N. 126 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 febbraio 2014
Ordinanza del 27 febbraio 2014 emessa dal Tribunale di Bergamo nel procedimento civile promosso da Maffeis Tiziana ed altri contro Azienda ospedaliera Bolognini di Seriate.. Impiego pubblico - Divieto per i pubblici dipendenti di svolgere incarichi non conferiti o non previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza - Previsione in caso di inosservanza del divieto, salvo le piu' gravi sanzioni e la responsabilita' disciplinare, che il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante, o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata di bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente, per essere destinato ad incremento del fondo di produttivita' o di fondi equivalenti - Lesione del principio di democraticita' dell'operato della Pubblica Amministrazione per l'automaticita' della sanzione - Lesione dei principii di proporzionalita' ed adeguatezza della sanzione - Lesione dei principii di diritto al lavoro e di tutela del lavoro - Violazione del diritto di azione e difesa in giudizio - Lesione dei principii di proporzionalita' e adeguatezza della retribuzione e di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. - Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, art. 53, comma 7. - Costituzione, artt. 1, 2, 3, 23, 24, 36, primo comma, e 97, primo comma.(GU n.35 del 20-8-2014 )
IL TRIBUNALE DI BERGAMO Il Tribunale del Lavoro di Bergamo nella persona della dott.ssa Antonella Troisi ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 468 del 2012 proposto da Tiziana Maffeis, Irene Caccia, Alberto Nava, Eleonora Gianfreda e Lara Micheli, rappresentati e difesi dagli avv.ti Yvonne Messi e Denis Campana del foro di Bergamo, contro l'Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Saita del foro di Bergamo. Ordinanza Letto il ricorso degli infermieri ricorrenti, la memoria dell'Azienda Ospedaliera datrice di lavoro, i relativi allegati ed i documenti, nonche' le memorie finali, il Giudice del Lavoro del Tribunale di Bergamo sottolinea che i sigg. Tiziana Maffeis, Irene Caccia, Alberto Nava, Eleonora Gianfreda e Lara Micheli, infermieri professionali dipendenti dell'Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate (la prima a tempo parziale al 66%, gli altri a tempo pieno) al di fuori dell'orario di lavoro hanno svolto attivita' di infermiere presso terzi (piccoli servizi infermieristici domiciliari in virtu' di contratto di collaborazione coordinata e continuativa con ditte del settore) senza premurarsi di ottenere la previa autorizzazione dall'Ente Ospedaliero, come richiesta dall'art. 53 decreto legislativo n. 165/2001. L'azienda ha preso atto dell'esito degli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza di Bergamo, poi resi edotti al Dipartimento della Funzione Pubblica, e ha comminato in data 19 marzo 2010 sanzioni disciplinari ai dipendenti (15 giorni di sospensione dal servizio e dalla retribuzione per Maffeis Tiziana e 30 giorni della medesima sanzione per tutti gli atri) non mancando di sottolineare nei provvedimenti disciplinari che ciascuno dei dipendenti sanzionati aveva mantenuto un elevato standard qualitativo nello svolgimento del servizio, che lo svolgimento dell'attivita' lavorativa esterna non aveva recato danni all'azienda in relazione all'organizzazione del lavoro (non vi era stata alcuna necessita' di revisione delle turnazioni, ad esempio, per assenze improvvise), che lo svolgimento dell'attivita' lavorativa esterna non aveva pregiudicato il principio di imparzialita' e il buon andamento dell'azione amministrativa ed infine che non vi era stato alcun nocumento all'immagine aziendale. Inoltre, l'Azienda Ospedaliera ha chiesto il pagamento di somme di denaro ex art. 53 decreto legislativo n. 165/2000 per il medesimo comportamento, per aver i dipendenti svolto, in costanza di rapporto di lavoro con l'Azienda, prestazione remunerate da datori di lavoro privati senza la prescritta autorizzazione. Gli importi rivendicati corrispondono all'intero compenso percepito da terzi (regolarmente assoggettato a ritenute di legge per prelievi fiscali e previdenziali). Le somme richieste a Tiziana Maffeis ammontano ad € 20.797,59, ad Irene Caccia ammontano ad € 21.286,96, ad Alberto Nava ad € 47.238,10, ad Eleonora Gianfreda € 28.043,00, a Lara Micheli € 36.416,08. Come sopra detto, dopo che ai dipendenti sono state comminate le sanzioni disciplinari, l'azienda sta esigendo ratealmente le somme addebitate ai ricorrenti. Tutto cio' sulla base dell'art. 53 comma 7 ultimo periodo del decreto legislativo n. 165/2001. I ricorrenti hanno allora richiesto nel presente giudizio, anche previa rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, di accertarsi e dichiararsi che l'Azienda Ospedaliera convenuta non ha diritto di ottenere il pagamento delle somme richieste e di condannarsi la stessa alla restituzione delle somme sino ad oggi trattenute. Pertanto, in materia si discute direttamente ed esclusivamente del disposto dell'art 53 ('Incompatibilita', cumulo di impieghi ed incarichi') comma 7 del decreto legislativo n. 165/2001: 'I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'Amministrazione di appartenenza. In caso di inosservanza del divieto, salve le piu' gravi sanzioni e ferma restando la responsabilita' disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttivita' o di fondi equivalenti.' Dunque la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale della norma ('il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttivita' o di fondi equivalenti') di cui all'art. 53 comma VII decreto legislativo n. 165/2001 e' di diretta ed immediata rilevanza per la definizione del presente giudizio. Cio' premesso, e' ovvio partire dall'osservazione che i pubblici dipendenti sono tenuti all'osservanza del principio di esclusivita' del rapporto di pubblico impiego, che trova il suo fondamento costituzionale nell'art. 98, comma 1, della Costituzione, a norma del quale «I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione». Il dipendente pubblico che viene meno all'obbligo di richiedere l'autorizzazione viola indirettamente il principio di esclusivita' del rapporto di pubblico impiego e pone in essere un comportamento censurabile sotto il profilo disciplinare, come si desume chiaramente dal disposto dell'art. 53 comma 7 ultimo periodo del decreto legislativo n. 165/2001 («In caso di inosservanza del divieto, salve le piu' gravi sanzioni e ferma restando la responsabilita' disciplinare»). In via di prima definizione appare dubbia la compatibilita' con il disposto dell'art. 36 Cost. della disposizione normativa in esame nella misura in cui detta disposizione, oltre a prevedere il procedimento disciplinare (che gia' e' grave carico nella sfera del dipendente che non ha richiesto l'autorizzazione), pone a carico del dipendente pubblico l'obbligo di restituire automaticamente all'Amministrazione di appartenenza i compensi percepiti per incarichi extraistituzionali privi della prescritta autorizzazione. E nello specifico: 1) Se per espresso dettato costituzionale «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro» (art. 36 comma 1, Cost.), appare di dubbia legittimita' costituzionale la previsione normativa che impone di restituire alla Amministrazione di appartenenza, tout court, i compensi percepiti per incarichi extraistituzionali, che pure derivano da attivita' lavorativa lecita nell'ordinamento generale, seppure non autorizzata dalla P.A., a causa di una violazione meramente formale. La violazione e' formale perche' non e' stata (e non deve essere) verificata preventivamente dalla medesima Amministrazione l'incidenza negativa dello svolgimento dei predetti incarichi lavorativi sul corretto adempimento degli obblighi istituzionali del dipendente e, ancora piu' in generale, sul buon andamento dell'azione amministrativa, al fine di procedere alla richiesta di 'travaso' degli emolumenti. In tal modo si scorge violazione dell'art. 36 Cost. che prevede il diritto alla retribuzione per il lavoro prestato, conformandone la misura. 2) Di seguito, si scorge violazione dell'art. 3 della Cost. laddove si prevede il medesimo trattamento (restituzione automatica dell'intero compenso) per colui che non ha chiesto l'autorizzazione e ha violato il dovere di fedelta' e di esclusivita' (si faccia l'esempio di un dipendente con funzione di studio del contenzioso presso la Agenzia delle Entrate che svolge contemporaneamente attivita' di consulente in uno studio commercialistico) e per colui che tale dovere non ha violato (appare non tanto plausibile che prestare piccole attivita' infermieristiche al di fuori dell'orario di lavoro violi il dovere di esclusivita', espandendosi piuttosto sul territorio, per lo piu' in orari in cui gli ambulatori sono chiusi, un servizio di assistenza alla persona, che in pratica si rivela utile per anziani e malati). Il diritto vivente della Costituzione ha inoltre delineato negli anni un concetto di esclusivita' piu' flessibile (v. lo stesso art. 53 che accanto alla disciplina delle incompatibilita' assolute con lo status di pubblico dipendente previste per rimando dal TU n. 3/57, regolamenta attivita' soggette ad un regime di autorizzazione, ed attivita' per cosi' dire liberalizzate), necessitandosi in linea di massima comunque di verificare la compatibilita' di ogni singola attivita' e funzione con una prestazione in proprio. 3) Si ravvisa inoltre violazione del principio costituzionale di proporzionalita' e modulazione delle sanzioni (art. 1-2-3 Cost.). Ad esso e' collegato il principio del bilanciamento di cui al punto 4. Il bilanciamento e' il criterio e la 'modulazione' la conseguenza dell'uso del criterio. L'automaticita' della prescrizione comprime l'esigenza costituzionale di bilanciare da un lato il bene astratto che si intende tutelare (necessita' di previa richiesta amministrativa a tutela del servizio esclusivo a favore della P.A.) con l'altro interesse anche di rilievo costituzionale del lavoro o rectius con il valore costituzionale del lavoro come attivita' o funzione che in ogni caso concorre al progresso materiale e spirituale della societa' (art. 4 Cost.), anche se prestato da un dipendente pubblico, anche fuori dall'orario di lavoro. La Costituzione italiana e' fondata sul lavoro (art. i Cost.) e riconosce al lavoro una funzione di fondamentale importanza. Il diritto al lavoro e' riconosciuto a tutti i cittadini italiani (art. 4 Cost.) e sono promosse tutte quelle condizioni che rendano effettivo tale diritto. Per l'art. 35 Cost. la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Il lavoro svolto nel caso concreto non era immorale, degradante o disonesto, non comportava dispersione di competenze o di segreti professionali, ne' svilimento della funzione svolta in principalita' per la P.A.. Al contrario era utile nel tessuto sociale. Una valutazione in concreto attraverso il principio di proporzionalita' e modulazione della sanzione permetterebbe di recuperare una dimensione corretta alla sanzione. Manca la graduazione alla gravita' della lesione, nel senso che la lesione del principio di esclusivita' puo' essere lievissima (come nel caso) anche se la somma e' rilevante o viceversa. 4) Inoltre - e si giunge cosi' al quarto piano dell'analisi principio del necessario bilanciamento degli interessi in gioco e dei valori e' sotteso dall'ordinamento costituzionale a tutti i procedimenti e provvedimenti sanzionatori (penali, amministrativi e privatistici). Il recupero delle somme e' un atto sanzionatorio verso il dipendente, non scorgendosi in esso altra funzione se non quella general-preventiva tipica della punizione (di scongiurare dall'insieme dei dipendenti per il futuro comportamenti difformi dalla prescrizione) unitamente alla funzione individuale di punire l'effrazione in concreto (funzione individuale - successiva). Ora, la sanzione, per rispondere a principi costituzionali, non deve essere stabilita a priori in termini immodificabili; al contrario deve essere proporzionata di volta in volta alla gravita' del fatto, quale frutto di un giudizio di bilanciamento. La sanzione automatica, svincolata da un principio di proporzione con la gravita' del fatto concreto, con il suo disvalore oggettivo e con il grado di colpevolezza soggettiva, viola il principio del bilanciamento degli interessi che trova il suo puntello costituzionale negli artt. 2, 3, 23, 24 Cost. 5) Su un quinto piano dell'analisi, imponendosi al dipendente pubblico, sic et simpliciter, la restituzione di quanto percepito per incarichi non autorizzati, senza una preventiva verifica dell'incidenza di questi incarichi sullo svolgimento delle prestazioni lavorative che connotano l'oggetto del rapporto di pubblico impiego, si ottiene come conseguenza che l'Amministrazione viene a conseguire un arricchimento ingiustificato, di dubbia compatibilita' con il principio di imparzialita' e buon andamento di cui all'art. 97 Cost. 6) Su un ulteriore piano dell'analisi (il sesto), dal complesso delle norme costituzionali si desume il principio di proporzionalita', mitezza, umanita' che nel contesto democratico dei valori intessuti dalla Carta costituzionale si pone come criterio cardine del diritto amministrativo e pubblico «di garanzia». Il procedere degli enti pubblici deve, per il dettato primario della Carta Costituzionale, coniugare l'obiettivo della migliore soddisfazione possibile dell'interesse pubblico concreto (protetto in questo caso dal principio di esclusivita') con la tutela ed il necessario rispetto della persona umana coinvolta dall'esercizio del potere. Gli strumenti sanzionatori dei comportamenti dei dipendente pubblico non devono superare quanto strettamente necessario per la realizzazione dell'interesse primario. E', pertanto, insito nel paradigma della proporzionalita' graduare i vari mezzi a disposizione dell'Amministrazione in base al canone della democraticita' e della mitezza. L'automaticita' della grave sanzione non si sposa con il cosi' (da ultimo) delineato concetto di buon andamento della P.A.: l'Amministrazione prima di procedere, dovrebbe prefigurarsi le conseguenze della propria azione non solo in termini di beneficio per la collettivita', ma anche negli esiti pregiudizievoli che essa potra' comportare per le posizioni giuridiche dei soggetti destinatari, all'uopo adottando le soluzioni migliori nel caso concreto alla luce di un principio di democrazia e giustizia. Da questo punto di vista vi e' contrarieta' dell'art. 53 comma settimo citato a questo cosi' delineato principio di democraticita' dell'operato della P.A. desumibile da tutto il contesto costituzionale (innanzitutto artt. 1-2-3-4 Cost.). Portando questa stessa finale analisi su termini piu' specifici, si ravvisa contrarieta' diretta all'art. 97 Cost: se puo' legittimamente essere sottoposto a procedimento disciplinare il dipendente pubblico che accetta incarichi extraistituzionali senza l'autorizzazione dell'Amministrazione di appartenenza (e quindi viola la norma), appare di difficile compatibilita' con la disposizione costituzionale sopra richiamata (buon andamento della PA alla luce dei valori della democrazia) la previsione normativa di un obbligo di restituire tout court quanto percepito, anche nell'ipotesi in cui l'incarico non autorizzato non abbia inciso minimamente sull'ordinario svolgimento della attivita' impiegatizia, essendo stato espletato in assenza di conflitto di interessi e al di fuori dell'orario di servizio (ad esempio, durante le ferie o nel tempo libero). Le questioni di legittimita' costituzionale sopra prospettate sono reputate dal Tribunale, per le ragioni sopra sinteticamente esposte, non manifestamente infondate. Dette questioni sono inoltre rilevanti, non potendosi prescindere, ai fini della decisione del ricorso in esame, dalla applicazione della norma in questione e non ravvisando il Tribunale, oltre a quelle sospettate di incostituzionalita', un'interpretazione alternativa, costituzionalmente orientata, della medesima disposizione normativa.
P. Q. M. Il Tribunale di Bergamo, sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, ordinando che, a cura della cancelleria, l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri. L'ordinanza sia comunicata dal Cancelliere anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Bergamo, 25 febbraio 2014 Il giudice del lavoro: dott.ssa Antonella Troisi