N. 132 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 marzo 2014

Ordinanza del 5 marzo 2014  emessa  dal  Tribunale  di  Caltanissetta
sull'istanza proposta da C. P. ed altri. 
 
Mafia - Misure di prevenzione di carattere patrimoniale - Confisca di
  beni alla  criminalita'  organizzata  (nella  specie,  confisca  di
  azienda) - Tutela dei terzi creditori - Mancata previsione,  tra  i
  soggetti che possono presentare domanda di ammissione  del  credito
  ai sensi dell'art. 58, comma 2, del d.lgs. n.  159  del  2011,  dei
  creditori privilegiati, in particolare dei  lavoratori  dipendenti,
  che non siano  muniti  di  ipoteca  iscritta  sui  beni  confiscati
  all'esito dei procedimenti di prevenzione, di cui all'art. 1, comma
  194, della legge n. 228 del 2012, anteriormente  alla  trascrizione
  del  sequestro  di   prevenzione,   non   abbiano   trascritto   un
  pignoramento sul bene prima della  trascrizione  del  sequestro  di
  prevenzione e non siano intervenuti nell'esecuzione iniziata con il
  predetto pignoramento prima della data di entrata in  vigore  della
  predetta legge n. 228 del 2012  -  Disparita'  di  trattamento  tra
  creditori  ipotecari  e  creditori  privilegiati   non   ipotecari,
  pignoranti o intervenuti nell'esecuzione - Violazione del principio
  di ragionevolezza - Lesione del diritto  alla  difesa  nonche'  del
  diritto alla retribuzione. 
- Legge 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, commi 198, 199,  200,  201,
  202, 203, 204, 205 e 206. 
- Costituzione, artt. 3, 24, comma secondo, e 36. 
(GU n.36 del 27-8-2014 )
 
                    IL TRIBUNALE DI CALTANISSETTA 
                    Sezione misure di prevenzione 
 
    Il Tribunale di Caltanissetta,  sezione  misure  di  prevenzione,
riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei Magistrati: 
        Dott. Antonio Balsamo, Presidente; 
        Dott. Antonia Leone, Giudice; 
        Dott. Claudia R. Ferlito, Giudice, 
ha emesso la seguente ordinanza. 
    Viste le istanze presentate da C. P., nato a  S.  il  4  novembre
1956; L. B. R., nato a S. C. il 29 novembre 1983; C. A., nato a M. il
15 dicembre 1949; R. C., nato a S. il 23 aprile 1971; V. G.,  nato  a
S. il 24 settembre 1959; M. D., nato a S. il 9 settembre 1975; P. L.,
nato ad A. il 17 maggio 1958; 
 
                               Osserva 
 
    I sopra indicati ricorrenti, con istanze separate ma  concernenti
le medesime questioni,  che,  per  tale  motivo  ben  possono  essere
trattate    congiuntamente,    premettevano    di    avere     svolto
continuativamente attivita' di  lavoro  subordinato  alle  dipendenze
della societa' A. A. V. & C. srl,  con  le  mansioni  e  nei  periodi
specificati nelle rispettive istanze. 
    Affermavano i ricorrenti che la societa' datrice  di  lavoro,  in
forza del provvedimento  emesso  dal  Tribunale  di  Caltanissetta  -
Sezione Misure di Prevenzione in  data  23  novembre  2012,  divenuto
irrevocabile il 5 febbraio 2013, era stata confiscata e  amministrata
dall'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e destinazione dei  beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata. 
    Rilevavano inoltre che la societa' si era resa inadempiente,  non
avendo provveduto al pagamento del TFR;  e  che,  in  particolare,  i
ricorrenti V., C. e G. avevano adito con ricorso monitorio il Giudice
del Lavoro del Tribunale  di  Caltanissetta  che  si  era  dichiarato
incompetente trattandosi di materia  disciplinata  dall'art.  52  del
decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. 
    Chiedevano, quindi, il  pagamento  delle  somme  spettanti  ed  a
sostegno della domanda producevano buste paga e modelli CUD. 
    Tanto premesso,  il  Tribunale  rileva  che  la  decisione  sulla
istanza dei ricorrenti presuppone in via pregiudiziale  la  soluzione
della questione relativa alla eventuale illegittimita' costituzionale
dell'art. 1 commi 198 e ss. della legge 24  dicembre  2012,  n.  228,
nella parte in cui non prevede che tra i titolari di crediti  ammessi
alla speciale procedura ivi prevista  siano  ricompresi  i  creditori
privilegiati, ed in particolare i lavoratori dipendenti. 
    Preliminarmente Collegio rileva l'inapplicabilita' nella  vicenda
in esame del disposto di cui all'art. 52 del d.lgs. n.  159/2011,  in
quanto  la  proposta  relativa  all'applicazione  della   misura   di
prevenzione personale e patrimoniale nei confronti  di  A.  e  V.  e'
stata depositata il 15 aprile 2011, e quindi in epoca precedente alla
entrata in vigore del c.d. Codice antimafia, sicche', in applicazione
della disposizione transitoria di cui  all'art.  117  del  d.lgs.  n.
159/2011, alla  procedura  in  questione  vanno  applicate  le  norme
previgenti e segnatamente gli artt. 2 e ss. della legge n. 575/1975 e
succ. mod. 
    Tanto premesso, osserva il Collegio che la istanza formulata  dai
ricorrenti concerne la questione relativa alla tutela  dei  creditori
privilegiati del proposto. 
    Non sfugge al Tribunale che la Corte  Costituzionale  in  vicenda
analoga (vedasi sentenza n.  190/1994)  ebbe  ad  affermare  che  «la
questione di costituzionalita'  sollevata  denunciando  l'assenza  di
strumenti di tutela giurisdizionale che, in caso di confisca a favore
dello Stato di beni dell'indiziato mafioso, consentano ai creditori -
per titoli anteriori al procedimento di prevenzione e per la parte di
crediti che non trovino capienza sugli altri beni del prevenuto -  di
conservare sui beni confiscati  la  garanzia  patrimoniale  dei  loro
crediti, mira ad una  pronuncia  additiva  cui  non  corrisponde  una
soluzione  obbligata,  ma  una  pluralita'  di  possibili  interventi
variamente  articolati,  vuoi  sul  piano  strettamente   processuale
(concedendo ai creditori di agire  nell'ambito  del  procedimento  di
prevenzione  e/o  della  procedura  fallimentare),  vuoi  sul   piano
sostanziale (rendendo la confisca inopponibile  ai  creditori  ovvero
contrapponendo ad essa altri  fatti  giuridici),  onde  il  risultato
additivo richiesto esula dal potere decisorio della Corte, implicando
discrezionalita' legislativa.». 
    Si deve osservare,  tuttavia,  che  il  quadro  normativo  si  e'
profondamente modificato a seguito della entrata in vigore del d.lgs.
n. 159/2011 e della legge n. 228/2012. 
    E' importante sottolineare che la  giurisprudenza  della  Suprema
Corte, che questo Tribunale ritiene di condividere, ha affermato  che
«se (...) lo scopo della misura di prevenzione (...) e' la  recisione
dei  legami  che  avvincono  l'impresa  all'associazione  mafiosa   e
l'eliminazione degli elementi  inquinanti,  il  ripristino  integrale
della  legalita'  va  perseguito  tenendo  conto  delle  esigenze  di
continuita' dell'impresa e, quindi, la  necessita'  di  assicurare  i
contratti di fornitura etc., di portare a  termine  gli  investimenti
programmati, con il riconoscimento dei debiti contratti dal proposto»
(Cass., Sez. VI, n. 862 del 21 febbraio 2000). 
    In senso analogo, la giurisprudenza di merito ha riconosciuto che
nel caso in cui l'oggetto della confisca  sia  un  intero  patrimonio
aziendale, debbano applicarsi le disposizioni di cui agli artt.  2558
e  2560   c.c.   disciplinanti,   rispettivamente,   la   successione
dell'acquirente nei rapporti giuridici pendenti  e  nelle  passivita'
dell'azienda ceduta (vedasi Tribunale di Palermo 30 settembre 2008). 
    Appare evidente, tenuto anche conto  della  questione  sottoposta
alla Corte Costituzionale nella menzionata decisione del 1994, che lo
sforzo interpretativo e' sempre  stato  rivolto  alla  ricerca  dello
strumento  processuale  che  consenta  di  tutelate  le  ragioni  dei
creditori  in  uno  alla  esigenza   statuale   di   sottrarre   alla
criminalita' la ricchezza illecitamente percepita  e  di  bloccare  i
canali di approvvigionamento della stessa. 
    Le sopra descritte esigenze sono state  prese  in  considerazione
negli artt. 52 e ss. del d.lgs. n.  159/2011,  che  disciplinano  una
speciale procedura di tutela dei creditori in buona fede, applicabile
ai procedimenti sorti dopo la sua entrata in vigore. 
    Segnatamente  l'art.  52  ha  espressamente  stabilito  che   «la
confisca non pregiudica i diritti di credito di terzi  che  risultano
da atti aventi data certa anteriore al sequestro  nonche'  i  diritti
reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro  purche'
ricorrano le seguenti condizioni: 
        che l'escussione del restante  patrimonio  del  proposto  sia
risultata insufficiente al soddisfacimento del credito, salvo  per  i
crediti  assistiti  da  cause  legittime  di  prelazione   sui   beni
sequestrati; 
        che il credito non sia strumentale all'attivita' illecita o a
quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego,  a  meno  che  il
creditore dimostri di  aver  ignorato  in  buona  fede  il  nesso  di
strumentalita'; 
        nel caso di  promessa  di  pagamento  o  di  ricognizione  di
debito, che sia provato il rapporto fondamentale; 
        nel caso di titoli di credito,  che  il  portatore  provi  il
rapporto fondamentale e quello che ne legittima il possesso». 
    L'art. 1 della successiva legge n. 228/2012 (legge di  stabilita'
2013), in relazione  ai  procedimenti  gia'  pendenti  alla  data  di
entrata in vigore del c.d. Codice antimafia, al comma 198  stabilisce
che i creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni di cui  al  comma
194 anteriormente alla trascrizione  del  sequestro  di  prevenzione,
sono soddisfatti nei limiti e con le modalita' di cui ai commi da 194
a 206. Allo stesso modo sono soddisfatti i creditori che: 
        a) prima della  trascrizione  del  sequestro  di  prevenzione
hanno trascritto un pignoramento sul bene; 
        b) alla data di entrata in vigore della medesima  legge  sono
intervenuti nell'esecuzione iniziata con il pignoramento di cui  alla
lettera a). 
    Inoltre il comma 199 stabilisce che entro 180 giorni dall'entrata
in vigore della legge, i titolari dei crediti di  cui  al  comma  198
devono, a pena di  decadenza,  proporre  domanda  di  ammissione  del
credito, ai sensi dell'art. 58 comma 2 del  d.lgs.  n.  159/2011,  al
giudice dell'esecuzione  presso  il  Tribunale  che  ha  disposto  la
confisca. 
    Il successivo comma 200 statuisce che il  Giudice,  accertata  la
sussistenza e l'ammontare del credito nonche'  la  sussistenza  delle
condizioni di cui all'art. 52 del d.lgs. n. 159/2011, lo  ammette  al
pagamento, dandone immediata comunicazione all'Agenzia nazionale  per
l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalita' organizzata. 
    In punto di rito, la disciplina  applicabile  e'  quella  di  cui
all'art. 666 commi 2, 3, 4, 5, 6, 8  e  9  del  codice  di  procedura
penale. 
    Sulla questione, si rammenta, vi  e'  gia'  stato  un  importante
arresto giurisprudenziale (Cass. Sez. Un. Civ n. 10532/2013)  che  ha
offerto all'interprete un significativo inquadramento della complessa
problematica concernente la  ricostruzione  del  quadro  normativo  e
degli orientamenti giurisprudenziali sulla tutela  offerta  ai  terzi
coinvolti dalla confisca di prevenzione. 
    In particolare con la cennata decisione il  Supremo  Collegio  ha
avuto modo di sottolineare che la legge 24 dicembre  2012,  ai  commi
194-205, ha dettato una disciplina tendenzialmente organica  volta  a
regolare i rapporti tra creditori ipotecari e pignoranti e Stato, con
riferimento alle procedure di confisca non soggette  alla  disciplina
del c.d. Codice antimafia, entrato in vigore il 13 ottobre 2011. 
    Come ha evidenziato la Suprema Corte, la nuova  legge  stabilisce
che, se alla data del 1° gennaio 2013 i beni oggetto della  procedura
di prevenzione sono gia' stati confiscati, ma non ancora aggiudicati: 
        1)  nessuna  azione  esecutiva  potra'  essere   iniziata   o
proseguita sui beni confiscati; 
        2) i pesi e gli  oneri  iscritti  o  trascritti  prima  della
confisca si estinguono; 
        3)  i  creditori   ipotecari,   pignoranti   od   intervenuti
nell'esecuzione potranno far valere le proprie ragioni nei  confronti
dell'Agenzia, ma solo a condizione che l'iscrizione dell'ipoteca,  la
trascrizione del pignoramento o l'intervento nel  processo  esecutivo
siano avvenuti prima della trascrizione del sequestro di prevenzione. 
    L'art. 1 comma 198 della legge n. 228 del 2012 amplia, dunque, la
platea dei soggetti legittimati all'azione (in precedenza individuati
nei soli titolari di diritti reali di garanzia con titolo  trascritto
prima del sequestro), ricomprendendovi:  1)  i  creditori  muniti  di
ipoteca  iscritta  sui  beni  anteriormente  alla  trascrizione   del
sequestro di prevenzione; 2) i creditori che prima della trascrizione
del sequestro di prevenzione hanno  trascritto  un  pignoramento  sul
bene; 3) i creditori che, alla data del 1° gennaio 2013  (entrata  in
vigore della legge), sono intervenuti nell'esecuzione iniziata con il
pignoramento indicato sub 2). 
    Tra i soggetti legittimati all'azione non sono pero'  ricompresi,
in forza della normativa in esame, i titolari di crediti privilegiati
che  non   siano   anche   ipotecari,   pignoranti   od   intervenuti
nell'esecuzione. Cio' a differenza di quanto prevede il  c.d.  Codice
antimafia  per  i  procedimenti  iniziati  successivamente  alla  sua
entrata in vigore. 
    La questione  sottoposta  alla  delibazione  di  questo  Collegio
consiste  nell'individuare  il  meccanismo  di  tutela  eventualmente
utilizzabile  per  i  diritti  di  credito  vantati  dei   lavoratori
dell'azienda sottoposta a confisca di  prevenzione  che  chiedano  il
pagamento del TFR, non potendosi  ricorrere  alla  procedura  di  cui
all'art. 52 del d.lgs. n. 159/2011 perche'  applicabile  soltanto  ai
procedimenti instauratisi successivamente all'entrata in  vigore  del
c.d. Codice antimafia, e neppure alla disciplina di  cui  all'art.  1
commi 198 e ss. della legge n.  228/2012  giacche'  gli  istanti  non
rientrano tra le categorie di creditori prese  in  considerazione  da
tale intervento legislativo. 
    Il Collegio ritiene che la decisione sulle istanze dei ricorrenti
presupponga   la   soluzione   della   questione   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 1 commi 198 e ss. della  legge  n.  228/2012
per violazione degli artt. 3, 24, e 36 della Costituzione nella parte
in cui la norma censurata  non  prevede  che  possano  accedere  alla
procedura ivi disciplinata i creditori privilegiati, e segnatamente i
lavoratori dipendenti, che non siano anche ipotecari,  pignoranti  od
intervenuti nell'esecuzione. 
    La questione a parere del Collegio e' ammissibile perche', stante
la inapplicabilita' alla vicenda in esame, della  disciplina  di  cui
all'art. 52 del d.lgs. n. 159/2911 e di quella delineata dalla  legge
n. 228/2012, si puo' fare ricorso soltanto alla normativa di cui agli
artt.  2-ter  e  ss.  della  legge  n.  575/1965,  che   non   regola
compiutamente i rapporti tra Stato e terzi rispetto  all'adozione  di
un provvedimento di confisca, cosi' da  consentire  ai  creditori  de
quibus di fruire di adeguati strumenti di tutela. 
    La questione e' rilevante in quanto una  eventuale  dichiarazione
di incostituzionalita' consentirebbe  al  Tribunale  di  attivare  il
procedimento disciplinato dalla legge n. 228/2012 per la  tutela  dei
suesposti diritti di credito. 
    Il  presente  procedimento  non  puo'  quindi   essere   definito
indipendentemente  dalla  risoluzione  della  predetta  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    La  questione  e'  da  ritenersi,  inoltre,  non   manifestamente
infondata  in   relazione   all'art.   3   della   Costituzione   per
irragionevole  disparita'  di  trattamento  normativo  di  situazioni
analoghe, assumendo anche come  metro  di  paragone  l'attuale  testo
dell'art. 52 del d.lgs. n. 159/2011, che ha  apprestato  un  organico
sistema di tutela delle ragioni di  tutti  i  creditori,  compresi  i
creditori privilegiati, e segnatamente  i  lavoratori  dipendenti,  i
quali  non  siano  anche   ipotecari,   pignoranti   od   intervenuti
nell'esecuzione. 
    Osserva il Collegio che il principio dell'eguale dignita' sociale
dei cittadini si  persegue  non  solo  attraverso  l'uguaglianza  dei
cittadini di fronte alla legge, ma, in quanto clausola  generale  che
si oppone all'istituzione di regimi privilegiati, anche con l'obbligo
di rimuovere gli ostacoli che in concreto impediscono  a  determinate
categorie di cittadini l'effettivo godimento dei loro diritti. 
    In  via  generale,  quindi,   l'attuazione   del   principio   di
uguaglianza si esplica sia attraverso la previsione di norme che  non
introducano arbitrarie distinzioni tra situazioni  analoghe  sia  con
norme che non disciplinino in  modo  conforme  situazioni  del  tutto
differenti. 
    Sotto tale profilo, pertanto, oltre al principio  di  eguaglianza
si e' affermato anche quello  di  ragionevolezza:  il  Giudice  delle
leggi, infatti, proprio al fine di analizzare la  razionalita'  della
normativa impugnata ha in varie pronunce valutato la sia la  coerenza
intrinseca  della  norma  censurata  sia  quella   esterna   rispetto
all'insieme dell'ordinamento. 
    Le valutazioni  di  legittimita'  costituzionale  concernenti  il
rispetto del principio di eguaglianza hanno  comportato,  quindi,  un
confronto  tra  la  normativa  impugnata  e  una  o  piu'  discipline
analoghe, al fine di accettare  se  le  scelte  normative  differenti
fossero cosi' poco ragionevoli da doversi ritenere costituzionalmente
illegittime. 
    Si e' ritenuto, inoltre, che il canone della  ragionevolezza  sia
espressione della esigenza di una coerenza  interna  dell'ordinamento
giuridico, con la conseguenza che l'esame della  disciplina  positiva
deve essere condotto alla luce della ratio  legis,  assunta,  da  una
parte, in  relazione  all'assetto  normativo  nel  suo  complesso  e,
dall'altra, in rapporto al proprio specifico contesto applicativo. 
    Per queste ragioni, qualora si riscontri una  contraddizione  tra
le diverse prescrizioni normative all'interno di un  medesimo  testo,
oppure qualora  sia  ravvisabile  un'antinomia  tra  la  disposizione
impugnata e il particolare  settore  dell'ordinamento  nel  quale  la
disciplina si colloca, puo' ravvisarsi una  violazione  del  precetto
costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza e logicita'. 
    Tali principi di razionalita' e coerenza interna della  normativa
sono stati richiamati dalla Corte Costituzionale  nelle  sentenza  n.
253/2004 e n. 143/2005 nonche' nella recente sentenza n. 291/2013 con
le quali sono state accolte le censure di costituzionalita' sollevate
dai Tribunali remittenti proprio sul  principio  della  irragionevole
disparita'  di  trattamento  di  situazioni  analoghe.  Una  siffatta
disparita' di trattamento e' certamente  riscontrabile  nel  caso  di
specie, giacche' l'art. 1 comma 198 della  legge  n.  228  del  2012,
nell'ampliare  la  platea  dei  soggetti  legittimati   alla   tutela
giurisdizionale (in  precedenza  individuati  nei  soli  titolari  di
diritti reali di garanzia con titolo trascritto prima del sequestro),
vi ha  ricompreso  soltanto  i  creditori  ipotecari,  pignoranti  od
intervenuti nell'esecuzione, e non  anche  i  creditori  privilegiati
(come i  lavoratori  dipendenti)  privi  delle  suddette  qualifiche,
benche' tale categoria di soggetti sia stata riconosciuta  meritevole
di tutela dal c.d. Codice  antimafia  in  relazione  ai  procedimenti
iniziati successivamente alla sua entrata in vigore. 
    Va anche rilevato che ai sensi dell'art. 2745 c.c. il  privilegio
e' accordato dalla legge a determinate categorie di  crediti  che  in
via  generale  si  reputano  maggiormente  meritevoli  di  tutela  in
considerazione della loro rilevanza sociale o giuridica. Va osservato
inoltre che la Corte Costituzionale in relazione  alla  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  54  comma  3   della   legge
fallimentare previgente aveva ritenuto la irragionevole disparita' di
trattamento tra creditori ipotecari e crediti  da  lavoro  dipendente
(Corte Cost. n. 204 del 20 aprile 1989). 
    La censura di incostituzionalita' va valutata anche in  relazione
all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, atteso che  la  sopra
menzionata disparita' di trattamento costituisce,  senza  dubbio,  un
vulnus  del  diritto  di  difesa  dei  creditori   privilegiati   non
ipotecari, pignoranti od intervenuti nell'esecuzione,  ai  quali  non
viene  offerta  alcuna  possibilita'   di   dimostrare   il   proprio
affidamento incolpevole sulla regolarita'  del  rapporto  di  lavoro,
rispetto alle predette altre categorie di creditori. 
    L'art. 24 della Costituzione  sancisce  il  diritto  alla  tutela
giurisdizionale  che  la  Corte  ha  gia'   annoverato   tra   quelli
inviolabili dell'uomo ex  art.  2  della  Costituzione  (sentenza  n.
98/1965),   da   ascrivere   nel   novero   dei   «principi   supremi
dell'ordinamento costituzionale». 
    Occorre quindi garantire che gli strumenti  processuali  previsti
dall'ordinamento  per  la  tutela  in  giudizio  dei  diritti   siano
concretamente idonei a garantire l'effettivita' del diritto di difesa
(Cfr. Corte con n. 20/2009; n. 182/2008; nn. 180-181-182, 282/2007  e
n. 419/2000). 
    Invero  la  previsione  normativa  in  esame,  che  introduce  un
irragionevole  disparita'  di  trattamento  con  altre  categorie  di
creditori, costituisce un ostacolo all'effettivo accesso alla  tutela
giurisdizionale. 
    Si evidenzia anche il contrasto con l'art. 36 della  Costituzione
in quanto viene violato il principio costituzionalmente  sancito  del
diritto alla retribuzione per ogni prestazione lavorativa. 
    Secondo   le   interpretazioni   prevalenti   il   diritto   alla
retribuzione, siccome disciplinato dalla sopra indicata norma, non va
inteso solo ed esclusivamente quale diritto al corrispettivo, dandosi
pure  rilievo  alla  circostanza  che  esso  e'  strumento   per   la
realizzazione  di  ulteriori  finalita'  di   giustizia   sociale   e
solidarieta' che sono a loro volta espressione dei principi  espressi
dalla  Carta  Costituzionale  (in  particolare  dagli  artt.  3  e  4
Costituzione). 
    Secondo la giurisprudenza di legittimita' che  ha  affrontato  la
questione, il diritto alla retribuzione, pertanto, non  va  collocato
esclusivamente  nell'ambito  civilistico,  essendo   attinente   alla
liberta' e dignita' del lavoratore e piu' in generale  alla  funzione
dallo stesso rivestita nell'ambito sociale (vedasi Cass. Civ. Sa. Un.
n. 2183/1984). 
    Invero si  osserva  che  la  Corte  Costituzionale  gia'  con  la
sentenza n.  106/1962  ha  affermato  che  «le  norme  contenute,  ad
esempio, nell'art. 3, secondo comma, nell'art. 35, primo,  secondo  e
terzo comma, nell'art. 36, e  nell'art.  37  della  Costituzione,  le
quali - al fine di tutelare la dignita' personale del lavoratore e il
lavoro in qualsiasi forma e da chiunque prestato e  di  garantire  al
lavoratore una retribuzione sufficiente ad assicurare una vita libera
e dignitosa -  non  soltanto  consentono,  ma  insieme  impongono  al
legislatore  di  emanare  norme  che,  direttamente  o  mediatamente,
incidono nel campo dei rapporti  di  lavoro:  tanto  piu'  facilmente
quanto piu' ampia e' la nozione che la societa' contemporanea  si  e'
costruita  dei  rapporti  di  lavoro  e  che  la  Costituzione  e  la
legislazione hanno accolta». 
    Sul   punto   si   rammenta    come,    secondo    l'orientamento
giurisprudenziale ormai consolidato, l'art. 36 della Costituzione sia
norma di carattere precettivo, inderogabilmente applicabile a tutti i
rapporti di lavoro. 
    In tale senso la giurisprudenza di legittimita' e  di  merito  ha
affermato che il portato della suddetta  norma  sono  i  principi  di
proporzionalita' e sufficienza della retribuzione, con  la  ulteriore
conseguenza della inderogabilita' della disposizione  costituzionale,
sicche' la eventuale accettazione da  parte  del  lavoratore  di  una
retribuzione priva dei suddetti  requisiti  non  gli  impedirebbe  di
adire l'autorita' giudiziaria al fine di ottenere l'adeguamento della
retribuzione (Cass. n. 4503/1987). 
    E' poi pacifico in  giurisprudenza  il  carattere  retributivo  e
sinallagmatico del  trattamento  di  fine  rapporto  che  costituisce
istituto di retribuzione differita. 
    Cio' posto, si deve rilevare  che  la  mancata  estensione  della
procedura di riconoscimento del  credito  per  il  TFR,  vantato  dal
lavoratore, laddove l'azienda  sia  stata  confiscata,  comporta  una
grave lesione del diritto alla retribuzione, e che  le  finalita'  di
sicurezza pubblica sottese alla procedura di prevenzione patrimoniale
non possono certamente tradursi nella ingiustificata compressione  di
un siffatto diritto gia' maturato e costituzionalmente garantito. 
    Ricorrono quindi tutti i presupposti per sollevare  d'ufficio  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1  commi  198-206
della legge 24 dicembre 2012, n. 228, per violazione degli  artt.  3,
24, e 36 della Costituzione, nella parte in cui non  prevede,  tra  i
soggetti che possono presentare domanda di ammissione del credito, ai
sensi dell'articolo 58, comma 2 del decreto legislativo  6  settembre
2011,  n.  159,  i  creditori  privilegiati  (ed  in  particolare   i
lavoratori dipendenti) che non siano muniti di ipoteca  iscritta  sui
beni  di  cui  al  comma  194  anteriormente  alla  trascrizione  del
sequestro di prevenzione, non abbiano trascritto un pignoramento  sul
bene prima della trascrizione del sequestro  di  prevenzione,  e  non
siano  intervenuti   nell'esecuzione   iniziata   con   il   predetto
pignoramento prima della data di entrata  in  vigore  della  medesima
legge. 
    Va  altresi'  rilevato  che,   nell'attuale   quadro   normativo,
all'eventuale    accoglimento    della    suddetta    questione    di
costituzionalita'   corrisponderebbe   una    soluzione    obbligata,
consistente nell'estensione dell'ambito  soggettivo  di  operativita'
dell'art. 1 commi 198-206 della legge 24 dicembre 2012, n. 228. 
    La decisione sulle predette istanze va pertanto sospesa in attesa
della decisione della Corte Costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Solleva d'ufficio la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1 commi 198-206 della legge 24 dicembre 2012, n.  228,  per
violazione degli artt. 3, 24, e 36 della Costituzione, nella parte in
cui non prevede, tra i soggetti che  possono  presentare  domanda  di
ammissione del credito, ai sensi dell'articolo 58 comma 2 del decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 159, i creditori privilegiati (ed in
particolare i lavoratori dipendenti) che non siano muniti di  ipoteca
iscritta sui beni di cui al comma 194 anteriormente alla trascrizione
del sequestro di prevenzione, non abbiano trascritto un  pignoramento
sul bene prima della trascrizione del sequestro di prevenzione, e non
siano  intervenuti   nell'esecuzione   iniziata   con   il   predetto
pignoramento prima della data di entrata  in  vigore  della  medesima
legge. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
Costituzionale. 
    Sospende la decisione sul ricorso  dei  sopra  indicati  soggetti
sino all'esito del giudizio di costituzionalita'. 
    Dispone la notifica della presente ordinanza: 
        al Pubblico Ministero; 
        ai ricorrenti ed al loro difensore; 
        al Presidente del consiglio dei Ministri. 
    Dispone che la medesima ordinanza sia  comunicata  al  Presidente
del Senato  della  Repubblica  ed  al  Presidente  della  Camera  dei
Deputati. 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. 
        Caltanissetta, addi' 5 marzo 2014 
 
                       Il Presidente: Balsamo 
 
 
                                           Il giudice relatore: Leone