N. 216 SENTENZA 9 - 18 luglio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Farmacia - Distribuzione dei farmaci - Riserva  alle  farmacie  della
  vendita al pubblico di farmaci soggetti a prescrizione  medica,  ma
  non rimborsabili dal S.S.N. 
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni  urgenti  per  il
  rilancio  economico  e  sociale,   per   il   contenimento   e   la
  razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  nonche'  interventi  in
  materia  di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione   fiscale)   -
  convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248  -
  art. 5, comma 1. 
-   
(GU n.31 del 23-7-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Sabino CASSESE; 
Giudici :Giuseppe TESAURO, Paolo Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,
  Sergio MATTARELLA, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1,
del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge  4  agosto  2006,  n.  248,  promosso  dal
Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sezione  staccata
di Reggio Calabria, nel procedimento vertente  tra  T.M.  e  l'ASP  -
Azienda sanitaria  provinciale  di  Reggio  Calabria  ed  altri,  con
ordinanza dell'8  maggio  2012,  iscritta  al  n.  180  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti gli atti di costituzione  di  T.M.  e  della  Federfarma  -
Federazione nazionale unitaria dei  titolari  di  farmacia  italiani,
nonche' gli atti  di  intervento  della  LI.F.I.,  Liberi  farmacisti
italiani e del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  24  giugno  2014  il  Giudice
relatore Sergio Mattarella; 
    uditi gli avvocati Attilio Luigi Maria Toscano per T.M.,  Massimo
Luciani per  la  Federfarma  -  Federazione  nazionale  unitaria  dei
titolari di farmacia  italiani  e  l'avvocato  dello  Stato  Fabrizio
Urbani Neri per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Nel corso di  un  giudizio  amministrativo  promosso  da  una
farmacista per l'annullamento di un provvedimento emesso dall'Azienda
sanitaria provinciale di Reggio Calabria relativo  all'autorizzazione
alla vendita di medicinali, il Tribunale amministrativo regionale per
la Calabria, Sezione  staccata  di  Reggio  Calabria,  con  ordinanza
dell'8 maggio 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 41
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 5, comma  1,  del  decreto-legge  4  luglio  2006,  n.  223
(Disposizioni urgenti per il rilancio economico  e  sociale,  per  il
contenimento e la razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  nonche'
interventi  in  materia  di  entrate  e  di  contrasto   all'evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4  agosto  2006,
n. 248, «nella parte in cui non consente  agli  esercizi  commerciali
ivi previsti (c.d. parafarmacie) la vendita di medicinali di fascia C
soggetti a prescrizione medica». 
    1.1.- Il giudice remittente precisa, in punto di  fatto,  che  la
ricorrente ha  chiesto  al  Ministero  della  salute  ed  all'Azienda
sanitaria provinciale di Reggio Calabria di essere  autorizzata  alla
vendita  anche  dei  medicinali  non  soggetti  a  rimborso  previsti
dall'art. 8, comma 10, lettera c), della legge 24 dicembre  1993,  n.
537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), ma che la  richiesta
e' stata respinta sul rilievo che le cosiddette parafarmacie  possono
effettuare  soltanto  la  vendita  di   farmaci   da   banco   o   di
automedicazione di cui all'art. 9-bis del decreto-legge 18  settembre
2001, n. 347 (Interventi urgenti  in  materia  di  spesa  sanitaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della  legge  16  novembre
2001, n. 405; con esclusione, quindi, di tutti i farmaci soggetti  ad
obbligo di prescrizione medica, anche se non soggetti a  rimborso  da
parte del Servizio sanitario nazionale. 
    1.2.- Tanto premesso,  il  giudice  a  quo  osserva  che  non  e'
possibile procedere - come pure sollecitato dalla parte ricorrente  -
ad un'interpretazione adeguatrice della norma impugnata,  poiche'  il
testo della medesima dispone che le parafarmacie nell'attuale  quadro
normativo  non  sono  abilitate  alla  vendita  dei   farmaci   della
cosiddetta fascia C. 
    Sempre in via preliminare, il TAR rileva di  non  potere  aderire
alla richiesta della ricorrente di rimettere  la  questione,  in  via
pregiudiziale, alla Corte di giustizia dell'Unione  europea,  benche'
su identica questione il Tribunale amministrativo  regionale  per  la
Lombardia  abbia  gia'  rimesso  la  decisione  a  detta  Corte,  con
ordinanza del 22 marzo 2012, n. 896. 
    1.3.- In punto di rilevanza il TAR - dopo aver accennato al fatto
che la legislazione in materia di farmacie e' costruita,  da  sempre,
intorno ad un obiettivo di pianificazione territoriale delle medesime
- precisa che il citato art. 8, comma 10, della legge n. 537 del 1993
ha diviso i farmaci in tre fasce, a seconda che essi siano  a  totale
carico del servizio sanitario nazionale o, viceversa, a totale carico
dell'assistito. L'art. 87 del decreto legislativo 24 aprile 2006,  n.
219 [Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di
modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i  medicinali
per  uso  umano,  nonche'  della   direttiva   2003/94/CE],   invece,
classifica i farmaci a seconda che gli stessi siano soggetti  o  meno
all'obbligo di ricetta medica, stabilendo  che  nella  categoria  dei
farmaci non soggetti a tale prescrizione rientrino  i  medicinali  da
banco o di automedicazione, che sono quelli ai quali  fa  riferimento
l'art. 9-bis del d.l. n. 347 del 2001, ossia gli  unici  che  possono
essere venduti anche nelle parafarmacie. E  che  tale  sia  il  senso
univoco del sistema vigente e'  confermato  anche  dall'art.  32  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  del   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  22
dicembre  2011,  n.  214,  il  quale  -  nel  consentire  che   nelle
parafarmacie vengano  venduti  senza  ricetta  i  medicinali  di  cui
all'art. 8, comma 10, della legge n. 537  del  1993  -  espressamente
affida (comma 1-bis) al Ministro della salute il compito di  redigere
periodicamente un elenco dei farmaci di fascia C per i quali  permane
l'obbligo di ricetta medica, sicche' gli stessi  non  possono  essere
venduti nelle parafarmacie. 
    Ritiene, pertanto, il TAR che, poiche' e' indubbia la  permanenza
del divieto di vendita dei farmaci soggetti a prescrizione medica  da
parte  delle  parafarmacie,   tanto   dia   conto   della   rilevanza
dell'odierna questione, in quanto solo attraverso la declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, del d.l.  n.  223
del 2006 si potrebbe  accogliere  il  ricorso  oggetto  del  giudizio
principale, che allo stato attuale della  normativa  dovrebbe  essere
respinto. 
    1.4.- Il TAR per  la  Calabria  procede,  a  questo  punto,  alla
valutazione  della  non  manifesta  infondatezza  della   prospettata
questione. 
    A tale proposito, il remittente rileva che  la  violazione  degli
artt.  3  e  41  Cost.  emerge  sulla  base  dei  due  elementi   che
caratterizzano i farmaci in questione: il  fatto  che  essi  siano  a
totale carico del cittadino ed il fatto che per il loro acquisto  sia
necessaria  la  prescrizione  del  medico.  Ed  infatti,   anche   la
giurisprudenza costituzionale  ha  evidenziato  che  l'attivita'  del
farmacista e' un'attivita' imprenditoriale (sentenza n. 87 del 2006),
finalizzata pero' all'erogazione  ai  cittadini  di  un  servizio  di
fondamentale importanza. Ora, che nelle parafarmacie  sia  consentita
solo la  vendita  dei  farmaci  a  totale  carico  del  cittadino  si
giustifica in nome della necessita'  di  tenere  sotto  controllo  la
spesa pubblica destinata all'assistenza farmaceutica;  ma  l'art.  5,
comma 1,  oggetto  di  censura  non  si  limita  ad  escludere  dalla
possibilita' di vendita nelle parafarmacie i soli farmaci che sono  a
carico integrale del Servizio  sanitario  nazionale,  bensi'  estende
tale divieto anche ai farmaci per i quali, pur essendo necessaria  la
prescrizione  medica,  l'onere  economico  e'  a  totale  carico  del
cittadino. 
    Tale limitazione appare in contrasto con l'art. 41 Cost., perche'
in un sistema affidato al principio  della  liberta'  dell'iniziativa
economica, i limiti che ad essa possono essere posti  debbono  essere
in  funzione  di  tutela  dell'utilita'  sociale,   della   liberta',
sicurezza e dignita' umana; in altri termini, i limiti all'iniziativa
economica  devono  essere  armonizzati  in  modo  da  consentire   di
raggiungere fini sociali e di benessere  collettivo,  come  la  Corte
costituzionale ha ribadito in numerose occasioni. Nel caso specifico,
invece,  la  limitazione  della  libera  vendita   da   parte   delle
parafarmacie non trova un ragionevole  fondamento  sotto  il  profilo
della tutela della salute; nel sistema attuale, infatti, i farmaci di
cui all'art. 87, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 219 del 2006
possono  essere  venduti  nelle  farmacie  tradizionali  solo  dietro
presentazione di ricetta medica, sicche' il controllo  sull'idoneita'
del farmaco allo scopo terapeutico e' affidato "a  monte"  al  medico
che lo prescrive, con conseguente  esonero  del  farmacista  da  ogni
responsabilita'  che  non  sia  quella  di  consegnare   il   farmaco
prescritto nella ricetta. Nelle parafarmacie, l'art. 5, comma 2,  del
d.l. n. 223 del 2006 prescrive che la vendita dei medicinali  ammessi
alla libera distribuzione  abbia  luogo  sotto  la  direzione  di  un
farmacista abilitato  all'esercizio  della  professione  ed  iscritto
all'albo; e' vero che i farmaci  somministrabili  senza  prescrizione
possono apportare danni ben minori alla salute, ma e' pur vero che si
tratta, comunque, di medicine; sicche' - ad avviso del giudice a  quo
- pare del tutto illogico che la  legge  consenta  la  vendita  nelle
parafarmacie dei farmaci che non richiedono prescrizione del medico -
con evidente maggiore responsabilita' in capo al farmacista -  e  non
consenta la vendita dei farmaci soggetti a prescrizione, per i  quali
la verifica effettuata dal medico riduce  notevolmente  la  sfera  di
liberta' decisionale (e la conseguente responsabilita')  in  capo  al
farmacista venditore. 
    In sostanza, una volta che per un determinato farmaco il  sistema
pone  a  carico  del  medico  il  controllo  del  rischio   derivante
dall'utilizzo, diventa «del tutto indifferente  che  la  vendita  sia
effettuata  presso  una  farmacia  "tradizionale"  ovvero  una   c.d.
parafarmacia», e non ha piu' alcun senso il divieto posto dalla norma
rimessa al giudizio di legittimita' costituzionale. Ritiene quindi il
TAR  per  la   Calabria   che   sia   «irragionevole,   illogica   ed
ingiustificata  l'esclusione  dalla  vendita  da  parte  delle   c.d.
parafarmacie dei  farmaci  di  fascia  C  distribuibili  solo  dietro
presentazione di prescrizione medica»; oltre tutto, l'inserimento  di
un maggior numero di operatori sul mercato interno  consentirebbe  la
creazione di «una dinamica dei prezzi che andrebbe  a  beneficio  dei
consumatori». 
    D'altra parte - conclude il TAR -  l'irrazionalita'  dell'attuale
sistema e' stata colta anche dallo stesso legislatore,  come  risulta
dal fatto che la stesura originaria dell'art. 32, comma 1,  del  d.l.
n. 201 del 2011 consentiva,  sia  pure  con  alcune  limitazioni,  la
vendita nelle parafarmacie dei farmaci  della  cosiddetta  fascia  C,
possibilita' che e'  stata  di  fatto  cancellata  con  la  legge  di
conversione, con la  previsione,  contenuta  nel  comma  1-bis  sopra
menzionato, per cui il Ministro della salute e' tenuto periodicamente
a redigere un elenco dei farmaci di cui all'art. 8, comma 10, lettera
c), della legge n. 537 del 1993 per  i  quali  permane  l'obbligo  di
ricetta medica e  dei  quali  non  e'  consentita  la  vendita  nelle
parafarmacie. 
    Il TAR, quindi,  nel  chiedere  l'accoglimento  della  questione,
sollecita la  Corte  costituzionale  ad  avvalersi  della  previsione
dell'art. 27 della legge 11 marzo  1953,  n.  87,  dichiarando  anche
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 1-bis,  del  d.l.
n. 201 del 2011. 
    2.- Nel giudizio si e' costituita la  parte  privata  ricorrente,
chiedendo l'accoglimento della prospettata questione. 
    La parte, dopo aver ricordato che l'art. 5 del d.l.  n.  223  del
2006 impone a chi esercita la  professione  in  una  parafarmacia  il
possesso  degli  stessi  titoli   e   delle   stesse   qualificazioni
professionali  dei  farmacisti  tradizionali,   rileva   che   simile
previsione garantisce comunque la tutela del diritto alla salute  dei
cittadini. 
    Del resto,  anche  in  ipotesi  di  accoglimento  della  presente
questione, le farmacie tradizionali rimarrebbero comunque titolari di
un regime di monopolio nella vendita  dei  farmaci  della  cosiddetta
fascia A, ossia quelli soggetti a rimborso totale o parziale da parte
del  Servizio  sanitario  nazionale.  Sicche'   l'ampliamento   della
possibilita' di vendita dei farmaci a totale pagamento dei  cittadini
non  potrebbe  che  incoraggiare  la  concorrenza  e  garantire,   in
definitiva, un servizio migliore per tutti. 
    3.- Nel giudizio si e' costituita anche  l'associazione  LI.F.I.,
Liberi farmacisti italiani, deducendo di aver svolto un intervento ad
adiuvandum nel giudizio a quo, in favore della farmacista ricorrente. 
    Tale associazione svolge considerazioni identiche a quelle  della
parte privata ricorrente. 
    4.- Si  e'  altresi'  costituita  in  giudizio  la  Federfarma  -
Federazione nazionale unitaria dei titolari di  farmacia  italiani  -
chiedendo che la prospettata questione venga dichiarata inammissibile
o, comunque, infondata. 
    4.1.-  L'inammissibilita'  deriverebbe  da  una   pluralita'   di
ragioni. 
    Innanzitutto, dal fatto che lo stesso TAR remittente, pur  avendo
illustrato le ragioni per le quali non ha ritenuto di dover rimettere
alla Corte di giustizia dell'Unione europea  la  decisione  circa  il
possibile contrasto tra la norma impugnata e i principi  del  diritto
dell'Unione di concorrenza e di liberta' di stabilimento, ha tuttavia
dato conto che siffatta questione esiste, tanto che altro TAR  ne  ha
gia' disposto la rimessione alla Corte di Lussemburgo.  Pertanto,  in
considerazione del primato del  diritto  europeo  rispetto  a  quello
nazionale e del noto principio della cosiddetta doppia pregiudiziale,
l'odierna questione dovrebbe essere dichiarata inammissibile,  almeno
fino  a  quando  la  Corte  di  giustizia  dell'Unione  non  si   sia
pronunciata sul punto. 
    Oltre a tale ragione di inammissibilita', la Federfarma evidenzia
che mancherebbero comunque, nella specie,  le  condizioni  per  poter
pronunciare una sentenza additiva. 
    Ove  pure  si  ritenesse  astrattamente  fondata  la  prospettata
questione, infatti, la cosiddetta liberalizzazione invocata  dal  TAR
di Reggio Calabria non  e'  imposta  dalla  Costituzione  e  potrebbe
essere «maggiore o minore, secondo un ordine di gradazione  entro  il
quale non  vi  e'  alcuna  possibilita'  di  scegliere  un  punto  di
equilibrio a rime obbligate». D'altra parte, l'art. 32  del  d.l.  n.
201  del  2011  ha  operato,  al  proprio  interno,  una   serie   di
distinzioni, escludendo  comunque  alcuni  farmaci  e  collegando  la
vendita nelle parafarmacie alla verifica dell'esistenza di una  serie
di condizioni riguardanti sia l'idoneita' dell'esercizio  commerciale
che la sussistenza di requisiti organizzativi anche  in  ordine  alla
diffusione sul territorio; cio' comporterebbe, quindi, la  necessita'
di rivisitare l'intera  materia,  riformando  anche  le  disposizioni
sulle farmacie tradizionali, in modo da garantire  quella  diffusione
capillare sul territorio  che  e'  necessaria  per  la  tutela  della
salute. 
    Sussisterebbe,   in   altre    parole,    una    discrezionalita'
politico-legislativa non eliminabile, tale da escludere che la  Corte
possa emettere una sentenza additiva. 
    4.2.- Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata. 
    L'ordinanza di rimessione, infatti, muove dalla premessa  che  la
vendita dei farmaci nelle parafarmacie  sia  assistita  dai  medesimi
requisiti previsti per le farmacie tradizionali, il che  non  sarebbe
conforme  al  vero,  poiche'  esistono   numerose   e   significative
differenze. 
    Innanzitutto, il farmacista titolare di una  farmacia  ordinaria,
oltre ad essere iscritto al relativo albo,  ha  anche  superato  -  a
differenza di quanto previsto per la titolarita' delle parafarmacie -
il concorso per titoli ed esami di  cui  all'art.  4  della  legge  8
novembre 1991, n. 362 (Norme di riordino del  settore  farmaceutico),
il che di per se' costituisce una  garanzia  di  verifica  delle  sue
capacita' professionali in confronto con quelle dei colleghi. Oltre a
cio', la riserva di vendita  di  certi  farmaci  alle  sole  farmacie
autorizzate si fonda  sull'esistenza  «di  requisiti  strutturali  ed
organizzativi che non sono richiesti a nessuna categoria di  esercizi
commerciali»;  fra  questi,  la   Federfarma   rammenta,   a   titolo
esemplificativo, l'obbligo di esporre gli  orari  di  apertura  e  di
chiusura,  quello  di  essere  dotati   delle   sostanze   medicinali
prescritte come obbligatorie dalla farmacopea  ufficiale,  quello  di
conservare tutte le ricette mediche e quello  di  ricevere  ispezioni
ordinarie o straordinarie da  parte  delle  autorita'  sanitarie.  Le
farmacie tradizionali, inoltre, sono soggette, per quanto riguarda il
diritto di sciopero, al rispetto della legge 12 giugno 1990,  n.  146
(Norme sull'esercizio del diritto di sciopero  nei  servizi  pubblici
essenziali  e  sulla   salvaguardia   dei   diritti   della   persona
costituzionalmente  tutelati.  Istituzione   della   Commissione   di
garanzia dell'attuazione della legge),  sullo  sciopero  nei  servizi
pubblici essenziali, mentre le  parafarmacie  «costituiscono  normali
esercizi commerciali, caratterizzati da un regime giuridico esente da
questi controlli». 
    Oltre a queste significative diversita', la parte  evidenzia  che
la distribuzione delle farmacie sul territorio e' regolata sulla base
del necessario contemperamento tra  le  esigenze  di  reperimento  di
farmaci da parte dei cittadini e le esigenze reddituali  di  ciascuna
sede; senza contare che, in base all'art. 7 della legge  n.  362  del
1991 ed all'art.  11  della  legge  2  aprile  1968,  n.  475  (Norme
concernenti il servizio farmaceutico), la titolarita' delle  farmacie
puo'  appartenere  solo  ad  un  farmacista  o  ad  una  societa'  di
farmacisti che abbia ad oggetto esclusivo la loro gestione,  in  modo
da garantire che l'esercizio dell'attivita' di impresa sia  collegata
con la «pratica  quotidiana  della  professione  sanitaria».  D'altra
parte, pur essendo stato ormai  liberalizzato  l'orario  di  apertura
delle farmacie dall'art. 11, comma 8, del d.l. n. 201  del  2011,  e'
anche vero che i turni e gli orari delle farmacie  tradizionali  sono
strutturati in modo da garantire - come conferma anche la sentenza n.
27 del 2003 della Corte  costituzionale  -  che  lo  svolgimento  del
servizio sia connotato non solo dalla qualita' del medesimo, ma anche
dalla  prossimita'  ai  cittadini,  «affinche'  non   abbia   mai   a
verificarsi  l'impossibilita',  per   il   cittadino,   di   ottenere
agevolmente i farmaci dei quali ha realmente bisogno»;  il  tutto  in
considerazione del fatto che si tratta «di un  regime  immediatamente
servente la salute», diritto fondamentale di cui  all'art.  32  della
Costituzione. 
    5.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata. 
    Dopo aver ricapitolato le principali  disposizioni  di  legge  in
argomento, l'Avvocatura dello Stato osserva che  il  sistema  vigente
pare essere conforme ai principi stabiliti dalla Corte  di  giustizia
dell'Unione europea in tema di concorrenza,  perche'  si  applica  in
modo non discriminatorio, e' giustificato  da  motivi  imperativi  di
interesse generale, e' finalizzato alla tutela  della  salute  ed  e'
adeguato rispetto al fine da raggiungere. 
    Le ragioni sulle  quali  il  giudice  a  quo  fonda  la  presunta
illegittimita' costituzionale della  normativa  censurata  sarebbero,
secondo l'Avvocatura dello Stato, tutte non decisive; che la  vendita
senza oneri per la finanza pubblica debba  necessariamente  implicare
un'autorizzazione illimitata non risponde  alle  complesse  finalita'
sanitarie che regolano la materia, cosi'  come  non  assume  decisivo
rilievo il criterio della totale liberalizzazione, perche' i  farmaci
ed il luogo di vendita dei medesimi sono «momenti fondamentali in cui
lo Stato esplica la sua funzione di tutela  della  salute  pubblica».
Mentre, infatti, le farmacie  tradizionali  sono  associate  «ad  una
politica generale di sanita' pubblica, in  gran  parte  incompatibile
con una logica puramente commerciale», non altrettanto avviene per le
parafarmacie, estranee al circuito del Servizio sanitario nazionale. 
    Sicche',  in  definitiva,  la  scelta  compiuta  dal  legislatore
nazionale   costituisce   un   ragionevole   punto   di   equilibrio,
proporzionato  rispetto  alla  «discrezionalita'  che  la   normativa
europea riconosce in tale settore agli Stati membri». 
    6.- In prossimita' dell'udienza la parte privata  ricorrente  nel
giudizio a quo e la Federfarma hanno presentato  memorie,  insistendo
per l'accoglimento delle gia' prospettate conclusioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Calabria,
Sezione staccata di Reggio  Calabria,  dubita,  in  riferimento  agli
articoli 3 e 41 della Costituzione, della legittimita' costituzionale
dell'art. 5, comma  1,  del  decreto-legge  4  luglio  2006,  n.  223
(Disposizioni urgenti per il rilancio economico  e  sociale,  per  il
contenimento e la razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  nonche'
interventi  in  materia  di  entrate  e  di  contrasto   all'evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4  agosto  2006,
n. 248, «nella parte in cui non consente  agli  esercizi  commerciali
ivi previsti (c.d. parafarmacie) la vendita di medicinali di fascia C
soggetti a prescrizione medica». 
    Ad avviso del  giudice  a  quo,  essendo  quella  del  farmacista
un'attivita' imprenditoriale,  finalizzata  pero'  all'erogazione  ai
cittadini di un servizio di fondamentale importanza,  il  divieto  di
vendita di tali farmaci nelle parafarmacie non si giustifica in  nome
della  necessita'  di  tenere  sotto  controllo  la  spesa   pubblica
destinata all'assistenza  farmaceutica,  trattandosi  di  farmaci  ad
integrale carico  del  cittadino.  Oltre  a  cio',  sarebbe  illogico
consentire  la  vendita  nelle  parafarmacie  di  farmaci   che   non
richiedono  la  prescrizione  del  medico  -  con  evidente  maggiore
responsabilita' in capo al farmacista - e non consentire  la  vendita
di  farmaci  soggetti  a  prescrizione,  per  i  quali  la   verifica
effettuata dal  medico  riduce  notevolmente  la  sfera  di  liberta'
decisionale (e la conseguente responsabilita') in capo al  farmacista
venditore; e, d'altra parte, in  un  sistema  affidato  al  principio
della liberta'  dell'iniziativa  economica,  i  limiti  che  ad  essa
possono  essere  posti  debbono  essere   in   funzione   di   tutela
dell'utilita' sociale, della liberta', sicurezza  e  dignita'  umana,
mentre l'inserimento di un maggior numero di  operatori  sul  mercato
interno consentirebbe la creazione di «una dinamica  dei  prezzi  che
andrebbe a beneficio dei consumatori». 
    2.-  Va  innanzitutto   dichiarato   inammissibile   l'intervento
dell'associazione LI.F.I., Liberi farmacisti italiani, intervenuta ad
adiuvandum della posizione della ricorrente nel giudizio a quo. 
    In conformita' alla  pacifica  giurisprudenza  di  questa  Corte,
infatti,  nei  giudizi  in  via  incidentale  sono   legittimati   ad
intervenire solo i soggetti che, pur non essendo parti  del  giudizio
principale, siano tuttavia portatori  di  un  interesse  qualificato,
immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto  in  giudizio
(tra le tante, sentenze n. 199 del 2011, n. 116 e n. 134  del  2013);
nel caso specifico, invece,  tale  interesse  non  sussiste  in  capo
all'associazione Liberi farmacisti italiani, poiche' la medesima  non
puo'  definirsi  ente  esponenziale  rispetto  alla   categoria   dei
farmacisti ed e', comunque, portatrice solo di un generico  interesse
all'accoglimento della prospettata questione. 
    3.- La Federfarma ha  posto,  nelle  proprie  difese,  una  prima
eccezione di inammissibilita' della questione, sotto il  profilo  per
cui la medesima - secondo quanto gia'  disposto  da  altro  Tribunale
amministrativo regionale - avrebbe dovuto essere rimessa  alla  Corte
di giustizia dell'Unione europea per valutare la compatibilita' della
disposizione denunciata rispetto ai  principi  di  concorrenza  e  di
liberta'  di  stabilimento  contenuti  nel  diritto  dell'Unione.  In
ossequio alla giurisprudenza di questa Corte in  tema  di  cosiddetta
doppia pregiudiziale, l'odierna questione sarebbe  inammissibile,  in
quanto solo dopo il  pronunciamento  da  parte  della  Corte  europea
potrebbe  valutarsi  la  sussistenza  o  meno  di  una  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    3.1.- Tale eccezione non e' fondata. 
    Premesso, infatti, che  la  decisione  se  rimettere  o  meno  la
questione pregiudiziale alla Corte  di  Lussemburgo  appartiene  alla
discrezionalita'  del  giudice  a  quo,  questa  Corte  ha  da  tempo
stabilito i rapporti esistenti tra le due diverse rimessioni. 
    Come piu' volte e' stato affermato, «i giudici nazionali  le  cui
decisioni sono  impugnabili  hanno  il  compito  di  interpretare  il
diritto  comunitario  e   se   hanno   un   dubbio   sulla   corretta
interpretazione hanno la facolta'  e  non  l'obbligo  di  operare  il
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per  ottenerla  e  farne
applicazione, se necessario a  preferenza  delle  contrastanti  norme
nazionali. Il giudice di ultima istanza, viceversa, ha  l'obbligo  di
operare il rinvio, a meno che non si tratti  di  una  interpretazione
consolidata e in termini o di una norma comunitaria  che  non  lascia
adito  a  dubbi  interpretativi».  La  questione   pregiudiziale   di
legittimita' costituzionale «sarebbe invece inammissibile, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, ove il giudice  rimettente  chiedesse
la verifica di costituzionalita' di una norma,  pur  esplicitando  un
dubbio quanto alla corretta interpretazione di norme  comunitarie  ed
un contrasto con queste ultime; il dubbio sulla compatibilita'  della
norma nazionale rispetto al diritto comunitario va risolto,  infatti,
eventualmente con l'ausilio della Corte di giustizia, prima  che  sia
sollevata  la  questione   di   legittimita'   costituzionale,   pena
l'irrilevanza della questione stessa» (cosi' la sentenza  n.  75  del
2012, in linea con le precedenti pronunce n. 284 del 2007  e  n.  227
del 2010). 
    Nel caso in esame, del resto, la Corte di  giustizia  dell'Unione
europea e' stata chiamata a pronunciarsi su una questione  del  tutto
simile a quella odierna e, nelle more  della  presente  decisione  da
parte di questa Corte, ha emesso gia' una propria sentenza, che sara'
in seguito richiamata. 
    4.- La Federfarma ha prospettato anche un'ulteriore eccezione  di
inammissibilita' della  questione,  rilevando  che  la  medesima  non
potrebbe comunque  dare  luogo  ad  una  sentenza  di  illegittimita'
costituzionale, in considerazione del  contenuto  non  obbligato,  ma
discrezionale, della eventuale pronuncia di accoglimento. 
    4.1.- Riguardo a questa eccezione va rilevato, anzitutto, che  il
petitum  e'  specifico  e  puntuale;  tuttavia,   poiche'   coinvolge
direttamente la trattazione del merito dell'odierna  questione,  tale
eccezione verra' decisa unitamente a questo. 
    5.-  La  questione  posta  all'esame  della  Corte  riguarda   un
particolare aspetto del regime delle farmacie, ossia la  possibilita'
di vendere nelle cosiddette parafarmacie anche i medicinali di fascia
C soggetti a prescrizione medica. 
    A questo proposito, va innanzitutto rilevata la correttezza della
ricostruzione del quadro normativo da parte del TAR rimettente  e  la
conseguente  impossibilita'  di  fornire  un'interpretazione  diversa
delle vigenti  disposizioni.  E'  indubbio,  infatti,  che  la  norma
impugnata - da leggere unitamente alle altre che si  richiameranno  -
non consente alle parafarmacie di  vendere  i  farmaci  di  fascia  C
soggetti ad obbligo di prescrizione medica, anche se detti medicinali
sono a carico integrale dell'assistito e senza alcun onere  economico
per il Servizio sanitario nazionale. 
    5.1.-  Tanto  premesso,  osserva  la  Corte  che,  per   costante
giurisprudenza  ribadita  nel  corso  degli  anni,  il  regime  delle
farmacie rientra a pieno titolo nella materia «tutela della  salute».
Cio' in quanto la  «complessa  regolamentazione  pubblicistica  della
attivita' economica di rivendita dei farmaci e' preordinata  al  fine
di assicurare e  controllare  l'accesso  dei  cittadini  ai  prodotti
medicinali ed in tal senso a garantire  la  tutela  del  fondamentale
diritto alla salute, restando solo marginale, sotto  questo  profilo,
sia il carattere  professionale  sia  l'indubbia  natura  commerciale
dell'attivita' del farmacista» (cosi' la sentenza  n.  87  del  2006,
confermata dalle successive sentenze n. 255  del  2013,  n.  231  del
2012, n. 150 del 2011, n. 295 del 2009 e n. 430 del 2007). 
    Proprio allo scopo di garantire, attraverso la distribuzione  dei
farmaci,  un  diritto  fondamentale  come  quello  alla  salute,   il
legislatore  ha  organizzato  il  servizio  farmaceutico  secondo  un
sistema di pianificazione sul territorio, per evitare che vi sia  una
concentrazione eccessiva di esercizi in certe zone, piu'  popolose  e
percio' piu' redditizie, e nel contempo una  copertura  insufficiente
in  altre  con  un  minore  numero  di  abitanti.  Il  sistema  della
pianificazione ha trovato piena regolazione con  le  leggi  2  aprile
1968, n. 475  (Norme  concernenti  il  servizio  farmaceutico),  e  8
novembre 1991, n. 362 (Norme di riordino del  settore  farmaceutico),
la cui disciplina e' stata  ulteriormente  modificata  ed  aggiornata
anche in tempi molto recenti  [v.  l'art.  11  del  decreto-legge  24
gennaio 2012, n. 1  (Disposizioni  urgenti  per  la  concorrenza,  lo
sviluppo delle infrastrutture e  la  competitivita'),  convertito  in
legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24  marzo
2012, n. 27]. 
    La pianificazione territoriale, pero', non e'  l'unico  strumento
col   quale   si   e'   ritenuto   di   garantire,    in    relazione
all'approvvigionamento dei medicinali, l'uguale tutela  della  salute
dei cittadini in tutte le parti del Paese. 
    Il regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del  testo
unico delle leggi sanitarie), aveva gia' stabilito, infatti, che  sul
farmacista gravassero una serie di obblighi. Questi obblighi si  sono
sviluppati nel corso del tempo e  dell'aumento  delle  conoscenze  in
materia farmacologica, fino ad arrivare alle previsioni contenute nel
decreto legislativo 3 ottobre 2009, n. 153 (Individuazione  di  nuovi
servizi erogati dalle farmacie  nell'ambito  del  Servizio  sanitario
nazionale, nonche' disposizioni in materia di indennita' di residenza
per i titolari di farmacie rurali, a  norma  dell'articolo  11  della
legge 18 giugno 2009, n. 69), il cui art. 1, in particolare, ha posto
a carico delle  farmacie  una  serie  di  funzioni  assistenziali  di
stretta collaborazione col Servizio sanitario nazionale. 
    Si  tratta,   come   si   e'   ricordato,   di   una   «complessa
regolamentazione pubblicistica dell'attivita' economica di  rivendita
dei farmaci» (sentenza n. 150 del 2011), rispetto alla quale  non  e'
possibile  isolare  uno  degli  elementi  senza  tenere  conto  della
disciplina nella sua globalita'. In ragione di cio', l'individuazione
del punto di equilibrio  tra  i  diversi  interessi  e'  affidato  al
legislatore, cui e' rimessa la relativa valutazione, fermo  rimanendo
il limite della non irragionevolezza delle scelte compiute. 
    5.2.- Per quanto riguarda, piu' direttamente, la disciplina della
classificazione dei farmaci  e  la  vendita  dei  medesimi,  assumono
importanza  fondamentale  alcune  norme  che  il  giudice  a  quo  ha
correttamente richiamato. 
    Si tratta, innanzitutto, dell'art. 8, comma 10,  della  legge  24
dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi  di  finanza  pubblica),
che divide  i  farmaci  in  tre  classi,  a  seconda  del  rispettivo
interesse terapeutico:  la  fascia  A,  che  contiene  i  farmaci  di
maggiore rilevanza  terapeutica;  la  fascia  B,  che  e'  stata  poi
soppressa  dall'art.  85  della  legge  23  dicembre  2000,  n.   388
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2001), e la fascia C, che contiene  i
farmaci di minore interesse terapeutico. Il successivo comma  14  del
medesimo art. 8 ha disposto che i farmaci di fascia A siano a  totale
carico del Servizio sanitario nazionale, con la corresponsione di una
quota fissa  da  parte  dell'assistito  (cosiddetto  ticket),  mentre
quelli di fascia C sono a totale carico dell'assistito. 
    Va poi considerato l'art. 87 del decreto  legislativo  24  aprile
2006, n. 219 [Attuazione della  direttiva  2001/83/CE  (e  successive
direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario  concernente
i medicinali per uso umano, nonche' della direttiva 2003/94/CE],  che
ha provveduto a  classificare  i  medicinali  a  seconda  della  loro
soggezione, o meno, all'obbligo di  prescrizione  medica,  stabilendo
altresi' la durata delle singole prescrizioni e  la  possibilita'  di
rinnovo delle medesime; nel comma 1, lettera  e),  di  tale  articolo
sono ricompresi i medicinali non soggetti a prescrizione medica,  fra
i quali i medicinali da banco o di automedicazione. 
    Assume  grande  importanza,  in  questo  quadro,  l'art.  32  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214.
Tale disposizione ha subito  modifiche  in  sede  di  conversione  in
legge, con l'aggiunta di  un  comma  1-bis.  Da  un  punto  di  vista
generale, quanto previsto dai due commi ha ampliato  la  possibilita'
di vendita dei farmaci di fascia C da parte  delle  parafarmacie;  il
comma 1,  infatti,  consente  -  a  condizione  che  le  parafarmacie
posseggano i requisiti fissati  con  apposito  decreto  del  Ministro
della salute - la vendita dei farmaci di fascia C (di cui all'art. 8,
comma 10, lettera c, sopra citato) ad  eccezione  di  quelli  di  cui
all'art. 45 del d.P.R. 9 ottobre 1990,  n.  309  (Testo  unico  delle
leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza), di quelli di cui all'art. 89 del  d.lgs.  n.  219
del 2006, di quelli del sistema endocrino e di quelli somministrabili
per via parenterale. Il successivo  comma  1-bis  stabilisce  che  il
Ministero della  salute,  sentita  l'Agenzia  italiana  del  farmaco,
indichi,  con  un  elenco  periodicamente  aggiornabile,  i   farmaci
appartenenti alla fascia C per i quali permane l'obbligo  di  ricetta
medica e dei quali non e' consentita la vendita nelle parafarmacie. 
    Puo' dirsi,  in  definitiva,  che  l'art.  32  ora  esaminato  ha
innovato il sistema precedente,  introducendo  il  principio  secondo
cui, fatte salve alcune particolari categorie, i farmaci di fascia  C
possono essere dispensati nelle parafarmacie, ad eccezione di  quelli
espressamente  indicati  nel  citato  elenco,  per  i  quali  permane
l'obbligo di prescrizione  ed  il  conseguente  divieto  di  vendita;
sicche' nel regime vigente la regola generale e'  che  i  farmaci  di
fascia C possono essere venduti nelle parafarmacie, mentre  l'obbligo
di prescrizione ed il correlativo divieto rappresentano  l'eccezione.
Cio' e' confermato, ove ve ne fosse bisogno, dagli artt. 1  e  2  del
decreto ministeriale 15 novembre 2012 (Attuazione delle  disposizioni
dell'articolo 32, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214,
sulla vendita dei medicinali  previsti  dall'articolo  8,  comma  10,
lettera c), della legge 21 dicembre 1993, n. 537. Decreto sostitutivo
del decreto ministeriale 18 aprile 2012). 
    6.- L'ordinanza di rimessione odierna  pone  a  questa  Corte  il
dubbio di legittimita' costituzionale relativo alla permanenza  -  da
ritenere residuale, secondo quanto si  e'  detto  -  del  divieto  di
vendita nelle  parafarmacie  dei  farmaci  di  fascia  C  soggetti  a
prescrizione medica. 
    6.1.- La questione non e' fondata. 
    Per  quanto  riguarda,  innanzitutto,   la   pretesa   violazione
dell'art.  3  Cost.,  occorre   osservare   che   non   c'e'   alcuna
irragionevolezza  nel  prevedere  che  per  determinati   medicinali,
periodicamente individuati  dal  Ministero  della  salute  dopo  aver
sentito l'Agenzia italiana  del  farmaco,  permanga  l'obbligo  della
prescrizione medica e, di conseguenza, il divieto  di  vendita  nelle
parafarmacie.  Ed   invero,   nonostante   siano   condivisibili   le
osservazioni compiute dal TAR  rimettente  per  quello  che  riguarda
l'esistenza di una serie di elementi  comuni  alle  farmacie  e  alle
parafarmacie, e' indubbio che fra i due esercizi permangano una serie
di  significative  differenze,  tali  da  rendere   la   scelta   del
legislatore  non  censurabile  in  termini  di   ragionevolezza.   Le
farmacie, infatti, proprio in quanto assoggettate  ad  una  serie  di
obblighi che derivano dalle  esigenze  di  tutela  della  salute  dei
cittadini, offrono necessariamente un insieme  di  garanzie  maggiori
che  rendono  non  illegittima  la  permanenza  della  riserva   loro
assegnata. Non si tratta  di  accogliere  l'opinione  secondo  cui  i
farmacisti che hanno superato il concorso per l'assegnazione  di  una
farmacia danno maggiori garanzie  rispetto  a  quelli  preposti  alle
parafarmacie, poiche' gli uni e gli altri hanno il medesimo titolo di
studio e sono iscritti a tutti gli effetti all'albo professionale. Si
tratta, invece, di prendere atto che la totale liberalizzazione della
vendita dei farmaci di fascia C soggetti a prescrizione medica -  che
sono medicinali con  una  maggiore  valenza  terapeutica,  risultando
altrimenti privo  di  senso  l'obbligo  di  prescrizione  -  verrebbe
affidata ad esercizi commerciali che lo stesso legislatore ha  voluto
assoggettare ad una quantita' meno intensa di vincoli e  adempimenti,
anche in relazione alle prescrizioni. 
    6.2.- Ne' puo' giungersi a diversa conclusione  invocando  l'art.
41 Cost. e il principio di tutela della concorrenza. 
    A questo riguardo va rilevato che, come si  e'  sottolineato,  il
regime delle farmacie e' incluso - secondo costante giurisprudenza di
questa Corte - nella materia della  «tutela  della  salute»,  pur  se
questa collocazione non esclude che alcune delle  relative  attivita'
possano essere sottoposte alla concorrenza,  come  altre  nell'ambito
della medesima materia. Come si e' posto  in  evidenza,  infatti,  il
legislatore, con il ricordato art. 32 del d.l. n. 201  del  2011,  ha
ulteriormente ampliato  la  possibilita',  per  le  parafarmacie,  di
vendere medicinali di fascia C, mantenendo fermo  il  criterio  della
prescrizione medica quale discriminante tra i farmaci necessariamente
dispensati dalle farmacie e quelli che possono  esserlo  anche  dalle
parafarmacie. 
    L'incondizionata liberalizzazione di quella categoria di  farmaci
inciderebbe, con  effetti  che  non  sono  tutti  prevedibili,  sulla
distribuzione territoriale delle parafarmacie le quali,  non  essendo
inserite nel sistema di pianificazione sopra  richiamato,  potrebbero
alterare il sistema stesso, che e' posto, prima di tutto, a  garanzia
della salute dei cittadini. 
    7.- Come si e' gia' rilevato in precedenza,  anche  la  Corte  di
giustizia dell'Unione europea e' stata chiamata a pronunciarsi, sotto
il  profilo  della  tutela  della  liberta'  di  stabilimento,  sulla
compatibilita' della  normativa  oggi  in  esame  in  riferimento  ai
principi del diritto dell'Unione. 
    7.1.- Quella Corte, con la sentenza 5  dicembre  2013  (in  cause
riunite C-159, 160 e 161/12), Venturini,  chiamata  a  risolvere  una
questione del tutto simile a quella odierna, rimessale dal TAR per la
Lombardia, ha affermato che l'art. 49 del Trattato sul  funzionamento
dell'Unione europea (TFUE) deve essere  interpretato  nel  senso  che
esso non osta ad una  normativa  nazionale  che  non  consente  a  un
farmacista, abilitato e iscritto  all'ordine  professionale,  ma  non
titolare  di  una  farmacia  compresa  nella  pianta   organica,   di
distribuire al dettaglio, in una  parafarmacia,  anche  quei  farmaci
soggetti a prescrizione medica che non sono  a  carico  del  Servizio
sanitario    nazionale,    bensi'    vengono    pagati    interamente
dall'acquirente. 
    Ha osservato la Corte di Lussemburgo, tra l'altro, che la  tutela
della  salute  puo'  giustificare  restrizioni   alla   liberta'   di
stabilimento (punto 41); che l'apertura delle farmacie sul territorio
italiano e' oggetto di un regime di pianificazione (punto 45)  e  che
la  situazione  auspicata   dalle   ricorrenti   in   quel   giudizio
equivarrebbe a poter commercializzare tali medicinali senza osservare
il  requisito  della  pianificazione  territoriale  (punto  51),  con
ripercussioni  negative  sull'effettivita'  dell'intero  sistema   di
pianificazione delle farmacie e quindi sulla  sua  stabilita'  (punto
54). La Corte di giustizia ha pure affermato  che  la  riserva  della
distribuzione di detti farmaci alle sole farmacie e' atta a garantire
la tutela della salute (punto 55) e  che  la  normativa  italiana  al
riguardo e' proporzionata e necessaria (punti 58-65). 
    7.2.- La Corte europea,  d'altra  parte,  ha  in  piu'  occasioni
riconosciuto che l'art. 49 del  TFUE  deve  essere  interpretato  nel
senso che la tutela della liberta' di stabilimento non osta a che uno
Stato membro  adotti  un  regime  di  autorizzazione  preventiva  per
l'apertura di nuove farmacie, se tale regime si rivela indispensabile
per colmare eventuali lacune nell'accesso alle prestazioni sanitarie,
in maniera tale da garantire un'assistenza  sanitaria  adeguata  alle
necessita' della popolazione, orientata a coprire tutto il territorio
e a tenere conto delle regioni geograficamente isolate  o  altrimenti
svantaggiate (sentenze 1° giugno 2010, in cause  riunite  C-570/07  e
C-571/07, Blanco Perez e Chao Gomez, punti 70 e  71;  e  13  febbraio
2014, in causa C-367/12, Sokoll-Seebacher, punti 24-25). 
    Nella sentenza Sokoll-Seebacher appena  richiamata,  inoltre,  la
Corte di giustizia ha anche precisato che «la salute e la vita  delle
persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli  interessi
protetti dal Trattato e che spetta agli  Stati  membri  stabilire  il
livello al quale essi intendono  garantire  la  tutela  della  salute
pubblica e il modo  in  cui  tale  livello  debba  essere  raggiunto.
Poiche' quest'ultimo puo' variare da uno Stato membro  all'altro,  si
deve riconoscere agli Stati membri un  margine  di  discrezionalita'»
(punto 26). Emerge da questa giurisprudenza, quindi, che  le  ragioni
di tutela della  salute,  declinate  secondo  le  peculiarita'  della
normativa nazionale, ben consentono di derogare all'ampia nozione  di
liberta' di stabilimento e, di conseguenza, di liberta' di impresa. 
    Tali considerazioni - che vanno ben oltre la semplice  esclusione
della violazione  dei  principi  della  liberta'  di  stabilimento  -
corroborano ulteriormente il convincimento di questa Corte nel  senso
che si e' detto. 
    8.- La prospettata questione, dunque, deve essere dichiarata  non
fondata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 5, comma  1,  del  decreto-legge  4  luglio  2006,  n.  223
(Disposizioni urgenti per il rilancio economico  e  sociale,  per  il
contenimento e la razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  nonche'
interventi  in  materia  di  entrate  e  di  contrasto   all'evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4  agosto  2006,
n. 248,  sollevata,  in  riferimento  agli  articoli  3  e  41  della
Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria,
Sezione staccata di  Reggio  Calabria,  con  l'ordinanza  di  cui  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014. 
 
                                F.to: 
                     Sabino CASSESE, Presidente 
                    Sergio MATTARELLA, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI