilisce che «A favore dei
soggetti  che  abbiano  richiesto  o  nel  cui  interesse  sia  stata
richiesta l'elargizione» [...]  «i  termini  di  scadenza,  ricadenti
entro un  anno  dalla  data  dell'evento  lesivo,  degli  adempimenti
amministrativi e per il pagamento  dei  ratei  dei  mutui  bancari  e
ipotecari, nonche' di ogni altro  atto  avente  efficacia  esecutiva,
sono prorogati dalle rispettive scadenze per la  durata  di  trecento
giorni»; al comma 2,  prevede  che  «[...]  i  termini  di  scadenza,
ricadenti  entro  un  anno  dalla  data  dell'evento  lesivo,   degli
adempimenti fiscali sono prorogati dalle rispettive scadenze  per  la
durata di tre anni»; al comma 3, sancisce che «Sono altresi' sospesi,
per la medesima durata di cui al comma 1, i termini di prescrizione e
quelli perentori, legali e convenzionali, sostanziali e  processuali,
comportanti decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione,  che
sono scaduti o che scadono  entro  un  anno  dalla  data  dell'evento
lesivo»; al comma 4, prevede che «Sono sospesi per la medesima durata
di cui al comma 1  l'esecuzione  dei  provvedimenti  di  rilascio  di
immobili e i termini  relativi  a  processi  esecutivi  mobiliari  ed
immobiliari, ivi comprese le vendite e le assegnazioni forzate». 
    Il comma 7 dell'art. 20, infine, nel testo storico stabiliva  che
«La sospensione dei termini di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 ha effetto  a
seguito del parere favorevole del prefetto competente per territorio,
sentito il presidente del tribunale». 
    L'estensione della misura della sospensione dei termini anche nel
caso di usura si rinviene, oltre che nel comma 6 dell'art. 20,  nella
piu' ampia previsione di cui all'art.  3,  comma  2,  della  medesima
legge n. 44 del 1999, secondo il quale «Ai soli fini  della  presente
legge sono equiparate alle richieste estorsive le condotte delittuose
che,  per  circostanze  ambientali  o  modalita'  del   fatto,   sono
riconducibili  a  finalita'  estorsive,  purche'  non  siano   emersi
elementi indicativi di una diversa finalita'». 
    I due Fondi, ai sensi dell'art. 18-bis, della  legge  n.  44  del
1999, come introdotto dal'art. 51, comma 1, della legge  28  dicembre
2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), sono stati  infine
unificati. 
    6.- Questa Corte con la sentenza n. 457 del  2005  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 20, comma 7, della legge n.
44 del 1999 limitatamente alla parola «favorevole», e  a  seguito  di
cio' la norma e' stata sostituita dall'art. 2, comma 1,  lettera  d),
numero 1),  della  legge  n.  3  del  2012,  e  sono  stati  altresi'
introdotti i commi 7-bis e 7-ter. 
    E'  stato  invece  dichiarato  inammissibile  il   conflitto   di
attribuzione fra poteri dello Stato sollevato dal giudice  istruttore
del Tribunale ordinario di Padova, sezione distaccata di  Cittadella,
in relazione al provvedimento adottato in data 12 dicembre 2012,  dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Padova,
per carenza del requisito soggettivo  poiche'  «il  provvedimento  di
sospensione dei termini, emesso ai sensi dell'art. 20, comma 7, della
legge n. 44 del 1999, non concernendo l'esercizio dell'azione penale,
ne' attivita' di indagine ad essa finalizzata, non e' espressione  di
attribuzioni costituzionali riconosciute al  pubblico  ministero,  ai
sensi dell'art. 112 Cost.» (ordinanza n. 296 del 2013). 
    7.- Va esaminata preliminarmente l'eccezione di  inammissibilita'
sollevata dall'Avvocatura dello Stato,  secondo  cui  mancherebbe  la
rilevanza della  questione,  in  quanto,  non  essendo  indicati  nel
provvedimento del  pubblico  ministero  alcuni  elementi  integrativi
della fattispecie, come la decorrenza della sospensione  di  trecento
giorni e la data dell'evento lesivo, non sarebbe possibile  stabilire
se il termine di grazia rientra nella sospensione, con la conseguenza
che la disciplina censurata non sarebbe applicabile alla  vicenda  in
questione. 
    L'eccezione deve essere disattesa. 
    Questi elementi di fatto attengono evidentemente alle valutazioni
da compiere a cura del pubblico ministero competente a conoscere  dei
profili penali della vicenda, valutazioni la cui puntuale motivazione
configgerebbe con  il  canone  della  necessaria  riservatezza  delle
indagini, e la cui plausibilita' non e' stata messa in discussione se
non in modo del tutto ipotetico ed eventuale. 
    8.- Come si e' accennato, il giudizio principale  ha  ad  oggetto
intimazione di sfratto per morosita' e, quindi, al  fine  del  vaglio
delle censure, occorre prendere in esame la disciplina  del  relativo
procedimento, con particolare attenzione all'istituto del  cosiddetto
"termine  di  grazia",  anche  alla  luce  della  giurisprudenza   di
legittimita' intervenuta in materia. Occorre, infatti, verificare se,
nell'ambito  di  tale  procedimento,   l'esercizio   della   funzione
giurisdizionale sia condizionato o limitato da quanto previsto  dalla
norma impugnata. 
    L'art. 55 della legge n. 392 del 1978 stabilisce, per quanto  qui
rileva: «La morosita' del conduttore nel pagamento dei canoni o degli
oneri di cui all'articolo 5 puo' essere  sanata  in  sede  giudiziale
[...]. Ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice, dinanzi a
comprovate condizioni di difficolta' del conduttore,  puo'  assegnare
un termine non superiore a giorni novanta. 
    In tal caso rinvia l'udienza  a  non  oltre  dieci  giorni  dalla
scadenza del termine assegnato». 
    La giurisprudenza di  legittimita'  ha  avuto  modo  di  vagliare
diverse problematiche cui tale disciplina ha dato luogo. 
    In particolare, ha affermato che in tema di locazione di immobili
urbani, il conduttore che, convenuto in un giudizio  di  sfratto  per
morosita', abbia richiesto la concessione del  "termine  di  grazia",
manifesta implicitamente, per cio' solo, una  volonta'  incompatibile
con quella di opporsi alla convalida, sicche' al mancato  adempimento
nel termine fissato dal giudice consegue ipso  facto  l'emissione  da
parte di questi dell'ordinanza di convalida ex art. 663 del codice di
procedura  civile,  senza  che  possano  assumere  rilievo  eventuali
eccezioni o contestazioni circa  la  sussistenza  e/o  l'entita'  del
credito vantato dal locatore sollevate dopo la richiesta  di  termine
per sanare la morosita', giacche', a norma dell'art. 55  della  legge
n. 392 del 1978, il  comportamento  del  conduttore  deve  consistere
nell'estinzione di tutto quanto dovuto per canoni,  oneri  accessori,
interessi e spese fino alla scadenza del termine di grazia, senza che
l'inadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica  sotto  il
profilo della gravita' (Corte di cassazione,  terza  sezione  civile,
sentenza n. 5540 del 2012). 
    Si e' anche affermato che il termine  per  sanare  la  morosita',
come previsto dall'art. 55 della legge n. 392 del 1978, in materia di
locazioni di immobili  urbani,  e'  da  qualificarsi  perentorio  (e,
quindi, non prorogabile dal giudice).  Pertanto,  costituendo  questo
tipo  di  sanatoria  un'eccezione  al  principio  generale  stabilito
dall'art. 1453, ultimo comma, del codice civile  (secondo  cui  dalla
data della  domanda  di  risoluzione  l'inadempiente  non  puo'  piu'
adempiere la propria obbligazione), se entro il termine il conduttore
non ha provveduto a sanare la mora, al giudice  non  e'  concessa  la
possibilita' di valutare la gravita'  o  meno  dell'inadempimento,  a
norma dell'art. 1455 cod. civ. 
    9.-  Nel  merito  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata dal Tribunale ordinario di Roma non e' fondata. 
    Il rimettente afferma che sarebbe leso l'art. 101, secondo comma,
Cost. («I giudici sono soggetti soltanto alla legge»), in  quanto  il
legislatore avrebbe attribuito ad un organo - il pubblico ministero -
diverso dal giudice naturale precostituito per legge e designato  per
la trattazione e definizione della singola controversia, il potere di
incidere  direttamente  e  quindi   decidere   (sia   pure   in   via
interlocutoria) con  un  provvedimento  di  sospensione  dei  termini
assegnati dal giudice. 
    Va, in proposito, anzitutto sottolineato come la sospensione  dei
termini prevista  dai  primi  quattro  commi  dell'art.  20  non  sia
discrezionale: essa infatti e' legata sostanzialmente  alla  presenza
della richiesta dell'«elargizione» o del  mutuo  senza  interessi  di
cui, rispettivamente, all'art. 3, commi 1 e 2, della legge n. 44  del
1999 e all'art. 14 della legge n. 108 del 1996. 
    Il comma 7-bis dell'art. 20  onera  il  prefetto  che  riceve  la
domanda  di  elargizione  di  compilare  l'elenco   delle   procedure
esecutive in corso a carico del richiedente  e  di  informarne  senza
ritardo il procuratore della Repubblica competente «che trasmette  il
provvedimento al giudice, o ai giudici, dell'esecuzione  entro  sette
giorni dalla comunicazione del prefetto». 
    Al pubblico ministero compete la mera verifica  di  riferibilita'
della comunicazione del prefetto alle indagini per delitti che  hanno
causato l'evento  lesivo  condizione  dell'elargizione.  Il  relativo
provvedimento non concerne, dunque,  l'esercizio  dell'azione  penale
ne' l'attivita' di indagine ad essa finalizzata (ordinanza n. 296 del
2013). 
    Si aggiunga che l'unico in grado di svolgere questo  compito  non
puo' che essere il pubblico  ministero  competente  in  sede  penale,
tenuto conto della attinenza di tale compito ai procedimenti relativi
ai delitti in questione, con le  problematiche  di  riservatezza  che
questi  ultimi  comportano,  nonche'  degli  obiettivi  di   incisivo
contrasto dei reati in questione (attuato anche mediante le misure  a
favore delle vittime). 
    In proposito, e' significativa la disciplina dettata dal d.P.R.19
febbraio 2014, n. 60 (Regolamento recante la disciplina del Fondo  di
rotazione per la solidarieta' alle vittime dei reati di tipo mafioso,
delle richieste estorsive e  dell'usura,  a  norma  dell'articolo  2,
comma  6-sexies,  del  decreto-legge  29  dicembre  2010,   n.   225,
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011,  n.  10)
il cui art. 28, comma  2,  prevede  che  «Gli  organi  e  gli  uffici
preposti alla gestione del Fondo sono tenuti al segreto in ordine  ai
soggetti interessati all'accesso ed alle relative procedure, ai sensi
del decreto del Ministro  dell'Interno  10  maggio  1994,  n.  415  e
successive modificazioni. Gli atti dei procedimenti sono coperti  dal
segreto di ufficio; degli stessi e del loro contenuto e'  vietata  la
pubblicazione.  Non  e'  ammessa  la  comunicazione  a  terzi   delle
informazioni  riguardanti  lo  stato  dei  procedimenti,  salvo   che
esibiscano apposita delega degli interessati [...]». 
    E' pur vero che non puo' negarsi una interferenza con il giudizio
civile, ma cio' non si traduce in una illegittima compressione  della
relativa funzione giurisdizionale. 
    Si e' visto, infatti, che l'impugnato art.  20,  comma  7,  della
legge n. 44 del 1999, che deve essere letto in uno al comma 1 nonche'
al  comma  3,  prevede  la  possibilita'  di  una  mera  sospensione,
delimitata nel tempo (trecento giorni, periodo di sospensione che  si
aggiunge a quello del termine iniziale), di termini, tra i  quali  e'
ricompreso anche il termine  di  grazia,  la  cui  concessione  resta
ferma, sia nel suo contenuto, sia negli effetti che si determineranno
alla scadenza. 
    10.- Le argomentazioni esposte inducono a  ritenere  non  fondata
anche la seconda censura, con la quale si  assume  che,  poiche'  non
potrebbe definirsi "giusto processo" quello  nel  quale  un'autorita'
diversa dal giudice puo' influire sull'esito  della  controversia,  a
favore di una delle parti in lite, sarebbe leso l'art. 111,  primo  e
secondo comma, Cost. 
    La ricostruzione del dato normativo operata  dal  rimettente  non
tiene conto della ratio e della portata  dell'intervento  legislativo
censurato, che,  avendo  un  carattere  meramente  temporaneo  e  non
decisorio, non ha alcuna influenza sostanziale sul giudizio civile. 
    11.-  Pertanto  la  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 20, comma 7, della legge n. 44 del  1999,  come  sostituito
dall'art. 2, comma 1, lettera d), numero 1), della  legge  n.  3  del
2012, deve essere dichiarata non fondata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art.  20,  comma  7,  della  legge  23  febbraio  1999,  n.   44
(Disposizioni concernenti il Fondo di  solidarieta'  per  le  vittime
delle richieste estorsive e dell'usura), come sostituito dall'art. 2,
comma 1, lettera d), numero 1), della legge 27  gennaio  2012,  n.  3
(Disposizioni in  materia  di  usura  e  di  estorsione,  nonche'  di
composizione  delle  crisi  da  sovraindebitamento),  sollevata,   in
riferimento agli artt. 101, secondo comma, e  111,  primo  e  secondo
comma, della  Costituzione,  dal  Tribunale  ordinario  di  Roma  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2014. 
 
                                F.to: 
                     Sabino CASSESE, Presidente 
                    Giancarlo CORAGGIO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI