N. 42 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 13 giugno 2014
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato il 13 giugno 2014 della Regione Veneto. Comuni, Province e Citta' metropolitane - Abolizione delle Province di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria e istituzione delle nuove Citta' metropolitane omonime - Previsione che le suddette Citta' metropolitane subentrino alle Province omonime, succedendo ad esse in tutti i rapporti attivi e passivi, assorbendone le funzioni - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione del principio di uguaglianza per irrazionalita' - Violazione del principio di autonomia degli enti locali - Lesione dell'autonomia costituzionale di Comuni, Province e Citta' metropolitane - Esorbitanza dai limiti della legislazione esclusiva statale in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane - Violazione del procedimento costituzionale per l'istituzione di Citta' metropolitane che prevede l'iniziativa dei Comuni ed il parere delle Regioni. - Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, commi 5, 6, 12 e 16. - Costituzione, artt. 3, 5, 114, 117, comma quarto, lett. p), e 133, primo comma. Comuni, Province e Citta' metropolitane - Procedimento per l'adesione di singoli Comuni alla Citta' metropolitana - Estensione della relativa disciplina anche ai Comuni capoluogo di Province limitrofe - Previsione che, in caso di dissenso della Regione dalle proposte di adesione formulate dai Comuni, il Governo promuova un'intesa, e, in caso di mancato raggiungimento di essa, decida in via definitiva in ordine all'approvazione e alla presentazione al Parlamento del disegno di legge contenente modifiche territoriali di Province e di Citta' metropolitane - Ricorso della Regione Veneto - Denunciato contrasto con il principio di ragionevolezza - Lesione delle prerogative costituzionalmente assegnate alle Regioni in ordine al mutamento delle circoscrizioni provinciali e all'istituzione di nuove Province. - Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, comma 6. - Costituzione, art. 133, primo comma. Comuni, Province e Citta' metropolitane - Assegnazione alla Conferenza metropolitana di poteri propositivi e consultivi - Previsione del subentro dal 1° gennaio 2015 delle Citta' metropolitane alle Province omonime e che alla stessa data il sindaco del Comune capoluogo assuma le funzioni di sindaco metropolitano - Previsione che il sindaco metropolitano e' di diritto il sindaco del Comune capoluogo e che quando avviene il rinnovo del Consiglio del Comune capoluogo, si proceda a nuove elezioni del consiglio metropolitano entro sessanta giorni dalla proclamazione del sindaco del Comune capoluogo - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione del principio di sovranita' popolare - Lesione del principio di uguaglianza per irrazionalita' - Lesione del principio di autonomia degli enti locali - Violazione del principio di autonomia di Comuni, Province e Citta' metropolitane - Violazione del principio di democraticita' degli organi rappresentativi - Violazione di obblighi internazionali derivanti dal diritto comunitario (Carta europea dell'autonomia locale) - Violazione dei principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione. - Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, commi 8, 9, 16, 19 e 21. - Costituzione, artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117, primo comma, e 118. Comuni, Province e Citta' metropolitane - Trasformazione delle Province da enti politici rappresentativi della popolazione inclusa nell'ambito territoriale di riferimento in enti secondari - Previsione che sono organi della Provincia il presidente, il consiglio provinciale e l'assemblea dei sindaci - Previsione che il presidente provinciale e' eletto dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni della Provincia e che sono eleggibili i sindaci della Provincia il cui mandato non scada prima di 18 mesi dalla data delle elezioni - Previsione che il consiglio provinciale e' organo elettivo di secondo grado di durata biennale e che hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci ed i consiglieri dei Comuni delle Province - Previsione che l'assemblea dei sindaci ha poteri propositivi e consultivi - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione del principio di sovranita' popolare - Lesione del principio di autonomia di Comuni, Province e Citta' metropolitane - Alterazione del sistema delle autonomie locali - Violazione del principio di democraticita' degli organi rappresentativi - Violazione dei principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione - Violazione del principio della legge costituzionale per la revisione della Costituzione. - Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, commi 55, 56, 58, 60, 67 e 69. - Costituzione, artt. 1, 3, 5, 48, 114, 118 e 138. Comuni, Province e Citta' metropolitane - Istituzione e funzionamento delle nuove Province - Attribuzione delle funzioni al nuovo presidente provinciale - Costituzione dell'Assemblea dei sindaci - Disciplina dell'eleggibilita' e delle modalita' di elezione del presidente provinciale - Disciplina delle modalita' di elezione del consiglio provinciale - Disciplina dell'attivita' del commissario dopo il 30 giugno 2014 - Disciplina dell'eleggibilita' dei consiglieri provinciali - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione del principio di sovranita' popolare - Lesione del principio di autonomia degli enti locali - Violazione del principio di democraticita' degli organi rappresentativi - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Lesione del riparto di competenza tra Stato e Regioni - Violazione del principio di sussidiarieta' - Lesione del principio di leale collaborazione. - Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, commi 54, 55, 56, 58, da 60 a 65, da 69 a 78 e 79. - Costituzione, artt. 1, 5, 48, 97, 114, 117, 118, 119 e 120. Comuni, Province e Citta' metropolitane - Previsione che entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, attraverso un d.P.C.M., previa intesa in Conferenza unificata si proceda alla definizione dei criteri generali sul trasferimento dalle Province agli altri enti subentranti, di beni, risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative, connessi all'esercizio delle funzioni, anche se inerenti a competenze assegnate in via residuale alla legislazione regionale - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione del riparto di competenza tra Stato e Regioni - Violazione del principio di sussidiarieta'. - Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, comma 92. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 118.(GU n.33 del 6-8-2014 )
Proposto dalla Regione Veneto (C.F. 80007580279 - P.IVA 02392630279), in persona del Presidente della Giunta Regionale dott. Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O), autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 818 del 2 giugno 2014 (all. 1), rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti prof. Luca Antonini (C.F. NTNLCU63E27D869I) del Foro di Milano, Ezio Zanon (C.F. ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale e Luigi Manzi (CF.MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri, n. 5 (per eventuali Comunicazioni: fax 06/3211370, posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge n. 56 del 2014, pubblicata nella G.U. n. 81 del 7 aprile 2014: dell'art. 1, commi 5, 6, 12, e 16 per violazione degli articoli 3, 5, 114, 117, IV comma e 133, I comma, nonche' di quelle degli Enti locali che la Regione puo' legittimamente prospettare, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione; dell'art. 1, comma 6, per violazione dell'art. 133, I comma, Cost.; dell'art. l, commi 8, 9, 16, 19 e 21, per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 117, I comma e 118 della Costituzione; dell'art. 1, commi 55, 56, 58, 60, 67 e 69 per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 118 e 138 della Costituzione; dell'art. 1, commi 54, 55, 56, 58, da 60 a 65, da 69 a 78, 79 per violazione degli articoli 1, 5, 48, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione; dell'art. 1, comma 92, per violazione dell'articolo 117, III e IV comma, nonche' dell'articolo 118 della Costituzione. Motivi Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 5, 6, 12, e 16 per violazione degli articoli 3, 5, 114, 117, IV comma e 133, I comma, nonche' di quelle norme degli Enti locali che la Regione puo' legittimamente prospettare, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione. Il comma 5 dell'articolo 1 individua le Citta' metropolitane, che vengono istituite dalla legge n. 56 del 2014 in Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. Il comma 6 prevede che, perlomeno nella fase iniziale, il territorio della Citta' metropolitana coincida con quello della Provincia omonima. Il comma 12 dispone che le suddette Citta' metropolitane, salvo quanto previsto dal comma 18 per la Citta' metropolitana di Reggio Calabria, siano costituite alla data di entrata in vigore della legge n. 56 del 2014 nel territorio delle Province omonime. Il comma 16 dispone che il 1° gennaio 2015 le suddette Citta' metropolitane subentrino alle Province omonime, succedendo ad esse in tutti i rapporti attivi e passivi, esercitandone le funzioni. Al riguardo, va preliminarmente precisato che non si mette in discussione il valore di una prospettiva riformatrice, diretta a procedere alla istituzione di un ente strategico di area vasta, quale la Citta' metropolitana, prevista da tempo nel nostro ordinamento, ma rimasta una sorta di "Araba fenice" del sistema istituzionale. Ne' si disconosce l'implicita prospettiva di transitorieta' che vorrebbe in qualche misura che la legge n. 56 del 2014 sia completata dalla riforma costituzionale prefigurata nel d.d.l. cost. AS n. 1429. Tuttavia, in questa sede e al momento attuale, si rende necessaria una valutazione di costituzionalita' avente a parametro esclusivamente il diritto costituzionale vigente, ed e' in forza di questa prospettiva - la sola che puo' assumere rilievo - che si contestualizzano le osservazioni che seguono. Non si tratta quindi minimamente di una prospettiva poco favorevole ai processi di riforma, al contrario; proprio per questo si ritiene che le riforme debbano caratterizzarsi per la loro ragionevolezza, evitando di replicare le dannose esperienze e l'approssimazione che hanno condotto agli inadeguati interventi operati con l'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011 e con gli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95 del 2012, poi dichiarati costituzionalmente illegittimi da codesta Ecc.ma Corte costituzionale con la sent. n. 220 del 2013. Fatta questa premessa, occorre innanzitutto rilevare che l'art. 117 Cost., non contempla espressamente la "istituzione delle Citta' metropolitane", limitandosi ad affidare alla legislazione esclusiva dello Stato la materia di cui alla lett. p) del secondo comma, ossia la "legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane". Si tratta pertanto di una competenza che si configura come "delimitata" e che in quanto tale non sembra idonea a ricomprendere l'intera materia spettante al legislatore statale prima della legge cost. n. 3 del 2001 e coincidente con il c.d. "ordinamento degli enti locali". Va rilevato, peraltro, che la legge cost. n. 3 del 2001 ha proprio disposto l'abrogazione del vecchio art. 128 Cost. ("Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni"). Inoltre, bisogna in ogni caso considerare che gia' nel vigore del quadro costituzionale antecedente alla riforma del Titolo V del 2001, la legge n. 142 del 1990 aveva, in ogni caso, affidato alle Regioni decisivi poteri in ordine ai procedimenenti istitutivi delle Citta' metropolitane. Non appare quindi sostenibile la riconducibilita' della "istituzione" delle Citta' metropolitane, nel nuovo contesto derivante dalla riforma del Titolo V, a uno dei tre ambiti di potesta' legislativa esclusiva statale individuati dalla lett. p), secondo comma, dell'art. 117 Cost. Pertanto, in assenza di altri titoli di legittimazione della competenza legislativa ordinaria dello Stato, non sembra possibile evitare la conclusione che sia da applicarsi la disposizione generale dell'art. 117, quarto comma, ossia la c.d. "clausola di residualita'", che affida la competenza legislativa ordinaria alle Regioni "in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato". Ne' appare giustificabile la tesi che, invocando ragioni di efficienza ordinamentale, tende a ritenere implicito il potere di istituzione nella lettera p) del II comma dell'art. 117 Cost.; tale prospettazione viene agevolmente superata osservando che il legislatore statale, nel rigoroso rispetto dei limiti della propria competenza, potrebbe, infatti, definire disciplina elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali delle Citta' metropolitane, imponendo, nel contempo, alle Regioni un termine per l'esercizio della loro competenza a disciplinare l'istituzione e a concretamente istituire i nuovi enti; potrebbe quindi prevedere che, decorso inutilmente il termine, a fronte dell'inadempimento regionale trovi poi applicazione il potere sostitutivo statale di cui dell'art. 120. Da un altro punto di vista, nell'attuale quadro costituzionale la competenza statale potrebbe semmai trovare fondamento qualora il legislatore statale si determini nel senso di configurare l'ente Citta' metropolitana come sostitutivo dell'ente Provincia, poiche' in tal caso proprio l'inevitabile mutamento delle circoscrizioni provinciali richiede l'attivazione della speciale competenza legislativa statale e dello speciale procedimento contemplati nell'art. 133, primo comma, Cost. Tale e' in effetti la soluzione accolta nell'impianto della legge n. 56 del 2014, dove l'istituzione delle Citta' metropolitane, in base ai commi dell'articolo 1 qui impugnati, si interseca e si sovrappone con quello di soppressione delle Province omonime. Tuttavia, in questo caso e' necessario che la legge dello Stato rispetti integralmente le condizioni poste al primo comma dell'art. 133 Cost., e non inserisca criteri o condizioni che contraddicano o alterino i principi posti, a tutela del principio autonomistico di cui all'art. 5 della Costituzione, da questa disposizione costituzionale. In particolare, e' in questo caso richiesto il rispetto delle tre condizioni essenziali poste dal primo comma dell'articolo 133 Cost. Si tratta, infatti, di un procedimento legislativo "atipico" o "rinforzato" strutturato mediante la previsione dell'iniziativa procedimentale riservata ai Comuni, del parere della Regione, e della legge statale quale atto conclusivo del procedimento. Entrambi i primi due requisiti sono, invece, del tutto violati dalla disciplina posta dalla legge n. 56 del 2014 che provvede alla diretta individuazione delle Citta' metropolitane in corrispondenza alla soppressione delle Province omonime. Vengono cosi' radicalmente contraddetti i principi posti dall'art. 133, comma 1, Cost. nella parte in cui richiedono, in estrinsecazione del principio autonomistico di cui all'art. 5 Cost., la necessaria iniziativa dei Comuni - la cui violazione questa Regione e' abilitata a rilevare, come codesta Ecc.ma Corte in piu' occasioni ha ricordato (ex plurimis, sentenze n. 311 del 2012, n. 298 del 2009, n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005, n. 196 del 2004, n. 220 del 2014) - e in ogni caso il parere della Regione interessata per ogni forma di mutamento delle circoscrizioni Provinciali, ivi compresa la loro cancellazione o sostituzione. Al riguardo e' oltremodo significativo ricordare che codesta Ecc.ma Corte costituzionale, proprio nella sentenza n. 220 del 2013 ha ribadito l'indefettibilita' dell'art. 133, comma 1, Cost., evidenziando come questa disposizione sia derogabile soltanto con apposite disposizioni di rango costituzionale, come, ad esempio, quelle poste negli statuti speciali. Ha, inoltre, affermato: "Si deve ancora osservare che la modificazione delle singole circoscrizioni Provinciali richiede, a norma dell'art. 133, primo comma, Cost., l'iniziativa dei Comuni interessati - che deve necessariamente precedere l'iniziativa legislativa in senso stretto - ed il parere, non vincolante, della Regione. Sin dal dibattito in Assemblea costituente e' emersa l'esigenza che l'iniziativa di modificare le circoscrizioni Provinciali - con introduzione di nuovi enti, soppressione di quelli esistenti o semplice ridefinizione dei confini dei rispettivi territori - fosse il frutto di iniziative nascenti dalle popolazioni interessate, tramite i loro piu' immediati enti esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte dall'alto". Con la legge n. 56 del 2014 il legislatore statale ha invece ripreso la strada gia' seguita dall'art. 18, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012 - poi dichiarato incostituzionale - che aveva direttamente provveduto all'individuazione delle Citta' metropolitane e alla contemporanea soppressione delle corrispondenti Province, abrogando nel contempo entrambi i percorsi (sia quello ordinario previsto dagli artt. 22 e ss. del d.lgs. n. 267 del 2000 , sia quello provvisorio posto dall'art. 23 legge n. 42 del 2009) che erano, invece, sebbene in diverso modo, comunque e in ogni caso caratterizzati dall'iniziativa "dal basso". La circostanza che quei percorsi non si fossero concretizzati (come anche quello previsto dalla legge n. 142 del 1990) nel risultato della istituzione delle Citta' metropolitane, non puo' in ogni caso legittimare soluzioni che contraddicono il dettato costituzionale. L'iniziativa dei Comuni e il parere della Regione, ovvero il coinvolgimento delle autonomie presenti sul territorio, rappresentano infatti, anche per il rispetto dell'art. 114 Cost., condizioni essenziali per la corretta strutturazione e la funzionalita' di enti strategici come le Citta' metropolitane. L'effetto di questa omissione nella legge n. 56 del 2014 si dimostra anche nella irrazionalita' con la quale, "dall'alto", vengono identificate le nove Citta' metropolitane. Perche' si dia un'area metropolitana occorre, infatti, che il rapporto residenti/territorio sia squilibrato al punto tale da rappresentare un'alta densita' abitativa. Questa condizione sussiste in modo evidente solo nel caso di Napoli, Roma e Milano. Inoltre, una Citta' metropolitana dovrebbe avere un significato solo nel caso in cui le rispettive aree metropolitane si configurino come quelle produttive della maggior parte del Prodotto Interno Lordo, come accade ad esempio in alcune aree degli Stati Uniti. Questo dato non emerge nel caso delle nove Citta' metropolitane previste dalla legge n. 56 del 2014: le Province trasformate in Citta' metropolitane delle Regioni ordinarie, infatti, concentrano il 30% della popolazione e solo il 35% del PIL. Sono, infine, oscure le ragioni che hanno condotto il legislatore a individuare le suddette nove Citta' metropolitane. Non si comprende, ad esempio, cosa renda oggettivamente omogenea la circoscrizione territoriale di Napoli con quella di Reggio Calabria. Oppure perche' la citta' di Catanzaro sia in condizioni non assimilabili a quelle di Reggio Calabria. Nella relazione che ha accompagnato la presentazione del disegno di legge proposto dal Governo non e' riscontrabile alcun riferimento a motivazioni volte a giustificare la scelta effettuata "dall'alto", ne' soccorrono gli stessi lavori preparatori relativi all'approvazione degli emendamenti. In definitiva, si tratta di scelte che, anche a una sommaria analisi, appaiono viziate anche da contraddittorieta' e illogicita', in violazione dell'art. 3 Cost. che ridonda in una ulteriore violazione delle competenze costituzionali delle Regioni. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6, per violazione dell'art. 133, I comma, Cost. L'articolo 1, comma 6, nel prevedere che il territorio della citta' metropolitana coincida con quello della Provincia omonima, disciplina il procedimento con cui i Comuni, compresi i Comuni capoluogo delle Province limitrofe, possono aderire alla Citta' metropolitana. La disciplina del procedimento per l'aggregazione di nuovi Comuni alla Citta' metropolitana, da un lato, viene cosi' irragionevolmente estesa ai Comuni capoluogo delle Province limitrofe, senza piu' rispetto del principio della continuita' territoriale, potendo generare situazioni di Citta' metropolitane con territorio a macchia di leopardo. Dall'altro, prevede che qualora la Regione interessata esprima parere contrario alle proposte formulate dai Comuni, il Governo promuova un'intesa e, in caso di mancato raggiungimento dell'intesa, il Consiglio dei ministri, udito il parere del Presidente della Regione, decida in via definitiva in ordine all'approvazione e alla presentazione al Parlamento del disegno di legge contenente modifiche territoriali di Province e di Citta' metropolitane. Tale procedimento, in sostanza, oltre che viziato di irragionevolezza, non appare conforme al disposto dell'art. 133, I comma, che non prevede un simile sub-procedimento, all'interno del quale, se in apparenza e' rafforzato il ruolo della Regione, in realta' e' poi assegnato al Governo il ruolo, infine del tutto discrezionale, di decidere in via definitiva in ordine alla presentazione del disegno di legge per l'aggregazione dei Comuni alla Citta' metropolitana e per la modifica delle circoscrizioni Provinciali. Solo per completezza si ribadisce quanto gia' richiamato in precedenza, ovvero che codesta Ecc.ma Corte costituzionale proprio nella sentenza n. 220 del 2013 ha ribadito espressamente "l'indefettibilita' del procedimento previsto dall'art. 133, primo comma, Cost.". La disposizione di cui al comma 6 contrasta pertanto con il principio di ragionevolezza - ridondando in una lesione delle competenze costituzionali delle Regioni perche' l'esercizio, ai sensi dell'art. 118, del conferimento di funzioni regionali a Province e Citta' metropolitane ne risulta distorto e compromesso - e con le prerogative assegnate alle Regioni dall'art. 133, I comma, Cost.. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 8, 9, 16, 19 e 21, per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 117, I comma e 118 della Costituzione. Il comma 16 dell'art. 1, nel disciplinare il subentro al 1° gennaio 2015 delle Citta' metropolitane alle Province omonime, stabilisce che alla predetta data il Sindaco del Comune capoluogo assuma le funzioni di Sindaco metropolitano. Il comma 19 stabilisce che il Sindaco metropolitano e' di diritto il sindaco del comune capoluogo e il comma 21 che quando avviene il rinnovo del consiglio del Comune capoluogo, si proceda a nuove elezioni del consiglio metropolitano entro sessanta giorni dalla proclamazione del Sindaco del comune capoluogo. L'art. 1, comma 8 e 9, inoltre, assegna alla conferenza metropolitana (l'unico organo legittimato dall'elezione popolare) solo poteri propositivi e consultivi, mentre l'art. 1, comma 8, attribuisce i poteri di decisione sostanziale agli altri organi. Si tratta quindi di una forma di governo dove il Sindaco del Comune capoluogo e' (perlomeno fino a che lo Statuto eventualmente non disponga diversamente) di diritto il Sindaco metropolitano, imponendo una soluzione che non e' in alcun modo riferibile - ne' direttamente, ne' indirettamente - all'intero corpo elettorale metropolitano ma solo agli elettori del Comune capoluogo, lasciando, in violazione del principio di sovranita' popolare, dell'eguaglianza del voto e del principio di ragionevolezza, del tutto scoperti e con un sindaco etero-imposto gli elettori degli altri Comuni parimenti appartenenti al nuovo ente metropolitano. L'art. 1, comma 8 e 9, inoltre, assegna alla conferenza metropolitana (l'unico organo legittimato dall'elezione popolare e per il quale si ravvisa una elezione di primo grado o diretta, mediante la contestuale investitura della duplice carica, comunale e metropolitana, ad opera di tutti gli elettori del territorio) solo poteri propositivi e consultivi. L'art. l, comma 8, attribuisce invece le funzioni di decisione sostanziale dell'ente (normative e/o amministrative) ripartendole fra l'organo di vertice e il consiglio, senza che l'assemblea possa in alcun modo far valere nei loro confronti un giudizio di responsabilita' politica per il loro operato. Va peraltro considerato che le funzioni fondamentali assegnate alla Citta' metropolitana attengono alla cura e gestione di interessi pubblici a carattere strutturalmente "sovracomunale" e non "intercomunale". Si tratta, cioe', di funzioni amministrative che non si limitano al mero coordinamento collaborativo delle funzioni comunali, ma di funzioni, come la pianificazione territoriale generale (destinata a sovrapporsi ai piani comunali), che implicano un "governo politico" del livello di area vasta. In quanto tali, queste funzioni richiederebbero fisiologicamente di essere affidate ad organi politicamente responsabili nei confronti della comunita' di riferimento o perlomeno di strumenti e forme per far valere la suddetta responsabilita' politica. Il corpo elettorale dell'area metropolitana viene quindi privato della possibilita' di esprimere un giudizio di responsabilita' politica all'atto del rinnovo di tali organi; ne' a tale lacuna puo' in qualche modo sopperire l'organo assembleare che riunisce tutti i sindaci del territorio, dal momento che questo non solo risulta titolare di blandi poteri, del tutto marginali e circoscritti ma, soprattutto, non dispone del potere di sanzionare con un voto di sfiducia l'operato degli altri due organi. In questi termini la questione non verte solamente sull'ammissibilita' di una forma di governo di un ente locale in cui nessun organo e' eletto direttamente (che e' da ritenersi esclusa stante la lettera dell'art. 114, I comma, Cost., che pone sullo stesso piano gli enti ivi menzionati), quanto piuttosto sulla questione se standard minimi di democraticita' non impongano che almeno un organo "decisivo" sia riconducibile all'elezione diretta. In altre parole, piu' che la prospettabilita' di una possibile differenziazione dei modelli di rappresentanza politica, quello che qui e' in discussione e' la possibilita' di inquadrare la forma di governo adottata nel modello stesso della rappresentanza politica. Va, peraltro constato che a livello comparato soluzioni analoghe sono state adottate solo nei casi specifici in cui una conurbazione ruoti intorno a un grande centro abitato, per cui la sproporzione nella popolosita' e nel ruolo socio-politico viene talvolta legittimata: il sindaco diviene di diritto il capo della realta' metropolitana. In questo caso, pero', gli altri sindaci hanno una rappresentanza nella effettiva sede deliberante: in sostanza, la presidenza affidata al sindaco ha come interlocutore una platea di pari livello, cui e' affidato parzialmente o totalmente l'organo deliberante. La leadership comunale e' in questo modo integrata in quella metropolitana, anche formalmente, sia nella fase deliberante che di guida dell'esecutivo. Nel caso della legge n. 56 del 2014 invece non si danno queste condizioni: ad esempio la Citta' metropolitana di Venezia verrebbe guidata di diritto dal Sindaco di Venezia che ha una popolazione di 264.044 abitanti e che diventerebbe di diritto il Sindaco metropolitano di un'area - senza considerare le possibili ulteriori adesioni di altri Comuni - di 855.142 abitanti (che e' quella della omonima Provincia). Nei termini sopra esposti la forma di governo definita dalle norme impugnate contrasta anche sia con il principio autonomistico di cui all'art. 5 Cost., sia con l'art. 117, primo comma, Cost., in ragione della violazione del parametro interposto costituito dall'art. 3 (in particolare del suo comma secondo) della Carta europea dell'autonomia locale, resa pienamente esecutiva nell'ordinamento italiano, senza riserve, con la legge n. 439 del 1989. Tale disposizione prevede che l'esercizio dell'autonomia sia realizzato tramite "Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti". Non a caso la recente raccomandazione (n. 337) all'Italia, del Congresso dei poteri locali e regionali (https ://wcd.coe. int/ViewDoc.jsp?id=2049001 & Site=COE) del Consiglio d'Europa, del 19/21 marzo 2013, ha criticato le tendenze legislative italiane. La Carta europea dell'autonomia locale impone quindi che per il governo delle autonomie locali sia previsto almeno un organo collegiale eletto a suffragio universale e diretto, al quale gli organi esecutivi siano legati da un rapporto di responsabilita' politica. Tale obbligo internazionale, evidentemente, non e' in alcun modo rispettato dalle norme impugnate, che si pongono in violazione degli obblighi internazionali cui fa riferimento l'art. 117, primo comma, Cost., come ha ormai definitivamente chiarito la consolidata giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte a partire dalle sentenze nn. 348 e 349/2007. E' opportuno precisare che questi profili di incostituzionalita' hanno una ricaduta diretta sulla sfera di competenza regionale. Quello delle autonomie territoriali configurato dalla Costituzione e' un vero e proprio sistema (si veda in questi termini gia' la sentenza n. 343 del 1991 di codesta Ecc.ma Corte), per cui l'alterazione della struttura costituzionale di uno di questi enti si riflette inevitabilmente sugli altri, menomandone la sfera di competenza. Nel caso di specie la Regione risulta, ad esempio, menomata nell'esercizio del proprio potere di attuare pienamente i principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione nell'allocare le funzioni amministrative nelle materie di propria competenza, ai sensi degli articoli 118, I e II comma, della Costituzione. Assume, infatti, un rilievo politico e istituzionale profondamente diverso allocare le funzioni amministrative ad un ente correttamente configurato dal disegno costituzionale, piuttosto che allocarle a un ente privo di quegli standard minimi che consentono di ritenerlo dotato non solo di rappresentativita' diretta delle popolazioni interessate, ma anche della stessa rappresentativita' politica. Le disposizioni impugnate, in definitiva, incidono sull'equilibrio fondante l'integrita' della Repubblica disegnata dalla Carta costituzionale e definiscono una forma di governo incompatibile con il vigente modello costituzionale di distribuzione delle funzioni amministrative con un vulnus che ridonda anche in una lesione delle prerogative costituzionali garantite alle Regioni. S'introduce, peraltro, in tale modo e con le disposizioni di seguito impugnate relative alla nuova disciplina delle province, un principio di contradditorieta' e incongruenza nel quadro complessivo dell'esercizio delle funzioni amministrative, cosi' come delineato dal combinato disposto degli artt. 5, 114 e 118 della Costituzione della Repubblica italiana. La complessiva lettura di tali disposizioni, infatti, pare imporre, sulla base dei criteri direttivi posti dai principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, una visione omogenea delle funzioni amministrative da attribuire ai diversi livelli territoriali che costituiscono la Repubblica, dovuta al loro naturale intersecarsi e sovrapporsi oltreche' a una intrinseca omogeneita' sotto il profilo dell'interesse pubblico sotteso al loro esercizio. Con la conseguenza che suddividere l'esercizio delle complessive funzioni amministrative, intersecantisi e omegenee sotto il profilo teleologico dell'interesse pubblico sotteso alle stesse, tra un soggetto che le eserciti in carenza di una autentica legittimazione democratica o anche piu' semplicemente degli standard minimi di rappresentativita', come nel caso delle citta' metropolitane e delle province, cosi' come ridisegnate dalla legge qui impugnata, e, un comune, eletto dalla relativa comunita' e dotato di quegli standard, non e' una mera questione di archittettura amministrativa, ma invece determina una sostanziale alterazione delle funzioni medesime e del loro esercizio. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 55, 56, 58, 60, 67 e 69 per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 118 e 138 della Costituzione. I commi 55, 56, 58, 60, 67 e 69 trasformano, per volonta' di una fonte primaria e percio' senza utilizzare il procedimento di revisione costituzionale di cui all'art. 138 Cost., le Province da ente politico rappresentativo della popolazione inclusa nell'ambito territoriale di riferimento ad ente di secondo grado, facendone venire meno la natura di istituzioni esponenziali delle Comunita' territoriali, previste come elementi costitutivi della Repubblica nell'articolo 114 della Costituzione. Nello specifico, sulla base delle suddette disposizioni, gli organi della Provincia sono il presidente, il consiglio provinciale e l'assemblea dei sindaci. Il riparto di competenza stabilito e' analogo a quello fissato per gli organi della Citta' metropolitana. Il presidente e' eletto dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni della Provincia; sono eleggibili i sindaci della Provincia il cui mandato scada non prima di 18 mesi dalla data delle elezioni. Il consiglio Provinciale e' organo elettivo di secondo grado e dura in carica 2 anni; hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci e i consiglieri dei Comuni della Provincia. Nello specifico va osservato che, sempre in analogia con le disposizioni riguardanti le Citta' metroplitane, l'art. l, comma 55, configura l'assemblea dei Sindaci come organo dotato solo di poteri propositivi e consultivi, attribuendo i poteri di decisione sostanziale agli altri organi in assenza di una qualunque forma di responsabilita' politica nei confronti della collettivita' di riferimento. Valgono quindi per intero le stesse motivazioni addotte in relazione alle analoghe norme concernenti la forma di governo delle Citta' metropolitane, riguardo al venir meno degli standard minimi di rappresentativita' e di democraticita', anche in considerazione delle funzioni fondamentali svolte dalle Province, che anch'esse non attengono solamente a forme di coordinamento intercomunale, ma riguardano funzioni, come la gestione dell'edilizia scolastica, che fisiologicamente richiedono di essere affidate ad organi politicamente responsabili nei confronti della Comunita' di riferimento o perlomeno di strumenti e forme per far valere la suddetta responsabilita' politica. Inoltre, va precisato che mentre la Citta' metropolitana sara' un livello ordinamentale ove, se lo Statuto eventualmente disponga in tal senso, potra' essere governata da organi eletti a suffragio universale, nelle Province gli organi dei vertici politici effettivamente decisionali saranno determinati sempre e soltanto mediante elezioni di secondo livello. Nelle Province, quindi, in via definitiva gli elettori non saranno mai tutti i cittadini residenti dotati della capacita' elettorale, ma soltanto i titolari degli organi comunali presenti nell'ambito Provinciale. Il fatto che nel territorio nazionale si diversifichi il diritto di voto per l'elezione degli organi degli enti di area vasta, produce un'evidente differenza di trattamento circa le modalita' di esercizio dei diritti politici che non puo' essere accettata in mancanza di ragionevoli motivi - ma nei lavori preparatori della legge n. 56 del 2014 non risulta alcuna motivazione sulla scelta adottata dal legislatore. In ogni caso, appare evidente che le Province sono state previste dalla Costituzione come enti di governo locale elettivi e che questa scelta e' stata confermata e soprattutto rafforzata dalla riforma del Titolo V, che le ha configurate, cosi' come i Comuni, quali "enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione" (art. 114, II comma, Cost.) , a costituire proprio in tale veste - assieme ai Comuni, alle Citta' metropolitane e alle Regioni - la Repubblica (art. 114, I Comma). Lo stesso principio autonomista di cui all'art. 5 della Costituzione, prevedendo che "la Repubblica, una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali", impedisce al legislatore ordinario di incidere in via definitiva sul carattere direttamente democratico dell'ente, che rappresenta uno dei requisiti essenziali dell'ordinamento repubblicano. Il principio autonomista implica il principio democratico: e' quest'ultimo che richiede che il popolo abbia una rappresentanza che emerga da elezioni generali, dirette, libere, uguali e segrete e che la rappresentanza abbia una consistenza tale da conseguire due risultati: in primo luogo, l'espressione del pluralismo politico, compatibilmente con la governabilita'; in secondo luogo, la capacita' di indirizzo e controllo da parte della rappresentanza medesima sull'ente. E' utile al riguardo rimarcare che codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 165 del 2002 ha precisato: "si deve in proposito osservare che il legame Parlamento-sovranita' popolare costituisce inconfutabilmente un portato dei principi' democratico-rappresentativi, ma non descrive i termini di una relazione di identita', sicche' la tesi per la quale, secondo la nostra Costituzione, nel Parlamento si risolverebbe, in sostanza, la sovranita' popolare, senza che le autonomie territoriali concorrano a plasmarne l'essenza, non puo' essere condivisa nella sua assolutezza". E ancora: "Semmai potrebbe dirsi che il nucleo centrale attorno al quale esse [le idee sulla democrazia, sulla sovranita' popolare e sul principio autonomistico] ruotavano abbia trovato oggi una positiva eco nella formulazione del nuovo art. 114 della Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranita' popolare". Ne' sembra possibile sostenere che la rappresentativita' indiretta configurata dalle disposizioni impugnate risponda, nel caso delle Province, alla stessa caratura democratica derivante da una elezione popolare. Si tratterebbe di un argomento non privo di rilevanti conseguenze, dal momento che tutti gli enti elencati dall'art. 5, Cost. sono posti dalla Costituzione sullo stesso piano, quanto a garanzie di autonomia politica. Ad ammetterlo, ne deriverebbe infatti la legittimita' di una legge statale ordinaria che stabilisse come principio fondamentale, ai sensi dell'art. 122 Cost., anche per i Consigli regionali un meccanismo del tipo di quello previsto dalla disposizione impugnata. O che prevedesse che i Consigli comunali siano composti da eletti tra i consigli di quartiere, ad esempio. E' opportuno precisare che i profili di incostituzionalita' qui motivati hanno una ricaduta diretta sulla sfera di competenza regionale. Come si e' detto nel punto precedente riguardo alle Citta' metropolitane, quello delle autonomie territoriali configurato dalla Costituzione e' un vero e proprio sistema, per cui l'alterazione della struttura essenziale e costitutiva di uno di questi enti si riflette inevitabilmente sugli altri, menomandone la sfera di competenza. Nel caso di specie la Regione risulta, ad esempio, menomata nell'esercizio del proprio potere di attuare pienamente i principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione nell'allocare le funzioni amministrative nelle materie di propria competenza, ai sensi degli articoli 118, I e II comma, della Costituzione. Assume, infatti, un rilievo politico e istituzionale profondamente diverso allocare le funzioni amministrative all'ente Provincia cosi' come configurato dal disegno costituzionale prima ricordato, piuttosto che allocarle a un ente privo di rappresentativita' diretta delle popolazioni interessate. Ad esempio, in materia urbanistica, la Regione Veneto ha assegnato (legge regionale n. 11 del 2004) alle Province competenza a provvedere alla pianificazione territoriale per il governo del territorio (artt. 22-24), nonche' la competenza ad approvare i piani comunali di assetto del territorio (artt. 14 e 15). Tali assegnazioni di competenze si fondano sulla struttura direttamente rappresentativa della Provincia e sulla possibilita' del diretto controllo democratico del cittadino elettore (che viene meno nelle disposizioni impugnate). Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 54, 55, 56, 58, da 60 a 65, da 69 a 78, 79 per violazione degli articoli 1, 48, 5, 97, 114,117,118, 119 e 120 della Costituzione. I commi 54, istitutivo dei nuovi organi amministrativi, 55, attributivo delle funzioni al nuovo presidente della Provincia, 56 costitutivo dell'assemblea dei sindaci, 58 sulle modalita' di elezione del presidente, da 60 a 65 sulla eleggibilita' e sulle modalita' di elezione del presidente della Provincia, da 69 a 78 sulle modalita' di elezione del Consiglio Provinciale, il comma 79 che disciplina temporaneamente l'attivita' commissariale dopo il 30 giugno 2014, e il comma 80 sulla eleggibilita' dei consiglieri Provinciali, appaiono viziati dagli stessi motivi esposti nel punto precedente. Soprattutto va evidenziato che la regione Veneto ha provveduto, con la DGR n. 162 del 20 febbraio 2014 a proporre ricorso in via principale avverso l'art. 1, comma 325, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)". Nella predetta delibera era stata oggetto dell'impugnazione la proroga del commissariamento, gia' previsto dall'art. 1, comma 115 della legge n. 228/2012, in quanto applicato in caso di scadenza naturale o di cessazione anticipata degli organi Provinciali che intervengono in una data ricompresa tra il primo gennaio e il 30 giugno 2014. In quel contesto l'impugnativa concerneva il contrasto con gli articoli 5, 97, 114,117,118, 119 e 120 della Costituzione. Ora, il comma 79 dell'art. 1 della legge n. 56 del 2014 prevede che l'elezione del nuovo Consiglio provinciale sia indetta: entro il 30 settembre 2014 per le province i cui organi scadono per fine mandato nel 2014; entro trenta giorni dalla scadenza per fine mandato o dalla decadenza o scioglimento anticipato degli organi provinciali, qualora tali eventi si verifichino dal 2015 in poi. In base ai commi 81 e 82 il nuovo Consiglio ha il compito di preparare le modifiche statutarie previste dalla riforma, che dovranno essere approvate dall'Assemblea dei sindaci entro il successivo 31 dicembre 2014. Entro la medesima data, si procede alla elezione del Presidente della provincia secondo le nuove regole; fino all'insediamento di quest'ultimo e, in ogni caso, non oltre il 31 dicembre 2014, restano in carica il Presidente della provincia in carica alla data di entrata in vigore della legge, che assume anche le funzioni del consiglio provinciale, e la giunta provinciale, ovvero - qualora si tratti di provincia commissariata - il commissario in carica, ai fini dell'ordinaria amministrazione e per gli atti indifferibili ed urgenti (comma 82). Le disposizioni esaminate hanno una duplice incidenza sul quadro normativo vigente, in quanto, da un lato, prorogano i commissariamenti delle province gia' in atto e, dall'altro, impediscono che vengano commissariate le province in scadenza nel 2014, in quanto prevedono per queste ultime una proroga dei presidenti e delle giunte uscenti. Cio' in deroga alla norme della legge di stabilita' 2014 (art. 1, co. 325 e 441, legge n. 147 del 2013) che hanno prorogato le gestioni commissariali gia' in essere al 31 dicembre 2013 fino al 30 giugno del 2014 e legittimato di nuove purche' fino al 30 giugno 2014. Ora, nello specifico, il comma 79 riproduce per certi aspetti un'estensione del regime commissariale che parimenti determina un'alterazione del corretto svolgimento dei compiti amministrativi assegnati all'ente Provincia ed altera in via mediata, le competenze degli altri enti locali che, a vario livello, attraverso i principi di sussidiarieta', o attraverso la delega o l'affidamento di funzioni di provenienza regionale, concorrono con la Provincia all'esercizio delle funzioni locali. Tale quadro normativo e, in particolare, il previsto passaggio dal regime commissariale al regime apparentemente transitorio, ma in sostanza "ordinario" e permanente relativo al nuovo assetto delle province e delle citta' metropolitane, conferma quanto gia' in precedenza svolto in ordine all'illegittimita' delle disposizioni della legge 7 aprile 2014, n. 56. Difatti, un regime come quello commissariale, per sua natura straordinario, in quanto motivato da contingenti ragioni di eccezionalita' e connotato da un evidente deficit "democratico" o rectius di "rappresentativita'", diviene, invero, nel nuovo disegno tracciato dal legislatore ordinario, sia pure con le dovute differenze, un regime ordinario e potenzialmente vigente sine die. Con la conseguenza che, se gia' il regime commissariale rappresentava un'evidente violazione dei parametri costituzionali sopra indicati, la disciplina introdotta in ordine al nuovo assetto degli enti provinciali e delle Citta' metropolitane non solo presenta i medesimi vizi di illegittimita' costituzionale, ma li vede aggravati dalla durevolezza delle novelle previsioni. In questi termini le norme impugnate, e in particolare il comma 79, si pongono in violazione degli articoli 97, sul buon andamento della Pubblica Amministrazione, ridondando anche in una violazione degli articoli 117 e 118 sul riparto di competenze legislative e sulla possibilita' di una corretta attuazione del principio di sussidiarieta' da parte della Regione. Risulta anche violato l'articolo 120 in quanto non rispettato il principio di leale collaborazione cui l'esercizio del potere sostitutivo deve informarsi. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 92, per violazione degli articoli 117, III e IV comma, nonche' l'articolo 118 della Costituzione. L'art. l, comma 92, anche nella versione modificata dall'art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, prevede che entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, attraverso un DPCM, previa intesa in Conferenza unificata, si proceda alla definizione dei criteri generali sul trasferimento, dalle Province agli altri Enti subentranti, dei beni, risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connessi all'esercizio delle funzioni, anche se inerenti a competenze assegnate in via residuale alla legislazione regionale. Tale previsione implica sostanzialmente una sorta di rovesciamento nel procedimento di allocazione delle funzioni, perche' la definizione dei criteri del trasferimento delle funzioni non fondamentali, quindi, di fatto non avviene sulla base di previe disposizioni di legge regionale, anche identificative dei criteri generali, nel rispetto del riparto di competenze previsto dall'articolo 117, commi III e IV, della Costituzione, ma sulla base di un accordo sancito in Conferenza unificata (comma 91) e di una intesa (comma 92) che poi si traduce in un DPCM statale. Nonostante l'art. 1, comma 89, solo formalmente disponga che "fermo restando quanto disposto dal comma 88, lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, attribuiscono le funzioni Provinciali diverse da quelle di cui al comma 85, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione", di fatto viene posto in essere un procedimento che si risolve nella preventiva adozione di un atto (il DPCM) che - senza attendere l'intervento della legge regionale (ai sensi dell'art. 1, comma 144 alle regioni viene dato un anno di tempo per adeguare la propria legislazione alla legge n. 56 del 2014), richiesto invece dall'art. 118, II comma - invade in modo sostanziale la competenza legislativa concorrente e residuale nell'attribuzione e nella disciplina di importanti funzioni amministrative di rilevanza territoriale. In altre parole, alla sequenza costituzionalmente necessaria che prevede la previa legge regionale di identificazione e conferimento delle funzioni, si sostituisce una sequenza dove l'accordo, l'intesa e il DPCM precedono la legge regionale, anche se le funzioni attengono a materie di competenza regionale residuale. Tale invasione delle competenze legislative regionali e' evidente anche nel meccanismo previsto dal comma 95 per il quale lo Stato si sostituisce alla Regione se questa non procede entro sei mesi a trasferire le funzioni, anche nelle proprie materie di competenza legislativa esclusiva, secondo quanto previsto dall'accordo in Conferenza unificata.
P.Q.M. La Regione del Veneto chiede che l'Ecc.ma Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge n. 56 del 2014, pubblicata sulla G.U. n. 81 del 7 aprile 2014: 1. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 5, 6, 12, e 16 per violazione degli articoli 3, 5, 114, 117, IV comma e 133, I comma, nonche' di quelle degli Enti locali che la Regione puo' legittimamente prospettare, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione; 2. illegittimita' costituzionale dell'art.1, comma 6, per violazione dell'art. 133, I comma, della Costituzione; 3. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 8, 9, 16, 19 e 21, per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 117, I comma e 118 della Costituzione; 4. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 55, 56, 58, 60, 67 e 69 per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 118 e 138 della Costituzione; 4. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 54, 55, 56, 58, da 60 a 65, da 69 a 78, 79 per violazione degli articoli 1, 5, 48, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione; 5. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 92, per violazione degli articoli 117, III e IV comma, nonche' dell'articolo 118 della Costituzione. Si depositano: 1. delibera della Giunta Regionale n. 818 del 2 giugno 2014, di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale. Venezia-Roma, 4 giugno 2014 Avv. prof. Antonini Avv. Zanon Avv. Manzi