N. 208 SENTENZA 9 - 16 luglio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza - Provvedimento definitivo di liquidazione del trattamento
  pensionistico dei dipendenti civili e militari dello Stato - Revoca
  o modifica. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973,  n.  1092
  (Approvazione del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento  di
  quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), art. 204. 
-   
(GU n.31 del 23-7-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Sabino CASSESE; 
Giudici :Giuseppe TESAURO, Paolo Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,
  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  204  del
decreto del Presidente della Repubblica 29  dicembre  1973,  n.  1092
(Approvazione  del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento   di
quiescenza dei dipendenti civili e militari  dello  Stato),  promosso
dalla  Corte  dei  conti,  terza  sezione  centrale  d'appello,   nel
procedimento vertente tra Pisani Giovanni, l'Istituto nazionale della
previdenza sociale (INPS), quale  successore  ex  lege  dell'Istituto
nazionale  di  previdenza  per  i   dipendenti   dell'amministrazione
pubblica (INPDAP), ed altri, con  ordinanza  del  13  febbraio  2012,
iscritta al n. 156 del registro ordinanze  2012  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  34,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2012. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS,  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  10  giugno  2014  il  Giudice
relatore Aldo Carosi; 
    uditi l'avvocato Filippo Mangiapane per l'INPS e l'avvocato dello
Stato Luca Ventrella per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 13 febbraio 2012 depositata  il  20  aprile
2012, la Corte  dei  conti,  terza  sezione  centrale  d'appello,  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 204  del
decreto del Presidente della Repubblica 29  dicembre  1973,  n.  1092
(Approvazione  del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento   di
quiescenza  dei  dipendenti  civili  e  militari  dello  Stato),   in
riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo  comma,  e  97
della Costituzione, nella parte in cui non consente la  revoca  o  la
modifica del provvedimento definitivo di liquidazione del trattamento
pensionistico anche nel caso di errore di diritto. 
    1.1.- Il  rimettente  riferisce  che  l'appellante  nel  giudizio
principale, dirigente superiore della Polizia di  Stato  collocato  a
riposo a far data dal 1° luglio 1995, aveva impugnato il decreto  del
Ministero dell'interno - Prefettura di Gorizia del 27 maggio 1999, n.
1274, registrato dalla Corte dei conti in data 22 febbraio 2001,  con
il  quale  era  stato  rideterminato,  in  senso   peggiorativo,   il
trattamento pensionistico gia' attribuitogli in  via  definitiva  con
precedente decreto del 4 febbraio 1998,  n.  1266,  registrato  dalla
Corte dei conti il 3 agosto 1998. Sostenendo che il  secondo  decreto
si fondava su una diversa interpretazione dell'art. 4, comma  1,  del
decreto-legge 29 giugno 1996, n. 341 (Disposizioni urgenti in materia
di trattamento  economico  di  ufficiali  delle  Forze  armate  e  di
polizia) - convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 8 agosto 1996, n. 427 - di cui non contestava  la  correttezza,
aveva chiesto che  fosse  dichiarata  l'irripetibilita'  delle  somme
percepite in eccesso rispetto alla liquidazione operata  dal  secondo
decreto e l'annullamento dello stesso,  atteso  che  l'art.  204  del
d.P.R. n. 1092 del 1973 ammetterebbe la  revoca  o  la  modifica  del
provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza solo nei  casi
ivi previsti, tra cui non  e'  annoverato  l'errore  di  diritto.  La
sentenza impugnata aveva  riconosciuto  l'irripetibilita'  di  quanto
indebitamente percepito, ritenendo, tuttavia,  legittimo  il  secondo
decreto in virtu' del generale potere della pubblica  amministrazione
di annullare d'ufficio i propri atti. In sede  di  impugnazione,  nel
ribadire la richiesta di annullamento  l'appellante  aveva  lamentato
l'erronea interpretazione dell'art. 204 del d.P.R. n. 1092 del  1973,
in quanto inapplicabile al caso di errore di diritto, ed escluso  che
il decreto pensionistico n. 1274 del 1999 potesse essere  qualificato
come atto di annullamento d'ufficio. Si era  costituito  in  giudizio
l'Istituto    nazionale    di    previdenza    per    i    dipendenti
dell'amministrazione pubblica (INPDAP),  non  contestando  che  nella
fattispecie si trattasse di  errore  di  diritto,  ma  sostenendo  il
legittimo esercizio del generale  potere  di  annullamento  d'ufficio
spettante all'amministrazione. 
    1.2.- Il rimettente sostiene che, come  peraltro  non  contestato
dalle parti, la rideterminazione del  trattamento  pensionistico  sia
dipesa da un precedente errore interpretativo dell'art. 4,  comma  1,
del d.l. n. 341 del 1996. 
    A suo avviso la disciplina dettata dagli artt. 203 e seguenti del
d.P.R. n. 1092 del 1973  risponderebbe  all'esigenza  di  trovare  un
punto di equilibrio tra  la  necessita',  riconducibile  ai  principi
espressi dall'art. 97 Cost., di porre rimedio all'attribuzione di  un
trattamento di quiescenza superiore  a  quello  dovuto  e  quella  di
tutelare il pensionato, che destina  le  prestazioni  pensionistiche,
anche se parzialmente indebite, al soddisfacimento dei bisogni propri
e della propria famiglia. 
    Tale disciplina, tuttavia, sarebbe  il  frutto  di  un'evoluzione
normativa che originariamente attribuiva  alla  Corte  dei  conti  la
funzione   «paragiurisdizionale»   di   liquidare   il    trattamento
pensionistico - sulla base delle conclusioni del Procuratore generale
e ad opera di una pronuncia collegiale in camera di  consiglio  -  e,
quindi, giustificava una disciplina della revocazione che  escludesse
l'errore di diritto. Tale esclusione, viceversa, rappresenterebbe una
grave lacuna dal momento  in  cui  la  liquidazione  del  trattamento
pensionistico  e'  stata  sottratta  all'organo  giurisdizionale   ed
attribuita all'amministrazione, il cui provvedimento ha continuato ad
essere  modificabile  o  revocabile  solo  in   casi   tassativamente
indicati, tra cui non rientrerebbe l'errore di diritto. 
    Peraltro, il rimettente evidenzia che - al di fuori del  caso  in
cui il  provvedimento  di  liquidazione  sia  modificato  in  ragione
dell'illegittimita' rilevata dalla Corte dei conti nell'esercizio del
controllo successivo -  la  giurisprudenza  delle  sezioni  d'appello
della Corte dei conti sarebbe univoca nell'escludere che il  generale
regime  di   annullamento   d'ufficio   degli   atti   amministrativi
illegittimi sia applicabile a quello definitivo di  liquidazione  del
trattamento di quiescenza - in  cio'  corroborata  da  una  pronuncia
della medesima Corte a sezioni riunite in funzione nomofilattica - in
ragione del principio di prevalenza dell'interesse alla stabilita'  e
certezza del rapporto pensionistico. 
    In simile contesto - nonostante sia  consapevole  del  precedente
rappresentato dalla sentenza di questa Corte n. 91 del 1984,  che  ha
dichiarato non fondata una questione di  legittimita'  costituzionale
di  analogo  tenore  -  il  giudice  a  quo  ritiene  di   sollevarla
nuovamente. 
    Preliminarmente, il rimettente sostiene di non poter dar luogo ad
un'interpretazione dell'art. 204 del d.P.R.  n.  1092  del  1973  che
elida i profili di illegittimita' di cui lo stesso  sarebbe  affetto.
Cio', in particolare, potrebbe avvenire  escludendo  la  tassativita'
dell'elencazione  contenuta  nella  disposizione   censurata.   Essa,
tuttavia, risulterebbe alla stregua del diritto vivente e del  tenore
letterale   della   disposizione   censurata,    che    impedirebbero
un'interpretazione adeguatrice, come  indirettamente  confermato  dal
precedente rappresentato dalla sentenza n. 91 del 1984. 
    Dunque, ad avviso del giudice a quo, il provvedimento  definitivo
sul trattamento di quiescenza potrebbe essere modificato  o  revocato
solo per i motivi indicati dall'art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973,
che, in ragione della  sua  specialita',  impedirebbe  l'annullamento
d'ufficio secondo il regime generale degli atti amministrativi. 
    Sulla base  di  tale  premessa,  il  rimettente  ritiene  che  la
disposizione censurata differenzi ingiustificatamente - in violazione
dell'art. 3 Cost. - la situazione in cui il provvedimento sia affetto
da un errore di percezione di un dato di fatto  della  realta'  o  di
calcolo da quella in cui esso sia caduto sulla norma da  applicare  o
sulla   sua   interpretazione,   posto   che   costituirebbe   valore
dell'ordinamento giuridico un'azione amministrativa non solo corretta
e conforme al canone del  buon  andamento,  ma  anche  e  soprattutto
conforme a legge. L'esigenza di una  disciplina  uniforme  delle  due
situazioni deriverebbe anche dal fatto che l'art. 166 della legge  11
luglio  1980,  n.  312  (Nuovo  assetto  retributivo-funzionale   del
personale  civile  e  militare  dello  Stato),  ha   assoggettato   i
provvedimenti definitivi sul trattamento di quiescenza  non  piu'  al
controllo preventivo della Corte dei conti, ma a  quello  successivo,
facendo venir meno ogni ragione di  assimilazione  della  modifica  o
revoca previste dall'art. 204  del  d.P.R.  n.  1092  del  1973  alla
revocazione delle pronunce giurisdizionali, per la quale l'errore  di
diritto non assumerebbe rilievo perche' destinato ad  essere  dedotto
nei vari  gradi  di  giudizio,  senza  che  si  possano  reintrodurre
tematiche proprie del giudizio gia' svolto. D'altra parte, la  tutela
del   pensionato    sarebbe    gia'    sufficientemente    assicurata
dall'irripetibilita' delle  somme  indebitamente  percepite,  sancita
dall'art. 206 del d.P.R. n.  1092  del  1973,  ormai  presumibilmente
impiegate per il soddisfacimento dei suoi bisogni e di  quelli  della
sua famiglia, argomento che non potrebbe valere in proiezione  futura
per gli importi illegittimamente attribuiti ma non ancora percepiti. 
    Ad avviso del rimettente, inoltre, la norma censurata  violerebbe
anche l'art. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. in quanto il
trattamento  pensionistico   del   lavoratore,   quale   retribuzione
differita, dovrebbe  essere  proporzionato  alla  quantita'  ed  alla
qualita' del  lavoro  prestato  mentre  l'esclusione  dell'errore  di
diritto dai motivi  che  consentono  la  modifica  del  provvedimento
definitivo sul trattamento di quiescenza, sancendone  la  sostanziale
intangibilita' anche nel caso in  cui  sia  illegittimo,  altererebbe
detto rapporto di adeguatezza e proporzionalita'. Cio', peraltro, non
sarebbe   coerente   con   i   principi   fondamentali   di   riforma
economico-sociale della Repubblica  espressi  dalla  legge  8  agosto
1995, n.  335  (Riforma  del  sistema  pensionistico  obbligatorio  e
complementare),   che   ridefinirebbe   il   sistema   previdenziale,
commisurando  il  trattamento  di  quiescenza  alla  contribuzione  e
stabilizzando la spesa pensionistica in rapporto al prodotto  interno
lordo ed allo sviluppo del sistema previdenziale medesimo. 
    Infine, secondo il giudice a quo, l'art. 204 del d.P.R.  n.  1092
del 1973 contrasterebbe con l'art. 97 Cost. Infatti, non  consentendo
di intervenire sul provvedimento definitivo di  pensione  illegittimo
al fine di emendarlo dell'errore  di  diritto  che  lo  affligge,  ne
impedirebbe la reductio ad legitimitatem con l'effetto di consolidare
per  il  futuro  ed  in   perpetuo   l'indebito   arricchimento   del
percipiente. Cio' in contrasto con il principio di buon  andamento  e
legalita' dell'azione amministrativa, cui dovrebbe adeguarsi anche la
disciplina del trattamento pensionistico. 
    1.3.- Quanto alla  rilevanza,  il  rimettente  evidenzia  che  la
mancata previsione dell'errore di diritto nel novero  dei  motivi  di
revoca o di modifica del provvedimento definitivo sul trattamento  di
quiescenza determinerebbe l'illegittimita' del decreto del  Ministero
dell'interno - Prefettura di Gorizia del 27 maggio 1999, n. 1274,  di
rideterminazione  della  pensione,   con   conseguente   accoglimento
dell'appello e ripristino di quella originariamente liquidata. 
    2.- Con atto depositato il 18 settembre 2012  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    Richiamando un orientamento  giurisprudenziale  della  Corte  dei
conti, l'intervenuto sostiene che l'art. 204 del d.P.R. n.  1092  del
1973 contribuirebbe a definire un sistema di garanzie  a  favore  del
pensionato, la cui ratio  andrebbe  individuata  nell'intenzione  del
legislatore   di   attuare    il    principio    della    tendenziale
immodificabilita' della pensione al fine di favorire la stabilita'  e
la certezza del  rapporto  pensionistico  e  di  evitare  i  riflessi
negativi  che  l'attribuzione  di  una   potesta'   di   annullamento
dell'amministrazione senza limiti oggettivi e temporali avrebbe sulla
vita sociale e di relazione del dipendente collocato a  riposo,  che,
magari  in  ragione  dell'importo  non  elevato,  destina  le   somme
percepite alla soddisfazione dei bisogni alimentari  propri  e  della
propria famiglia. In sostanza, l'esigenza perseguita corrisponderebbe
a quella riconosciuta dalla giurisprudenza  costituzionale,  che,  in
ragione della natura di retribuzione  differita  del  trattamento  di
quiescenza, avrebbe affermato l'intangibilita' relativa  del  diritto
alla pensione che si sia acquisito ed il  diritto  del  pensionato  a
vedersi assicurata un'esistenza libera e dignitosa ed alla  sicurezza
giuridica, pur nella discrezionalita' del  legislatore  di  stabilire
modalita' e criteri, anche quantitativi, della disciplina in materia. 
    Sulla base di tali considerazioni il Presidente del Consiglio dei
ministri sostiene che la disciplina dettata dalla norma,  di  stretta
interpretazione in quanto deroga alla  tendenziale  immodificabilita'
della   pensione,   corrisponderebbe   ai   principi   costituzionali
richiamati, con conseguente manifesta infondatezza - o,  addirittura,
inammissibilita'  -  della  questione  sollevata,  cosi'  come   gia'
ritenuto da questa Corte con riferimento a  quella,  analoga,  decisa
con la sentenza n. 91 del 1984. 
    3.- Con atto depositato il 23 luglio 2012  si  e'  costituito  in
giudizio l'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale  (INPS)  -
successore ex lege dell'INPDAP nel  giudizio  a  quo  -  aderendo  ai
motivi  di  illegittimita'  costituzionale  prospettati  dal  giudice
rimettente. 
    Con memoria depositata il 19 maggio 2014, l'INPS  ha  evidenziato
la possibilita' di interpretare l'art. 204 del  d.P.R.  n.  1092  del
1973 nel senso che esso non impedisca all'amministrazione l'esercizio
del  potere  di  annullamento   in   autotutela   del   provvedimento
pensionistico definitivo affetto da errore  di  diritto,  cosi'  come
riconosciuto da  un  orientamento  giurisprudenziale  espresso  dalla
Corte dei conti, oltre che in alcune pronunce di primo grado,  anche,
a suo dire, in  sede  d'appello.  Ad  avviso  dell'intervenuto,  tale
conclusione priverebbe di  rilevanza  la  questione  di  legittimita'
costituzionale prospettata dal rimettente. 
    In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,   l'INPS   riproduce
sostanzialmente  le  argomentazioni  dell'ordinanza  di   rimessione,
sottolineando la differenza tra la disposizione  censurata  e  l'art.
162 del medesimo  d.P.R.  n.  1092  del  1973  -  che  disciplina  la
liquidazione provvisoria del trattamento di quiescenza,  suscettibile
di modifica o revoca  da  parte  del  provvedimento  definitivo,  con
conseguente conguaglio a beneficio o a danno del pensionato -  ed  il
rischio   che   l'amministrazione,   per   non   commettere    errori
inemendabili,  dilati  i  tempi   di   adozione   dei   provvedimenti
interinali, con  conseguente  riverbero  negativo  su  efficienza  ed
efficacia dell'azione amministrativa. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte dei conti,  terza  sezione  centrale  d'appello,  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 204  del
decreto del Presidente della Repubblica 29  dicembre  1973,  n.  1092
(Approvazione  del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento   di
quiescenza  dei  dipendenti  civili  e  militari  dello  Stato),   in
riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo  comma,  e  97
della Costituzione, nella parte in cui non consente la  revoca  o  la
modifica del provvedimento definitivo di liquidazione del trattamento
pensionistico anche nel caso di errore di diritto. 
    Secondo il giudice a quo, l'art. 204 del d.P.R. n. 1092 del  1973
- frutto di un'evoluzione normativa  che  originariamente  attribuiva
alla Corte dei conti la funzione «paragiurisdizionale»  di  liquidare
la pensione e, quindi, giustificava una disciplina analoga  a  quella
della  revocazione  -  impedirebbe  di  modificare  o   revocare   il
provvedimento pensionistico  definitivo  in  presenza  di  errore  di
diritto. 
    Sulla base  di  tale  premessa,  il  rimettente  ritiene  che  la
disposizione censurata differenzi ingiustificatamente - in violazione
dell'art. 3 Cost. - la situazione in cui il provvedimento sia affetto
da un errore di percezione di un dato di fatto  della  realta'  o  di
calcolo da quella in cui l'errore riguardi la norma da applicare o la
sua interpretazione. 
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  inoltre,  la  norma  censurata
violerebbe anche gli artt. 36, primo  comma,  e  38,  secondo  comma,
Cost., in quanto il trattamento di quiescenza del  lavoratore,  quale
retribuzione differita, dovrebbe essere proporzionato alla  quantita'
ed alla qualita' del lavoro prestato, mentre l'esclusione dell'errore
di diritto dai motivi che consentono la  revoca  o  la  modifica  del
provvedimento pensionistico  definitivo,  sancendone  la  sostanziale
intangibilita' anche nel caso in cui sia illegittimo, altererebbe  il
rapporto di adeguatezza e proporzionalita' al lavoro prestato. 
    Infine, secondo il rimettente, l'art. 204 del d.P.R. n. 1092  del
1973 contrasterebbe con l'art. 97 Cost., in quanto,  non  consentendo
di intervenire sul provvedimento definitivo di  pensione  illegittimo
al fine di emendarlo dell'errore  di  diritto  che  lo  affligge,  ne
impedirebbe  la  reductio  ad   legitimitatem,   con   l'effetto   di
consolidare per il futuro l'indebito arricchimento  del  percipiente,
in  contrasto  con  il  principio  di  buon  andamento  e   legalita'
dell'azione  amministrativa,  cui   dovrebbe   adeguarsi   anche   la
disciplina del trattamento pensionistico. 
    2.- L'art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 dispone che la  revoca
o  la  modifica  del  provvedimento  definitivo  sul  trattamento  di
quiescenza da parte dell'ufficio che l'ha  emesso  «puo'  aver  luogo
quando: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso  di  tener
conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato  errore  nel
computo dei servizi o nel calcolo del contributo  del  riscatto,  nel
calcolo della pensione,  assegno  o  indennita'  o  nell'applicazione
delle tabelle  che  stabiliscono  le  aliquote  o  l'ammontare  della
pensione, assegno o indennita'; c) siano  stati  rinvenuti  documenti
nuovi dopo l'emissione del provvedimento;  d)  il  provvedimento  sia
stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi». 
    Il  rimettente  interpreta  la  disposizione  nel  senso  che  il
provvedimento definitivo di pensione non possa  essere  modificato  o
revocato per  errore  di  diritto,  non  ricompreso  nell'elencazione
tassativa contenuta nell'art. 204 ne' altrimenti rilevante in ragione
del potere di annullamento d'ufficio dell'atto illegittimo  spettante
all'amministrazione in autotutela, in applicazione dell'art. 1, comma
136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
finanziaria 2005)», nonche', piu' in  generale,  dell'art.  21-nonies
della legge 7  agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di
procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai  documenti
amministrativi). 
    Il presupposto ermeneutico da cui  muove  il  giudice  a  quo  e'
conforme all'interpretazione delle sezioni riunite  della  Corte  dei
conti (sentenza n. 15/2011/QM), a cui  si  sono  uniformate  in  modo
costante  le   sezioni   d'appello   della   medesima   Corte.   Tale
interpretazione «costituisce, pertanto, "diritto vivente", del  quale
si deve accertare la compatibilita' con  i  parametri  costituzionali
evocati» (sentenza n. 338 del 2011). 
    3.- Ai fini della decisione e' opportuno ricordare per sommi capi
le modalita' di determinazione del trattamento  di  quiescenza  e  la
giurisprudenza della Corte dei conti in materia. 
    La liquidazione della pensione avviene attraverso due  stadi,  il
primo provvisorio, secondo quanto disposto dall'art. 162  del  d.P.R.
n. 1092 del 1973, il secondo definitivo. 
    La liquidazione  provvisoria  consiste  nella  corresponsione  al
pensionato di un trattamento  determinato  in  relazione  ai  servizi
risultanti  dalla  documentazione   prodotta   ovvero   in   possesso
dell'amministrazione, con riserva di conguaglio in caso di divergenza
rispetto alla liquidazione definitiva. Quest'ultima, invece, conclude
la fase interinale intercorrente tra il provvedimento  provvisorio  e
quello definitivo finalizzata  a  conferire  alla  pensione  speciali
garanzie di certezza a tutela  sia  dell'Erario  sia  del  dipendente
cessato dal servizio.  A  seguito  delle  opportune  verifiche  degli
elementi di fatto  e  di  diritto  viene  consolidata,  se  del  caso
attraverso una rideterminazione,  la  spettanza  e  la  misura  della
pensione in modo da assicurare una certezza  rafforzata  al  rapporto
vitalizio che ne deriva. 
    La duplice fase liquidatoria risponde all'esigenza di  assicurare
al pubblico dipendente collocato a  riposo  un  reddito  nel  periodo
immediatamente successivo alla cessazione della corresponsione  dello
stipendio ed, al contempo, di consentire  una  valutazione  ponderata
degli elementi di fatto e della portata della normativa da  applicare
per  la   liquidazione   pensionistica.   Necessitando   quest'ultima
valutazione  di  un  congruo   lasso   temporale,   la   liquidazione
provvisoria assicura la continuita' nella percezione del reddito che,
nel caso del pubblico dipendente, costituisce generalmente il solo  o
principale mezzo di sostentamento. 
    Chiamate a pronunciarsi su una  questione  di  massima  circa  la
possibilita' di modificare  in  sede  di  liquidazione  pensionistica
definitiva l'interpretazione di diritto gia'  data  in  occasione  di
quella  provvisoria,  le  sezioni  riunite  della  Corte  dei   conti
(sentenza  n.  7/2011/QM)  hanno  escluso   che   le   garanzie   del
provvedimento definitivo predisposte dagli artt. 203 e  seguenti  del
d.P.R. n. 1092 del 1973 - inclusa l'inibizione alla revoca per errore
di diritto - operino fino all'adozione  di  quest'ultimo.  In  quella
sede le  sezioni  riunite  hanno  affermato  che  la  dialettica  tra
interessi contrapposti - quello alla certezza del diritto, su cui  si
fonda l'affidamento del  pensionato,  e  quello  alla  correttezza  e
legittimita' dell'azione  amministrativa  -  deve  essere  risolta  a
favore  del  secondo,  anche  in   considerazione   del   fatto   che
l'attribuzione pensionistica viene espressamente definita provvisoria
dall'art. 162 del d.P.R. n. 1092 del  1973  e  che  l'amministrazione
deve avere un congruo lasso temporale per  individuare  correttamente
la normativa da applicare. Poiche' la determinazione del  trattamento
pensionistico finale avviene attraverso il fisiologico passaggio  per
una fase interinale,  «l'adozione  del  provvedimento  definitivo  di
pensione, con connessa possibilita' di variazioni e conguagli,  segna
il  momento  piu'  significativo  e  valorizzabile   dell'affidamento
riposto dal dipendente collocato a  riposo  nella  correttezza  della
procedura di determinazione della giusta pensione, essendo  non  solo
ragionevole,  ma   anche   del   tutto   attendibile   ritenere   che
l'Amministrazione disponga, in tale occasione, di tutti gli  elementi
necessari per superare la fase di provvisorieta' e per fissare  [...]
le coordinate che identificano il trattamento di  quiescenza»  (Corte
dei conti - sezioni riunite, sentenza n. 7/2007/QM). 
    Ai  fini  dello  scrutinio  delle  questioni  proposte  e'   bene
sottolineare come e' solo nella fase di liquidazione definitiva che -
secondo il  diritto  vivente  precedentemente  richiamato,  formatosi
anche sulla base della sentenza di questa Corte  n.  91  del  1984  -
opera il principio,  espresso  dalla  norma  della  cui  legittimita'
costituzionale  dubita   il   rimettente,   dell'intangibilita'   del
trattamento pensionistico frutto di errore di diritto. 
    4.- E' alla luce delle esposte premesse che si deve esaminare  il
merito della questione proposta dal giudice a quo. 
    4.1.- Anzitutto, essa non e' fondata con riferimento agli artt. 3
e 97 Cost., profili di censura scrutinabili congiuntamente. 
    Nel   sollevare   la   descritta   questione   di    legittimita'
costituzionale, il rimettente richiama quale tertium comparationis la
disciplina dell'errore di fatto e dell'errore di calcolo, per i quali
lo  stesso  art.  204  del  d.P.R.  n.  1092  del  1973  prevede   la
possibilita' di revoca o  modifica  del  provvedimento  pensionistico
definitivo. 
    Le situazioni, tuttavia, non sono comparabili: mentre l'errore di
fatto consiste nella falsa percezione,  per  equivoco  o  svista,  di
quanto emerge incontrovertibilmente dagli atti e  quello  di  calcolo
deriva dall'erronea applicazione delle regole matematiche sulla  base
di dati numerici certi, l'errore di diritto  e'  concetto  in  ordine
alla cui individuazione assumono  un  peso  rilevante  argomentazioni
induttive ed indagini ermeneutiche. L'oggettivita'  e  l'immediatezza
che caratterizzano la rilevazione degli errori di fatto e di  calcolo
differiscono in modo  sostanziale  dai  connotati  del  giudizio  che
accompagna la valutazione  della  violazione,  falsa  applicazione  o
erronea interpretazione di una norma. 
    Secondo  il  costante  orientamento  di  questa  Corte   «si   ha
violazione  dell'art.  3   della   Costituzione   quando   situazioni
sostanzialmente    identiche    siano    disciplinate     in     modo
ingiustificatamente diverso, mentre non si manifesta  tale  contrasto
quando alla diversita' di  disciplina  corrispondano  situazioni  non
sostanzialmente identiche, essendo  insindacabile  in  tali  casi  la
discrezionalita' del legislatore» (sentenze n. 340 del 2004 e,  nello
stesso senso, n. 108 del 2006). 
    A ben  vedere,  mentre  i  tertia  comparationis  richiamati  dal
rimettente non sono equiparabili alla fattispecie in esame,  sussiste
al contrario una sostanziale omogeneita' tra l'ipotesi dell'errore di
fatto e quella dell'errore di calcolo. Si tratta  di  situazioni  che
hanno in comune un tratto di semplice e concreta rilevabilita',  tale
da escludere o da rendere particolarmente  difficile  l'insorgere  di
affidamenti da parte dei destinatari del  provvedimento  che  ne  sia
affetto. 
    Al contrario, la percezione dell'errore di diritto non gode della
medesima  immediatezza.  In  tal  modo  la  revoca  o  la   rettifica
eventualmente adottate entrano piu' facilmente in  contrasto  con  il
convincimento  indotto  nel   pensionato   dalla   gia'   intervenuta
applicazione, in senso diverso e per lui piu' favorevole, della norma
oggetto di reinterpretazione.  Peraltro,  l'autorita'  preposta  alla
liquidazione provvisoria e definitiva dispone fin dall'origine  degli
elementi   necessari   a    svolgere    le    operazioni    attinenti
all'applicazione  della  legge.  Cosi',  se  la  fase  interinale   -
suscettibile di prolungarsi anche oltre i termini previsti  dall'art.
2 della legge n. 241 del 1990 o dai regolamenti attuativi di  settore
per l'adozione  del  decreto  pensionistico  definitivo  -  serve  ad
assicurare la continuita' della  prestazione  retributiva,  rimanendo
impregiudicata la possibilita' per  l'amministrazione  di  correggere
eventuali errori di qualsiasi genere in sede definitiva, quest'ultima
possibilita', quanto all'errore di diritto, non trova giustificazione
dopo la fine del periodo interinale che  caratterizza  funzionalmente
l'articolazione del procedimento in un sistema binario. 
    Viene dunque in rilievo il principio dell'affidamento:  non  solo
l'esclusione dell'errore di  diritto  dalle  ipotesi  di  revoca  non
trasmoda in un regolamento irrazionale ed arbitrario delle  correlate
situazioni sostanziali dello Stato  e  del  pensionato,  ma  essa  e'
funzionale all'esigenza di  garantire  la  sicurezza  giuridica,  con
particolare riguardo alle  aspettative  del  dipendente  collocato  a
riposo. 
    Nella particolare ipotesi in esame, il  fluire  del  tempo  e  la
disponibilita' di mezzi e spazi temporali adeguati ad  assicurare  la
legittimita' della  prestazione  pensionistica  costituiscono  idonei
elementi diversificatori della  fattispecie  stessa,  atteso  che  la
demarcazione temporale consegue come effetto naturale alla  struttura
e all'articolazione complessiva del procedimento di liquidazione. 
    Dunque,  la  determinazione   definitiva   del   trattamento   di
quiescenza   costituisce   il   momento   dal   quale    la    tutela
dell'affidamento  del  pensionato  nella  stabilita'  del   vitalizio
percepito assume prevalente rilevanza nell'ambito dei valori tutelati
dall'ordinamento in subiecta materia. 
    D'altra parte,  gia'  in  precedenza  questa  Corte,  su  analoga
questione, aveva osservato  che  il  «principio  di  eguaglianza,  in
questo come in ogni altro incontro, e'  colorito  dalle  disposizioni
costituzionali operanti nel settore in cui quel principio e' invocato
e la violazione del medesimo e' lamentata» (sentenza n. 91 del 1984). 
    Le considerazioni svolte servono altresi' a scrutinare le censure
formulate in riferimento all'art. 97 Cost. 
    Il mero ripristino della legalita' dell'azione  amministrativa  -
ancorche'  finalizzato  a  conseguire  minori  oneri  finanziari  per
l'Erario - non puo'  prevalere  sulla  tutela  della  situazione  del
pensionato con modalita' temporali illimitate. 
