N. 42 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 13 giugno 2014

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato il 13
giugno 2014 della Regione Veneto. 
 
Comuni, Province e Citta' metropolitane - Abolizione  delle  Province
  di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari,  Napoli
  e Reggio Calabria e istituzione delle  nuove  Citta'  metropolitane
  omonime  -  Previsione  che  le   suddette   Citta'   metropolitane
  subentrino alle Province omonime, succedendo ad  esse  in  tutti  i
  rapporti attivi e passivi, assorbendone le funzioni - Ricorso della
  Regione Veneto - Denunciata violazione del principio di uguaglianza
  per irrazionalita' - Violazione del principio  di  autonomia  degli
  enti locali -  Lesione  dell'autonomia  costituzionale  di  Comuni,
  Province e Citta' metropolitane  -  Esorbitanza  dai  limiti  della
  legislazione  esclusiva  statale   in   materia   di   legislazione
  elettorale, organi di governo e funzioni  fondamentali  di  Comuni,
  Province e  Citta'  metropolitane  -  Violazione  del  procedimento
  costituzionale  per  l'istituzione  di  Citta'  metropolitane   che
  prevede l'iniziativa dei Comuni ed il parere delle Regioni. 
- Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, commi 5, 6, 12 e 16. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 114, 117, comma quarto, lett. p), e  133,
  primo comma. 
Comuni, Province e Citta' metropolitane - Procedimento per l'adesione
  di singoli Comuni alla  Citta'  metropolitana  -  Estensione  della
  relativa disciplina anche ai Comuni capoluogo di Province limitrofe
  - Previsione che, in caso di dissenso della Regione dalle  proposte
  di adesione formulate dai Comuni, il Governo promuova un'intesa, e,
  in caso di mancato raggiungimento di essa, decida in via definitiva
  in ordine all'approvazione e alla presentazione al  Parlamento  del
  disegno di legge contenente modifiche territoriali di Province e di
  Citta' metropolitane - Ricorso della Regione  Veneto  -  Denunciato
  contrasto con  il  principio  di  ragionevolezza  -  Lesione  delle
  prerogative costituzionalmente assegnate alle Regioni in ordine  al
  mutamento delle circoscrizioni  provinciali  e  all'istituzione  di
  nuove Province. 
- Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, comma 6. 
- Costituzione, art. 133, primo comma. 
Comuni,  Province  e  Citta'  metropolitane   -   Assegnazione   alla
  Conferenza metropolitana  di  poteri  propositivi  e  consultivi  -
  Previsione  del  subentro  dal  1°  gennaio   2015   delle   Citta'
  metropolitane alle Province omonime  e  che  alla  stessa  data  il
  sindaco  del  Comune  capoluogo  assuma  le  funzioni  di   sindaco
  metropolitano - Previsione  che  il  sindaco  metropolitano  e'  di
  diritto il sindaco del Comune capoluogo e  che  quando  avviene  il
  rinnovo del Consiglio del Comune  capoluogo,  si  proceda  a  nuove
  elezioni del consiglio metropolitano entro  sessanta  giorni  dalla
  proclamazione del sindaco del  Comune  capoluogo  -  Ricorso  della
  Regione Veneto - Denunciata violazione del principio di  sovranita'
  popolare - Lesione del principio di uguaglianza per  irrazionalita'
  - Lesione del principio di autonomia degli enti locali - Violazione
  del  principio  di  autonomia  di   Comuni,   Province   e   Citta'
  metropolitane - Violazione del principio  di  democraticita'  degli
  organi rappresentativi  -  Violazione  di  obblighi  internazionali
  derivanti dal diritto  comunitario  (Carta  europea  dell'autonomia
  locale) - Violazione dei principi di sussidiarieta', adeguatezza  e
  differenziazione. 
- Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, commi 8, 9, 16, 19 e 21. 
- Costituzione, artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117, primo comma, e 118. 
Comuni,  Province  e  Citta'  metropolitane  -  Trasformazione  delle
  Province da enti politici rappresentativi della popolazione inclusa
  nell'ambito  territoriale  di  riferimento  in  enti  secondari   -
  Previsione che  sono  organi  della  Provincia  il  presidente,  il
  consiglio provinciale e l'assemblea dei sindaci - Previsione che il
  presidente provinciale e' eletto dai sindaci e dai consiglieri  dei
  Comuni della Provincia  e  che  sono  eleggibili  i  sindaci  della
  Provincia il cui mandato non scada prima  di  18  mesi  dalla  data
  delle elezioni - Previsione che il consiglio provinciale e'  organo
  elettivo di secondo grado di durata biennale e che hanno diritto di
  elettorato attivo e passivo i sindaci ed i consiglieri  dei  Comuni
  delle Province - Previsione che l'assemblea dei sindaci  ha  poteri
  propositivi  e  consultivi  -  Ricorso  della  Regione   Veneto   -
  Denunciata  violazione  del  principio  di  sovranita'  popolare  -
  Lesione del principio di autonomia di  Comuni,  Province  e  Citta'
  metropolitane - Alterazione del sistema delle  autonomie  locali  -
  Violazione   del   principio   di   democraticita'   degli   organi
  rappresentativi  -  Violazione  dei  principi  di   sussidiarieta',
  adeguatezza e differenziazione -  Violazione  del  principio  della
  legge costituzionale per la revisione della Costituzione. 
- Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, commi 55, 56, 58, 60, 67 e 69. 
- Costituzione, artt. 1, 3, 5, 48, 114, 118 e 138. 
Comuni, Province e Citta' metropolitane - Istituzione e funzionamento
  delle  nuove  Province  -  Attribuzione  delle  funzioni  al  nuovo
  presidente provinciale - Costituzione dell'Assemblea dei sindaci  -
  Disciplina dell'eleggibilita' e delle  modalita'  di  elezione  del
  presidente provinciale - Disciplina delle modalita' di elezione del
  consiglio provinciale - Disciplina dell'attivita'  del  commissario
  dopo  il  30  giugno  2014  -  Disciplina  dell'eleggibilita'   dei
  consiglieri provinciali - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata
  violazione del principio  di  sovranita'  popolare  -  Lesione  del
  principio di autonomia degli enti locali - Violazione del principio
  di democraticita' degli organi  rappresentativi  -  Violazione  del
  principio  di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Lesione del riparto di competenza tra Stato e Regioni -  Violazione
  del principio di sussidiarieta' - Lesione del  principio  di  leale
  collaborazione. 
- Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, commi 54, 55, 56, 58, da  60  a
  65, da 69 a 78 e 79. 
- Costituzione, artt. 1, 5, 48, 97, 114, 117, 118, 119 e 120. 
Comuni, Province e Citta' metropolitane - Previsione  che  entro  tre
  mesi dall'entrata in vigore della legge,  attraverso  un  d.P.C.M.,
  previa intesa in Conferenza unificata si proceda  alla  definizione
  dei criteri generali sul trasferimento dalle  Province  agli  altri
  enti subentranti, di beni, risorse finanziarie, umane,  strumentali
  ed organizzative, connessi all'esercizio delle funzioni,  anche  se
  inerenti a competenze assegnate in via residuale alla  legislazione
  regionale - Ricorso della Regione Veneto  -  Denunciata  violazione
  del riparto di competenza tra Stato  e  Regioni  -  Violazione  del
  principio di sussidiarieta'. 
- Legge 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, comma 92. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 118. 
(GU n.33 del 6-8-2014 )
    Proposto  dalla  Regione  Veneto  (C.F.   80007580279   -   P.IVA
02392630279), in persona del Presidente della Giunta Regionale  dott.
Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O),  autorizzato  con  delibera  della
Giunta regionale n. 818 del 2 giugno 2014 (all. 1),  rappresentato  e
difeso, per mandato a margine del  presente  atto,  tanto  unitamente
quanto  disgiuntamente,  dagli  avv.ti  prof.  Luca  Antonini   (C.F.
NTNLCU63E27D869I)   del   Foro   di   Milano,   Ezio   Zanon    (C.F.
ZNNZEI57L07B563K)  coordinatore  dell'Avvocatura  regionale  e  Luigi
Manzi (CF.MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma,  con  domicilio  eletto
presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri, n. 5 (per
eventuali   Comunicazioni:   fax   06/3211370,   posta    elettronica
certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org; 
    Contro il Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  pro-tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi,  n.  12,
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle  seguenti
disposizioni della legge n. 56 del 2014, pubblicata nella G.U. n.  81
del 7 aprile 2014: 
        dell'art. 1, commi 5,  6,  12,  e  16  per  violazione  degli
articoli 3, 5, 114, 117, IV comma e 133, I comma, nonche'  di  quelle
degli Enti locali che la Regione puo' legittimamente prospettare,  ai
sensi dell'articolo 127 della Costituzione; 
        dell'art. 1, comma 6, per violazione dell'art. 133, I  comma,
Cost.; 
        dell'art. l, commi 8, 9, 16, 19 e 21,  per  violazione  degli
articoli 1, 3, 5, 48, 114, 117, I comma e 118 della Costituzione; 
        dell'art. 1, commi 55, 56, 58, 60, 67  e  69  per  violazione
degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 118 e 138 della Costituzione; 
        dell'art. 1, commi 54, 55, 56, 58, da 60 a 65, da 69 a 78, 79
per violazione degli articoli 1, 5, 48, 97, 114, 117, 118, 119 e  120
della Costituzione; 
        dell'art. 1, comma 92, per violazione dell'articolo 117,  III
e IV comma, nonche' dell'articolo 118 della Costituzione. 
 
                               Motivi 
 
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 5, 6, 12, e  16  per
violazione degli articoli 3, 5, 114, 117, IV comma e  133,  I  comma,
nonche' di quelle  norme  degli  Enti  locali  che  la  Regione  puo'
legittimamente  prospettare,  ai  sensi   dell'articolo   127   della
Costituzione. 
    Il comma 5 dell'articolo 1 individua le Citta' metropolitane, che
vengono istituite dalla legge n.  56  del  2014  in  Torino,  Milano,
Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. Il
comma 6 prevede che, perlomeno nella  fase  iniziale,  il  territorio
della  Citta'  metropolitana  coincida  con  quello  della  Provincia
omonima. Il comma 12 dispone che le  suddette  Citta'  metropolitane,
salvo quanto previsto dal comma 18 per  la  Citta'  metropolitana  di
Reggio Calabria, siano costituite alla  data  di  entrata  in  vigore
della legge n. 56 del 2014 nel territorio delle Province omonime.  Il
comma  16  dispone  che  il  1°  gennaio  2015  le  suddette   Citta'
metropolitane subentrino alle Province omonime, succedendo ad esse in
tutti i rapporti attivi e  passivi,  esercitandone  le  funzioni.  Al
riguardo,  va  preliminarmente  precisato  che  non   si   mette   in
discussione il valore di  una  prospettiva  riformatrice,  diretta  a
procedere alla istituzione di un ente strategico di area vasta, quale
la Citta' metropolitana, prevista da tempo nel nostro ordinamento, ma
rimasta una sorta di "Araba fenice" del sistema istituzionale. Ne' si
disconosce l'implicita prospettiva di transitorieta' che vorrebbe  in
qualche misura che la legge n.  56  del  2014  sia  completata  dalla
riforma costituzionale prefigurata  nel  d.d.l.  cost.  AS  n.  1429.
Tuttavia, in questa sede e al momento attuale,  si  rende  necessaria
una   valutazione   di   costituzionalita'   avente    a    parametro
esclusivamente il diritto costituzionale vigente, ed e' in  forza  di
questa prospettiva - la sola che  puo'  assumere  rilievo  -  che  si
contestualizzano le osservazioni che seguono. Non  si  tratta  quindi
minimamente  di  una  prospettiva  poco  favorevole  ai  processi  di
riforma, al contrario; proprio per questo si ritiene che  le  riforme
debbano caratterizzarsi  per  la  loro  ragionevolezza,  evitando  di
replicare  le  dannose  esperienze  e  l'approssimazione  che   hanno
condotto agli inadeguati interventi operati con l'art. 23 del d.l. n.
201 del 2011 e con gli artt. 17 e 18 del d.l. n.  95  del  2012,  poi
dichiarati costituzionalmente illegittimi  da  codesta  Ecc.ma  Corte
costituzionale con la sent. n. 220 del 2013. 
    Fatta questa premessa, occorre innanzitutto rilevare  che  l'art.
117 Cost., non contempla espressamente la "istituzione  delle  Citta'
metropolitane", limitandosi ad affidare alla  legislazione  esclusiva
dello Stato la materia di cui alla lett. p) del secondo comma,  ossia
la  "legislazione  elettorale,   organi   di   governo   e   funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane".  Si  tratta
pertanto di una competenza che si configura come "delimitata"  e  che
in quanto tale non sembra idonea  a  ricomprendere  l'intera  materia
spettante al legislatore statale prima della legge  cost.  n.  3  del
2001 e coincidente con il c.d. "ordinamento degli  enti  locali".  Va
rilevato, peraltro, che la legge cost.  n.  3  del  2001  ha  proprio
disposto l'abrogazione del vecchio art. 128 Cost. ("Le Province  e  i
Comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati  da  leggi
generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni"). 
    Inoltre, bisogna in ogni caso considerare che gia' nel vigore del
quadro costituzionale antecedente alla riforma del Titolo V del 2001,
la legge n. 142 del 1990 aveva, in ogni caso, affidato  alle  Regioni
decisivi poteri in ordine ai procedimenenti istitutivi  delle  Citta'
metropolitane. 
    Non  appare  quindi   sostenibile   la   riconducibilita'   della
"istituzione"  delle  Citta'  metropolitane,   nel   nuovo   contesto
derivante dalla riforma del  Titolo  V,  a  uno  dei  tre  ambiti  di
potesta' legislativa esclusiva statale individuati  dalla  lett.  p),
secondo comma, dell'art. 117 Cost.  Pertanto,  in  assenza  di  altri
titoli di legittimazione della competenza legislativa ordinaria dello
Stato, non  sembra  possibile  evitare  la  conclusione  che  sia  da
applicarsi la disposizione  generale  dell'art.  117,  quarto  comma,
ossia la c.d. "clausola di residualita'", che  affida  la  competenza
legislativa ordinaria alle Regioni "in riferimento  ad  ogni  materia
non espressamente  riservata  alla  legislazione  dello  Stato".  Ne'
appare giustificabile la tesi che, invocando  ragioni  di  efficienza
ordinamentale, tende a ritenere implicito il  potere  di  istituzione
nella  lettera  p)  del  II   comma   dell'art.   117   Cost.;   tale
prospettazione  viene  agevolmente   superata   osservando   che   il
legislatore statale, nel rigoroso rispetto dei limiti  della  propria
competenza, potrebbe, infatti, definire disciplina elettorale, organi
di  governo  e  funzioni  fondamentali  delle  Citta'  metropolitane,
imponendo, nel contempo, alle  Regioni  un  termine  per  l'esercizio
della loro competenza a disciplinare l'istituzione e a  concretamente
istituire i  nuovi  enti;  potrebbe  quindi  prevedere  che,  decorso
inutilmente il termine, a fronte dell'inadempimento  regionale  trovi
poi applicazione il potere sostitutivo statale di cui dell'art. 120. 
    Da un altro punto di vista, nell'attuale quadro costituzionale la
competenza statale potrebbe  semmai  trovare  fondamento  qualora  il
legislatore statale si determini  nel  senso  di  configurare  l'ente
Citta' metropolitana come sostitutivo dell'ente Provincia, poiche' in
tal  caso  proprio  l'inevitabile  mutamento   delle   circoscrizioni
provinciali  richiede   l'attivazione   della   speciale   competenza
legislativa  statale  e  dello  speciale   procedimento   contemplati
nell'art. 133, primo comma, Cost. 
    Tale e' in effetti la soluzione accolta nell'impianto della legge
n. 56 del 2014, dove l'istituzione  delle  Citta'  metropolitane,  in
base ai commi dell'articolo  1  qui  impugnati,  si  interseca  e  si
sovrappone  con  quello  di  soppressione  delle  Province   omonime.
Tuttavia, in questo caso e'  necessario  che  la  legge  dello  Stato
rispetti integralmente le condizioni poste al primo  comma  dell'art.
133 Cost., e non inserisca criteri o condizioni che  contraddicano  o
alterino i principi posti, a tutela del  principio  autonomistico  di
cui  all'art.  5   della   Costituzione,   da   questa   disposizione
costituzionale. In  particolare,  e'  in  questo  caso  richiesto  il
rispetto delle  tre  condizioni  essenziali  poste  dal  primo  comma
dell'articolo 133  Cost.  Si  tratta,  infatti,  di  un  procedimento
legislativo  "atipico"  o  "rinforzato"   strutturato   mediante   la
previsione dell'iniziativa procedimentale riservata  ai  Comuni,  del
parere della Regione, e della legge statale quale atto conclusivo del
procedimento. Entrambi i primi due requisiti sono, invece, del  tutto
violati dalla disciplina  posta  dalla  legge  n.  56  del  2014  che
provvede alla diretta individuazione delle  Citta'  metropolitane  in
corrispondenza alla  soppressione  delle  Province  omonime.  Vengono
cosi' radicalmente contraddetti i principi posti dall'art. 133, comma
1, Cost. nella  parte  in  cui  richiedono,  in  estrinsecazione  del
principio autonomistico  di  cui  all'art.  5  Cost.,  la  necessaria
iniziativa dei Comuni - la cui violazione questa Regione e' abilitata
a rilevare, come codesta Ecc.ma Corte in piu' occasioni ha  ricordato
(ex plurimis, sentenze n. 311 del 2012, n. 298 del 2009, n. 169 e  n.
95 del 2007, n. 417 del 2005, n. 196 del 2004, n. 220 del 2014)  -  e
in ogni caso il parere della Regione interessata per  ogni  forma  di
mutamento delle circoscrizioni  Provinciali,  ivi  compresa  la  loro
cancellazione o sostituzione. 
    Al riguardo e'  oltremodo  significativo  ricordare  che  codesta
Ecc.ma Corte costituzionale, proprio nella sentenza n. 220  del  2013
ha  ribadito  l'indefettibilita'  dell'art.  133,  comma  1,   Cost.,
evidenziando come questa disposizione  sia  derogabile  soltanto  con
apposite disposizioni di  rango  costituzionale,  come,  ad  esempio,
quelle poste negli statuti speciali. Ha, inoltre, affermato: "Si deve
ancora osservare che la modificazione  delle  singole  circoscrizioni
Provinciali richiede, a norma  dell'art.  133,  primo  comma,  Cost.,
l'iniziativa  dei  Comuni  interessati  -  che  deve  necessariamente
precedere l'iniziativa legislativa in senso stretto - ed  il  parere,
non  vincolante,  della  Regione.  Sin  dal  dibattito  in  Assemblea
costituente e' emersa l'esigenza che l'iniziativa  di  modificare  le
circoscrizioni  Provinciali  -  con  introduzione  di   nuovi   enti,
soppressione di quelli esistenti o semplice ridefinizione dei confini
dei rispettivi territori - fosse il  frutto  di  iniziative  nascenti
dalle popolazioni interessate, tramite i  loro  piu'  immediati  enti
esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte
dall'alto". 
    Con la legge n. 56 del 2014  il  legislatore  statale  ha  invece
ripreso la strada gia' seguita dall'art. 18, comma 1, del d.l. n.  95
del 2012 - poi dichiarato incostituzionale - che  aveva  direttamente
provveduto  all'individuazione  delle  Citta'  metropolitane  e  alla
contemporanea soppressione delle corrispondenti  Province,  abrogando
nel contempo entrambi i percorsi (sia quello ordinario previsto dagli
artt. 22 e ss. del d.lgs. n. 267 del 2000 ,  sia  quello  provvisorio
posto dall'art. 23 legge n. 42 del 2009) che erano,  invece,  sebbene
in  diverso  modo,   comunque   e   in   ogni   caso   caratterizzati
dall'iniziativa "dal basso". La circostanza che quei percorsi non  si
fossero concretizzati (come anche quello previsto dalla legge n.  142
del 1990) nel risultato della istituzione delle Citta' metropolitane,
non puo' in ogni caso  legittimare  soluzioni  che  contraddicono  il
dettato costituzionale. L'iniziativa dei Comuni  e  il  parere  della
Regione,  ovvero  il  coinvolgimento  delle  autonomie  presenti  sul
territorio, rappresentano infatti, anche per  il  rispetto  dell'art.
114 Cost., condizioni essenziali per la corretta strutturazione e  la
funzionalita'  di  enti  strategici  come  le  Citta'  metropolitane.
L'effetto di questa omissione nella legge n. 56 del 2014 si  dimostra
anche  nella  irrazionalita'  con  la  quale,  "dall'alto",   vengono
identificate le nove Citta' metropolitane.  Perche'  si  dia  un'area
metropolitana occorre, infatti, che il rapporto  residenti/territorio
sia squilibrato al  punto  tale  da  rappresentare  un'alta  densita'
abitativa. Questa condizione sussiste in modo evidente solo nel  caso
di Napoli, Roma e Milano. Inoltre, una Citta' metropolitana  dovrebbe
avere un  significato  solo  nel  caso  in  cui  le  rispettive  aree
metropolitane si configurino come  quelle  produttive  della  maggior
parte del Prodotto Interno Lordo, come accade ad  esempio  in  alcune
aree degli Stati Uniti. Questo dato non emerge nel  caso  delle  nove
Citta' metropolitane previste dalla legge n. 56 del 2014: le Province
trasformate in Citta' metropolitane delle Regioni ordinarie, infatti,
concentrano il 30% della popolazione e solo il  35%  del  PIL.  Sono,
infine, oscure  le  ragioni  che  hanno  condotto  il  legislatore  a
individuare le suddette nove Citta' metropolitane. Non si  comprende,
ad esempio, cosa  renda  oggettivamente  omogenea  la  circoscrizione
territoriale di Napoli con quella di Reggio Calabria. Oppure  perche'
la citta' di Catanzaro sia in condizioni non assimilabili a quelle di
Reggio Calabria. Nella relazione che ha accompagnato la presentazione
del disegno di legge proposto dal Governo non e' riscontrabile  alcun
riferimento a motivazioni volte a giustificare la  scelta  effettuata
"dall'alto", ne' soccorrono gli stessi  lavori  preparatori  relativi
all'approvazione degli  emendamenti.  In  definitiva,  si  tratta  di
scelte che, anche a una sommaria analisi, appaiono viziate  anche  da
contraddittorieta' e illogicita', in violazione dell'art. 3 Cost. che
ridonda in una ulteriore violazione delle  competenze  costituzionali
delle Regioni. 
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  6,  per  violazione
dell'art. 133, I comma, Cost. 
    L'articolo 1, comma 6, nel  prevedere  che  il  territorio  della
citta' metropolitana coincida con  quello  della  Provincia  omonima,
disciplina il procedimento  con  cui  i  Comuni,  compresi  i  Comuni
capoluogo delle  Province  limitrofe,  possono  aderire  alla  Citta'
metropolitana. 
    La disciplina del procedimento per l'aggregazione di nuovi Comuni
alla Citta' metropolitana, da un lato, viene cosi'  irragionevolmente
estesa ai Comuni  capoluogo  delle  Province  limitrofe,  senza  piu'
rispetto  del  principio  della  continuita'  territoriale,   potendo
generare situazioni di Citta' metropolitane con territorio a  macchia
di leopardo. 
    Dall'altro, prevede che qualora la  Regione  interessata  esprima
parere contrario alle  proposte  formulate  dai  Comuni,  il  Governo
promuova un'intesa e, in caso di mancato raggiungimento  dell'intesa,
il Consiglio dei ministri,  udito  il  parere  del  Presidente  della
Regione, decida in via definitiva in ordine all'approvazione  e  alla
presentazione al Parlamento del disegno di legge contenente modifiche
territoriali di Province e di Citta' metropolitane. 
    Tale  procedimento,   in   sostanza,   oltre   che   viziato   di
irragionevolezza, non appare conforme al disposto  dell'art.  133,  I
comma, che non prevede un simile  sub-procedimento,  all'interno  del
quale, se in apparenza e'  rafforzato  il  ruolo  della  Regione,  in
realta' e' poi assegnato  al  Governo  il  ruolo,  infine  del  tutto
discrezionale,  di  decidere  in  via  definitiva  in   ordine   alla
presentazione del disegno di legge per l'aggregazione dei Comuni alla
Citta'  metropolitana  e  per  la   modifica   delle   circoscrizioni
Provinciali. Solo per completezza si ribadisce quanto gia' richiamato
in precedenza, ovvero che codesta Ecc.ma Corte costituzionale proprio
nella  sentenza  n.  220   del   2013   ha   ribadito   espressamente
"l'indefettibilita' del procedimento previsto  dall'art.  133,  primo
comma, Cost.". La disposizione di cui al comma 6  contrasta  pertanto
con il principio di ragionevolezza - ridondando in una lesione  delle
competenze costituzionali delle Regioni perche' l'esercizio, ai sensi
dell'art. 118, del conferimento di funzioni regionali  a  Province  e
Citta' metropolitane ne risulta distorto e compromesso  -  e  con  le
prerogative assegnate alle Regioni dall'art. 133, I comma, Cost.. 
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 8, 9, 16, 19  e  21,
per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 117, I  comma  e  118
della Costituzione. 
    Il comma 16 dell'art. 1,  nel  disciplinare  il  subentro  al  1°
gennaio  2015  delle  Citta'  metropolitane  alle  Province  omonime,
stabilisce che alla predetta data il  Sindaco  del  Comune  capoluogo
assuma le funzioni di Sindaco metropolitano. Il comma  19  stabilisce
che il Sindaco metropolitano e' di  diritto  il  sindaco  del  comune
capoluogo e il comma 21 che quando avviene il rinnovo  del  consiglio
del Comune capoluogo, si  proceda  a  nuove  elezioni  del  consiglio
metropolitano entro sessanta giorni dalla proclamazione  del  Sindaco
del comune capoluogo. L'art. 1, comma 8 e 9,  inoltre,  assegna  alla
conferenza metropolitana (l'unico  organo  legittimato  dall'elezione
popolare) solo poteri propositivi  e  consultivi,  mentre  l'art.  1,
comma 8, attribuisce i poteri di  decisione  sostanziale  agli  altri
organi. 
    Si tratta quindi di una forma di  governo  dove  il  Sindaco  del
Comune capoluogo e' (perlomeno fino a che  lo  Statuto  eventualmente
non disponga  diversamente)  di  diritto  il  Sindaco  metropolitano,
imponendo una soluzione che non e' in alcun  modo  riferibile  -  ne'
direttamente,  ne'  indirettamente  -  all'intero  corpo   elettorale
metropolitano ma solo agli elettori del Comune capoluogo,  lasciando,
in violazione del principio di sovranita' popolare,  dell'eguaglianza
del voto e del principio di ragionevolezza, del tutto scoperti e  con
un sindaco etero-imposto gli elettori degli  altri  Comuni  parimenti
appartenenti al nuovo ente metropolitano. L'art.  1,  comma  8  e  9,
inoltre,  assegna  alla  conferenza  metropolitana  (l'unico   organo
legittimato dall'elezione popolare e per  il  quale  si  ravvisa  una
elezione  di  primo  grado  o  diretta,   mediante   la   contestuale
investitura della duplice carica, comunale e metropolitana, ad  opera
di tutti gli elettori  del  territorio)  solo  poteri  propositivi  e
consultivi. L'art. l, comma 8,  attribuisce  invece  le  funzioni  di
decisione  sostanziale  dell'ente  (normative   e/o   amministrative)
ripartendole fra l'organo  di  vertice  e  il  consiglio,  senza  che
l'assemblea possa in alcun modo far  valere  nei  loro  confronti  un
giudizio di responsabilita' politica per il loro operato. Va peraltro
considerato  che  le  funzioni  fondamentali  assegnate  alla  Citta'
metropolitana attengono alla cura e gestione di interessi pubblici  a
carattere strutturalmente "sovracomunale" e non  "intercomunale".  Si
tratta, cioe', di funzioni amministrative che non si limitano al mero
coordinamento collaborativo delle funzioni comunali, ma di  funzioni,
come la pianificazione territoriale generale (destinata a sovrapporsi
ai piani comunali), che implicano un "governo politico"  del  livello
di area  vasta.  In  quanto  tali,  queste  funzioni  richiederebbero
fisiologicamente  di  essere   affidate   ad   organi   politicamente
responsabili nei confronti della comunita' di riferimento o perlomeno
di strumenti e forme  per  far  valere  la  suddetta  responsabilita'
politica. Il corpo elettorale dell'area  metropolitana  viene  quindi
privato   della   possibilita'   di   esprimere   un   giudizio    di
responsabilita' politica all'atto del rinnovo di tali organi;  ne'  a
tale lacuna puo' in qualche modo sopperire l'organo  assembleare  che
riunisce tutti i sindaci del territorio, dal momento che  questo  non
solo risulta  titolare  di  blandi  poteri,  del  tutto  marginali  e
circoscritti ma, soprattutto, non dispone del  potere  di  sanzionare
con un voto di sfiducia l'operato degli altri due organi. 
    In   questi   termini   la   questione   non   verte    solamente
sull'ammissibilita' di una forma di governo di un ente locale in  cui
nessun organo e' eletto direttamente (che  e'  da  ritenersi  esclusa
stante la lettera dell'art. 114,  I  comma,  Cost.,  che  pone  sullo
stesso  piano  gli  enti  ivi  menzionati),  quanto  piuttosto  sulla
questione se standard minimi  di  democraticita'  non  impongano  che
almeno un organo "decisivo" sia riconducibile  all'elezione  diretta.
In altre parole,  piu'  che  la  prospettabilita'  di  una  possibile
differenziazione dei modelli di rappresentanza politica,  quello  che
qui e' in discussione e' la possibilita' di inquadrare  la  forma  di
governo adottata nel modello stesso della rappresentanza politica. 
    Va, peraltro constato che a livello comparato soluzioni  analoghe
sono state adottate solo nei casi specifici in cui  una  conurbazione
ruoti intorno a un grande centro abitato,  per  cui  la  sproporzione
nella  popolosita'  e  nel  ruolo   socio-politico   viene   talvolta
legittimata: il sindaco diviene di  diritto  il  capo  della  realta'
metropolitana. In questo caso, pero', gli  altri  sindaci  hanno  una
rappresentanza nella effettiva  sede  deliberante:  in  sostanza,  la
presidenza affidata al sindaco ha come interlocutore  una  platea  di
pari livello, cui e'  affidato  parzialmente  o  totalmente  l'organo
deliberante. La leadership comunale e' in questo  modo  integrata  in
quella metropolitana, anche formalmente, sia nella  fase  deliberante
che di guida dell'esecutivo. Nel caso della  legge  n.  56  del  2014
invece  non  si  danno  queste  condizioni:  ad  esempio  la   Citta'
metropolitana di Venezia verrebbe guidata di diritto dal  Sindaco  di
Venezia che ha una popolazione di 264.044 abitanti e che diventerebbe
di diritto il Sindaco metropolitano di un'area - senza considerare le
possibili ulteriori adesioni di altri Comuni -  di  855.142  abitanti
(che e' quella della omonima Provincia). 
    Nei termini sopra esposti la  forma  di  governo  definita  dalle
norme impugnate contrasta anche sia con il principio autonomistico di
cui all'art. 5 Cost., sia con l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
ragione  della  violazione  del   parametro   interposto   costituito
dall'art. 3 (in  particolare  del  suo  comma  secondo)  della  Carta
europea   dell'autonomia   locale,    resa    pienamente    esecutiva
nell'ordinamento italiano, senza riserve, con la  legge  n.  439  del
1989. Tale disposizione prevede che  l'esercizio  dell'autonomia  sia
realizzato tramite "Consigli e Assemblee costituiti da membri  eletti
a suffragio libero, segreto, paritario,  diretto  ed  universale,  in
grado  di  disporre  di  organi  esecutivi  responsabili   nei   loro
confronti".  Non  a  caso  la  recente   raccomandazione   (n.   337)
all'Italia, del  Congresso  dei  poteri  locali  e  regionali  (https
://wcd.coe.  int/ViewDoc.jsp?id=2049001  &  Site=COE)  del  Consiglio
d'Europa, del 19/21 marzo 2013, ha criticato le tendenze  legislative
italiane. La Carta europea dell'autonomia locale  impone  quindi  che
per il governo delle autonomie locali sia previsto almeno  un  organo
collegiale eletto a suffragio universale  e  diretto,  al  quale  gli
organi esecutivi siano  legati  da  un  rapporto  di  responsabilita'
politica. Tale obbligo internazionale, evidentemente, non e' in alcun
modo rispettato dalle norme impugnate, che si pongono  in  violazione
degli obblighi internazionali cui fa riferimento  l'art.  117,  primo
comma, Cost., come ha ormai definitivamente chiarito  la  consolidata
giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte a partire dalle  sentenze  nn.
348  e  349/2007.  E'  opportuno  precisare  che  questi  profili  di
incostituzionalita'  hanno  una  ricaduta  diretta  sulla  sfera   di
competenza regionale. Quello delle autonomie territoriali configurato
dalla Costituzione e' un vero e proprio sistema (si  veda  in  questi
termini gia' la sentenza n. 343 del 1991 di  codesta  Ecc.ma  Corte),
per cui l'alterazione della struttura costituzionale di uno di questi
enti si riflette inevitabilmente sugli altri, menomandone la sfera di
competenza. Nel caso  di  specie  la  Regione  risulta,  ad  esempio,
menomata nell'esercizio del proprio potere di  attuare  pienamente  i
principi   di   sussidiarieta',   adeguatezza   e    differenziazione
nell'allocare le funzioni amministrative  nelle  materie  di  propria
competenza, ai  sensi  degli  articoli  118,  I  e  II  comma,  della
Costituzione. Assume, infatti, un rilievo  politico  e  istituzionale
profondamente diverso allocare le funzioni amministrative ad un  ente
correttamente configurato dal disegno costituzionale,  piuttosto  che
allocarle a un ente privo di quegli standard minimi che consentono di
ritenerlo  dotato  non  solo  di  rappresentativita'  diretta   delle
popolazioni interessate, ma  anche  della  stessa  rappresentativita'
politica. 
    Le    disposizioni    impugnate,    in    definitiva,    incidono
sull'equilibrio  fondante  l'integrita'  della  Repubblica  disegnata
dalla  Carta  costituzionale  e  definiscono  una  forma  di  governo
incompatibile con il vigente modello costituzionale di  distribuzione
delle funzioni amministrative con un vulnus che ridonda anche in  una
lesione delle prerogative costituzionali garantite alle Regioni. 
    S'introduce, peraltro, in tale modo  e  con  le  disposizioni  di
seguito impugnate relative alla nuova disciplina delle  province,  un
principio di contradditorieta' e incongruenza nel quadro  complessivo
dell'esercizio delle funzioni amministrative,  cosi'  come  delineato
dal combinato disposto degli artt. 5, 114 e  118  della  Costituzione
della Repubblica italiana. 
    La  complessiva  lettura  di  tali  disposizioni,  infatti,  pare
imporre, sulla base dei  criteri  direttivi  posti  dai  principi  di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, una visione omogenea
delle  funzioni  amministrative  da  attribuire  ai  diversi  livelli
territoriali che costituiscono la Repubblica, dovuta al loro naturale
intersecarsi e sovrapporsi oltreche'  a  una  intrinseca  omogeneita'
sotto il profilo dell'interesse pubblico sotteso al  loro  esercizio.
Con la conseguenza  che  suddividere  l'esercizio  delle  complessive
funzioni amministrative, intersecantisi e omegenee sotto  il  profilo
teleologico dell'interesse  pubblico  sotteso  alle  stesse,  tra  un
soggetto che le eserciti in carenza di una  autentica  legittimazione
democratica o anche  piu'  semplicemente  degli  standard  minimi  di
rappresentativita', come nel caso delle citta' metropolitane e  delle
province, cosi' come ridisegnate dalla legge  qui  impugnata,  e,  un
comune, eletto dalla relativa comunita' e dotato di quegli  standard,
non e' una mera questione di archittettura amministrativa, ma  invece
determina una sostanziale alterazione delle funzioni medesime  e  del
loro esercizio. 
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 55, 56, 58, 60, 67 e
69 per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 118  e  138  della
Costituzione. 
    I commi 55, 56, 58, 60, 67 e 69 trasformano, per volonta' di  una
fonte  primaria  e  percio'  senza  utilizzare  il  procedimento   di
revisione costituzionale di cui all'art. 138 Cost.,  le  Province  da
ente politico rappresentativo della popolazione  inclusa  nell'ambito
territoriale di riferimento  ad  ente  di  secondo  grado,  facendone
venire meno la natura di  istituzioni  esponenziali  delle  Comunita'
territoriali, previste come  elementi  costitutivi  della  Repubblica
nell'articolo 114 della Costituzione. 
    Nello specifico, sulla  base  delle  suddette  disposizioni,  gli
organi della Provincia sono il presidente, il consiglio provinciale e
l'assemblea dei  sindaci.  Il  riparto  di  competenza  stabilito  e'
analogo a quello fissato per gli organi della Citta' metropolitana. 
    Il presidente e' eletto dai sindaci e dai consiglieri dei  Comuni
della Provincia; sono eleggibili i sindaci  della  Provincia  il  cui
mandato scada non prima di 18 mesi dalla data delle elezioni. 
    Il consiglio Provinciale e' organo elettivo di  secondo  grado  e
dura in carica 2 anni; hanno diritto di elettorato attivo e passivo i
sindaci e i consiglieri dei Comuni della Provincia.  Nello  specifico
va osservato che, sempre in analogia con le disposizioni  riguardanti
le Citta' metroplitane, l'art. l, comma 55, configura l'assemblea dei
Sindaci come organo dotato solo di poteri propositivi  e  consultivi,
attribuendo i poteri di decisione sostanziale agli  altri  organi  in
assenza di  una  qualunque  forma  di  responsabilita'  politica  nei
confronti della collettivita' di riferimento. 
    Valgono quindi  per  intero  le  stesse  motivazioni  addotte  in
relazione alle analoghe norme concernenti la forma di  governo  delle
Citta' metropolitane, riguardo al venir meno degli standard minimi di
rappresentativita' e di democraticita', anche in considerazione delle
funzioni  fondamentali  svolte  dalle  Province,  che  anch'esse  non
attengono  solamente  a  forme  di  coordinamento  intercomunale,  ma
riguardano funzioni, come la gestione dell'edilizia  scolastica,  che
fisiologicamente   richiedono   di   essere   affidate   ad    organi
politicamente  responsabili  nei   confronti   della   Comunita'   di
riferimento o perlomeno di  strumenti  e  forme  per  far  valere  la
suddetta responsabilita' politica. 
    Inoltre, va precisato che mentre la Citta' metropolitana sara' un
livello ordinamentale ove, se lo Statuto  eventualmente  disponga  in
tal senso, potra' essere  governata  da  organi  eletti  a  suffragio
universale,  nelle  Province  gli   organi   dei   vertici   politici
effettivamente decisionali  saranno  determinati  sempre  e  soltanto
mediante elezioni di secondo livello. Nelle Province, quindi, in  via
definitiva gli elettori non saranno mai tutti i  cittadini  residenti
dotati della capacita'  elettorale,  ma  soltanto  i  titolari  degli
organi comunali presenti nell'ambito Provinciale. Il  fatto  che  nel
territorio  nazionale  si  diversifichi  il  diritto  di   voto   per
l'elezione degli organi degli enti di area vasta, produce un'evidente
differenza di trattamento circa le modalita' di esercizio dei diritti
politici che non puo' essere accettata  in  mancanza  di  ragionevoli
motivi - ma nei lavori preparatori della legge n.  56  del  2014  non
risulta alcuna motivazione sulla scelta adottata dal legislatore. 
    In ogni caso, appare evidente che le Province sono state previste
dalla Costituzione come enti di governo locale elettivi e che  questa
scelta e' stata confermata e soprattutto rafforzata dalla riforma del
Titolo V, che le ha configurate, cosi' come  i  Comuni,  quali  "enti
autonomi con propri statuti, poteri e  funzioni  secondo  i  principi
fissati  dalla  Costituzione"  (art.  114,  II  comma,  Cost.)  ,   a
costituire proprio in tale veste - assieme  ai  Comuni,  alle  Citta'
metropolitane e alle Regioni - la Repubblica (art. 114, I Comma).  Lo
stesso principio autonomista di cui all'art.  5  della  Costituzione,
prevedendo  che  "la  Repubblica,  una  e  indivisibile  riconosce  e
promuove le autonomie locali", impedisce al legislatore ordinario  di
incidere in via definitiva  sul  carattere  direttamente  democratico
dell'ente,   che   rappresenta   uno   dei    requisiti    essenziali
dell'ordinamento repubblicano. Il principio  autonomista  implica  il
principio democratico: e' quest'ultimo che  richiede  che  il  popolo
abbia una rappresentanza che emerga da  elezioni  generali,  dirette,
libere,  uguali  e  segrete  e  che  la  rappresentanza   abbia   una
consistenza  tale  da  conseguire  due  risultati:  in  primo  luogo,
l'espressione  del  pluralismo  politico,  compatibilmente   con   la
governabilita';  in  secondo  luogo,  la  capacita'  di  indirizzo  e
controllo da parte della rappresentanza medesima sull'ente. E'  utile
al riguardo rimarcare che codesta ecc.ma Corte nella sentenza n.  165
del 2002 ha precisato: "si deve in proposito osservare che il  legame
Parlamento-sovranita'  popolare  costituisce   inconfutabilmente   un
portato dei principi' democratico-rappresentativi, ma non descrive  i
termini di una relazione di identita', sicche' la tesi per la  quale,
secondo la nostra Costituzione, nel Parlamento  si  risolverebbe,  in
sostanza, la sovranita' popolare, senza che le autonomie territoriali
concorrano a plasmarne l'essenza, non puo' essere condivisa nella sua
assolutezza". E ancora: "Semmai potrebbe dirsi che il nucleo centrale
attorno al quale esse [le idee  sulla  democrazia,  sulla  sovranita'
popolare e sul principio autonomistico] ruotavano abbia trovato  oggi
una  positiva  eco  nella  formulazione  del  nuovo  art.  114  della
Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati
al fianco dello Stato  come  elementi  costitutivi  della  Repubblica
quasi  a  svelarne,  in  una  formulazione   sintetica,   la   comune
derivazione dal principio democratico e dalla  sovranita'  popolare".
Ne' sembra possibile sostenere che  la  rappresentativita'  indiretta
configurata dalle disposizioni impugnate  risponda,  nel  caso  delle
Province, alla stessa caratura democratica derivante da una  elezione
popolare. Si tratterebbe di  un  argomento  non  privo  di  rilevanti
conseguenze, dal momento che tutti gli  enti  elencati  dall'art.  5,
Cost. sono posti dalla Costituzione  sullo  stesso  piano,  quanto  a
garanzie di autonomia politica. Ad ammetterlo, ne deriverebbe infatti
la legittimita' di una legge statale ordinaria  che  stabilisse  come
principio fondamentale, ai sensi dell'art. 122  Cost.,  anche  per  i
Consigli regionali un meccanismo del tipo di  quello  previsto  dalla
disposizione impugnata. O che  prevedesse  che  i  Consigli  comunali
siano composti da eletti tra i consigli di quartiere, ad esempio. 
    E' opportuno precisare che i profili di  incostituzionalita'  qui
motivati  hanno  una  ricaduta  diretta  sulla  sfera  di  competenza
regionale. Come si e' detto nel punto precedente riguardo alle Citta'
metropolitane, quello delle autonomie territoriali configurato  dalla
Costituzione e' un vero e  proprio  sistema,  per  cui  l'alterazione
della struttura essenziale e costitutiva di uno  di  questi  enti  si
riflette  inevitabilmente  sugli  altri,  menomandone  la  sfera   di
competenza. Nel caso  di  specie  la  Regione  risulta,  ad  esempio,
menomata nell'esercizio del proprio potere di  attuare  pienamente  i
principi   di   sussidiarieta',   adeguatezza   e    differenziazione
nell'allocare le funzioni amministrative  nelle  materie  di  propria
competenza, ai  sensi  degli  articoli  118,  I  e  II  comma,  della
Costituzione. Assume, infatti, un rilievo  politico  e  istituzionale
profondamente diverso allocare le  funzioni  amministrative  all'ente
Provincia cosi' come configurato  dal  disegno  costituzionale  prima
ricordato,   piuttosto   che   allocarle   a   un   ente   privo   di
rappresentativita' diretta delle popolazioni interessate. Ad esempio,
in  materia  urbanistica,  la  Regione  Veneto  ha  assegnato  (legge
regionale n. 11 del 2004) alle Province competenza a provvedere  alla
pianificazione territoriale per  il  governo  del  territorio  (artt.
22-24), nonche' la  competenza  ad  approvare  i  piani  comunali  di
assetto  del  territorio  (artt.  14  e  15).  Tali  assegnazioni  di
competenze si fondano sulla  struttura  direttamente  rappresentativa
della  Provincia  e  sulla   possibilita'   del   diretto   controllo
democratico del cittadino elettore (che viene meno nelle disposizioni
impugnate). 
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 54, 55, 56,  58,  da
60 a 65, da 69 a 78, 79 per violazione degli articoli 1, 48,  5,  97,
114,117,118, 119 e 120 della Costituzione. 
    I commi 54,  istitutivo  dei  nuovi  organi  amministrativi,  55,
attributivo delle funzioni al nuovo presidente  della  Provincia,  56
costitutivo  dell'assemblea  dei  sindaci,  58  sulle  modalita'   di
elezione del presidente, da 60  a  65  sulla  eleggibilita'  e  sulle
modalita' di elezione del presidente della  Provincia,  da  69  a  78
sulle modalita' di elezione del Consiglio Provinciale,  il  comma  79
che disciplina temporaneamente l'attivita' commissariale dopo  il  30
giugno 2014, e  il  comma  80  sulla  eleggibilita'  dei  consiglieri
Provinciali, appaiono viziati dagli stessi motivi esposti  nel  punto
precedente. Soprattutto va  evidenziato  che  la  regione  Veneto  ha
provveduto, con la DGR n. 162 del 20 febbraio 2014 a proporre ricorso
in via principale  avverso  l'art.  1,  comma  325,  della  legge  27
dicembre 2013, n. 147, recante "Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (Legge  di  stabilita'
2014)". Nella predetta delibera era stata  oggetto  dell'impugnazione
la proroga del commissariamento, gia' previsto dall'art. 1, comma 115
della legge n. 228/2012, in quanto  applicato  in  caso  di  scadenza
naturale o di cessazione  anticipata  degli  organi  Provinciali  che
intervengono in una data ricompresa tra il  primo  gennaio  e  il  30
giugno 2014. In quel contesto l'impugnativa concerneva  il  contrasto
con gli articoli 5, 97, 114,117,118, 119 e  120  della  Costituzione.
Ora, il comma 79 dell'art. 1 della legge n. 56 del 2014  prevede  che
l'elezione del nuovo Consiglio provinciale sia indetta: entro  il  30
settembre 2014 per le province i cui organi scadono per fine  mandato
nel 2014; entro trenta giorni dalla scadenza per fine mandato o dalla
decadenza o scioglimento anticipato degli organi provinciali, qualora
tali eventi si verifichino dal 2015 in poi. In base ai commi 81 e  82
il nuovo Consiglio ha il compito di preparare le modifiche statutarie
previste dalla riforma, che dovranno essere approvate  dall'Assemblea
dei sindaci entro il successivo 31 dicembre 2014. Entro  la  medesima
data, si procede alla elezione del Presidente della provincia secondo
le nuove regole; fino all'insediamento di  quest'ultimo  e,  in  ogni
caso, non oltre il 31 dicembre 2014, restano in carica il  Presidente
della provincia in carica alla data di entrata in vigore della legge,
che assume anche le funzioni del consiglio provinciale, e  la  giunta
provinciale, ovvero - qualora si tratti di provincia commissariata  -
il commissario in carica, ai fini  dell'ordinaria  amministrazione  e
per gli atti indifferibili ed urgenti (comma 82). 
    Le disposizioni esaminate hanno una duplice incidenza sul  quadro
normativo   vigente,   in   quanto,   da   un   lato,   prorogano   i
commissariamenti  delle  province  gia'  in   atto   e,   dall'altro,
impediscono che vengano commissariate le  province  in  scadenza  nel
2014,  in  quanto  prevedono  per  queste  ultime  una  proroga   dei
presidenti e delle giunte uscenti. Cio' in deroga  alla  norme  della
legge di stabilita' 2014 (art. 1, co. 325 e 441,  legge  n.  147  del
2013) che hanno prorogato le gestioni commissariali gia' in essere al
31 dicembre 2013 fino al 30 giugno del 2014 e  legittimato  di  nuove
purche' fino al 30 giugno 2014. 
    Ora, nello specifico, il comma 79  riproduce  per  certi  aspetti
un'estensione  del  regime  commissariale  che  parimenti   determina
un'alterazione del corretto svolgimento  dei  compiti  amministrativi
assegnati all'ente Provincia ed altera in via mediata, le  competenze
degli altri enti locali che, a vario livello, attraverso  i  principi
di sussidiarieta', o attraverso la delega o l'affidamento di funzioni
di provenienza regionale, concorrono con la  Provincia  all'esercizio
delle funzioni locali. 
    Tale quadro normativo e, in particolare,  il  previsto  passaggio
dal regime commissariale al regime apparentemente transitorio, ma  in
sostanza "ordinario" e permanente relativo  al  nuovo  assetto  delle
province e  delle  citta'  metropolitane,  conferma  quanto  gia'  in
precedenza svolto in  ordine  all'illegittimita'  delle  disposizioni
della legge 7 aprile 2014, n. 56.  Difatti,  un  regime  come  quello
commissariale, per sua natura straordinario, in  quanto  motivato  da
contingenti ragioni di eccezionalita'  e  connotato  da  un  evidente
deficit "democratico" o  rectius  di  "rappresentativita'",  diviene,
invero, nel nuovo disegno tracciato dal  legislatore  ordinario,  sia
pure con le dovute differenze, un regime ordinario  e  potenzialmente
vigente  sine  die.  Con  la  conseguenza  che,  se  gia'  il  regime
commissariale  rappresentava  un'evidente  violazione  dei  parametri
costituzionali sopra indicati, la disciplina introdotta in ordine  al
nuovo assetto degli enti provinciali e delle Citta' metropolitane non
solo presenta i medesimi vizi di illegittimita' costituzionale, ma li
vede aggravati dalla durevolezza delle novelle previsioni. 
    In questi termini le norme impugnate, e in particolare  il  comma
79, si pongono in violazione degli articoli 97,  sul  buon  andamento
della Pubblica Amministrazione, ridondando anche  in  una  violazione
degli articoli 117 e 118 sul  riparto  di  competenze  legislative  e
sulla possibilita'  di  una  corretta  attuazione  del  principio  di
sussidiarieta'  da  parte  della  Regione.  Risulta   anche   violato
l'articolo 120  in  quanto  non  rispettato  il  principio  di  leale
collaborazione  cui   l'esercizio   del   potere   sostitutivo   deve
informarsi. 
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 92,  per  violazione
degli articoli 117, III e IV  comma,  nonche'  l'articolo  118  della
Costituzione. 
    L'art. l, comma 92, anche nella versione modificata dall'art. 46,
comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, prevede  che  entro
tre mesi dall'entrata in vigore  della  legge,  attraverso  un  DPCM,
previa intesa in Conferenza unificata, si  proceda  alla  definizione
dei criteri generali sul trasferimento,  dalle  Province  agli  altri
Enti subentranti, dei beni, risorse finanziarie, umane, strumentali e
organizzative  connessi  all'esercizio  delle  funzioni,   anche   se
inerenti a competenze assegnate in via  residuale  alla  legislazione
regionale. 
    Tale   previsione   implica   sostanzialmente   una   sorta    di
rovesciamento nel procedimento di allocazione delle funzioni, perche'
la definizione dei  criteri  del  trasferimento  delle  funzioni  non
fondamentali, quindi, di fatto  non  avviene  sulla  base  di  previe
disposizioni di legge regionale,  anche  identificative  dei  criteri
generali,  nel  rispetto   del   riparto   di   competenze   previsto
dall'articolo 117, commi III e IV, della Costituzione, ma sulla  base
di un accordo sancito in Conferenza unificata (comma  91)  e  di  una
intesa (comma 92) che poi si traduce in un DPCM  statale.  Nonostante
l'art. 1, comma 89, solo formalmente  disponga  che  "fermo  restando
quanto disposto dal comma 88, lo  Stato  e  le  Regioni,  secondo  le
rispettive competenze, attribuiscono le funzioni Provinciali  diverse
da quelle di cui al comma 85, in attuazione dell'articolo  118  della
Costituzione", di fatto viene posto in essere un procedimento che  si
risolve nella preventiva adozione di un atto (il DPCM)  che  -  senza
attendere l'intervento della legge regionale (ai sensi  dell'art.  1,
comma 144 alle regioni viene dato un anno di tempo  per  adeguare  la
propria legislazione alla legge n. 56  del  2014),  richiesto  invece
dall'art. 118, II comma - invade in modo  sostanziale  la  competenza
legislativa  concorrente  e  residuale  nell'attribuzione   e   nella
disciplina  di  importanti  funzioni  amministrative   di   rilevanza
territoriale.  In  altre  parole,  alla  sequenza  costituzionalmente
necessaria che prevede la previa legge regionale di identificazione e
conferimento  delle  funzioni,  si  sostituisce  una  sequenza   dove
l'accordo, l'intesa e il DPCM precedono la legge regionale, anche  se
le funzioni attengono a materie di competenza regionale residuale. 
    Tale invasione delle competenze legislative regionali e' evidente
anche nel meccanismo previsto dal comma 95 per il quale lo  Stato  si
sostituisce alla Regione se questa  non  procede  entro  sei  mesi  a
trasferire le funzioni, anche nelle  proprie  materie  di  competenza
legislativa  esclusiva,  secondo  quanto  previsto  dall'accordo   in
Conferenza unificata. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Regione del Veneto chiede che  l'Ecc.ma  Corte  costituzionale
dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti  disposizioni
della legge n. 56 del 2014, pubblicata sulla G.U. n. 81 del 7  aprile
2014: 
        1. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 5, 6, 12,
e 16 per violazione degli articoli 3, 5, 114, 117, IV comma e 133,  I
comma, nonche' di quelle  degli  Enti  locali  che  la  Regione  puo'
legittimamente  prospettare,  ai  sensi   dell'articolo   127   della
Costituzione; 
        2. illegittimita' costituzionale  dell'art.1,  comma  6,  per
violazione dell'art. 133, I comma, della Costituzione; 
        3. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 8, 9, 16,
19 e 21, per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 117, I comma
e 118 della Costituzione; 
        4. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi  55,  56,
58, 60, 67 e 69 per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 118 e
138 della Costituzione; 
        4. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi  54,  55,
56, 58, da 60 a 65, da 69 a 78, 79 per violazione degli  articoli  1,
5, 48, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione; 
        5. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  92,  per
violazione degli articoli 117, III e IV comma, nonche'  dell'articolo
118 della Costituzione. 
      Si depositano: 
        1. delibera della Giunta Regionale n. 818 del 2 giugno  2014,
di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento  dell'incarico  di
patrocinio per la difesa regionale. 
          Venezia-Roma, 4 giugno 2014 
 
                         Avv. prof. Antonini 
 
 
                             Avv. Zanon 
 
 
                             Avv. Manzi