N. 132 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 marzo 2014
Ordinanza del 5 marzo 2014 emessa dal Tribunale di Caltanissetta sull'istanza proposta da C. P. ed altri. Mafia - Misure di prevenzione di carattere patrimoniale - Confisca di beni alla criminalita' organizzata (nella specie, confisca di azienda) - Tutela dei terzi creditori - Mancata previsione, tra i soggetti che possono presentare domanda di ammissione del credito ai sensi dell'art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, dei creditori privilegiati, in particolare dei lavoratori dipendenti, che non siano muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati all'esito dei procedimenti di prevenzione, di cui all'art. 1, comma 194, della legge n. 228 del 2012, anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione, non abbiano trascritto un pignoramento sul bene prima della trascrizione del sequestro di prevenzione e non siano intervenuti nell'esecuzione iniziata con il predetto pignoramento prima della data di entrata in vigore della predetta legge n. 228 del 2012 - Disparita' di trattamento tra creditori ipotecari e creditori privilegiati non ipotecari, pignoranti o intervenuti nell'esecuzione - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del diritto alla difesa nonche' del diritto alla retribuzione. - Legge 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, commi 198, 199, 200, 201, 202, 203, 204, 205 e 206. - Costituzione, artt. 3, 24, comma secondo, e 36.(GU n.36 del 27-8-2014 )
IL TRIBUNALE DI CALTANISSETTA Sezione misure di prevenzione Il Tribunale di Caltanissetta, sezione misure di prevenzione, riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei Magistrati: Dott. Antonio Balsamo, Presidente; Dott. Antonia Leone, Giudice; Dott. Claudia R. Ferlito, Giudice, ha emesso la seguente ordinanza. Viste le istanze presentate da C. P., nato a S. il 4 novembre 1956; L. B. R., nato a S. C. il 29 novembre 1983; C. A., nato a M. il 15 dicembre 1949; R. C., nato a S. il 23 aprile 1971; V. G., nato a S. il 24 settembre 1959; M. D., nato a S. il 9 settembre 1975; P. L., nato ad A. il 17 maggio 1958; Osserva I sopra indicati ricorrenti, con istanze separate ma concernenti le medesime questioni, che, per tale motivo ben possono essere trattate congiuntamente, premettevano di avere svolto continuativamente attivita' di lavoro subordinato alle dipendenze della societa' A. A. V. & C. srl, con le mansioni e nei periodi specificati nelle rispettive istanze. Affermavano i ricorrenti che la societa' datrice di lavoro, in forza del provvedimento emesso dal Tribunale di Caltanissetta - Sezione Misure di Prevenzione in data 23 novembre 2012, divenuto irrevocabile il 5 febbraio 2013, era stata confiscata e amministrata dall'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata. Rilevavano inoltre che la societa' si era resa inadempiente, non avendo provveduto al pagamento del TFR; e che, in particolare, i ricorrenti V., C. e G. avevano adito con ricorso monitorio il Giudice del Lavoro del Tribunale di Caltanissetta che si era dichiarato incompetente trattandosi di materia disciplinata dall'art. 52 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Chiedevano, quindi, il pagamento delle somme spettanti ed a sostegno della domanda producevano buste paga e modelli CUD. Tanto premesso, il Tribunale rileva che la decisione sulla istanza dei ricorrenti presuppone in via pregiudiziale la soluzione della questione relativa alla eventuale illegittimita' costituzionale dell'art. 1 commi 198 e ss. della legge 24 dicembre 2012, n. 228, nella parte in cui non prevede che tra i titolari di crediti ammessi alla speciale procedura ivi prevista siano ricompresi i creditori privilegiati, ed in particolare i lavoratori dipendenti. Preliminarmente Collegio rileva l'inapplicabilita' nella vicenda in esame del disposto di cui all'art. 52 del d.lgs. n. 159/2011, in quanto la proposta relativa all'applicazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale nei confronti di A. e V. e' stata depositata il 15 aprile 2011, e quindi in epoca precedente alla entrata in vigore del c.d. Codice antimafia, sicche', in applicazione della disposizione transitoria di cui all'art. 117 del d.lgs. n. 159/2011, alla procedura in questione vanno applicate le norme previgenti e segnatamente gli artt. 2 e ss. della legge n. 575/1975 e succ. mod. Tanto premesso, osserva il Collegio che la istanza formulata dai ricorrenti concerne la questione relativa alla tutela dei creditori privilegiati del proposto. Non sfugge al Tribunale che la Corte Costituzionale in vicenda analoga (vedasi sentenza n. 190/1994) ebbe ad affermare che «la questione di costituzionalita' sollevata denunciando l'assenza di strumenti di tutela giurisdizionale che, in caso di confisca a favore dello Stato di beni dell'indiziato mafioso, consentano ai creditori - per titoli anteriori al procedimento di prevenzione e per la parte di crediti che non trovino capienza sugli altri beni del prevenuto - di conservare sui beni confiscati la garanzia patrimoniale dei loro crediti, mira ad una pronuncia additiva cui non corrisponde una soluzione obbligata, ma una pluralita' di possibili interventi variamente articolati, vuoi sul piano strettamente processuale (concedendo ai creditori di agire nell'ambito del procedimento di prevenzione e/o della procedura fallimentare), vuoi sul piano sostanziale (rendendo la confisca inopponibile ai creditori ovvero contrapponendo ad essa altri fatti giuridici), onde il risultato additivo richiesto esula dal potere decisorio della Corte, implicando discrezionalita' legislativa.». Si deve osservare, tuttavia, che il quadro normativo si e' profondamente modificato a seguito della entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011 e della legge n. 228/2012. E' importante sottolineare che la giurisprudenza della Suprema Corte, che questo Tribunale ritiene di condividere, ha affermato che «se (...) lo scopo della misura di prevenzione (...) e' la recisione dei legami che avvincono l'impresa all'associazione mafiosa e l'eliminazione degli elementi inquinanti, il ripristino integrale della legalita' va perseguito tenendo conto delle esigenze di continuita' dell'impresa e, quindi, la necessita' di assicurare i contratti di fornitura etc., di portare a termine gli investimenti programmati, con il riconoscimento dei debiti contratti dal proposto» (Cass., Sez. VI, n. 862 del 21 febbraio 2000). In senso analogo, la giurisprudenza di merito ha riconosciuto che nel caso in cui l'oggetto della confisca sia un intero patrimonio aziendale, debbano applicarsi le disposizioni di cui agli artt. 2558 e 2560 c.c. disciplinanti, rispettivamente, la successione dell'acquirente nei rapporti giuridici pendenti e nelle passivita' dell'azienda ceduta (vedasi Tribunale di Palermo 30 settembre 2008). Appare evidente, tenuto anche conto della questione sottoposta alla Corte Costituzionale nella menzionata decisione del 1994, che lo sforzo interpretativo e' sempre stato rivolto alla ricerca dello strumento processuale che consenta di tutelate le ragioni dei creditori in uno alla esigenza statuale di sottrarre alla criminalita' la ricchezza illecitamente percepita e di bloccare i canali di approvvigionamento della stessa. Le sopra descritte esigenze sono state prese in considerazione negli artt. 52 e ss. del d.lgs. n. 159/2011, che disciplinano una speciale procedura di tutela dei creditori in buona fede, applicabile ai procedimenti sorti dopo la sua entrata in vigore. Segnatamente l'art. 52 ha espressamente stabilito che «la confisca non pregiudica i diritti di credito di terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro nonche' i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro purche' ricorrano le seguenti condizioni: che l'escussione del restante patrimonio del proposto sia risultata insufficiente al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione sui beni sequestrati; che il credito non sia strumentale all'attivita' illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di aver ignorato in buona fede il nesso di strumentalita'; nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il rapporto fondamentale; nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rapporto fondamentale e quello che ne legittima il possesso». L'art. 1 della successiva legge n. 228/2012 (legge di stabilita' 2013), in relazione ai procedimenti gia' pendenti alla data di entrata in vigore del c.d. Codice antimafia, al comma 198 stabilisce che i creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni di cui al comma 194 anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione, sono soddisfatti nei limiti e con le modalita' di cui ai commi da 194 a 206. Allo stesso modo sono soddisfatti i creditori che: a) prima della trascrizione del sequestro di prevenzione hanno trascritto un pignoramento sul bene; b) alla data di entrata in vigore della medesima legge sono intervenuti nell'esecuzione iniziata con il pignoramento di cui alla lettera a). Inoltre il comma 199 stabilisce che entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge, i titolari dei crediti di cui al comma 198 devono, a pena di decadenza, proporre domanda di ammissione del credito, ai sensi dell'art. 58 comma 2 del d.lgs. n. 159/2011, al giudice dell'esecuzione presso il Tribunale che ha disposto la confisca. Il successivo comma 200 statuisce che il Giudice, accertata la sussistenza e l'ammontare del credito nonche' la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 52 del d.lgs. n. 159/2011, lo ammette al pagamento, dandone immediata comunicazione all'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata. In punto di rito, la disciplina applicabile e' quella di cui all'art. 666 commi 2, 3, 4, 5, 6, 8 e 9 del codice di procedura penale. Sulla questione, si rammenta, vi e' gia' stato un importante arresto giurisprudenziale (Cass. Sez. Un. Civ n. 10532/2013) che ha offerto all'interprete un significativo inquadramento della complessa problematica concernente la ricostruzione del quadro normativo e degli orientamenti giurisprudenziali sulla tutela offerta ai terzi coinvolti dalla confisca di prevenzione. In particolare con la cennata decisione il Supremo Collegio ha avuto modo di sottolineare che la legge 24 dicembre 2012, ai commi 194-205, ha dettato una disciplina tendenzialmente organica volta a regolare i rapporti tra creditori ipotecari e pignoranti e Stato, con riferimento alle procedure di confisca non soggette alla disciplina del c.d. Codice antimafia, entrato in vigore il 13 ottobre 2011. Come ha evidenziato la Suprema Corte, la nuova legge stabilisce che, se alla data del 1° gennaio 2013 i beni oggetto della procedura di prevenzione sono gia' stati confiscati, ma non ancora aggiudicati: 1) nessuna azione esecutiva potra' essere iniziata o proseguita sui beni confiscati; 2) i pesi e gli oneri iscritti o trascritti prima della confisca si estinguono; 3) i creditori ipotecari, pignoranti od intervenuti nell'esecuzione potranno far valere le proprie ragioni nei confronti dell'Agenzia, ma solo a condizione che l'iscrizione dell'ipoteca, la trascrizione del pignoramento o l'intervento nel processo esecutivo siano avvenuti prima della trascrizione del sequestro di prevenzione. L'art. 1 comma 198 della legge n. 228 del 2012 amplia, dunque, la platea dei soggetti legittimati all'azione (in precedenza individuati nei soli titolari di diritti reali di garanzia con titolo trascritto prima del sequestro), ricomprendendovi: 1) i creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione; 2) i creditori che prima della trascrizione del sequestro di prevenzione hanno trascritto un pignoramento sul bene; 3) i creditori che, alla data del 1° gennaio 2013 (entrata in vigore della legge), sono intervenuti nell'esecuzione iniziata con il pignoramento indicato sub 2). Tra i soggetti legittimati all'azione non sono pero' ricompresi, in forza della normativa in esame, i titolari di crediti privilegiati che non siano anche ipotecari, pignoranti od intervenuti nell'esecuzione. Cio' a differenza di quanto prevede il c.d. Codice antimafia per i procedimenti iniziati successivamente alla sua entrata in vigore. La questione sottoposta alla delibazione di questo Collegio consiste nell'individuare il meccanismo di tutela eventualmente utilizzabile per i diritti di credito vantati dei lavoratori dell'azienda sottoposta a confisca di prevenzione che chiedano il pagamento del TFR, non potendosi ricorrere alla procedura di cui all'art. 52 del d.lgs. n. 159/2011 perche' applicabile soltanto ai procedimenti instauratisi successivamente all'entrata in vigore del c.d. Codice antimafia, e neppure alla disciplina di cui all'art. 1 commi 198 e ss. della legge n. 228/2012 giacche' gli istanti non rientrano tra le categorie di creditori prese in considerazione da tale intervento legislativo. Il Collegio ritiene che la decisione sulle istanze dei ricorrenti presupponga la soluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 commi 198 e ss. della legge n. 228/2012 per violazione degli artt. 3, 24, e 36 della Costituzione nella parte in cui la norma censurata non prevede che possano accedere alla procedura ivi disciplinata i creditori privilegiati, e segnatamente i lavoratori dipendenti, che non siano anche ipotecari, pignoranti od intervenuti nell'esecuzione. La questione a parere del Collegio e' ammissibile perche', stante la inapplicabilita' alla vicenda in esame, della disciplina di cui all'art. 52 del d.lgs. n. 159/2911 e di quella delineata dalla legge n. 228/2012, si puo' fare ricorso soltanto alla normativa di cui agli artt. 2-ter e ss. della legge n. 575/1965, che non regola compiutamente i rapporti tra Stato e terzi rispetto all'adozione di un provvedimento di confisca, cosi' da consentire ai creditori de quibus di fruire di adeguati strumenti di tutela. La questione e' rilevante in quanto una eventuale dichiarazione di incostituzionalita' consentirebbe al Tribunale di attivare il procedimento disciplinato dalla legge n. 228/2012 per la tutela dei suesposti diritti di credito. Il presente procedimento non puo' quindi essere definito indipendentemente dalla risoluzione della predetta questione di legittimita' costituzionale. La questione e' da ritenersi, inoltre, non manifestamente infondata in relazione all'art. 3 della Costituzione per irragionevole disparita' di trattamento normativo di situazioni analoghe, assumendo anche come metro di paragone l'attuale testo dell'art. 52 del d.lgs. n. 159/2011, che ha apprestato un organico sistema di tutela delle ragioni di tutti i creditori, compresi i creditori privilegiati, e segnatamente i lavoratori dipendenti, i quali non siano anche ipotecari, pignoranti od intervenuti nell'esecuzione. Osserva il Collegio che il principio dell'eguale dignita' sociale dei cittadini si persegue non solo attraverso l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma, in quanto clausola generale che si oppone all'istituzione di regimi privilegiati, anche con l'obbligo di rimuovere gli ostacoli che in concreto impediscono a determinate categorie di cittadini l'effettivo godimento dei loro diritti. In via generale, quindi, l'attuazione del principio di uguaglianza si esplica sia attraverso la previsione di norme che non introducano arbitrarie distinzioni tra situazioni analoghe sia con norme che non disciplinino in modo conforme situazioni del tutto differenti. Sotto tale profilo, pertanto, oltre al principio di eguaglianza si e' affermato anche quello di ragionevolezza: il Giudice delle leggi, infatti, proprio al fine di analizzare la razionalita' della normativa impugnata ha in varie pronunce valutato la sia la coerenza intrinseca della norma censurata sia quella esterna rispetto all'insieme dell'ordinamento. Le valutazioni di legittimita' costituzionale concernenti il rispetto del principio di eguaglianza hanno comportato, quindi, un confronto tra la normativa impugnata e una o piu' discipline analoghe, al fine di accettare se le scelte normative differenti fossero cosi' poco ragionevoli da doversi ritenere costituzionalmente illegittime. Si e' ritenuto, inoltre, che il canone della ragionevolezza sia espressione della esigenza di una coerenza interna dell'ordinamento giuridico, con la conseguenza che l'esame della disciplina positiva deve essere condotto alla luce della ratio legis, assunta, da una parte, in relazione all'assetto normativo nel suo complesso e, dall'altra, in rapporto al proprio specifico contesto applicativo. Per queste ragioni, qualora si riscontri una contraddizione tra le diverse prescrizioni normative all'interno di un medesimo testo, oppure qualora sia ravvisabile un'antinomia tra la disposizione impugnata e il particolare settore dell'ordinamento nel quale la disciplina si colloca, puo' ravvisarsi una violazione del precetto costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza e logicita'. Tali principi di razionalita' e coerenza interna della normativa sono stati richiamati dalla Corte Costituzionale nelle sentenza n. 253/2004 e n. 143/2005 nonche' nella recente sentenza n. 291/2013 con le quali sono state accolte le censure di costituzionalita' sollevate dai Tribunali remittenti proprio sul principio della irragionevole disparita' di trattamento di situazioni analoghe. Una siffatta disparita' di trattamento e' certamente riscontrabile nel caso di specie, giacche' l'art. 1 comma 198 della legge n. 228 del 2012, nell'ampliare la platea dei soggetti legittimati alla tutela giurisdizionale (in precedenza individuati nei soli titolari di diritti reali di garanzia con titolo trascritto prima del sequestro), vi ha ricompreso soltanto i creditori ipotecari, pignoranti od intervenuti nell'esecuzione, e non anche i creditori privilegiati (come i lavoratori dipendenti) privi delle suddette qualifiche, benche' tale categoria di soggetti sia stata riconosciuta meritevole di tutela dal c.d. Codice antimafia in relazione ai procedimenti iniziati successivamente alla sua entrata in vigore. Va anche rilevato che ai sensi dell'art. 2745 c.c. il privilegio e' accordato dalla legge a determinate categorie di crediti che in via generale si reputano maggiormente meritevoli di tutela in considerazione della loro rilevanza sociale o giuridica. Va osservato inoltre che la Corte Costituzionale in relazione alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 54 comma 3 della legge fallimentare previgente aveva ritenuto la irragionevole disparita' di trattamento tra creditori ipotecari e crediti da lavoro dipendente (Corte Cost. n. 204 del 20 aprile 1989). La censura di incostituzionalita' va valutata anche in relazione all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, atteso che la sopra menzionata disparita' di trattamento costituisce, senza dubbio, un vulnus del diritto di difesa dei creditori privilegiati non ipotecari, pignoranti od intervenuti nell'esecuzione, ai quali non viene offerta alcuna possibilita' di dimostrare il proprio affidamento incolpevole sulla regolarita' del rapporto di lavoro, rispetto alle predette altre categorie di creditori. L'art. 24 della Costituzione sancisce il diritto alla tutela giurisdizionale che la Corte ha gia' annoverato tra quelli inviolabili dell'uomo ex art. 2 della Costituzione (sentenza n. 98/1965), da ascrivere nel novero dei «principi supremi dell'ordinamento costituzionale». Occorre quindi garantire che gli strumenti processuali previsti dall'ordinamento per la tutela in giudizio dei diritti siano concretamente idonei a garantire l'effettivita' del diritto di difesa (Cfr. Corte con n. 20/2009; n. 182/2008; nn. 180-181-182, 282/2007 e n. 419/2000). Invero la previsione normativa in esame, che introduce un irragionevole disparita' di trattamento con altre categorie di creditori, costituisce un ostacolo all'effettivo accesso alla tutela giurisdizionale. Si evidenzia anche il contrasto con l'art. 36 della Costituzione in quanto viene violato il principio costituzionalmente sancito del diritto alla retribuzione per ogni prestazione lavorativa. Secondo le interpretazioni prevalenti il diritto alla retribuzione, siccome disciplinato dalla sopra indicata norma, non va inteso solo ed esclusivamente quale diritto al corrispettivo, dandosi pure rilievo alla circostanza che esso e' strumento per la realizzazione di ulteriori finalita' di giustizia sociale e solidarieta' che sono a loro volta espressione dei principi espressi dalla Carta Costituzionale (in particolare dagli artt. 3 e 4 Costituzione). Secondo la giurisprudenza di legittimita' che ha affrontato la questione, il diritto alla retribuzione, pertanto, non va collocato esclusivamente nell'ambito civilistico, essendo attinente alla liberta' e dignita' del lavoratore e piu' in generale alla funzione dallo stesso rivestita nell'ambito sociale (vedasi Cass. Civ. Sa. Un. n. 2183/1984). Invero si osserva che la Corte Costituzionale gia' con la sentenza n. 106/1962 ha affermato che «le norme contenute, ad esempio, nell'art. 3, secondo comma, nell'art. 35, primo, secondo e terzo comma, nell'art. 36, e nell'art. 37 della Costituzione, le quali - al fine di tutelare la dignita' personale del lavoratore e il lavoro in qualsiasi forma e da chiunque prestato e di garantire al lavoratore una retribuzione sufficiente ad assicurare una vita libera e dignitosa - non soltanto consentono, ma insieme impongono al legislatore di emanare norme che, direttamente o mediatamente, incidono nel campo dei rapporti di lavoro: tanto piu' facilmente quanto piu' ampia e' la nozione che la societa' contemporanea si e' costruita dei rapporti di lavoro e che la Costituzione e la legislazione hanno accolta». Sul punto si rammenta come, secondo l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, l'art. 36 della Costituzione sia norma di carattere precettivo, inderogabilmente applicabile a tutti i rapporti di lavoro. In tale senso la giurisprudenza di legittimita' e di merito ha affermato che il portato della suddetta norma sono i principi di proporzionalita' e sufficienza della retribuzione, con la ulteriore conseguenza della inderogabilita' della disposizione costituzionale, sicche' la eventuale accettazione da parte del lavoratore di una retribuzione priva dei suddetti requisiti non gli impedirebbe di adire l'autorita' giudiziaria al fine di ottenere l'adeguamento della retribuzione (Cass. n. 4503/1987). E' poi pacifico in giurisprudenza il carattere retributivo e sinallagmatico del trattamento di fine rapporto che costituisce istituto di retribuzione differita. Cio' posto, si deve rilevare che la mancata estensione della procedura di riconoscimento del credito per il TFR, vantato dal lavoratore, laddove l'azienda sia stata confiscata, comporta una grave lesione del diritto alla retribuzione, e che le finalita' di sicurezza pubblica sottese alla procedura di prevenzione patrimoniale non possono certamente tradursi nella ingiustificata compressione di un siffatto diritto gia' maturato e costituzionalmente garantito. Ricorrono quindi tutti i presupposti per sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 commi 198-206 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, per violazione degli artt. 3, 24, e 36 della Costituzione, nella parte in cui non prevede, tra i soggetti che possono presentare domanda di ammissione del credito, ai sensi dell'articolo 58, comma 2 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, i creditori privilegiati (ed in particolare i lavoratori dipendenti) che non siano muniti di ipoteca iscritta sui beni di cui al comma 194 anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione, non abbiano trascritto un pignoramento sul bene prima della trascrizione del sequestro di prevenzione, e non siano intervenuti nell'esecuzione iniziata con il predetto pignoramento prima della data di entrata in vigore della medesima legge. Va altresi' rilevato che, nell'attuale quadro normativo, all'eventuale accoglimento della suddetta questione di costituzionalita' corrisponderebbe una soluzione obbligata, consistente nell'estensione dell'ambito soggettivo di operativita' dell'art. 1 commi 198-206 della legge 24 dicembre 2012, n. 228. La decisione sulle predette istanze va pertanto sospesa in attesa della decisione della Corte Costituzionale.
P. Q. M. Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 commi 198-206 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, per violazione degli artt. 3, 24, e 36 della Costituzione, nella parte in cui non prevede, tra i soggetti che possono presentare domanda di ammissione del credito, ai sensi dell'articolo 58 comma 2 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, i creditori privilegiati (ed in particolare i lavoratori dipendenti) che non siano muniti di ipoteca iscritta sui beni di cui al comma 194 anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione, non abbiano trascritto un pignoramento sul bene prima della trascrizione del sequestro di prevenzione, e non siano intervenuti nell'esecuzione iniziata con il predetto pignoramento prima della data di entrata in vigore della medesima legge. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Sospende la decisione sul ricorso dei sopra indicati soggetti sino all'esito del giudizio di costituzionalita'. Dispone la notifica della presente ordinanza: al Pubblico Ministero; ai ricorrenti ed al loro difensore; al Presidente del consiglio dei Ministri. Dispone che la medesima ordinanza sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. Caltanissetta, addi' 5 marzo 2014 Il Presidente: Balsamo Il giudice relatore: Leone