    Secondo il costante orientamento di questa  Corte,  infatti,  «la
violazione  del  principio   di   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione non puo' essere invocata se non per l'arbitrarieta' e
la   manifesta   irragionevolezza   della   disciplina    denunciata,
combinandosi, sotto questo profilo, con  il  riferimento  all'art.  3
Cost. ed implicando lo svolgimento di un giudizio  di  ragionevolezza
sulla legge censurata (sentenze n. 243 del 2005, n. 63 e n.  306  del
1995; n. 250 del 1993)» (ordinanze n. 100 e n. 47 del 2013). 
    L'esclusione della rilevanza  dell'errore  di  diritto  dai  casi
consentiti di modifica o  revoca  del  provvedimento  definitivo  sul
trattamento di quiescenza non e' irragionevole o arbitraria,  essendo
volta - come detto - a soddisfare esigenze di certezza del diritto  e
di tutela del legittimo affidamento le  quali,  gia'  cedevoli  nella
fase interinale precedente alla liquidazione  definitiva,  prevalgono
successivamente,  per  effetto  di  un  diverso   bilanciamento   con
l'interesse antagonista del ripristino della legittimita' dell'azione
amministrativa.  Cio'  nell'esercizio  del  potere  di   scelta   del
legislatore  nel  regolare  la  dialettica  di  interessi   parimenti
meritevoli di protezione (sentenze n. 257 del 2010 e n. 34 del  1999;
ordinanza n. 105 del 2010). 
    A tali considerazioni - ed al di la' del fatto che l'esigenza  di
correggere l'errore di diritto  viene  gia'  adeguatamente  garantita
nella precedente e non breve fase liquidatoria interinale -  si  deve
aggiungere che il diritto alla pensione  costituisce  una  situazione
soggettiva di natura  patrimoniale,  imprescrittibile,  assistita  da
speciali garanzie di certezza  e  stabilita'  e  da  una  particolare
tutela da parte dell'ordinamento (sentenza n. 116 del 2013), anche in
ragione della condizione di oggettiva debolezza in  cui  il  titolare
viene a trovarsi, sia nell'ambito del rapporto  obbligatorio  che  si
instaura con l'amministrazione sia nella particolare fase della  vita
in cui l'uscita dall'attivita'  lavorativa  e  l'eta'  comportano  un
difficile adattamento al nuovo stato. 
    4.2.- La questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  204
del d.P.R. n. 1092 del 1973 non e'  fondata  neppure  in  riferimento
agli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. 
    Secondo  la  costante  giurisprudenza  di   questa   Corte,   «il
trattamento  pensionistico  ordinario  ha  natura   di   retribuzione
differita» (sentenza n. 116 del 2013). Di conseguenza «dagli articoli
36 e 38  discende  il  principio  che,  al  pari  della  retribuzione
percepita in costanza del  rapporto  di  lavoro,  il  trattamento  di
quiescenza, che della retribuzione  costituisce  il  prolungamento  a
fini previdenziali, deve essere proporzionato alla  qualita'  e  alla
quantita' del lavoro prestato e deve, in  ogni  caso,  assicurare  al
lavoratore e alla sua famiglia i mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita.  Tuttavia,  i  ricordati  principi  di  proporzionalita'  e  di
adeguatezza [...] lasciano alla discrezionalita' del  legislatore  la
possibilita'  di  apportare  correttivi  di  dettaglio  che  -  senza
intaccare  i  suddetti  criteri  con  riferimento   alla   disciplina
complessiva del trattamento pensionistico  -  siano  giustificati  da
esigenze meritevoli di considerazione» (sentenza n.  441  del  1993),
operando un «bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi
costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie
disponibili e ai mezzi necessari  per  far  fronte  agli  impegni  di
spesa» (ordinanze n. 202 del 2006 e n. 531 del 2002). 
    La regola contenuta nell'art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973  e'
espressione del potere di scelta esercitato dal legislatore  in  modo
conforme ai principi teste' ricordati. 
    Essa, infatti, non sottrae il calcolo pensionistico  al  criterio
normativamente previsto, sia  esso  contributivo  o  retributivo,  ma
prevede -  entro  il  perimetro  delle  soluzioni  costituzionalmente
consentite - un correttivo in  nome  dell'esigenza  di  salvaguardare
maggiormente, una volta conclusa la fase di liquidazione  interinale,
la certezza del diritto e il legittimo affidamento che su di essa  si
fonda. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre
1973,  n.  1092  (Approvazione  del  testo  unico  delle  norme   sul
trattamento di quiescenza dei  dipendenti  civili  e  militari  dello
Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma,  38,
secondo comma, e 97 della Costituzione, dalla Corte dei conti,  terza
sezione centrale d'appello, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014. 
 
                                F.to: 
                     Sabino CASSESE, Presidente 
                       Aldo CAROSI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI