N. 198 SENTENZA 7 - 11 luglio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Determinazione della pena detentiva da eseguire -
  Computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo. 
- Codice di procedura penale, art. 657, comma 4. 
-   
(GU n.30 del 16-7-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Sabino CASSESE; 
Giudici  :Paolo  Maria   NAPOLITANO,   Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO,  Paolo  GROSSI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 657,  comma
4, del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale  di  Lucera
nel procedimento penale a carico di M.E. con ordinanza del 27  giugno
2013, iscritta al n. 233 del registro  ordinanze  2013  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  45,  prima   serie
speciale, dell'anno 2013. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  M.E.,  nonche'   l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  20  maggio  2014  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    uditi gli avvocati Raffaele Lepore e Mercurio Galasso per M.E.  e
l'avvocato dello Stato Maurizio Greco per il Presidente del Consiglio
dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 27 giugno 2013, il  Tribunale  di
Lucera ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma,  e
27,  terzo  comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art.  657,  comma  4,  del  codice  di  procedura
penale, in forza del quale, nella determinazione della pena detentiva
da eseguire, sono computate soltanto la custodia cautelare  subita  o
le pene espiate senza titolo dopo la commissione  del  reato  per  il
quale e' stata inflitta la pena che deve essere eseguita. 
    Il giudice a quo premette di essere investito  dell'incidente  di
esecuzione sollevato da un condannato, volto ad ottenere -  a  fronte
del diniego tacito del pubblico ministero, funzionalmente  competente
ai sensi dell'art. 657 cod. proc. pen. - che dalla pena detentiva  da
espiare in forza di una sentenza dello stesso  Tribunale  di  Lucera,
divenuta irrevocabile il 20 maggio 2013, sia detratto il  periodo  di
custodia cautelare ingiustamente subita  dal  richiedente  per  altri
reati dal 17 giugno 1983 al 15 settembre 1986. 
    Al riguardo, il Tribunale rimettente rileva  che,  in  base  alle
risultanze  degli  atti,  l'istante,  nel  lontano  1983,  era  stato
sottoposto a «carcerazione preventiva» per tre anni e  tre  mesi,  in
quanto coinvolto in un  "maxi-processo"  per  reati  di  criminalita'
organizzata, venendo poi assolto dalla Corte d'appello di Napoli  dai
reati ascrittigli per non aver commesso il fatto. 
    All'accoglimento  della   richiesta   osterebbe,   tuttavia,   la
disposizione censurata, in base alla quale  l'ingiusta  carcerazione,
per poter essere computata in detrazione, deve seguire,  e  non  gia'
precedere, la commissione del reato per il quale vi e' stata condanna
alla pena da espiare. Nel caso in esame, di contro, i  reati  cui  si
riferisce la pena da eseguire sono stati commessi dal richiedente nel
2000 e, dunque, in epoca ampiamente successiva all'ingiusta  custodia
cautelare. 
    Recependo  l'eccezione   formulata   in   via   subordinata   dal
richiedente, il giudice a quo dubita,  peraltro,  della  legittimita'
costituzionale dell'indicata condizione limitativa. 
    La relativa previsione violerebbe, in  specie,  il  principio  di
eguaglianza (art. 3 Cost.) e quello del favor libertatis  (desumibile
dal disposto dell'art. 13,  primo  comma,  Cost.),  determinando  una
ingiustificata disparita' di trattamento fra i soggetti  che  abbiano
ugualmente riportato una  condanna  definitiva  a  pena  detentiva  e
subito  una  ingiusta  carcerazione.  A  parita'  di  situazione,  la
possibilita' di  "compensare"  la  seconda  con  la  prima  verrebbe,
infatti, a dipendere  da  un  fattore  meramente  casuale  di  natura
temporale, quale l'anteriorita' del reato, per il quale  deve  essere
determinata la pena da eseguire, rispetto alla carcerazione ingiusta. 
    La norma censurata violerebbe, inoltre, l'art. 27,  terzo  comma,
Cost., giacche', impedendo  di  scomputare  il  periodo  di  ingiusta
carcerazione a chi ha commesso il reato  successivamente  ad  essa  -
ossia proprio al soggetto che, a ben guardare,  piu'  meriterebbe  il
beneficio, avendo subito l'ingiusta detenzione quando era incensurato
- vanificherebbe la finalita' rieducativa della pena ed ostacolerebbe
il reinserimento del reo nel tessuto sociale. 
    La disposizione in esame si porrebbe in contrasto con i  principi
di eguaglianza e di ragionevolezza anche sotto un ulteriore e diverso
profilo: e, cioe', in quanto fondata su una presunzione assoluta  non
rispondente ad una regola di esperienza generalizzata. 
    Alla  luce  delle  indicazioni  della   relazione   al   progetto
preliminare del codice di procedura penale, la preclusione denunciata
sarebbe finalizzata, infatti, ad evitare che il diritto  al  recupero
della detenzione ingiustamente sofferta si risolva  in  un  incentivo
alla  commissione  di  azioni  criminose.  Tale   paventato   effetto
criminogeno sarebbe presunto  iuris  et  de  iure  dalla  legge,  non
essendo il divieto derogabile neanche quando vi sia  la  prova  certa
che quel pericolo non si e' concretizzato. 
    Per  consolidata  giurisprudenza  della   Corte   costituzionale,
tuttavia, le presunzioni assolute, specie quando limitano un  diritto
fondamentale della persona - quale il diritto alla liberta' personale
-  violano  il  principio  di  eguaglianza  se  sono   arbitrarie   e
irrazionali,  cioe'  se  non  rispondono   a   dati   di   esperienza
generalizzati, riassumibili  nella  formula  dell'id  quod  plerumque
accidit.  In  particolare,   l'irragionevolezza   della   presunzione
assoluta si coglie tutte  le  volte  in  cui  sia  agevole  formulare
ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione  posta  a
base della presunzione stessa. 
    Tale situazione si riscontrerebbe  puntualmente  nell'ipotesi  in
esame. Se e' certamente possibile, infatti, che taluno sia  spinto  a
delinquere  dal  proposito  di  recuperare  la  carcerazione   subita
ingiustamente, altrettanto frequente sarebbe il caso di chi - proprio
per aver sofferto «la terribile esperienza di conoscere il carcere da
innocente»  -  si  guarda  bene  dal  commettere   reati   solo   per
"riscuotere" il "credito" che da tale esperienza gli deriva. 
    Per questo verso, si potrebbe  anche  ritenere  -  a  parere  del
giudice a quo - che il vulnus ai parametri costituzionali derivi  non
dalla presunzione in se', ma dal suo carattere assoluto, che  implica
un  divieto  indiscriminato  e  totale   di   scomputo.   In   simile
prospettiva,  la  compatibilita'   costituzionale   potrebbe   essere
ripristinata trasformando la presunzione  in  relativa:  dichiarando,
cioe', costituzionalmente illegittima la norma denunciata nella parte
in cui non consente al giudice di derogare al divieto in presenza  di
elementi probatori di segno contrario alla presunzione stessa (quale,
ad esempio, il lungo tempo trascorso tra l'ingiusta carcerazione e la
successiva  commissione  del  reato);  elementi  che  sarebbe   onere
dell'interessato fornire. 
    La questione sarebbe, altresi', rilevante  nel  giudizio  a  quo,
posto che la preclusione prevista dal  comma  4  dell'art.  657  cod.
proc. pen. costituisce  l'unico  elemento  ostativo  all'accoglimento
dell'istanza del condannato. 
    La  rilevanza  non  verrebbe  meno  neanche  qualora   la   Corte
costituzionale, «optando per l'alternativa»  dianzi  prospettata,  si
limitasse a "degradare" in relativa la  presunzione  assoluta  insita
nella norma censurata. Nella  specie,  infatti,  la  prova  contraria
risulterebbe senz'altro raggiunta, alla luce  del  lunghissimo  lasso
temporale intercorso tra la custodia cautelare ingiustamente sofferta
dal richiedente e i fatti cui attiene la pena da espiare. 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. 
    Ad  avviso  della  difesa  dello  Stato,  la  questione   sarebbe
inammissibile, in  quanto  a  carattere  alternativo.  Il  rimettente
avrebbe chiesto, infatti, al tempo stesso, un intervento ablatorio  e
uno di tipo additivo sulla norma censurata, senza chiarire se le  due
richieste siano  in  rapporto  di  «alternativita'  irrisolta»  o  di
subordinazione. 
    Quanto al merito, la questione sarebbe gia'  stata  affrontata  e
risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 442  del  1988,
che  ha  dichiarato  infondata  una  questione  analoga  relativa  al
previgente art. 271, quarto comma, del codice di procedura penale del
1930. Le considerazioni  svolte  nell'occasione  dovrebbero  condurre
anche in  questo  caso  a  ritenere  che  la  disciplina  legislativa
dell'istituto  della   cosiddetta   fungibilita'   della   detenzione
ingiustamente  patita   «non   contiene   in   alcun   modo,   regole
irragionevolmente discriminatorie», ne'  viola  gli  altri  parametri
invocati dal rimettente. 
    3.- Si e' costituito,  altresi',  M.E.,  condannato  istante  nel
giudizio a quo, chiedendo l'accoglimento della questione. 
    4.-  Con  successiva  memoria,  la  parte  privata  -   oltre   a
ripercorrere  e  sviluppare  le   censure   formulate   dal   giudice
rimettente, da essa  pienamente  condivise  -  ha  rilevato  come  la
previsione dell'art. 657, comma  4,  cod.  proc.  pen.  si  ponga  in
contrasto anche con l'art. 24, quarto comma,  Cost.,  che  impone  al
legislatore di determinare «le condizioni e i modi per la riparazione
degli errori giudiziari». Il  divieto  stabilito  dalla  disposizione
denunciata vanificherebbe, infatti, «tali procedure riparatorie e  lo
stesso esercizio del diritto  di  difesa,  di  per  se'  ancora  piu'
incomprimibile se volto a tutelare la liberta' della persona». 
    La parte privata ha contestato, per altro  verso,  la  fondatezza
dell'eccezione di inammissibilita'  della  questione,  sollevata  dal
Presidente del Consiglio dei ministri: dalla  lettura  dell'ordinanza
di rimessione risulterebbe, infatti, palese come  il  giudice  a  quo
abbia  chiesto  un  intervento  ablatorio,  accennando  all'ulteriore
richiesta a carattere  additivo  solo  in  via  argomentativa  e  per
completezza di trattazione. 
    Non  sarebbe  altresi'  conferente,  nel  merito,   il   richiamo
dell'Avvocatura dello Stato alla sentenza n. 442 del  1988,  relativa
all'art. 271, quarto comma, del codice di rito abrogato,  trattandosi
di pronuncia le cui argomentazioni -  sintoniche  con  l'impostazione
inquisitoria di detto  codice  -  avrebbero  perso  di  attualita'  a
seguito del passaggio ad un modello processuale di tipo  accusatorio,
operato dal codice del 1988. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il   Tribunale   di   Lucera   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art.  657,  comma  4,  del  codice  di  procedura
penale, in forza del quale, nella determinazione della pena detentiva
da eseguire, si tiene conto soltanto della custodia cautelare  subita
o delle pene espiate senza titolo dopo la commissione del  reato  per
il quale la pena che deve essere eseguita e' stata inflitta. 
    Ad avviso del giudice a quo,  la  norma  censurata  violerebbe  i
principi di eguaglianza (art.  3  della  Costituzione)  e  del  favor
libertatis   (desumibile   dall'art.   13,   primo   comma,   Cost.),
determinando una  ingiustificata  disparita'  di  trattamento  fra  i
soggetti che hanno riportato una condanna definitiva a pena detentiva
e subito una ingiusta  carcerazione.  A  parita'  di  situazione,  la
possibilita' di  "compensare"  la  seconda  con  la  prima  verrebbe,
infatti, a dipendere  da  un  fattore  meramente  casuale  di  natura
temporale, quale la circostanza che l'ingiusta carcerazione segua,  e
non gia' preceda, la commissione del reato per il quale  deve  essere
determinata la pena da eseguire. 
    Sarebbe violato, inoltre, l'art. 27, terzo comma, Cost., giacche'
la preclusione censurata - che colpirebbe il  soggetto,  in  realta',
maggiormente  meritevole  del  beneficio,  avendo  subito  l'ingiusta
detenzione  quando  era  ancora  incensurato  -   vanificherebbe   la
finalita' rieducativa della pena ed  ostacolerebbe  il  reinserimento
del condannato nel tessuto sociale. 
    La norma denunciata violerebbe i principi  di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza  (art.  3  Cost.)  anche  perche'   fondata   su   una
presunzione assoluta arbitraria: quella, cioe', che  la  possibilita'
di  scomputare  la  detenzione  ingiustamente  sofferta  dalla   pena
inflitta per un  successivo  reato  si  risolva  in  un  incentivo  a
delinquere. Detta presunzione non esprimerebbe, infatti,  una  regola
di esperienza generalizzata, essendo  agevolmente  ipotizzabili  casi
nei quali proprio  la  traumatica  vicenda  di  aver  conosciuto  «il
carcere da innocente», lungi  dallo  stimolare,  distoglie  chi  l'ha
subita dal commettere reati solo per "riscuotere"  il  corrispondente
"credito di pena". 
    Per questo verso, si potrebbe anche ritenere - secondo il giudice
a quo - che il vulnus ai  parametri  costituzionali  evocati  derivi,
anziche' dalla  presunzione  in  se',  dal  suo  carattere  assoluto:
prospettiva  nella  quale  la  compatibilita'  con  la   Costituzione
andrebbe  assicurata  trasformando  la  presunzione  in  relativa  e,
segnatamente, dichiarando l'illegittimita' costituzionale della norma
censurata nella parte  in  cui  non  prevede  che  il  giudice  possa
derogare al divieto quando l'interessato abbia offerto la  prova  che
il temuto effetto criminogeno non si e', di fatto, realizzato. 
    2.- L'eccezione  di  inammissibilita'  formulata  dall'Avvocatura
dello Stato, sull'assunto che si tratti di questione "ancipite",  non
e' fondata. 
    Al  di  la'  di  qualche  ambiguita'  di  ordine  lessicale,  dal
complessivo tessuto motivazionale dell'ordinanza di rimessione emerge
con  sufficiente  chiarezza  che  il  rimettente   chiede,   in   via
principale,  a  questa  Corte  l'ablazione  della  norma   censurata,
prospettando solo in via subordinata un intervento di tipo  additivo,
che renda superabile la limitazione sancita  dalla  norma  stessa  in
presenza di elementi probatori di segno contrario alla presunzione su
cui essa - in assunto - si fonda. 
    Gli interventi richiesti non si pongono, pertanto, in rapporto di
alternativita' irrisolta, ma di subordinazione fra loro:  circostanza
che rende la questione ammissibile (ex plurimis, sentenza n. 280  del
2011). 
    3.-  Sempre  in  via   preliminare,   va   osservato   che,   per
giurisprudenza costante di questa Corte, l'oggetto  del  giudizio  di
legittimita' costituzionale  in  via  incidentale  e'  limitato  alle
disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze  di  rimessione,
non potendo essere presi in considerazione, oltre i limiti in  queste
fissati, ulteriori questioni o profili di  costituzionalita'  dedotti
dalle parti, eccepiti ma non fatti propri dal giudice a  quo,  oppure
diretti ad ampliare o modificare successivamente il  contenuto  delle
ordinanze stesse (ex plurimis, sentenze n. 310, n. 227 e  n.  50  del
2010). 
    Ne deriva che sono inammissibili, e non possono  formare  oggetto
di esame in questa sede, le deduzioni della parte privata dirette  ad
estendere il thema  decidendum,  tramite  la  denuncia  dell'asserito
contrasto della  norma  censurata  anche  con  l'ulteriore  parametro
costituito dall'art. 24, quarto comma, Cost. 
    4.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    Come segnala la relazione al  progetto  preliminare  del  codice,
l'art. 657 cod. proc. pen. adotta un «criterio di fungibilita'» della
carcerazione subita con la pena detentiva da espiare  particolarmente
ampio, «volto a ricomprendere tutti i  periodi  di  privazione  della
liberta'    personale    comunque    sofferti     senza     effettiva
giustificazione». 
    Nel determinare la pena detentiva da eseguire  in  forza  di  una
pronuncia definitiva di condanna, il pubblico  ministero  e'  tenuto,
infatti, a computare tanto il periodo di custodia cautelare  sofferta
per lo stesso o per altro reato, anche se ancora in  corso  (comma  1
dell'art. 657 cod. proc. pen.), quanto il periodo di  pena  detentiva
espiata  senza  titolo  (s'intende,  per  altro  reato),  nel   senso
precisato dal comma 2: ossia «quando la relativa  condanna  e'  stata
revocata, quando per il reato e' stata concessa amnistia o quando  e'
stato concesso indulto, nei limiti dello stesso». 
    Tale regime di fungibilita' -  giustificato,  sempre  secondo  la
relazione al progetto preliminare, «dalla  prevalenza  del  principio
del favor libertatis cui deve essere improntata tutta la legislazione
penale» - e' suscettibile di configurare anche  una  riparazione  "in
forma specifica" per l'ingiusta privazione della liberta'  personale,
come attestano le previsioni degli artt. 314, comma 4, e  643,  comma
2,  cod.  proc.  pen.,  che  escludono   il   diritto   all'ordinaria
riparazione pecuniaria per quella parte della  custodia  cautelare  o
della detenzione che sia stata computata ai fini della determinazione
della misura di una pena. 
    Il meccanismo di "compensazione" incontra, peraltro, il limite di
ordine temporale enunciato dalla norma oggi  sottoposta  a  scrutinio
(comma 4 dell'art. 657 cod. proc. pen.): limite che riprende, con gli
opportuni adattamenti, quello gia' stabilito dal previgente art. 271,
quarto comma, cod. proc. pen. del 1930. La fungibilita' opera, cioe',
soltanto per la custodia cautelare subita o le pene espiate  dopo  la
commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da
eseguire. 
    Tale sbarramento temporale si giustifica alla luce di due  ordini
di considerazioni, tra loro strettamente correlati. 
    In primo luogo - ed e' questa  la  spiegazione  tradizionale  del
divieto - esso e' imposto dall'esigenza  di  evitare  che  l'istituto
della fungibilita' si risolva in  uno  stimolo  a  commettere  reati,
trasformando il pregresso periodo di carcerazione in una "riserva  di
impunita'" utilizzabile per elidere le conseguenze di futuri illeciti
penali, e che concreterebbe addirittura  una  sorta  di  "licenza  di
delinquere" quanto ai reati punibili in  misura  uguale  o  inferiore
alla  carcerazione  sofferta.  Come  puntualmente  si  afferma  nella
relazione al progetto  preliminare,  «il  recupero  della  detenzione
ingiustamente  sofferta  deve   funzionare   come   correttivo   alle
disfunzioni della macchina giudiziaria e compensazione  dell'ingiusta
carcerazione, ma non certo come incentivo alla commissione successiva
di azioni criminose». 
    In secondo luogo, poi - ma, in realta', prima ancora  -  risponde
ad una fondamentale esigenza logico-giuridica che la pena,  ancorche'
scontata nella forma anomala dell'"imputazione" ad essa  del  periodo
di ingiusta detenzione  sofferta  per  altro  reato,  debba  comunque
seguire, e non gia' precedere, il fatto criminoso cui  accede  e  che
mira a sanzionare. E' questa, infatti, la  condizione  indispensabile
affinche'  la  pena  possa  esplicare  le  funzioni  sue  proprie,  e
particolarmente quelle di prevenzione  speciale  e  rieducativa.  Una
pena  anticipata  rispetto  al  reato,  anziche'   sconsigliarne   la
commissione, rischierebbe - come detto - di incoraggiarla e,  d'altro
canto, non potrebbe in nessun caso costituire uno strumento di emenda
del reo. Come questa Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  rilevare,  nel
dichiarare infondata una  questione  di  legittimita'  costituzionale
parzialmente analoga avente ad oggetto il  citato  art.  271,  quarto
comma, del codice abrogato, «le finalita'  "rieducative"  di  cui  al
terzo comma dell'art. 27 Cost. [...]  possono  aver  senso  anche  se
riferite ad  "altro"  reato  ma  [...]  certamente  non  possono  mai
riguardare un reato "da commettere"» (sentenza n. 442 del 1988). 
    5.- Cio' posto, nessuna delle censure del giudice  a  quo  coglie
nel segno. 
    Quanto, infatti, alla denunciata violazione dell'art. 3 Cost. per
irragionevole  disparita'  di  trattamento,  questa  Corte  ha   gia'
evidenziato come  la  situazione  di  chi  ha  sofferto  la  custodia
cautelare (o espiato una pena senza titolo) dopo  la  commissione  di
altro reato non sia affatto identica, sotto il profilo che interessa,
a quella di chi l'ha  subita  (o  espiata)  anteriormente.  Solo  per
quest'ultimo soggetto la prospettiva  di  scomputare  dalla  pena  il
tempo della pregressa carcerazione puo'  rientrare  nel  calcolo  che
conduce alla deliberazione criminosa; non per  il  primo,  posto  che
«scontare,  in  avvenire,  custodie  cautelari  o   carcerazioni   in
esecuzione di pena non puo' in alcun  modo  motivare  il  soggetto  a
delinquere» (sentenza n. 442 del 1988). 
    A cio' va aggiunto che - alla luce di quanto dianzi  osservato  -
solo in rapporto a chi ha sofferto la  detenzione  ingiusta  dopo  la
commissione del reato il meccanismo di compensazione con la  pena  da
espiare e' coerente con le funzioni proprie di quest'ultima. 
    Sicche', in conclusione, «per diverse situazioni,  dal  punto  di
vista oggettivo e soggettivo, il legislatore ha [...] ragionevolmente
previsto diverse discipline giuridiche» (sentenza n. 442 del 1988). 
    6.- La preclusione censurata non  viola,  per  analoghe  ragioni,
neppure l'art. 13, primo comma, Cost. 
    La  scelta  legislativa   di   non   privilegiare,   nell'ipotesi
considerata, il «favor libertatis» trova giustificazione, da un lato,
nell'esigenza di evitare - per ragioni di difesa sociale e di  tutela
della collettivita' - che chi ha  sofferto  un  periodo  di  custodia
cautelare o di detenzione per altro reato,  sia  pure  indebita,  sia
indotto a delinquere o, comunque, rinvenga motivi  "favorevoli"  alla
commissione di reati nella possibilita' di  sottrarsi  alle  relative
conseguenze sanzionatorie opponendo in compensazione un  "credito  di
pena"  precedentemente  maturato  (sentenza   n.   442   del   1988);
dall'altro, nella correlata esigenza di non creare  le  premesse  per
uno stravolgimento delle funzioni di prevenzione e di emenda  che  la
pena dovrebbe esplicare. 
    7.- Per quanto attiene, poi, alla denunciata violazione dell'art.
27,  terzo  comma,  Cost.,  e'  gia'  insito   nelle   considerazioni
precedentemente svolte come tale precetto costituzionale,  lungi  dal
collidere con la preclusione  censurata,  concorra  a  giustificarla,
stante l'impossibilita' di  concepire  una  funzione  rieducativa  in
rapporto a reati che debbano essere ancora commessi. 
    8.- Non riscontrabile, infine,  e'  l'asserito  contrasto  con  i
principi  di  eguaglianza  e  di  ragionevolezza  (art.   3   Cost.),
conseguente al  fatto  che  la  norma  censurata  poggerebbe  su  una
presunzione assoluta arbitraria, in quanto  non  rispondente  ad  una
regola  di  esperienza  generalizzata,  quale  il  supposto   effetto
criminogeno  del  diritto  a  "recuperare"  il  periodo  di  ingiusta
detenzione sofferto prima della commissione del  reato:  essendo,  in
fatto, ben possibile che la  vicenda  traumatica  della  carcerazione
ingiusta abbia un opposto effetto  dissuasivo  e  che,  comunque,  il
successivo reato  venga  perpetrato  per  ragioni  del  tutto  avulse
dall'intento di "riscuotere" il "credito di pena". 
    Al riguardo, e'  dirimente  il  rilievo  che  il  giudice  a  quo
qualifica come presunzione assoluta quella che,  in  realta',  e'  la
ratio legis: o, meglio, una  delle  due  rationes  della  limitazione
denunciata    (l'altra    consistendo    nell'evidenziata    esigenza
logico-giuridica che la pena segua, e non gia'  preceda,  il  reato).
Ratio peraltro  non  scalfita  dalla  eventualita',  prospettata  dal
rimettente, che la "riserva di impunita'", conseguente  all'ipotetica
rimozione  della  preclusione,  possa  in  concreto  non  pesare  sul
processo motivazionale che induce a delinquere chi ne beneficia. 
    Tali  considerazioni  escludono   che   possa   accedersi   anche
all'intervento richiesto dal rimettente in via subordinata,  volto  a
trasformare l'ipotetica presunzione assoluta in relativa. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 657, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, terzo  comma,  della
Costituzione, dal Tribunale di Lucera  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2014. 
 
                                F.to: 
                     Sabino CASSESE, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI