N. 219 SENTENZA 9 - 18 luglio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Misure per il contenimento delle spese in materia di impiego pubblico
  (incrementi stipendiali del personale docente e  A.T.A.)  -  Misure
  per  il  contenimento  delle   spese   in   materia   previdenziale
  (trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici). 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'  economica)   -
  convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30
  luglio 2010, n. 122 - artt. 9, comma 23, e 12, comma 10. 
-   
(GU n.31 del 23-7-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Sabino CASSESE; 
Giudici  :Giuseppe  TESAURO,  Paolo   NAPOLITANO,   Giuseppe   FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,
  Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo
  CORAGGIO, Giuliano AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 9,  comma
23, e 12, comma 10, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78  (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dal Tribunale  ordinario
di Roma, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente
tra D.T.C. ed altri e il Ministero dell'istruzione,  dell'universita'
e della ricerca, con ordinanza del 9 maggio 2012, iscritta al n.  148
del registro ordinanze 2012 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di costituzione di D.T.C. ed altri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  luglio  2014  il   Giudice
relatore Giancarlo Coraggio; 
    udito l'avvocato Sandro Campilongo per D.T.C. ed altri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione  di  giudice  del
lavoro, con ordinanza del 9 maggio  2012,  iscritta  al  n.  148  del
registro ordinanze  2012,  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 23,  del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e  di  competitivita'  economica),  convertito,  con   modificazioni,
dall'art. 1, comma  1,  della  legge  30  luglio  2010,  n.  122,  in
riferimento agli  artt.  2,  3,  35,  36,  39,  42,  53  e  97  della
Costituzione, e dell'art. 12, comma 10, del medesimo d.l. n.  78  del
2010, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost. 
    2.- Il rimettente espone di  essere  stato  adito  da  docenti  e
insegnanti  in  servizio  presso   istituti   scolastici   ricompresi
nell'ambito  della   propria   competenza   territoriale,   i   quali
chiedevano,  da   un   lato,   dichiararsi   l'illegittimita'   della
sospensione delle posizioni stipendiali  e  dei  relativi  incrementi
economici disposta dal comma 23 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del  2010,
con  il  conseguente  riconoscimento  del  diritto   al   trattamento
giuridico  e  retributivo  spettante  in  virtu'   delle   previsioni
contrattuali vigenti, senza tener conto delle contestate riduzioni, a
tal fine prospettando violazione  di  legge  e  sollevando  dubbi  di
legittimita'   costituzionale   della   suddetta   disposizione,   in
riferimento agli artt. 2, 3, 35, 36, 39, 41, 42, 53, 97 e  98  Cost.;
dall'altro,  accertare  l'avvenuta   abrogazione   della   disciplina
sull'indennita' di buonuscita a decorrere dal 1°  gennaio  2011,  per
effetto del comma 10 dell'art. 12  del  d.l.  n.  78  del  2010,  con
conseguente declaratoria di illegittimita'  del  perdurante  prelievo
del 2,50 per cento sull'80 per cento della retribuzione -  operato  a
titolo di rivalsa sull'accantonamento per l'indennita' di  buonuscita
-  e  domanda  di   restituzione   degli   accantonamenti   eseguiti,
prospettando,  in  via   subordinata,   questione   di   legittimita'
costituzionale  per  la  disparita'  di  trattamento  a  carico   dei
lavoratori dipendenti del settore  pubblico  rispetto  ai  lavoratori
privati,  non   assoggettati   ad   alcun   prelievo   in   relazione
all'accantonamento del trattamento di  fine  rapporto  da  parte  del
datore di lavoro. 
    3.-  Tanto  premesso,  il  Tribunale,  richiamato  il   contenuto
dell'art. 9, comma 23, del d.l. 78 del  2010,  come  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, che
prevede:  «Per  il  personale  docente,  Amministrativo,  Tecnico  ed
Ausiliario (A.T.A.) della Scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono
utili ai fini della maturazione delle  posizioni  stipendiali  e  dei
relativi   incrementi   economici   previsti    dalle    disposizioni
contrattuali vigenti. E' fatto salvo quanto previsto dall'articolo 8,
comma 14», ha sollevato questioni di legittimita'  costituzionale  in
riferimento  a  diversi   parametri   in   ragione   delle   seguenti
motivazioni. 
    3.1.- La norma impugnata violerebbe l'art. 53  Cost.,  in  quanto
non si sarebbe in presenza di mere riduzioni della spesa pubblica, ma
la disposizione in esame istituirebbe  veri  e  propri  tributi,  che
dovrebbero  rispettare  i  principi   di   universalita',   capacita'
contributiva  e  progressivita'  di   cui   al   suddetto   parametro
costituzionale. 
    Diversamente, la norma impugnata  colpirebbe  solo  il  personale
della scuola all'interno di un'amplissima categoria di cittadini e di
lavoratori,  senza  considerare  la  progressivita'  e  la  capacita'
contributiva, penalizzando quello con minore anzianita' di  servizio,
cosi' dando luogo anche alla violazione dell'art. 3 Cost. 
    3.2.- Sarebbe, altresi', violato l'art.  2  Cost.,  in  relazione
all'art.  3  Cost.,  venendo  lesi   i   principi   di   uguaglianza,
ragionevolezza  legislativa  e  solidarieta'  sociale,  politica   ed
economica. L'onere connesso alla riduzione della  spesa,  determinato
dalla  eccezionalita'  della  situazione  economica   internazionale,
avrebbe dovuto essere posto a  carico  non  solo  di  una  parte  dei
cittadini e dei dipendenti pubblici, ma della collettivita'. 
    3.3.- Il Tribunale censura l'art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del
2010, anche  per  la  violazione  degli  artt.  42  e  97  Cost.,  in
riferimento all'art. 3 Cost. Ed infatti la disposizione in  esame  si
porrebbe come norma provvedimentale che determinerebbe nei  confronti
dei soggetti interessati un effetto ablatorio di diritti di contenuto
economico, gia' acquisiti nella  sfera  del  dipendente  pubblico  in
virtu' di vigenti disposizioni contrattuali, alterando il  sinallagma
contrattuale del rapporto di durata  senza  prevedere  alcuna  misura
compensativa o indennitaria, neppure sul piano della fruibilita'  del
rapporto complessivo (orario, ferie ed altro). Inoltre, la  norma  in
questione avrebbe inciso sulle  aspettative  e  sull'affidamento  dei
dipendenti  del  settore  scolastico  al  di  fuori  dei  canoni   di
uguaglianza  e  ragionevolezza,  avuto  riguardo  sia  al  sacrificio
unilateralmente imposto a tale categoria a fronte di  una  situazione
contingente  di  crisi  che  avrebbe  dovuto   interessare   l'intera
comunita', sia al carattere non transitorio della misura non  essendo
previsto diritto a recupero della disposta sospensione  degli  scatti
di anzianita' e stipendiali. 
    3.4.- Infine, la norma e' sottoposta al vaglio  di  questa  Corte
per  l'asserita  violazione  degli  artt.  35  e  39  Cost.,  nonche'
dell'art. 36 Cost. 
    Si    determinerebbe,    infatti,     un'anomala     interruzione
dell'efficacia delle disposizioni  contrattuali  vigenti  e,  quindi,
dell'autonomia negoziale  riservata  alle  parti,  nell'ambito  della
contrattazione collettiva, in virtu' della esclusiva posizione  dello
Stato-datore di lavoro.  Sarebbe,  inoltre,  leso,  il  rispetto  del
principio della proporzionalita'  della  retribuzione  affidato  allo
strumento del contratto collettivo. 
    4.-  Il   Tribunale   rimettente   sospetta   dell'illegittimita'
costituzionale l'art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010. 
    La norma stabilisce: «Con effetto sulle  anzianita'  contributive
maturate a decorrere dal 1°  gennaio  2011,  per  i  lavoratori  alle
dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche  inserite   nel   conto
economico   consolidato   della   pubblica   amministrazione,    come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi
del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, per
i quali  il  computo  dei  trattamenti  di  fine  servizio,  comunque
denominati, in riferimento alle predette anzianita' contributive  non
e' gia' regolato in base a quanto  previsto  dall'articolo  2120  del
codice civile in materia di trattamento di fine rapporto, il  computo
dei predetti trattamenti di fine  servizio  si  effettua  secondo  le
regole di  cui  al  citato  articolo  2120  del  codice  civile,  con
applicazione dell'aliquota del 6,91 per cento». 
    Assume il rimettente che  la  disposizione  censurata,  a  fronte
dell'estensione del regime di cui all'art. 2120 cod.  civ.  (ai  fini
del computo  dei  trattamenti  di  fine  rapporto)  sulle  anzianita'
contributive maturate a fare tempo dal  1º  gennaio  2011,  determina
l'applicazione  dell'aliquota  del   6,91   per   cento   sull'intera
retribuzione,  senza  escludere  nel  contempo   la   vigenza   della
trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50 per cento della  base
contributiva  della  buonuscita,  operata   a   titolo   di   rivalsa
sull'accantonamento per l'indennita' di buonuscita, in combinato  con
l'art. 37 del d.P.R. 29 dicembre  1973,  n.  1032  (Approvazione  del
testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore  dei
dipendenti civili e militari dello Stato), cosi' violando gli artt. 3
e 36 Cost. 
    Ed  infatti,  vi  sarebbe   una   irragionevole   disparita'   di
trattamento nei confronti dei dipendenti pubblici rispetto  a  quelli
privati che non subiscono tale rivalsa ed una  illegittima  riduzione
della  retribuzione,  in  vista  dell'accantonamento  finalizzato  al
trattamento di fine rapporto. 
    5.-  Con  atto  di  costituzione  del  7  settembre  2012,   sono
intervenuti i ricorrenti nel giudizio a quo, deducendo la  fondatezza
delle  questioni  sollevate  dal  Tribunale  ordinario  di   Roma   e
riservandosi piu' ampie deduzioni. 
    6.- Con memoria del 4  settembre  2013,  gli  interventori  hanno
rilevato, dato atto della sentenza di questa Corte n. 223  del  2012,
l'intervenuta abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2011, dell'art.
12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, ad opera  dell'art.  1,  comma
98, della legge  24  dicembre  2012,  n.  228  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.  Legge  di
stabilita' 2013), e hanno chiesto che questa Corte  dichiari  cessata
la materia del contendere. 
    Gli stessi, in riferimento all'art. 9, comma 23, del d.l.  n.  78
del 2010, prospettano, altresi', la violazione anche degli  artt.  41
(liberta' di concorrenza) e 97 Cost., in quanto il rapporto di lavoro
pubblico,   per   effetto   della   norma    censurata,    diventera'
automaticamente  meno  conveniente  di   quello   privato,   con   la
conseguenza che l'offerta di lavoro  del  settore  pubblico  potrebbe
divenire  meno  competitiva  di  quella  del  settore  privato,   con
conseguente    depauperamento    dell'efficienza    della    pubblica
amministrazione. 
    In   particolare,    gli    interventori,    nell'aderire    alla
prospettazione  del  rimettente,  deducono   la   sussistenza   della
violazione degli artt. 35 e 39 Cost., quale lesione del principio  di
tutela degli  accordi  collettivi  e  della  funzione  sindacale.  Vi
sarebbe, infatti, un completo  azzeramento  dell'autonomia  negoziale
riservata alle parti  nell'ambito  della  contrattazione  collettiva,
posto che lo stipendio viene determinato contrattualmente e  non  per
legge. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione  di  giudice  del
lavoro, con ordinanza del 9 maggio  2012,  iscritta  al  n.  148  del
registro ordinanze  2012,  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 23,  del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e  di  competitivita'  economica)   convertito,   con   modificazioni
dall'art. 1, comma  1,  della  legge  30  luglio  2010,  n.  122,  in
riferimento agli  artt.  2,  3,  35,  36,  39,  42,  53  e  97  della
Costituzione, e dell'art. 12, comma 10, del medesimo d.l. n.  78  del
2010, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost. 
    2.-  In  via  preliminare,  vanno  dichiarate  inammissibili   le
deduzioni articolate dalla parte privata, volte ad estendere il thema
decidendum fissato nell'ordinanza di rimessione (ex multis,  sentenza
n. 275 del 2013). 
    Non puo', quindi, trovare ingresso la censura di violazione degli
artt. 41 e 97 Cost. 
    3.- In ordine alla impugnazione dell'art. 12, comma 10, del  d.l.
n. 78 del 2010, occorre rilevare che con la sentenza n. 223 del  2012
ne  e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'   costituzionale   e   il
legislatore  ha  dato   attuazione   alla   sentenza   abrogando   la
disposizione prima con  l'art.  1,  comma  1,  del  decreto-legge  29
ottobre 2012, n. 185 (Disposizioni urgenti in materia di  trattamento
di fine servizio dei dipendenti pubblici),  non  convertito,  e  poi,
definitivamente, con il successivo art. 1, comma 98, della  legge  24
dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilita' 2013). 
    Ne consegue  che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, dopo la sentenza  n.
223 del 2012, e' divenuta priva di oggetto e va,  quindi,  dichiarata
manifestamente inammissibile. 
    4.- Il Tribunale ha impugnato anche l'art. 9, comma 23, del  d.l.
n. 78 del 2010, secondo cui per il personale docente, amministrativo,
tecnico ed ausiliario (A.T.A.) della scuola, gli anni  2010,  2011  e
2012 non  sono  utili  ai  fini  della  maturazione  delle  posizioni
stipendiali  e  dei  relativi  incrementi  economici  previsti  dalle
disposizioni contrattuali vigenti. E'  fatto  salvo  quanto  previsto
dall'art. 8, comma 14, del medesimo decreto-legge. 
    4.1.- Va ricordato che la  disposizione  in  esame  ha  contenuto
analogo all'art. 9,  comma  21,  dello  stesso  decreto-legge  avente
natura di principio di coordinamento della finanza pubblica (sentenza
n. 181 del 2014), che ha previsto, per il  personale  cosiddetto  non
contrattualizzato di cui all'art. 3 del decreto legislativo 30  marzo
2001,  n.  165  (Norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche), tra l'altro,  il  blocco
per il triennio 2011-2013 dei meccanismi di  adeguamento  retributivo
previsti, degli automatismi stipendiali (classi e  scatti)  correlati
all'anzianita' di servizio, relativi allo  stesso  periodo,  di  ogni
effetto  economico   delle   progressioni   in   carriera,   comunque
denominate. E al riguardo questa Corte, con le sentenze  n.  154  del
2014, n. 310 e n. 304 del 2013, ha ritenuto non fondate le  questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, del d.l. n.  78
del 2010, sollevate da piu' Tribunali  amministrativi  regionali,  in
riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, 33, 34, 36,  37,  42,
53, 77 e 97 Cost. 
    4.2.- Le censure prospettate dal Tribunale ordinario di  Roma  in
relazione agli artt. 2, 3, 36, 42,  53  e  97  Cost.  coincidono,  in
particolare, con quelle decise con le sentenze n. 310 e  n.  304  del
2013. La questione non e' fondata. 
    5.- Alla disposizione in esame anzitutto  non  puo'  riconoscersi
natura tributaria, atteso  che  non  da'  luogo  ad  una  prestazione
patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto  autoritativo  di
carattere ablatorio, destinata a reperire risorse per l'erario. 
    La giurisprudenza di questa Corte, da ultimo (sentenze n. 310 del
2013 e n. 223 del 2012), ha precisato che gli elementi  indefettibili
della fattispecie tributaria sono  tre:  la  disciplina  legale  deve
essere  diretta  in  via  prevalente  a  procurare   una   definitiva
decurtazione  patrimoniale  a  carico  del   soggetto   passivo;   la
decurtazione  non  deve  comportare  una  modifica  di  un   rapporto
sinallagmatico; le risorse derivanti, che devono essere  connesse  ad
un  presupposto   economicamente   rilevante,   vanno   destinate   a
«sovvenire» le pubbliche spese. Tali  condizioni  non  ricorrono  nel
caso di specie. 
    5.1.- Quanto alla prospettata lesione degli artt. 42 e 97  Cost.,
per il carattere provvedimentale della norma impugnata, anch'essa non
sussiste.  La  disposizione,  infatti,   specifica   le   misure   di
contenimento  della  spesa  pubblica  da  adottare  con  riguardo  al
pubblico  impiego,  rispetto  alle  peculiarita'  che  connotano   il
rapporto di lavoro contrattualizzato del personale docente e  A.T.A.,
e quindi non e' destinata ad incidere  su  un  numero  determinato  e
molto limitato di destinatari, ne'  ha  un  contenuto  particolare  e
concreto. 
    5.2.- Per le censure relative agli artt. 2 e  3  Cost.,  valgono,
anche nel caso di specie, le considerazioni di questa Corte,  che  ha
ritenuto l'intervento in esame giustificato, nel suo complesso, dalle
notorie esigenze di contenimento della spesa  pubblica,  in  presenza
del carattere eccezionale, transeunte,  non  arbitrario,  consentaneo
allo scopo prefissato, nonche' temporalmente limitato  dei  sacrifici
richiesti (sentenza n. 310 del 2013,  nonche'  sentenze  n.  166  del
2012, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009). 
    5.3.- Questa Corte ha inoltre  negato  che  sia  ravvisabile  una
lesione dell'affidamento del  cittadino  nella  sicurezza  giuridica,
posto  che  «il  legislatore  puo'  anche  emanare  disposizioni  che
modifichino in  senso  sfavorevole  la  disciplina  dei  rapporti  di
durata, anche se  l'oggetto  di  questi  sia  costituito  da  diritti
soggettivi perfetti, sempre che tali disposizioni "non trasmodino  in
un regolamento irrazionale, frustrando,  con  riguardo  a  situazioni
sostanziali  fondate  sulle  leggi  precedenti,   l'affidamento   dei
cittadini nella sicurezza giuridica,  da  intendersi  quale  elemento
fondamentale dello Stato di diritto"» (sentenza n. 310 del 2013). 
    5.4.- Con riferimento all'art. 36 Cost.,  poi,  questa  Corte  e'
ferma nel ritenere che il giudizio sulla conformita' a tale parametro
costituzionale non puo'  essere  svolto  per  singoli  istituti,  ne'
giorno per giorno, ma  occorre  valutare  l'insieme  delle  voci  che
compongono il trattamento  complessivo  del  lavoratore  in  un  arco
temporale di una qualche significativa ampiezza (sentenze n. 310 e n.
304 del 2013, n. 366 e n. 287 del 2006). 
    5.5.- Quanto alla intervenuta proroga della misura  in  questione
al 31 dicembre 2013, per effetto del decreto-legge 6 luglio 2011,  n.
98  (Disposizioni  urgenti  per  la   stabilizzazione   finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  15
luglio  2011,  n.  111,  e  del  d.P.R.  4  settembre  2013,  n.  122
(Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione  e
degli automatismi stipendiali per  i  pubblici  dipendenti,  a  norma
dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98, convertito, con modificazioni, dalla legge  15  luglio  2011,  n.
111), questa Corte ha gia' chiarito, rispetto ad analoga fattispecie,
che il contenimento e  la  razionalizzazione  della  spesa  pubblica,
attraverso  cui  puo'  attuarsi  una  politica  di  riequilibrio  del
bilancio, implicano sacrifici gravosi, quali  quelli  in  esame,  che
trovano giustificazione  nella  situazione  di  crisi  economica.  In
particolare,  in  ragione  delle   necessarie   attuali   prospettive
pluriennali del ciclo di bilancio, tali  sacrifici  non  possono  non
interessare periodi, certo definiti, ma piu' lunghi rispetto a quelli
presi in considerazione dalle richiamate sentenze  di  questa  Corte,
pronunciate con riguardo alla manovra economica del 1992 (sentenza n.
310 del 2013). 
    6.-  Le  norme  impugnate,  dunque,   superano   il   vaglio   di
ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio di spesa  che  opera
riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una  dimensione
solidaristica - sia pure con le differenziazioni rese necessarie  dai
diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono - e
per un  periodo  di  tempo  limitato,  che  comprende  piu'  anni  in
considerazione della programmazione pluriennale  delle  politiche  di
bilancio. 
    7.-  Il  Tribunale  ordinario  di  Roma  sospetta   altresi'   di
illegittimita' costituzionale l'art. 9, comma 23, del d.l. n. 78  del
2010, prospettando la lesione degli artt. 35, 36 e 39 Cost. 
    In  particolare,  il  Tribunale  assume   che   sarebbe   violata
l'autonomia  negoziale  riservata  alle   parti   nell'ambito   della
contrattazione collettiva, con la conseguente lesione  del  principio
della proporzionalita' della retribuzione affidato allo strumento del
contratto collettivo. 
    8.- La questione non e' fondata. 
    8.1.- Vengono in rilievo al riguardo le relazioni tra la legge  e
i  contratti  espressione  dell'autonomia  collettiva,   poiche'   il
rapporto di lavoro pubblico privatizzato - al  quale  appartengono  i
lavoratori della scuola che sono  parti  nel  giudizio  a  quo  -  e'
disciplinato in sede di contrattazione collettiva (sentenze n. 36 del
2013  e  n.  290  del  2012);  e  in  particolare  in  tale  sede  e'
disciplinato il trattamento economico (art. 45, comma 1,  del  d.lgs.
n. 165 del 2001). 
    Tuttavia  questo  assetto,  che  trova  la   sua   legittimazione
costituzionale nell'art. 39 Cost., e quindi nei  due  principi  della
liberta'  sindacale  e  dell'autonomia  collettiva,  non  esclude  la
possibilita' di intervento del legislatore. 
    8.2.- In linea generale questa Corte ha piu' volte affermato  che
l'autonomia  collettiva  puo'  venire   compressa   o,   addirittura,
annullata nei suoi esiti concreti; e cio' non solo  quando  introduca
un trattamento deteriore rispetto a quanto previsto dalla  legge,  ma
anche  quando  sussista  l'esigenza  di  salvaguardia  di   superiori
interessi generali (sentenze 40 del 2007, n. 393 del 2000, n. 143 del
1998, n. 124 del 1991 e n. 34 del 1985). 
    Ebbene, cosi' come l'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78  del  2010,
la norma oggetto di censura ha come finalita' il  contenimento  e  la
razionalizzazione della spesa per il settore  del  pubblico  impiego,
finalita' questa che, imposta dall'art. 2, comma 1,  della  legge  23
ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la
revisione  delle  discipline  in  materia  di  sanita',  di  pubblico
impiego, di  previdenza  e  di  finanza  territoriale),  e'  ribadita
dall'art. 1, comma  1,  lettera  b),  del  d.lgs.  n.  165  del  2001
(sentenza n. 146 del 2008), il quale individua tra  gli  scopi  della
normativa,  l'esigenza  di  «razionalizzare  il  costo   del   lavoro
pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e
indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica». 
    8.3.- Piu' in particolare, secondo questa Corte (sentenza n.  215
del 2012), la circostanza che il trattamento economico sia materia di
contrattazione collettiva  non  esclude  che  quest'ultima  si  debba
svolgere entro limiti  generali  di  compatibilita'  con  le  finanze
pubbliche legittimamente fissati dal  legislatore;  come,  di  fatto,
avviene sempre, poiche' e' la  legge  che  ogni  volta  individua  le
risorse destinate a finanziare i  rinnovi  contrattuali  nell'impiego
pubblico. 
    E dunque, l'art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del  2010,  fissando
esclusivamente un limite agli incrementi economici, in relazione alla
maturazione delle posizioni stipendiali, che possono essere  disposti
dai contratti collettivi, definisce appunto il confine entro il quale
puo' svolgersi l'attivita' negoziale delle parti. 
    9.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  9,
comma 23, del d.l. n. 78 del  2010,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge  n.  122  del  2010,  sollevata  in
riferimento agli artt. 35, 36 e 39 Cost., deve essere dichiarata  non
fondata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 10, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio  2010,  n.
122, sollevata, in riferimento artt. 3 e 36 della  Costituzione,  dal
Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del  lavoro,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma  23,  del  d.l.  n.  78  del  2010,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
122 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 35, 36,  39,
42, 53 e 97 Cost., dal Tribunale ordinario di Roma,  in  funzione  di
giudice del lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014. 
 
                                F.to: 
                     Sabino CASSESE, Presidente 
                    Giancarlo CORAGGIO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI