N. 39 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 giugno 2014
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 6 giugno 2014 (della Regione Lombardia). Comuni, Province e citta' metropolitane - Abolizione delle Province - Istituzione delle nuove citta' metropolitane - Previsione quali organi delle stesse: il sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana - Determinazione della composizione, della competenza e dei poteri dei suddetti organi - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata violazione dei principi della rappresentanza politica democratica e della sovranita' popolare, in quanto nessuno dei tre organi rappresentativi e' espressione della volonta' popolare diretta - Lesione dei principi di autonomia regionale e di autonomia degli enti locali - Violazione di obblighi internazionali derivanti dal diritto comunitario (Carta europea dell'autonomia locale) - Lesione del principio di allocazione e distribuzione delle funzioni amministrative - Violazione del principio di uguaglianza per irragionevolezza, attesa la contraddizione della preventiva articolazione del Comune capoluogo in piu' comuni, con lo spirito della riforma relativo alla promozione di unioni e fusione tra comuni - Lesione dell'autonomia finanziaria degli enti locali - Violazione del principio della legge costituzionale per la revisione della Costituzione. - Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, commi 7, 8, 9, 19, 25 e 42. - Costituzione, artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117, primo comma, 118 e 119; Carta europea dell'autonomia locale del 15 ottobre 1985, artt. 3, comma 2, e 9, commi 1, 3, 4 e 6, ratificata e resa esecutiva con la legge 30 dicembre 1989, n. 439. Comuni, Province e citta' metropolitane - Individuazione quali organi della Provincia "esclusivamente": il presidente della Provincia, il consiglio provinciale e l'assemblea dei sindaci - Previsione delle competenze dei predetti organi - Previsione dell'elezione indiretta per il Presidente ed il Consiglio provinciale - Attribuzione all'Assemblea dei sindaci di poteri esclusivamente consultivi e propositivi - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata violazione dei principi della rappresentanza politica democratica e della sovranita' popolare - Lesione dei principi di autonomia regionale e di autonomia degli enti locali - Violazione di obblighi internazionali derivanti dal diritto comunitario (Carta europea dell'autonomia locale) - Violazione del principio di allocazione e distribuzione delle funzioni amministrative - Lesione dell'autonomia finanziaria provinciale - Violazione del principio della legge costituzionale per la revisione della Costituzione. - Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, commi 54, 55, 56, 58 e 69. - Costituzione, artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117, primo comma, 118, 119 e 138; Carta europea dell'autonomia locale del 15 ottobre 1985, artt. 3, comma 2, e 9, commi 1, 3, 4 e 6, ratificata e resa esecutiva con la legge 30 dicembre 1989, n. 439. Comuni, Province e citta' metropolitane - Disciplina del riordino delle funzioni delle Province - Previsione che lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, attribuiscono le funzioni provinciali diverse da quelle fondamentali (individuabili al comma 85) in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione - Previsione di principi fondamentali in materia di organizzazione dei servizi di rilevanza economica, di competenza comunale o provinciale, a enti o agenzie in ambito provinciale o sub-provinciale, qualificati come "principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica" - Previsione che lo Stato e le Regioni individuano, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, "le funzioni di cui al comma 89 oggetto del riordino e le relative competenze", mediante accordo sancito in Conferenza unificata, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative - Previsione che entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge dovranno essere stabiliti i criteri generali per l'individuazione dei beni strumentali, risorse finanziarie, umane e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite dalle Province agli enti subentranti a norma dei commi - Previsione dell'obbligo per le Regioni di dare attuazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, all'accordo di cui al comma 91, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, con esercizio, in caso di inadempimento, del potere sostitutivo ex art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata violazione del principio di uguaglianza per irragionevolezza - Lesione dei principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione - Lesione dell'autonomia costituzionale regionale - Lesione del principio di buon andamento, efficienza, efficacia ed economicita' dell'azione amministrativa - Esorbitanza dalla sfera di legislazione esclusiva statale in tema di funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane - Indebita previsione di poteri sostitutivi nei confronti della Regione - Violazione del principio della legge costituzionale per la revisione della Costituzione. - Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, commi 89, 90, 91, 92 e 95. - Costituzione, artt. 3, 97, 114, 117, commi secondo, lett. p), terzo e quarto, 118, 120 e 138.(GU n.31 del 23-7-2014 )
Ricorso della Regione Lombardia (codice fiscale n. 80050050154), con sede in Milano (20124), piazza Citta' di Lombardia, n. 1, in persona del Presidente pro tempore, Roberto Maroni, rappresentata e difesa, in forza di procura a margine del presente atto ed in virtu' della Deliberazione di Giunta regionale n. X/1908 del 30 maggio 2014 (doc. 1), dal prof. avv. Francesco Saverio Marini del foro di Roma (codice fiscale MRNFNC73D28H501U); pec: francescosaveriomarini@ordineavvocatiroma.or gfax. 06.36001570), presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli n. 48, ha eletto domicilio; Ricorrente contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, con sede in Roma (00187), Palazzo Chigi - Piazza Colonna n. 370, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma (00186), via dei Portoghesi n. 12, Resistente per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 7 aprile 2014, n. 56, recante «Disposizioni sulle Citta' metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni (Abolizione Province)» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 7 aprile 2014, n. 81, limitatamente all'art. 1, commi 7, 8, 9, 19, 25, 42, 54, 55, 56, 58, 69, 89, 90, 91, 92 e 95, di tale atto normativo. Fatto 1. La legge 7 aprile 2014, n. 56, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 2014, detta un'ampia riforma in materia di enti locali, prevedendo, nelle more dell'approvazione della riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione, l'istituzione e la disciplina delle Citta' metropolitane, la ridefinizione del sistema delle Province, nonche' una nuova disciplina in materia di unioni e fusioni di Comuni, incidendo anche sull'assetto delle funzioni amministrative spettanti a tali livelli di governo. A seguito della proposizione della questione di fiducia da parte del Governo nella seduta del 26 marzo 2014, la legge si compone di un unico articolo comprendente 151 commi, e ricomprende le modifiche introdotte dalla Commissione Affari costituzionali del Senato, assegnataria del disegno di legge in sede referente. 2. Al riguardo occorre premettere che la materia del riordino degli enti locali e' stata oggetto di recenti interventi legislativi, che tuttavia non hanno superato il vaglio della Corte costituzionale. Il riferimento e' all'articolo 23 del d-l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, e agli articoli 17 e 18 del d-l n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, dichiarati incostituzionali con la sentenza n. 220 del 3 luglio 2013. 3. Riassumendo, con l'articolo 23 del d-l n. 201 del 2011 (convertito dalla legge n. 214 del 2011), il legislatore aveva, tra l'altro, modificato la normativa in tema di funzioni delle Province (limitandole al solo indirizzo e coordinamento dell'attivita' dei Comuni) e in tema di organi delle stesse (eliminando la Giunta, prevedendo che il Consiglio fosse composto da non piu' di dieci membri eletti dagli organi elettivi dei Comuni, e disponendo che il Presidente della Provincia fosse eletto dal Consiglio Provinciale). Con l'articolo 17 del d-l. n. 95 del 2012 (convertito dalla legge n. 135 del 2012), il legislatore aveva poi disposto il cosiddetto «riordino delle Province», modificando nuovamente la normativa in tema delle relative funzioni (ripristinandone il nucleo essenziale), e tenendo ferma la disciplina sugli organi delle stesse, come introdotta dal menzionato articolo 23 del d-l n. 201 del 2011. L'articolo 18 del d-l. 95 del 2012, inoltre, aveva previsto la soppressione delle Province di Roma, Torino, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, disponendo la contestuale istituzione delle relative Citta' metropolitane a partire dal 1° gennaio 2014. Lo stesso articolo 18 disciplinava, inoltre, gli organi e le funzioni delle Citta' metropolitane. 4. Le norme citate sono state dichiarate costituzionalmente illegittime per violazione dell'art. 77 Cost., in quanto un atto normativo come il decreto-legge e' stato ritenuto inidoneo ad introdurre «assetti ordinamentali che superino i limiti di misure meramente organizzative». Nella menzionata sentenza n. 220 del 2013, inoltre, la Consulta ha osservato che l'articolo 117, secondo comma, lett. p), della Costituzione, nell'attribuire alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina della «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane», «indica le componenti essenziali dell'intelaiatura dell'ordinamento degli enti locali, per loro natura disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di svolgimento dei principi costituzionali nel processo attuativo delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli regionali». Riferendosi, ancora, allo strumento della decretazione di urgenza, si e' poi rilevata l'inadeguatezza del decreto-legge «a realizzare una riforma organica e di sistema, che non solo trova le sue motivazioni in esigenze manifestatesi da non breve periodo, ma richiede processi attuativi necessariamente protratti nel tempo, tali da poter rendere indispensabili sospensioni di efficacia, rinvii e sistematizzazioni progressive». 5. All'esito della sentenza di annullamento della Corte, il legislatore dello Stato e' intervenuto nuovamente in materia di enti locali. La legge n. 56 del 2014 ha dettato norme in materia di Citta' metropolitane, di Province, di unioni e fusioni di Comuni, introducendo una disciplina che si presta a numerose censure di incostituzionalita'. 6. Per quanto riguarda le Citta' metropolitane, il comma 7 dell'art. 1, individua gli organi della Citta' metropolitana nel Sindaco metropolitano, nel Consiglio metropolitano e nella Conferenza metropolitana. I successivi commi 8 e 9 dell'art. 1, determinano le competenze e i poteri dei suddetti organi. Il comma 19 dell'art. 1, prevede che il Sindaco del Comune capoluogo e' di diritto il Sindaco metropolitano. Il comma 25 dell'art. 1, stabilisce che il Consiglio metropolitano e' eletto dai Sindaci e dai Consiglieri comunali dei Comuni della Citta' metropolitana, e che sono eleggibili a Consigliere metropolitano i Sindaci e i Consiglieri comunali in carica. Il comma 42 dell'art. 1, prevede che la Conferenza metropolitana e' composta dal Sindaco metropolitano, che la presiede, e dai Sindaci dei Comuni appartenenti alla Citta' metropolitana. 7. Per quanto riguarda le Province, i commi 54 e 55 dell'art. 1, rispettivamente individuano gli organi della Provincia «esclusivamente» nel Presidente della Provincia, nel Consiglio Provinciale e nell'Assemblea dei Sindaci, e definiscono le rispettive competenze e poteri. Il comma 56 dell'art. 1, prevede che l'Assemblea dei sindaci e' composta dai Sindaci dei Comuni appartenenti alla Provincia. Il comma 58 dell'art. 1, stabilisce che il Presidente della Provincia e' eletto dai Sindaci e dai Consiglieri dei Comuni della Provincia. Il comma 69 dell'art. 1, stabilisce che il Consiglio Provinciale e' eletto dai Sindaci e dai Consiglieri Comunali dei Comuni della Provincia, e che sono eleggibili a Consigliere Provinciale i Sindaci e i Consiglieri Comunali in carica. 8. Quanto al riordino delle funzioni delle Province, il comma 89 dell'art. 1, stabilisce che lo Stato e le Regioni procedono, secondo le rispettive competenze, all'attribuzione delle funzioni Provinciali diverse da quelle fondamentali (individuate ai precedenti commi 85 e 86), in attuazione dell'art. 118 Cost., nonche' al fine di conseguire le finalita' ivi elencate. Il comma 90 dell'art. 1, individua alcuni «principi fondamentali della materia e principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione», in relazione al caso in cui disposizioni normative statali o regionali riguardanti servizi di rilevanza economica prevedano l'attribuzione di funzioni di organizzazione dei predetti servizi, di competenza comunale o Provinciale, a enti o agenzie in ambito Provinciale o sub-Provinciale. Il comma 91 dell'art. 1, stabilisce che lo Stato e le Regioni individuano, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, «le funzioni di cui al comma 89 oggetto del riordino e le relative competenze», mediante accordo sancito in Conferenza unificata, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Ai sensi del comma 92 dell'art. 1, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, dovranno essere stabiliti i criteri generali per l'individuazione dei beni strumentali, risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite dalle Province agli enti subentranti a norma dei commi precedenti; a tal fine lo strumento individuato e' un D.P.C.M. preceduto da intesa con la Conferenza unificata, e le risorse da trasferire agli enti subentranti sono, in particolare, quelle gia' spettanti alle Province ai sensi dell'art. 119 Cost., detratte quelle necessarie alle funzioni fondamentali. Il comma 95 dell'art. 1, impone alla Regione, sentite le OO.SS. maggiormente rappresentative, di dare attuazione all'accordo di cui al comma 91, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, prevedendo, in caso contrario, l'esercizio del potere sostitutivo ex art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. 9. Tutto cio' premesso, con il presente ricorso la Regione Lombardia, come in epigrafe rappresentata e difesa, impugna la legge 7 aprile 2014, n. 56, e, in particolare, le norme piu' sopra menzionate, in quanto lesive delle proprie attribuzioni garantite da norme costituzionali, nonche' delle attribuzioni degli enti locali nei quali la Regione si articola, chiedendo a codesta Ecc.ma Corte di volerne dichiarare l'incostituzionalita' alla luce dei seguenti motivi di Diritto In via preliminare, si sottolinea il consolidato indirizzo della Corte costituzionale, ribadito, da ultimo, con la citata sentenza n. 220 del 3 luglio 2013, secondo cui le Regioni possono agire in giudizio non solo a salvaguardia delle proprie attribuzioni e competenze, ma anche con riguardo alle attribuzioni degli enti locali, quando sia lamentata, come nella specie, una potenziale lesione delle sfere di competenza dei medesimi. Inoltre sono considerate ammissibili le censure fondate su parametri non attinenti direttamente al riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni, qualora - come nel caso di specie - la lamentata violazione sia potenzialmente idonea a determinare una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, o ridondi sullo stesso riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni. Cio' chiarito, si passera' ora all'analisi dei singoli profili di illegittimita' costituzionale delle norme impupate. A) Sulla disciplina delle Citta' metropolitane I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 7, 8, 9, 19 25 e 42, della legge n. 56 del 2014, per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 117, comma 1, 118, 119 e 138 Cost.. 1. Le norme che disciplinano la forma di governo delle neo-istitutite Citta' metropolitane (al pari, come si vedra', di quelle disciplinanti la forma di governo delle Province residue) sono avvinte da numerosi profili di incostituzionalita'. Volendo riassumerne brevemente il contenuto, il comma 7 dell'art. 1 stabilisce che sono organi della Citta' metropolitana il Sindaco metropolitano, il Consiglio metropolitano e la Conferenza metropolitana. I commi 8 e 9 dell'art. 1 individuano poteri e competenze dei suddetti Organi. In particolare, il Sindaco metropolitano rappresenta l'ente, convoca e presiede il Consiglio metropolitano e la Conferenza metropolitana, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti, nonche' esercita le altre funzioni attribuite dallo Statuto. Il Consiglio metropolitano e' l'organo di indirizzo e controllo, propone alla Conferenza lo Statuto e le sue modifiche, approva regolamenti, piani e programmi, approva in via definitiva i bilanci dell'ente, ed esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto. La Conferenza metropolitana, invece, ha poteri propositivi e consultivi, «secondo quanto di disposto dallo statuto», adotta o respinge lo statuto e le sue successive modificazioni (con i voti che rappresentino almeno un terzo dei Comuni compresi nella Citta' metropolitana e la maggioranza della popolazione residente), ed esprime il parere sui bilanci dell'ente. Il successivo comma 19 prevede che il Sindaco del Comune capoluogo e' di diritto il Sindaco metropolitano. Il comma 25 stabilisce che il Consiglio metropolitano - composto, ai sensi del comma 22, dal Sindaco metropolitano e da un numero di Consiglieri variabile a seconda della consistenza demografica della Citta' metropolitana - e' eletto dai sindaci e dai Consiglieri dei Comuni della Citta' metropolitana, e che sono eleggibili a consigliere metropolitano i sindaci e i Consiglieri comunali in carica. Il comma 42 dell'art. 1, infine, prevede che la Conferenza metropolitana e' composta dal Sindaco metropolitano, che la presiede, e dai sindaci dei Comuni appartenenti alla Citta' metropolitana. 2. In primo luogo, e' evidente l'incostituzionalita' dell'art. 1, comma 19, per violazione degli artt. 1 e 48 Cost.. La norma in esame, stabilendo l'investitura di diritto del Sindaco del Comune capoluogo come Sindaco della Citta' metropolitana, impone agli elettori degli altri Comuni parimenti appartenenti al nuovo ente metropolitano un organo che ad essi non risulta riferibile ne' direttamente, ne' indirettamente. 3. Quanto agli altri organi, non puo' sfuggire come il «governo» della Citta' metropolitana risulti costruito sostanzialmente su un modello di rappresentanza di secondo grado. Il Consiglio, infatti, al quale l'art. 1, comma 8, della legge gravata, conferisce il potere di adottare la maggior parte delle decisioni dell'ente, e' organo elettivo indiretto, ed e' istituito in modo da non rispondere ne' al corpo elettorale ne' alla Conferenza metropolitana. Deve peraltro escludersi che quest'ultima partecipi della natura di una camera elettiva. Cio' discende sia dal fatto che la legge gravata non ne prevede l'elezione diretta da parte dei cittadini, sia da specifiche caratteristiche di carattere funzionale e strutturale. Precisamente, la Conferenza non esercita alcuna funzione che sia tipica di una camera elettiva, essendole riservato (comma 8) un potere deliberativo circoscritto alla sola adozione dello Statuto e all'espressione del parere obbligatorio sugli schemi di bilancio, nonche' poteri esclusivamente «propositivi e consultivi», peraltro integralmente rimessi alla disciplina degli statuti, e senza alcun vincolo circa la necessita' di un voto ponderato. Per tutto il resto, invece, le ordinarie funzioni decisionali dell'ente (normative e amministrative) sono distribuite tra il Sindaco e il Consiglio metropolitano, senza che la Conferenza possa in alcun modo far valere nei loro confronti un giudizio di responsabilita' politica per il relativo operato. 4. Ebbene, una forma di governo, quale quella individuata dalle norme impugnate, nella quale nessun organo e' eletto direttamente, si pone in aperto contrasto, in primo luogo, con il principio della rappresentanza politica democratica e con il principio di sovranita' popolare di cui all'art. 1 della Costituzione, letto in combinato disposto con gli artt. 5 e 114 Cost.. L'art. 1 Cost., definendo l'Italia come una Repubblica democratica fondata sul principio della sovranita' popolare, impone inequivocamente che ogni organo al quale sono affidate funzioni di indirizzo politico debba essere inserito in una forma di governo quanto meno coerente con tali principi. E detti principi non possono non trasferirsi, per osmosi, anche alle Citta' metropolitane (come pure agli altri enti territoriali contemplati dall'art. 114 Cost.), se e' vero che queste ultime sono inserite nell'architettura della Repubblica. Con la conseguenza diretta che anche la forma di governo delle Citta' metropolitane deve essere organizzata in modo da rispecchiare il principio della sovranita' popolare. Codesta Ecc.ma Corte non ha mancato di rilevare, in proposito, che «nella formulazione del nuovo art. 114 Cost. gli enti territoriali autonomi sono collocati a fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la Comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranita' popolare» (sent. n. 106 del 2002). Le conclusioni che precedono risultano avvalorate anche alla luce del principio autonomistico di cui all'art. 5 della Costituzione, dal quale risulta che i livelli di autonomia titolari di competenze pubbliche sono partecipi della Repubblica, e dunque, dello stesso modello repubblicano a legittimazione democratica. Si tratta di principi cardine nell'architettura costituzionale, che disegnano e legittimano la nostra forma di governo repubblicana e, con essa, quella delle articolazioni territoriali riconosciute espressamente dalla Costituzione quali parti della Repubblica. Principi che, dunque, avrebbero potuto essere derogati soltanto con legge costituzionale, e non certo attraverso lo strumento della legge ordinaria, che da essi promana e ai quali e' evidentemente vincolata. Ne discende dunque la violazione, da parte delle norme impugnate, anche dell'art. 138 Cost.. Peraltro, l'assenza di democraticita' che connota la forma di governo delle neo-istituite citta' metropolitane, di cui si e' appena detto, non e' nemmeno compensata, nei due organi ad elezione indiretta (sindaco metropolitano e consiglio metropolitano) da un'adeguata capacita' rappresentativa delle minoranze dei singoli comuni. Si ribadisce, sul punto, che a norma del comma 19 dell'art. 1, il sindaco metropolitano e' di diritto il sindaco del comune capoluogo della citta' metropolitana, mentre il successivo comma 25 dell'art. 1, circoscrive l'elettorato attivo e passivo per l'elezione del consiglio metropolitano ai Sindaci e ai Consiglieri comunali dei Comuni della citta' metropolitana. Ebbene, considerata l'operativita', nel sistema elettorale dei Comuni, del meccanismo del «premio di maggioranza», e' ben possibile che sia i Sindaci che i Consiglieri comunali chiamati ad eleggere il Consiglio metropolitano, nonche', se eletti, a farne parte, siano espressione di una medesima parte politica. Non vi e' dubbio che tale ulteriore vizio di democraticita', riconducibile ad una distorsione della rappresentanza proporzionale imposta a monte ai fini di governabilita', sovraccarichi ulteriormente il difetto di rappresentativita' degli organi della citta' metropolitana, gia' dovuto all'assenza di legittimazione democratica degli stessi. Concludendo, la nuova forma di governo metropolitano disegnata dalle norme impugnate non puo' in alcun modo essere ricondotta al modello delle forme di governo democratico-rappresentative (modello che, per tutto quanto detto, non puo' non estendersi alle articolazioni territoriali della Repubblica), ed e' pertanto elusiva degli artt. 1, 5, 114 e 138 della Costituzione. 5. Le norme rubricate meritano di essere dichiarate incostituzionali anche per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 3, comma 2, della Carta europea dell'autonomia locale, trattato internazionale concluso in sede di Consiglio d'Europa e reso esecutivo in Italia con la legge 30 dicembre 1989, n. 439. L'art. 3, al comma 1, della Carta, stabilisce che «Per autonomia locale, s'intende il diritto e le capacita' effettiva, per le collettivita' locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro responsabilita', e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici». Il secondo comma dell'art. 3 specifica poi, per quanto qui rileva, che «Tale diritto e' esercitato da Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto e universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti». La norma in esame impone, dunque, la necessita' che l'autonomia o autogoverno locale (e tale e' senz'altro la Citta' metropolitana) si eserciti necessariamente almeno per mezzo di consigli o assemblee elette a suffragio, libero, segreto e uguale, che esprimano organi esecutivi politicamente responsabili. Evidentemente, la Carta europea prescrive che nel governo delle autonomie locali vi sia almeno un organo ad elezione popolare diretta, cui gli organi esecutivi siano legati da un rapporto di responsabilita' politica. Cio' che assolutamente non ricorre, per tutto quanto detto, nel modello di governo metropolitano disegnato dalle norme impugnate. Non vi e' dubbio che il menzionato art. 3, comma secondo, della Carta, assuma il rango di norma cogente, la cui violazione da parte del legislatore dello Stato deve censurarsi con la declaratoria di incostituzionalita' ai sensi dell'art. 117, primo comma, della Costituzione. Del resto la Corte costituzionale ha ormai da tempo accolto la tesi per cui anche le norme internazionali pattizie (i trattati internazionali) integrino il parametro di costituzionalita' delle legge, mediante la tecnica dell'interposizione normativa (cfr. le note «sentenze gemelle» nn. 348 e 349 del 2007). Con specifico riferimento alla Carta europea dell'autonomia locale, peraltro, codesta Ecc.a Corte, a seguito di un incontro con una delegazione del «Congress of local and regional authorities» del Consiglio d'Europa, avvenuto il 3.11.11, ha espressamente riconosciuto come quest'ultima, «costituendo atto di diritto internazionale recepito con legge ordinaria nell'ordinamento interno, ricada nell'alveo della previsione del 1° comma dell'art. 117 Cost., che impone al legislatore statale e regionale il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali» , sicche' al legislatore «non dovrebbe essere consentito dettare discipline con essa contrastanti» (cfr. il documento L'applicazione in Italia della «Carta europea dell'autonomia locale», disponibile sul sito web della consulta, http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU_228 _Carta_eur_aut_locale_questioni.pdf). Concludendo, in forza dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, il legislatore aveva l'obbligo di conformarsi alla Carta europea dell'autonomia locale, e, nello specifico, al suo articolo 3, comma 2, il quale prescrive chiaramente la necessita' che la nella forma di governo dell'autonomia locale ci sia almeno un organo collegiale a elezione popolare diretta, che esprima un esecutivo politicamente responsabile. 6. Sotto connesso profilo, le norme impugnate violano anche il principio di sussidiarieta' verticale di cui all'art. 118 Cost., nonche' il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.. Il primo, come noto, impone di allocare una determinata funzione amministrativa al livello piu' prossimo al cittadino, ma perche' cio' possa avvenire razionalmente e' necessario che i processi deliberativi degli enti costitutivi della Repubblica siano affidati a livelli di Governo che risultino in qualche misura omologhi, si potrebbe dire «omogenei» quanto al grado di democraticita'. La creazione di un livello di governo intermedio (cio' vale sia per le Citta' metropolitane sia, come si vedra', per le Province) non legittimato democraticamente determina conseguenze paradossali sul piano dei rapporti fra principio di sussidiarieta' e principio democratico. Il principio di sussidiarieta' esclude che si possa allocare la funzione (ove cio' non sia necessario) ad un livello di governo piu' comprensivo, ove quello inferiore sia in grado di assolvervi; d'altro canto, e' contraria al principio democratico l'allocazione di una funzione amministrativa in capo a soggetti non responsabili (sia pur indirettamente) di fronte al popolo sovrano. Il paradosso sta in cio', che la realizzazione di un principio si traduce nella negazione dell'altro, il che e' ovviamente in contraddizione con lo spirito della riforma del Titolo V, che ha accolto la sussidiarieta' quale strumento di attuazione e diffusione dei processi democratici, non solo di razionalizzazione della struttura dello Stato. Insomma, la forma di governo disegnata dalla legge gravata, costituita da organi elettivi di secondo grado non responsabili ne' rispetto al corpo elettorale di riferimento, ne' rispetto ad un'Assemblea direttamente elettiva, risulta incompatibile con il vigente modello costituzionale di allocazione/distribuzione delle funzioni amministrative, ed anzi ne comporta illogicamente l'inversione, con manifesta violazione degli artt. 1, 3 e 118 Cost.. 7. Ma non basta. La forma di governo metropolitano individuata dalle norme gravate, nella quale la totalita' degli organi non ha legittimazione democratica diretta, si pone altresi' in contrasto con l'art. 119 Cost.. L'autonomia finanziaria di entrata e di spesa e l'autorita' impositiva riconosciuta agli enti territoriali dalla norma in esame, infatti, e' stata storicamente e unanimemente ricondotta, con ratio evidente, alla responsabilita' degli organi direttamente rappresentativi nei confronti dei contribuenti. Essendo venuto meno tale fondamentale requisito, non puo' che confermarsi l'illegittimita' costituzionale della disciplina in esame anche sotto questo profilo. Sempre sotto il profilo dell'autonomia finanziaria e dell'autorita' impositiva dell'ente metropolinato, la disciplina riconducibile alle norme impugnate viola altresi' l'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'articolo 9 della gia' menzionata Carta europea dell'autonomia locale, rubricato «Risorse finanziarie dell'autonomia locale». Il primo comma dell'art. 9 dispone che «Le collettivita' locali hanno diritto, nell'ambito della politica economica nazionale, a risorse proprie sufficienti, di cui possano disporre, liberamente nell'esercizio delle loro competenze». Il terzo comma dell'art. 9 prevede poi che «Una parte almeno delle risorse finanziarie delle collettivita' locali deve provenire da tasse e imposte locali di cui esse hanno facolta' di stabilire il tasso nei limiti previsti dalla legge», mentre il successivo quarto comma specifica che «I sistemi finanziari, che sostengono le risorse di cui dispongono le collettivita' locali, devono essere di natura sufficientemente diversificata ed evolutiva per consentire loro di seguire, in pratica, per quanto possibile, l'andamento reale dei costi di esercizio delle loro competenze». Da ultimo, il sesto comma dell'articolo 9 prevede che «Le collettivita' locali dovranno essere opportunamente consultate per quanto riguarda le modalita' dell'assegnazione, nei loro confronti, delle risorse nuovamente distribuite». Anche le disposizioni in esame riconducono evidentemente l'autonomia finanziaria e l'autorita' impositiva riconosciuta alle autonomie locali alla necessaria democraticita' della forma di governo di queste ultime (come prescritta dal gia' invocato art. 3, comma 2, della Carta), presupposto che nel caso di specie e' venuto meno. 8. I predetti profili di incostituzionalita' non possono essere superati dal successivo art. 1, comma 22, ove si accorda allo Statuto della Citta' metropolitana la possibilita' di prevedere l'elezione diretta del Sindaco e del Consiglio metropolitano. Questa possibilita', infatti, e' subordinata alle seguenti condizioni: i) Approvazione del sistema elettorale con legge statale; ii) Articolazione del territorio del Comune capoluogo in piu' Comuni, entro la data di indizione delle elezioni (su proposta del Comune capoluogo, da sottoporre a referendum secondo le rispettive leggi regionali, approvata dalla maggioranza dei partecipanti al voto); iii) Istituzione di nuovi Comuni ad opera della Regione ex art. 133 della Costituzione. Si tratta, infatti, di condizioni manifestamente irragionevoli ed ingiustificatamente gravose, che eludono l'art. 3 della Costituzione, impedendo di fatto alla Citta' metropolitana di dotarsi di un governo di stampo democratico. Senza considerare che la condizione della preventiva articolazione del Comune capoluogo in piu' Comuni elude, ancora in violazione dell'art. 3 Cost., l'intero spirito della riforma, che e' quello di promuovere le unioni e fusioni di Comuni. Ne' una simile censura puo' essere scalfita dalla possibilita', prevista nell'ultimo periodo del comma 22 per le sole Citta' metropolitane con piu' di tremila abitanti, che in alternativa alle condizioni precedenti si possa far luogo all'elezione del Sindaco e del Consiglio metropolitano a suffragio universale qualora lo Statuto della citta' metropolitana preveda la costituzione di zone omogenee, ai sensi del precedente comma 11, lett. c), della legge gravata, e che il comune capoluogo abbia realizzato la ripartizione del proprio territorio in zone dotate di autonomia amministrativa, in coerenza con lo Statuto della Citta' metropolitana. Anche in questo caso, infatti, si tratta di adempimenti gravosi, irragionevoli e di non immediata applicabilita', che compromettono in radice la possibilita' che la Citta' metropolitana si doti, sin da subito, di una forma di governo effettivamente rappresentativa. Inoltre la possibilita' di articolare il territorio della Citta' metropolitana in zone omogenee, prevista dall'art. 1, comma 11, lett. c) della legge impugnata, non e' rimessa alla sola volonta' della Citta' metropolitana, ma e' subordinata alla preventiva intesa con la Regione, ulteriore adempimento idoneo, nella specie, ad aggravare il procedimento previsto per l'elezione diretta degli organi dell'ente metropolitano. Sotto il profilo dell'irragionevolezza, ancora, non si vede il nesso fra l'elezione a suffragio universale e diretto degli organi della Citta' metropolitana - che riguarda appunto la forma di governo dell'ente - con la richiesta articolazione della stessa in zone omogenee, o con la ripartizione del territorio del Comune capoluogo in zone dotate di autonomia amministrativa, profili invece inerenti l'organizzazione e la distribuzione delle competenze e delle funzioni amministrative. Senza contare che, per tutto quanto detto, la necessaria democraticita' delle forme di governo delle articolazioni repubblicane e' prescritta direttamente dalla Costituzione e non puo' dunque essere subordinata, da parte del legislatore statale, a nessuna condizione, se non eludendo, ancora una volta, gli articoli 1, 3, 5, 114 e 138 della Carta costituzionale. 9. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si insiste affinche' codesta Ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 7, 8, 9, 19, 25 e 42, della legge n. 56 del 2014, per violazione degli artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117, comma 1, 118 e 119 Cost.. B) Sulla disciplina delle Province I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 54, 55, 56, 58, 69, della legge n. 56 del 2014, per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 117, comma 1, 118, 119 e 138 Cost.. 1. Al pari di quanto si e' gia' eccepito per la forma di governo delle Citta' metropolitane, anche la disciplina che la legge n. 56 del 2014 riserva alla forma di governo delle Province residue si mostra avvinta da numerosi profili di incostituzionalita'. Volendo riassumere brevemente il contenuto delle norme gravate, il comma 54 dell'art. 1, individua quali organi della Provincia «esclusivamente» il Presidente della Provincia, il Consiglio Provinciale e l'Assemblea dei sindaci. Il comma 55 dell'art. 1, individua poi le competenze dei suddetti organi: in particolare il Presidente rappresenta l'ente, convoca e presiede il Consiglio Provinciale e l'Assemblea dei sindaci, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti, nonche' esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto; il Consiglio Provinciale e' l'organo di indirizzo e controllo, propone all'Assemblea dei sindaci lo statuto, approva regolamenti, piani e programmi, approva in via definitiva i bilanci dell'ente, ed esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto; l'Assemblea dei sindaci, invece, ha poteri propositivi, consultivi e di controllo «secondo quanto disposto dallo statuto», adotta o respinge lo statuto e le sue successive modificazioni (con i voti che rappresentino almeno un terzo dei Comuni compresi nella Provincia e la maggioranza della popolazione residente), ed esprime il parere sui bilanci dell'ente. Il comma 56 dell'art. 1, dispone che l'Assemblea dei sindaci e' costituita dai sindaci dei Comuni appartenenti alla Provincia, mentre il successivo comma 58 prevede che il presidente della Provincia e' eletto dai Sindaci e dai Consiglieri dei Comuni della Provincia. 2. Anche per il governo Provinciale, dunque, le norme impugnate hanno previsto una forma di governo sostanzialmente di secondo grado. Per il Presidente e il Consiglio Provinciale sono infatti previsti sistemi di elezione indiretta, mentre l'Assemblea dei sindaci e' composta dai sindaci dei Comuni della Provincia. Peraltro deve escludersi che l'Assemblea dei sindaci partecipi della natura di una camera elettiva. Cio' discende sia dal fatto che la legge gravata non ne prevede l'elezione diretta da parte dei cittadini, sia da specifiche caratteristiche di carattere funzionale e strutturale. Precisamente, l'Assemblea non esercita alcuna funzione che sia tipica di una camera elettiva, essendole riservati (comma 55) solo poteri propositivi e consultivi, nonche' il compito di approvare lo statuto e di esprimere il parere sul bilancio dell'ente, senza tuttavia poter esercitare l'iniziativa statutaria, e senza poter contribuire alla predisposizione dei bilanci (atti di competenza del Consiglio, organo elettivo di II grado). Anche le condizioni strutturali di esercizio delle suddette competenze non soddisfano il principio democratico-rappresentativo. Infatti l'Assemblea dei sindaci non puo' far valere un giudizio di responsabilita' politica nei confronti dei due organi ad elezione indiretta, il Presidente e il Consiglio, sicche' una volta eletti questi due organi, ai quali come visto la legge riserva la direzione politica della gran parte delle funzioni dell'ente, viene definitivamente reciso il legame con la rappresentanza politica che piu' si avvicina a quella di primo grado (l'Assemblea). 3. Ebbene, una forma di governo di secondo grado, quale quella individuata dalle norme impugnate, si pone in aperto contrasto, in primo luogo, con il principio della rappresentanza politica democratica e con il principio di sovranita' popolare di cui all'art. 1 della Costituzione, letto in combinato disposto con gli artt. 5 e 114 Cost.. Non sfugge a questa difesa che la previsione di organi di governo ad elezione indiretta non sia di per se' incompatibile con il principio democratico, sicche' non tutti gli organi di governo devono necessariamente essere ad elezione diretta. Quello che si contesta e' che, nella specie, nessun organo di governo della Provincia e' eletto direttamente. Come visto, nel nuovo modello di sistema Provinciale il funzionamento della forma di governo si impernia pressoche' esclusivamente sull'iniziativa, l'indirizzo e le funzioni degli organi a elezione indiretta (il Presidente e il Consiglio), mentre l'Assemblea dei sindaci (composta da organi di diretta elezione popolare), ha un rilievo del tutto marginale nei processi decisionali dell'ente. Ora, l'art. 1 della Costituzione, definendo l'Italia come una Repubblica democratica fondata sul principio della sovranita' popolare, impone inequivocamente che ogni organo al quale sono affidate funzioni politiche debba essere inserito in una forma di governo quanto meno coerente con tali principi. Cio' significa che, sebbene non sia necessario che tutti gli organi della Provincia siano direttamente elettivi, e' comunque necessario che la forma di governo provinciale sia complessivamente coerente con il principio democratico della sovranita' popolare. Posto che, ai sensi dell'art. 1 Cost., la Repubblica deve essere democratica, e che, ai sensi dell'art. 114 Cost., la Repubblica e' costituita anche dalle Province, allora non puo' che concludersi che queste ultime, in quanto inserite nell'architettura della Repubblica, devono essere «democratiche», e cioe' organizzate in modo da rispecchiare il principio della sovranita' popolare. Anche in questo caso, merita di essere evidenziato l'insegnamento di Codesta Ecc.ma Corte, secondo il quale «nella formulazione del nuovo art. 114 Cost. gli enti territoriali autonomi sono collocati a fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la Comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranita' popolare» (sent. n. 106 del 2002). Detta affermazione risulta il logico corollario del principio autonomistico di cui all'art. 5 della Carta costituzionale, che erige a principio fondamentale del sistema costituzionale italiano il riconoscimento e la promozione delle autonomie locali da parte della Repubblica. Ne consegue, allora, che anche i livelli di autonomia titolari di competenze pubbliche, in quanto partecipi della Repubblica, sono titolari dello stesso modello repubblicano a legittimazione democratica. Il principio autonomistico di cui all'art. 5 Cost., impone infatti che accanto al processo democratico statale ve ne siano altri, dislocati sugli ambiti territoriali meno comprensivi, i quali - fintanto che esistono - devono essere organizzati, appunto, secondo forme istituzionali di governo che soddisfino il principio democratico della sovranita' popolare. I predetti imprescindibili vincoli, come si e' visto, sono stati illegittimamente travalicati dal legislatore statale, che attraverso le norme impugnate ha disegnato un sistema di governo provinciale del tutto disancorato dal modello di rappresentanza democratica imposto dagli artt. 1, 5 e 114 della Costituzione. Si tratta di principi cardine nell'architettura costituzionale, che disegnano e legittimano la nostra forma di governo repubblicana e, con essa, quella delle articolazioni territoriali riconosciute espressamente dalla Costituzione quali parti della Repubblica. Principi che, dunque, avrebbero potuto essere derogati soltanto con legge costituzionale, e non certo attraverso lo strumento della legge ordinaria, che da essi promana e ai quali e' evidentemente vincolata. Ne discende dunque la violazione, da parte delle norme impugnate, anche dell'art. 138 Cost.. Peraltro, nella nuova forma di governo provinciale questa assenza di democraticita' non e' nemmeno compensata, nei due organi ad elezione indiretta (Presidente della Provincia e Consiglio provinciale), da un'adeguata capacita' rappresentativa delle minoranze dei singoli Comuni. Si e' detto, infatti, che a norma dei commi 58 e 60 dell'art. 1, per il Presidente della Provincia l'elettorato passivo e' circoscritto ai sindaci della Provincia, mentre l'elettorato attivo spetta ai sindaci e ai consiglieri dei comuni della Provincia. Quanto al Consiglio provinciale, il comma 69 dell'art. 1, circoscrive l'elettorato attivo e passivo ai sindaci e ai consiglieri comunali dei comuni della provincia. Come si e' gia' eccepito per la forma di governo delle neo-istituite Citta' metropolitane, anche in questo caso al deficit di rappresentativita' risultante dal difetto di legittimazione democratica dei due organi ad elezione indiretta, si aggiunge l'ulteriore deficit di rappresentativita' «a monte», dovuto all'operativita', nel sistema elettorale dei comuni, del meccanismo del «premio di maggioranza». Sara' dunque inevitabile che sia i sindaci che i consiglieri comunali chiamati ad eleggere il Presidente della Provincia e il Consiglio provinciale, nonche', se eletti, a farne parte, siano espressione di una medesima parte politica. Dal che risulta avvalorata, anche sotto l'esposto versante, la censura di incostituzionalita' articolata avverso le norme che disciplinano la nuova forma di governo provinciale, per violazione del principio democratico di cui agli artt. 1, 5 e 114 Cost.. 4. Come si e' gia' eccepito per la forma di governo delle Citta' metropolitane, le norme rubricate meritano di essere dichiarate incostituzionali anche per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 3, comma 2, della menzionata Carta europea dell'autonomia locale (trattato internazionale reso esecutivo in Italia con la legge 30 dicembre 1989, n. 439). L'art. 3, comma 1, della Carta, stabilisce che «Per autonomia locale, s'intende il diritto e le capacita' effettiva, per le collettivita' locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro responsabilita', e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici». Il secondo comma dell'art. 3 specifica poi, per quanto qui rileva, che «Tale diritto e' esercitato da Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto e universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti». La norma in esame impone, dunque, la necessita' che l'autonomia o autogoverno locale (quale senz'altro quello delle Province) si eserciti necessariamente almeno per mezzo di consigli o assemblee elette a suffragio, libero, segreto e uguale, che esprimano organi esecutivi politicamente responsabili. Cio' che assolutamente non ricorre, per tutto quanto detto, nel modello di governo provinciale disegnato dalle norme impugnate. Si ribadisce che il menzionato art. 3 della Carta assume il rango di norma cogente, la cui violazione da parte del legislatore dello Stato deve censurarsi con la declaratoria di incostituzionalita' ai sensi dell'art. 117, primo comma, della Costituzione. La Corte costituzionale ha infatti ormai da tempo accolto la tesi per cui anche le norme internazionali pattizie integrano il parametro di costituzionalita' delle legge, mediante la tecnica dell'interposizione normativa (cfr. le note «sentenze gemelle» nn. 348 e 349 del 2007). L'operativita' dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione alla Carta europea dell'autonomia locale, e' stata poi esplicitamente riconosciuta dalla Consulta, come evidenziato sopra, a seguito di un incontro con una delegazione del «Congress of local and regional authorities» del Consiglio d'Europa, avvenuto il 3.11.11. Risulta dunque confermata l'illegittimita' costituzionale delle norme impugnate per violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 3, comma 2, della Carta europea dell'Autonomia locale, il quale prescrive chiaramente la necessita' che la nella forma di governo dell'autonomia locale ci sia almeno un organo collegiale a elezione popolare diretta, che esprima un esecutivo politicamente responsabile. 5. In senso analogo a quanto gia' eccepito per il modello di governo metropolitano, inoltre, la disciplina risultante dalle norme in rubrica viola altresi' il principio di sussidiarieta' verticale di cui all'art. 118 Cost., nonche' il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.. Quest'ultimo impone che, ai fini dell'allocazione della funzione amministrativa al livello piu' prossimo al cittadino ai sensi dell'art. 118 Cost., i processi deliberativi degli enti costitutivi della Repubblica siano affidati a livelli di Governo che risultino in qualche misura omologhi, si potrebbe dire «omogenei» quanto al grado di democraticita'. La forma di governo provinciale disegnata dalla legge gravata, invece, essendo costituita da organi elettivi di secondo grado non responsabili ne' rispetto al corpo elettorale di riferimento, ne' rispetto ad un'Assemblea direttamente elettiva, risulta incompatibile con il vigente modello costituzionale di allocazione/distribuzione delle funzioni amministrative, ed anzi ne comporta illogicamente l'inversione. E' evidente, infatti, che nella scelta della sede territoriale cui allocare le funzioni amministrative, verra' irragionevolmente preferito il livello piu' comprensivo (quello regionale), invece che quello piu' prossimo al cittadino (quello provinciale), in quanto solo nel primo gli organi di governo rispondono direttamente ai cittadini attraverso l'elezione popolare. 6. Deve rilevarsi, ancora, che la forma di governo provinciale individuata dalle norme gravate, nella quale la totalita' degli organi non ha legittimazione democratica diretta, si pone altresi' in contrasto con l'art. 119 Cost.. L'autonomia finanziaria di entrata e di spesa e l'autorita' impositiva riconosciuta agli enti territoriali dalla norma in esame, infatti, e' stata storicamente e unanimemente ricondotta, con ratio evidente, alla responsabilita' degli organi direttamente rappresentativi nei confronti dei contribuenti. Essendo venuto meno tale fondamentale requisito, non puo' che confermarsi l'illegittimita' costituzionale della disciplina in esame anche sotto questo versante. Sempre sotto il profilo dell'autonomia finanziaria e dell'autorita' impositiva, la disciplina riconducibile alle norme impugnate viola altresi' l'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'articolo 9 della gia' menzionata Carta europea dell'autonomia locale, rubricato «Risorse finanziarie dell'autonomia locale». Il primo comma dell'art. 9 dispone che «Le collettivita' locali hanno diritto, nell'ambito della politica economica nazionale, a risorse proprie sufficienti, di cui possano disporre liberamente nell'esercizio delle loro competenze» . Il terzo comma dell'art. 9 prevede poi che «Una parte almeno delle risorse finanziarie delle collettivita' locali deve provenire da tasse e imposte locali di cui esse hanno facolta' di stabilire il tasso nei limiti previsti dalla legge» , mentre il successivo quarto comma specifica che «I sistemi finanziari, che sostengono le risorse di cui dispongono le collettivita' locali, devono essere di natura sufficientemente diversificata ed evolutiva per consentire loro di seguire, in pratica, per quanto possibile, l'andamento reale dei costi di esercizio delle loro competenze». Da ultimo, il sesto comma dell'articolo 9 prevede che «Le collettivita' locali dovranno essere opportunamente consultate per quanto riguarda le modalita' dell'assegnazione, nei loro confronti, delle risorse nuovamente distribuite». Anche le disposizioni in esame riconducono evidentemente l'autonomia finanziaria e l'autorita' impositiva riconosciuta alle autonomie locali alla necessaria democraticita' della forma di governo di queste ultime (come prescritta dal gia' invocato art. 3, comma 2, della Carta), presupposto che nel caso di specie e' venuto meno. 7. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si insiste affinche' codesta Ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 54, 55, 56, 58 e 69, della legge n. 56 del 2014, per violazione degli artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117, comma 1, 118, 119 e 138 Cost.. C) Sulla disciplina di riordino delle funzioni I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 89, 90, 91, 92 e 95, della legge n. 56 del 2014, per violazione degli artt. 3, 97, 114, 117, comma 2, lett. p), comma 3 e comma 4, 118, 120 e 138 Cost.. 1. Non sfugge a censure di incostituzionalita' nemmeno la disciplina che la legge n. 56 del 2014 riserva al riordino delle funzioni delle Province. Riassumendo brevemente il contenuto delle norme in rubrica, al fine di agevolare la successiva esposizione, si precisa che il comma 89 dell'art. 1, dispone che lo Stato e le regioni, «secondo le rispettive competenze», attribuiscono le funzioni provinciali diverse da quelle fondamentali (individuate al precedente comma 85), «in attuazione dell'art. 118 della Costituzione», anche al fine di conseguire le finalita' ivi meglio specificate. Il successivo comma 90 dell'art. 1, prevede alcuni «principi fondamentali» in materia di attribuzione di funzioni di organizzazione dei servizi di rilevanza economica, di competenza comunale o provinciale, a enti o agenzie in ambito provinciale o sub provinciale, qualificati anche come «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica». Il comma 91 dell'art. 1, stabilisce che lo Stato e le Regioni individuano, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, «le funzioni di cui al comma 89 oggetto del riordino e le relative competenze», mediante accordo sancito in Conferenza unificata, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Ai sensi del comma 92 dell'art. 1, poi, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, dovranno essere stabiliti i criteri generali per l'individuazione dei beni strumentali, risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite dalle Province agli enti subentranti a norma dei commi precedenti; a tal fine lo strumento individuato e' un D.P.C.M. preceduto da intesa con la Conferenza unificata. Le risorse da trasferire agli enti subentranti sono, in particolare, quelle gia' spettanti alle Province ai sensi dell'art. 119 Cost., detratte quelle necessarie alle funzioni fondamentali. Il comma 95 dell'art. 1, impone alla Regione, sentite le OO.SS. maggiormente rappresentative, di dare attuazione all'accordo di cui al comma 91, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, prevedendo, in caso contrario, l'esercizio del potere sostitutivo ex art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. 2. Attraverso le disposizioni in esame il legislatore, da una parte, ha individuato le funzioni fondamentali delle Province ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. p), della Costituzione, dall'altra ha inopinatamente articolato un inedito procedimento di concertazione fra Stato e Regioni, per di piu' vincolato a tempistiche estremamente ristrette, per l'individuazione e la riallocazione delle funzioni gia' provinciali non fondamentali, e per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative, connesse all'esercizio delle funzioni oggetto di trasferimento. 3. In via preliminare, occorre rilevare che la disciplina in esame non si mostra di agevole interpretazione. Non e' chiaro, in particolare, se le funzioni non fondamentali oggetto di riordino possano essere mantenute in capo alle Province, che gia' le esercitavano, ovvero se la disciplina di riallocazione qui in esame ne imponga necessariamente il trasferimento agli altri enti (Regioni, Comuni e unioni di Comuni, Governo centrale). In quest'ultimo senso sembra deporre il gia' citato comma 92 dell'art. 1, ove si prevede che, nella definizione delle risorse connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite, «sono considerate le risorse finanziarie, gia' spettanti alle province ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione, che devono essere trasferite agli enti subentranti per l'esercizio delle funzioni loro attribuite, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali e fatto comunque salvo quanto previsto dal comma 88». Ebbene, se la disciplina in esame dovesse intendersi nel senso che alle Province spettano solo le funzioni definite come «fondamentali», allora le norme impugnate dovranno essere dichiarate incostituzionali per manifesta violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, 118 e 138 della Costituzione. In questo modo, infatti, la Regione verrebbe illegittimamente spogliata del potere di allocare le funzioni amministrative di propria competenza nei confronti della Provincia, secondo principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. Tale imposizione appare tanto piu' arbitraria, ingiustificata e illegittima ove si consideri che la legge gravata non determina la soppressione assoluta delle Province residue, le quali, ancorche' depotenziate, continuano comunque ad essere presenti nell'ordinamento. Ben possono, quindi, essere scelte discrezionalmente dalle Regioni quali soggetti istituzionali destinatari delle funzioni regionali, cosi' come del resto stabilito dallo stesso art. 118 Cost.. L'obbligo di riallocazione delle funzioni imposto al legislatore regionale determina dunque, in questa chiave di lettura, un'illegittima invasione delle attribuzioni della Regione ricorrente, nella misura in cui viene a limitare la sua autonomia in merito alla determinazione del livello territoriale di governo piu' idoneo all'esercizio di funzioni di propria competenza. Invasione tanto piu' grave e manifesta ove solo si consideri che il comma 95 dell'art. 1, prevede espressamente l'esercizio di un potere sostitutivo statale in caso di mancato trasferimento delle funzioni entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, in manifesta violazione anche dell'art. 120, secondo comma, e dell'art. 3 Cost.. A cio' si aggiunga che - se interpretata in questo senso - la disciplina gravata risulterebbe incostituzionale anche in relazione agli articoli 97, 114, 117 e 138 della Costituzione, relativamente alle attribuzioni delle Province. Verrebbe, infatti, disconosciuta la natura della Provincia quale ente autonomo costitutivo della Repubblica, cui spetta una sfera di poteri, funzioni e competenze, comprimibile solo con il procedimento di revisione costituzionale, in violazione dell'art. 138 Cost.. Non solo. Risulterebbe gravemente menomata anche l'autonomia statutaria, organizzativa, e finanziaria dell'ente, nonche' la riserva di potere regolamentare di cui all'art. 117, comma 6, della Costituzione. La preclusione per la Regione di allocare le funzioni amministrative al livello di governo provinciale, qualora ritenuto ottimale ai sensi dell'art. 118 Cost., inoltre, condurrebbe all'inevitabile ma inaccettabile risultato per cui quelle stesse funzioni amministrative non potrebbero essere esercitate secondo i principi di buon andamento, efficienza, efficacia, economicita', con conseguente violazione anche dell'art. 97 Cost.. E' evidente, stante quanto precede, l'illegittimita' delle norme impugnate, se interpretate nel senso di escludere le Province dai possibili destinatari di funzioni amministrative di competenza regionale, per violazione degli articoli 3, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118, 120, secondo comma, e 138 della Costituzione. 4. Cio' posto, preme poi evidenziare che, anche nell'ipotesi in cui il processo di riordino disciplinato dalle norme gravate contemplasse la possibilita' di mantenere in capo alle Province determinate funzioni non fondamentali, queste ultime si mostrerebbero comunque incostituzionali sotto ulteriori profili. La disciplina sopra riassunta si mostra, in particolare, in stridente contrasto con l'art. 117, secondo comma, lett. p), della Costituzione, in combinato disposto con gli artt. 117, commi 3 e 4, e 118 Cost., nonche' con gli artt. 3 e 97 Cost.. Il legislatore statale, infatti, al di fuori della competenza esclusiva in materia di «funzioni fondamentali delle Province», non ha alcun titolo competenziale per stabilire, in maniera sistematica, le modalita' e le tempistiche per la riallocazione delle finzioni «non fondamentali» di competenza regionale. In particolare, esorbita dalla materia di cui all'art. 117, comma 2, lett. p), e costituisce una manifesta lesione dei principi di cui all'art. 118 Cost., la previsione di cui al comma 89 dell'art. 1, ove si prevede che lo Stato e le Regioni, «nell'ambito delle rispettive competenze», devono allocare le funzioni provinciali diverse da quelle fondamentali. Sebbene la norma faccia espresso riferimento all'art. 118 Cost., infatti, quest'ultima detta al legislatore regionale alcuni principi con esso incompatibili. In particolare si prevede che l'allocazione delle funzioni amministrative debba avvenire nel rispetto delle seguenti finalita': individuazione dell'ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione; efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei Comuni e delle unioni di Comuni; sussistenza di riconosciute esigenze unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra gli enti territoriali coinvolti nel processo di riordino, mediante intese o convenzioni; valorizzazione di forme di esercizio associato di funzioni da parte di piu' enti locali, nonche' di forme di autonomia funzionale. Ebbene, i limiti e vincoli imposti al legislatore regionale fuori dagli ambiti di competenza dello Stato, comprimono illegittimamente il potere costituzionalmente riconosciuto alla Regione di individuare, secondo i principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza, il livello territoriale di governo piu' idoneo all'esercizio delle funzioni amministrative di propria competenza. Illegittima si mostra dunque, sotto i medesimi profili, anche l'imposizione alla Regione di addivenire - peraltro nel ristretto termine di tre mesi dalla entrata in vigore della legge - ad un accordo in Conferenza unificata in ordine alle funzioni non fondamentali di propria competenza oggetto di riordino (comma 91). Lo Stato non ha, di conseguenza, nemmeno alcun titolo per pretendere che la Regione dia attuazione al suddetto accordo, per di piu' nel ristrettissimo termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, ne', dunque, sussistono i presupposti per l'adozione dei poteri sostitutivi del Governo ai sensi dell'art. 120, comma 2, Cost., e dell'art. 8, legge 5 giugno 2003, n. 131. Senza contare che, nei casi in cui vi sia uno spostamento di competenze amministrative a seguito di attrazione in sussidiarieta', la Corte costituzionale ha escluso che possa essere previsto un potere sostitutivo, dovendosi ritenere che la leale collaborazione, necessaria in tale evenienza, non possa essere sostituita puramente e semplicemente da un atto unilaterale dello Stato (sentenze n. 165 del 2011 e n. 383 del 2005). Per gli stessi motivi, e' illegittima la prescrizione di cui al comma 92, che impone al a Regione di esprimere l'intesa in Conferenza unificata, propedeutica all'emanazione di un D.P.CM. - da emettersi anch'esso nel ristrettissimo termine di tre mesi dall'entrata in vigore della legge, il che postula un termine ancora inferiore per il raggiungimento dell'intesa - recante i criteri generali per l'individuazione dei beni e risorse strumentali all'esercizio delle funzioni da riallocare. Esorbita, infatti, dalle attribuzioni che l'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., riserva allo Stato, tanto l'imposizione alla Regione dei tempi e delle modalita' per l'individuazione dei predetti mezzi e risorse, quanto la possibilita' che, nell'ambito delle funzioni di competenza regionale, la definizione dei criteri per procedere a tale individuazione siano deferiti ad un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. La disciplina contestata, dunque, oltre ad esorbitare dalle attribuzioni statali di cui all'art. 117, secondo comma, lett. p), della Costituzione, comprime inopinatamente il potere della Regione ricorrente di individuare il miglior livello di esercizio delle funzioni di propria competenza, secondo i principi di sussidiarieta', differenziazione a adeguatezza, nonche' di stabilire le tempistiche per il riordino e di individuare le risorse connesse agli eventuali trasferimenti, in manifesta violazione anche degli artt. 117, commi 3 e 4, e 118 Cost.. Tale compressione, sotto concorrente profilo, sacrifica indebitamente anche i principi che regolano l'azione amministrativa ai sensi dell'art. 97 Cost.. I vincoli imposti dallo Stato al collocamento delle funzioni amministrative al livello di governo ottimale, infatti, producono l'effetto di distorcere l'esercizio di quelle stesse funzioni, ostacolando il perseguimento del buon andamento, dell'efficienza, dell'efficacia e dell'economicita' nel relativo esercizio, con conseguente violazione anche dell'art. 97 Cost.. Cio' riflette altresi' il grave deficit delle norme gravate, sotto il profilo della ragionevolezza e della coerenza con gli scopi perseguiti dalla legge n. 56 del 2014, che sono dichiaratamente quelli di disciplinare Citta' metropolitane, Province e unioni di Comuni «al fine di adeguare il loro ordinamento ai principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza» (comma 1). Dal che discende anche l'illegittimita' costituzionale delle norme impugnate per violazione dell'art. 3 della Costituzione. 5. Le considerazioni che precedono valgono, a maggior ragione, per le funzioni amministrative afferenti a materie di competenza residuale della Regione. E' ancor piu' evidente, infatti, che per tali ambiti lo Stato non abbia alcun titolo ne' nel dettare principi fondamentali di allocazione (quali l'ambito territoriale ottimale di esercizio, la sussistenza di riconosciute esigenze unitarie, ecc.), ne' per richiedere il raggiungimento dell'intesa ai fini dell'individuazione delle funzioni da riallocare e delle relative competenze, ne' tantomeno per pretenderne l'attuazione da parte del legislatore regionale e per esercitare, in caso contrario, il potere sostitutivo di cui all'art. 120 Cost.. Allo stesso modo, per le funzioni afferenti le materie di competenza residuale, la Regione non e' tenuta a raggiungere l'intesa in conferenza unificata ai fini della determinazione dei criteri per l'individuazione delle risorse connesse alle materie oggetto di trasferimento. Infatti, in relazione alle materie di cui all'art. 117, quarto collima, Cost., spetta unicamente alla Regione dettare sia i principi che le norme di dettaglio sulla allocazione delle funzioni amministrative. 6. L'intervento normativo in esame si mostra costituzionalmente illegittimo anche sotto il piu' generale versante della ragionevolezza, dell'opportunita' e della coerenza con i fini perseguiti, ponendosi in contraddizione con i principi di cui all'art. 3 Cost., e con il principio del buon andamento dell'azione amministrativa di cui all'articolo 97 Cost.. Di tanto costituisce indizio evidente, in primo luogo, il carattere dichiaratamente provvisorio della contestata riforma (nelle more della riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione). In secondo luogo si evidenzia come le norme impugnate, invece di riordinare e semplificare l'ordinamento locale, secondo i principi di sussidiarieta' differenziazione e adeguatezza richiamati dal primo comma dell'art. 1, conducono alla paradossale alternativa di centralizzare le funzioni in capo allo Stato o alla Regione, ovvero di moltiplicare gli enti (unioni di Comuni) che dovrebbero svolgere le funzioni di area vasta. Cio' determinera' un sensibile indebolimento della capacita' amministrativa, impedendo di fatto il perseguimento del fine del buon andamento di cui all'art. 97 Cost., e privera' altresi' i cittadini e le imprese di un punto di riferimento certo in ordine al soggetto titolare delle funzioni, incidendo in termini negativi proprio sull'attuazione del principio di sussidiarieta' sia verticale che orizzontale. Si consideri, ancora, che le misure di riforma della rappresentanza politica della Provincia e di riallocazione forzata delle relative funzioni, sono state assunte in assenza di qualsivoglia indicatore di senso negativo che contraddicesse l'appropriatezza delle Province quale ambito territoriale ottimale per la gestione delle funzioni relative alle aree vaste. Ora, sotto il profilo della ragionevolezza della scelta allocativa, la discrezionalita' del legislatore deve misurarsi con una presunzione, sicuramente relativa ma forte, di adeguatezza dell'ente che fino a quel momento ha esercitato le funzioni da riallocare, sulla base di dati reali, acquisiti attingendo alla concrea esperienza istituzionale. In questo senso, la portata del comma 2 dell'art. 118 Cost., appresta una particolare garanzia proprio con riferimento al patrimonio forte di attribuzioni amministrative esercitate dalle Province fino all'introduzione della disciplina contestata. Peraltro, dovendosi escludere che tutte le funzioni provinciali da riallocare, in base ai principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza, possano essere assunte direttamente dalla Regione, e' ben probabile che per effetto della nuova disciplina si verifichera' un aumento dei costi, determinato dall'istituzione di nuovi apparati amministrativi sovra-comunali, dal venir meno delle economie di scala su base provinciale, nonche', in generale, dalla necessita' di far fonte alla fase di riorganizzazione. Da ultimo, si eccepisce anche che la disciplina di cui alla legge n. 56 del 2014, incide sulle Province intese solo quali enti di gestione di funzioni amministrative regionali, e non anche quali ambiti di articolazione periferica dello Stato. L'ambito di decentramento statale di livello provinciale, con riguardo a numerosissime funzioni, continua ad essere infatti pienamente operativo (si pensi al ruolo delle Prefetture, dei Provveditorati scolastici, delle Soprintendenze per i beni culturali). Le considerazioni che precedono rendono palese l'incongruita', l'inadeguatezza e la radicale insufficienza che avvince le disposizioni impugnate, le quali si mostrano viziate per violazione dell'art. 3, 97, 117 e 118 della Costituzione. Si insiste dunque affinche' venga dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 89, 90, 91, 92 e 95, della legge n. 56 del 2014, per violazione degli artt. 3, 97, 114, 117, comma 2, lett. p), comma 3 e comma 4, 118, 120 e 138 della Costituzione.
P.Q.M. Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita, ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa, accogliere il presente ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 7, 8, 9, 19, 25, 42, 54, 55, 56, 58, 69, 89, 90, 91, 92, 95, della legge 7 aprile 2014, n. 56, per violazione degli artt. 1, 3, 5, 48, 97, 114, 117, primo, secondo, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, 119, 120, secondo comma, e 138 della Costituzione, sotto i profili e per le ragioni suesposte. Roma, 4 giugno 2014 Prof. Avv. Marini