N. 154 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 aprile 2014

Ordinanza del 16 aprile  2014  emessa  dal  Consiglio  di  Stato  sul
ricorso proposto da Marino Pasquale ed altri contro la Presidenza del
Consiglio dei ministri ed altri. 
 
Impiego  pubblico  -  Abrogazione  dell'art.  17-bis  del  d.lgs.  n.
  165/2001 con il quale era stata istituita, previa mediazione  della
  contrattazione  collettiva,  la  Vice-dirigenza  -  Violazione  del
  principio di certezza del diritto -  Violazione  del  principio  di
  tutela giurisdizionale - Lesione del principio  di  buon  andamento
  della  pubblica   amministrazione   -   Interferenza   sul   potere
  giurisdizionale per l'adozione di legge provvedimento  per  eludere
  pronunce  giurisdizionali  passate  in  giudicato  -  Lesione   dei
  principi   del   giusto   processo   -   Violazione   di   obblighi
  internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art.  5,  comma  13,  abrogativo
  dell'art. 17-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 102, primo  comma,  103,  primo
  comma, 111,  commi  primo  e  secondo,  113  e  117,  primo  comma;
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali, art. 6; Primo Protocollo  addizionale  della
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali, art. 1. 
(GU n.40 del 24-9-2014 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
              in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 4211 del 2013, proposto da: 
        Pasquale Marino, Maria Rosaria Pettinicchi,  Arabella  Fazio,
Antonino Fazio, Desiderata  Fazio,  Lidia  Ciraolo,  Sandra  Casella,
Umberto Valboa, Nicola Pizzillo, Daniela  Santamaria,  Silvana  Rosa,
Antonietta Silvestri, Adriana Mulfetti, Alberto Di Cicco,  Alessandra
Contento,  Vittorio  Girgenti,  Lucia  Zangaraci,  Vincenzo   Capone,
Girolama Piatto, Daniela Rossetti, Maria  Vitalba,  Marina  Gallotta,
Maria Antonietta Quarto,  Fiorella  Russo,  Giovanni  Verazzo,  Luisa
Petrarca, Francesco Vocile, Rosaria  Monaco,  Digna  Masarone,  Maria
Stella Castronovo, Anna Occhipinti, Mariangela Lodato,  Luisa  Drago,
Giuseppa Luisa Immesi,  Angela  Lanza,  Flavio  Gebbia,  Maria  Piera
Monteverde, Giuseppe Milone, Giuseppe Piazza, Maurizio Petitto, Paola
Maggialetti, Orazio Guagliano, Daniela  Bonfiglio,  Francesco  Leone,
Giuseppe Cammilleri, Carmela Marchese, Daniela Bordo, Renato  Alberto
Villa,  Cristina  Lanfrit,  Elena   Merciari,   Antonella   Perrazzi,
Francesca Marina Mangraviti, Rosanna  Sacchi,  Stefania  Di  Martino,
Maria Concetta Facella, Giusi Concas, Mirella Maria Grande,  Giuseppe
Piccolo, Rosalia Di Giacinto,  Immacolata  Cangero,  Antonio  Romano,
Catia  Di  Stasio,  Luca  Montefusco,  Francesco  Petrosino,  Stefano
Cucurachi, Vincenzo  Giglio,  Paola  Pirro,  Anna  Luce  De  Matteis,
Giuseppe De Matteis, Bianca Aurora Bottari, Anna Di Lorenzo, Domenico
Maurizio, Simona  Benvenuto,  Alessandra  Lulini,  Irina  Giacomelli,
Liliana Bassignana, Giuseppina Giuliana Di  Palma,  Flavia  Maronese,
Silvia Palmano, Alessandra  Memo,  Beatrice  Fogolari,  Maria  Nesca,
Sebastiano Aliffi, Claudio Cavarra, Salvatore Corso, Raffaele Golino,
Carmela  Mazzullo,  Enzo  Piccione,  Michelangelo  Pappalardo,  Velia
Zappala', Renato Chinigo', Carmela Perricone,  Gaetano  Roggio,  Rosa
Dipasquale, Giuseppina Campisi,  Liliana  Lobello,  Antonina  Rubera,
Vita  Maria  Brugnone,  Patrizia  Degano,  Manuela  Bettoli,  Mirella
Palmarese, Maria Capellupo,  Daniela  Ciancio,  Paola  Ruocco,  Maria
Loredana  Nipote,  Floriana  Orofino,  Claudio   Domenico   Chirizzi,
Gianluigi Nenna, Claudia Corso, Giuliana D'Auria,  Paolo  Capobianco,
Patrizia De Nunzio, Angelo Biancolilli, Aurelia Biancolilli, Pasquale
Ianniello, Vincenzo  Bianco,  Sandra  Sarni,  Luigi  Alfonso,  Angela
Pittalis, Giuseppe Angelo  Manca,  Daniela  Cesaraccio,  Paolo  Bonu,
Paolo  Serra,  Antonio  Placenza,  Vincenzo  Romano,  Gaspare  Ferro,
Giuseppe  Lombardo,  Tindaro   Salmeri,   Santo   Caldarera,   Felice
Cicciarella, Maria Letizia Raineri, Fausta  Bellagamba,  Maria  Laura
Rodino',  Eleonora  Da  Re,  Silvia  Callucci,  Rita  Ventola,  Maria
Macchia, Giuliana Andreozzi, Aliffi  Maria,  rappresentati  e  difesi
dall'avv. Flavio Maria Polito, con  domicilio  eletto  presso  Flavio
Maria Polito in Roma, via Nino Oxilia, 21; 
 
                               Contro 
 
    Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministro per  la  pubblica
amministrazione e  l'innovazione,  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, Ministro per la pubblica amministrazione e le riforme,  Capo
pro tempore del Dipartimento per gli affari giuridici  e  legislativi
presso la Presidenza del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona  dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e  difesi
dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, ope legis,
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio - Roma: Sezione  I
n. 09220/2012, resa tra le parti, concernente  ottemperanza  sentenza
n.  4266/2007   T.A.R.   Lazio   sezione   I   -   silenzio   serbato
dall'amministrazione su procedure concorsuali. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, del Ministro per la pubblica  amministrazione
e l'innovazione, del Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  del
Ministro per la pubblica amministrazione e le Riforme e del Capo  pro
tempore del Dipartimento  per  gli  affari  giuridici  e  legislativi
presso la Presidenza del Consiglio dei ministri; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2013 il
Cons. Nicola Russo e  uditi  per  le  parti  gli  avvocati  Polito  e
l'Avvocato dello Stato Andrea Fedeli; 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. 
    Marino   Pasquale   ed   altri   371    funzionari,    dipendenti
dell'Amministrazione della giustizia, nel 2007  presentarono  ricorso
ex art. 21-bis innanzi al T.A.R. del Lazio, contro la Presidenza  del
consiglio dei ministri, il Ministero dell'economia e delle finanze ed
il dipartimento della funzione pubblica. 
    Impugnarono, cosi', i1 silenzio serbato dalle Autorita' sull'atto
di diffida notificato dagli stessi ricorrenti il 20 luglio 2006,  con
il quale essi sollecitavano l'emanazione della direttiva contrattuale
prevista dall'art. 10, III comma, della legge 15 luglio 2002, n. 145,
per l'istruzione dell'area della vicedirigenza. 
    Stabiliva  invero  il  ripetuto  art.  10,  III  comma,  che  «la
disciplina relativa alle disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo
7, che si applicano a decorrere dal periodo contrattuale successivo a
quello in corso alla data di entrata in vigore della presente  legge,
resta affidata alla contrattazione collettiva», e cio' «sulla base di
atti d'indirizzo del Ministro per la  funzione  pubblica  all'Agenzia
per  la  rappresentanza  negoziale  delle  pubbliche  amministrazioni
(ARAN) anche per la parte relativa all'importo massimo delle  risorse
finanziarie da destinarvi». 
    A sua volta, l'art. 7, III comma, aveva  introdotto  l'art.17-bis
del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il quale (nel testo poi  modificato
dall'art. 14-octies, d.l. 30 giugno 2005, n. 115),  disponeva,  al  I
comma, che  «La  contrattazione  collettiva  del  comparto  Ministeri
disciplina  l'Istituzione  di   un'apposita   separata   area   della
vicedirigenza  nella  quale  e'  ricompreso  il  personale   laureato
appartenente  alle  posizioni   C2   e   C3,   che   abbia   maturato
complessivamente cinque anni di anzianita' in dette posizioni o nelle
corrispettive qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento». 
    Il ricorso avverso il silenzio venne accolto con la  sentenza  10
maggio 2007, n. 4266, la quale ordino' conclusivamente al  Presidente
del consiglio dei ministri, al ministro per la funzione  pubblica  ed
al ministro dell'economia e delle finanze, ciascuno per la  parte  di
competenza, «di esercitare le proprie attribuzioni per riscontrare in
via definitiva l'istanza di parte ed il conseguente atto di messa  in
mora entro il termine di sei mesi decorrente dalla data  di  notifica
ad esse della presente sentenza, che  avverra'  a  cura  della  parte
ricorrente». 
    La sentenza fu depositata nel maggio 2007 e passo' in  giudicato,
ma non  vi  fu  mai  prestata  osservanza,  sicche'  gli  interessati
presentarono un'istanza, depositata il 26 luglio 2011, per la nomina,
ex art. 117,  III  comma,  c.p.a.  di  un  commissario  ad  acta  che
provvedesse, in luogo delle Amministrazioni inerti, agli  adempimenti
discendenti dalla sentenza stessa. 
    A conclusione di una fase interlocutoria,  persistendo  l'inerzia
dell'Amministrazione, fu emessa dalla Sezione I del T.A.R.  Lazio  la
sentenza 16 maggio 2012, n. 4391, in cui, riassunta l'intera vicenda,
si e' rilevato come, per dare attuazione  alla  sentenza  n.  4266/07
della Sezione, dovesse essere esercitato - con specifico  riferimento
al personale del Ministero della giustizia, questo essendo il  limite
soggettivo del giudicato -  il  potere  di  indirizzo  nei  confronti
dell'A.R.A.N; potere appartenente, come settore,  al  Presidente  del
Consiglio  dei  Ministri  tramite  il  Ministro   per   la   pubblica
amministrazione  e  l'innovazione  (gia'  Ministro  per  la  funzione
pubblica), di concerto con il Ministro dell'economia e delle  finanze
(art. 41, III comma, d. lgs. n. 165/01, nel testo vigente). 
    Cosi', per dare pieno  adempimento  alle  prescrizioni  contenute
nella sentenza 10 maggio 2007, n. 4266, e' stato nominato commissario
ad acta il capo pro tempore del Dipartimento per gli affari giuridici
e legislativi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. 
    Il commissario  nominato  ha  in  seguito  trasmesso  al  giudice
dell'esecuzione la nota 12 settembre 2012, in cui si fa presente «che
l'articolo 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012,  n.  95,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,  n.  135,  ha  disposto
l'abrogazione dell'articolo 17-bis del D.Lgs. n.  165  del  30  marzo
2001, che aveva previsto l'istituzione, previa  la  mediazione  della
contrattazione collettiva, della vicedirigenza». 
    Pertanto,  prosegue  la  nota,  «ritengo  sia  venuta  meno  ogni
attivita' da espletare in ottemperanza  alla  predetta  sentenza.  In
ogni caso, sono gradite le istruzioni che codesto Tribunale, ai sensi
dell'art. 117, co. 4, del  D.Lgs.  2  luglio  2010,  n.  104,  vorra'
fornire in ordine alla eventuale prosecuzione dell'incarico di questo
commissario ad acta». 
    La prima sezione del T.A.R. Lazio, con la sentenza n.  9220/2012,
condividendo  le  conclusioni  del  commissario,   dichiara   cessato
l'incarico   commissariale   ed   improcedibile   il   giudizio    di
ottemperanza, per sopravvenuta carenza d'interesse. 
    Il ricorso di primo grado  sollevava  questioni  di  legittimita'
costituzionale e comunitaria della disciplina legislativa. 
    Il T.A.R. adito, con la sentenza  in  epigrafe,  ha  respinto  le
censure  di  incostituzionalita',  statuendo  che:   «E'   d'altronde
manifestamente  infondata,  almeno  con   riferimento   al   presente
giudizio, la questione di costituzionalita' posta dai ricorrenti  con
riferimento al citato art. 5, XIII comma, del d.1. 6 luglio 2012,  n.
95. Invero, la Corte ha giudicato incostituzionali tali le norme  che
travolgano provvedimenti giurisdizionali definitivi ed  incidano  sui
regolamenti   dei   rapporti   in   essi   consacrati   (cfr.   Corte
costituzionale 7 novembre 2007, n. 364): ma, come gia' osservato,  la
sentenza 4266/07 di questa Sezione aveva soltanto stabilito l'obbligo
di avviare la procedura per l'introduzione della  vicedirigenza,  che
era pero' ben lungi dall'essere  stata  concretamente  introdotta,  e
tanto meno attribuita ai ricorrenti quando e'  intervenuta  la  norma
che ha abrogato tale qualifica: sicche' tra questa e  quella  non  si
puo' ravvisare un effettivo conflitto». 
    Quest'ultima pronuncia e' oggetto di gravarne  innanzi  a  questo
Consiglio di Stato. 
    Gli  appellanti   lamentano   la   sospetta   incostituzionalita'
dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135,  che  ha  disposto
l'abrogazione dell'articolo 17-bis del D.Lgs. n.  165  del  30  marzo
2001, con riferimento agli artt. 24, 102, 103, 111 e 117 Cost. 
    In particolare, ad avviso degli odierni appellanti,  la  dinamica
temporale  dell'intervento  legislativo   dimostra   chiaramente   la
volonta' di eludere il dettato di una sentenza  oramai  divenuta  res
iudicata, determinando, quindi, un intollerabile sovrapposizione  del
potere normativo sul potere giudiziario ed una ingiusta  compressione
di  un  diritto  irretrattabilmente  quesito  dalla  parte  che   era
risultata vittoriosa nei precedenti giudizi. 
    Si sono costituite in giudizio le amministrazioni,  rappresentate
e difese dall'Avvocatura Generale dello Stato, che  ha  concluso  per
l'infondatezza dell'appello e delle  questioni  di  costituzionalita'
con il medesimo dispiegate. La difesa erariale, ricostruito il quadro
storico della normativa, rappresenta che  l'intento  del  legislatore
non era quello di eludere un giudicato formatosi tra le parti, ma  di
introdurre misure volte  a  garantire  il  contenimento  della  spesa
pubblica. 
    Ad  avviso  delle  amministrazioni  appellate,  quindi,  come  da
consolidata giurisprudenza costituzionale, la garanzia di tenuta  dei
conti pubblici,  secondo  obiettivi  e  finalita'  sia  di  rilevanza
costituzionale che comunitaria, costituisce un «motivo imperativo  di
interesse generale», ai sensi dell'art. 6 CEDU. 
    Questo  Collegio,  tuttavia,  ravvisa  dubbi   in   ordine   alla
legittimita' costituzionale dell'articolo 5, comma  13,  del  D.L.  6
luglio 2012, n. 95, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  7
agosto 2012, n. 135 e quindi - riservata ogni  ulteriore  statuizione
sul merito e sul regolamento delle spese processuali del  giudizio  -
ritiene di dover sospendere il giudizio e  disporre  la  trasmissione
degli atti del processo alla Corte costituzionale. 
    Prima di illustrare le ragioni della ravvisata rilevanza e  della
ritenuta non manifesta infondatezza della questione  che  si  intende
sottoporre al vaglio  di  legittimita'  della  Corte  costituzionale,
giova  ricordare  che  il  testo   della   disposizione   legislativa
(abrogativa) attorno alla quale  si  addensano  le  perplessita'  del
Collegio si inserisce nell'ottica  della  riduzione  di  spesa  della
pubblica amministrazione  (c.d.  spending  review).  Sulla  rilevanza
della questione di legittimita' costituzionale. 
    Il  Collegio   ritiene   che   la   questione   di   legittimita'
costituzionale, meglio dettagliata di seguito, sia rilevante ai  fini
del decidere. 
    Si e' difatti riferito, nella superiore narrativa del fatto,  che
a seguito dell'intervento abrogativo del Legislatore,  il  T.A.R.  ha
ritenuto  improcedibile  il   giudizio   di   ottemperanza   relativo
all'esecuzione  della  sentenza  10  maggio  2007,   n.   4266,   per
sopravvenuta carenza di interesse. Da cio' consegue che,  laddove  la
Corte costituzionale non dovesse condividere le perplessita'  nutrite
da questo Consiglio in ordine all'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio
2012, n. 95, allora la controversia dovrebbe essere decisa in maniera
conforme a quanto stabilito dal giudice di prime cure. 
    Di contro, qualora la  Corte  costituzionale  dovesse  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma  13,  del  D.L.  6
luglio 2012, n. 95, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  7
agosto 2012, n. 135,  che  ha  disposto  l'abrogazione  dell'articolo
17-bis del D.Lgs. n. 165 del  30  marzo  2001,  allora  i  ricorrenti
risulterebbero soddisfatti dalla pronuncia di  questo  Consiglio,  il
quale  potrebbe  pronunciarsi  anche  sul  regolamento  delle   spese
processuali del giudizio. 
    Non v'e' dubbio, poi, che i ricorrenti, odierni appellanti, siano
titolari di un interesse  all'esatta  ottemperanza  alle  statuizioni
contenute  nell'originario  dictum  giurisdizionale  in   ordine   al
silenzio serbato dalla p.a., che comporterebbe evidenti riflessi  sul
patrimonio degli  stessi;  non  puo',  dunque,  dubitarsi  che  detto
interesse sia meritevole di tutela in sede giurisdizionale. 
    Sulla non manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale. 
    Al fine di chiarire le  ragioni  della  ravvisata  non  manifesta
infondatezza della questione di legittimita'  costituzionale  occorre
innanzitutto muovere dalla considerazione che  questo  Consiglio  non
condivide le ricostruzioni del quadro normativo svolte dal giudice di
prime cure. Ad avviso del Tribunale tale abrogazione non  si  sarebbe
sovrapposta ad un provvedimento giurisdizionale definitivo che incide
sul regolamento dei rapporti  tra  le  parti  in  causa  (id  est  la
sentenza n. 4266/07 dello stesso T.A.R. Lazio); inoltre  la  sentenza
n.  4266/07  avrebbe  soltanto  stabilito  l'obbligo  di  avviare  la
procedura per l'introduzione della vicedirigenza, che era  pero'  ben
lungi  dall'essere  stata  concretamente  introdotta,  e  tanto  meno
attribuita ai ricorrenti, quando  e'  intervenuta  la  norma  che  ha
abrogato tale qualifica: sicche' tra questa e quella non si  potrebbe
ravvisare un effettivo conflitto. 
    Ad avviso di  questo  Consiglio  le  argomentazioni  addotte  dal
Tribunale  a  sostegno  dei  riferiti  approdi   esegetici   non   e'
convincente.   Molti   dubbi   solleva   la   successione   temporale
dell'intervento  abrogativo,  chiaramente   diretta   a   paralizzare
l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 4266/07 sez. I
del T.a.r. Lazio. 
    Il giudice  di  prime  cure  non  ha  considerato  che  la  norma
soppressiva della vicedirigenza e' stata emanata  a  distanza  di  10
anni dall'introduzione dell'istituto, ad  opera  dell'art.  7,  comma
terzo, della L. n. 145 del 15 luglio 2002, ed a distanza  di  5  anni
dalla formazione del  giudicato;  e  che,  da  ultimo,  il  comma  13
dell'art. 5  e'  stato  emanato  solo  dopo  la  notificazione  della
sentenza del T.a.r. del Lazio.  Questo  quadro  temporale  l'asserita
urgente  soppressione  dell'istituto   della   vicedirigenza   appare
visibilmente   connessa,   con   un   legame   eziologico   di   tipo
causa-effetto, alla nomina del commissario ad acta. 
    L'intento elusivo  del  giudicato  e'  quindi  evidente  e  rende
obiettivo il dubbio che la disciplina legislativa  in  questione  sia
stata posta, con eccesso  di  potere  legislativo  e  con  violazione
dell'art. 101 Cost., non per regolare astrattamente  la  materia,  ma
per incidere sulle sorti del procedimento giurisdizionale in corso. 
    Il punto di approdo del ragionamento giuridico, inoltre, non puo'
concentrarsi  solo  sul  contenuto  conformativo  della  sentenza  da
eseguire,  ma  deve   tener   conto   anche   della   sovrapposizione
dell'intervento legislativo alla giurisdizione ed alla condizione  di
parita' tra le parti davanti al giudice imparziale. 
    Sui  motivi  che  inducono  questo  Consiglio  a  dubitare  della
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6  luglio
2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  7  agosto
2012, n. 135, valgano le seguenti considerazioni. 
    1. Non manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012,  n.  95
in relazione agli artt. 3, 111 e 117, Cost, con riferimento  all'art.
6, comma primo, della Convenzione Europea  per  la  salvaguardia  dei
Diritti dell'Uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU). 
    La disposizione della cui legittimita' costituzionale  si  dubita
ha vulnerato il diritto di difesa ed  il  principio  di  effettivita'
della  tutela  giurisdizionale.  Con  l'intervento  normativo  si  e'
vanificato il diritto di difesa dei  ricorrenti,  esercitato  con  la
proposizione  dell'azione  e   soddisfatto   con   le   pronunce   di
accoglimento delle domande,  nonche'  con  l'inizio  dell'esecuzione,
alterando la regolamentazione degli interessi stabilita  da  sentenze
esecutive. 
    Sotto un ulteriore profilo, l'art. 3 della  Costituzione  risulta
violato  in  quanto  le  leggi-provvedimento  sono  soggette  ad  uno
scrutinio stretto di legittimita' costituzionale e, nella specie,  la
scelta operata dal legislatore appare  irragionevole  ed  arbitraria,
dato che la legge-provvedimento ha finito per incidere su  un  numero
determinato e limitato di persone. 
    E'  d'uopo  ricordare  che  il  combinato  disposto  delle  norme
costituzionali,  e  delle  succitate  norme  interposte  di   matrice
comunitaria,  costituiscono  un  corpus  unico  ed  indivisibile  con
riferimento alla tutela delle ragioni del singolo. 
    Gia' in passato la Corte Cedu (cfr. Agrati ed  altri  c.  Italia,
sent. 7 giugno 2011) ha ritenuto contrastanti con l'art. 6 della CEDU
e con l'art. 1 del  protocollo  aggiuntivo  l'introduzione  da  parte
dello Stato Italiano di norme interpretative retroattive incidenti in
senso sfavorevole ai ricorrenti sui giudizi in corso. 
    In particolare l'Alta Corte ha sottolineato come «se, in linea di
principio, nulla vieta al  potere  legislativo  di  regolamentare  in
materia civile, con nuove  disposizioni  dalla  portata  retroattiva,
diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della  preminenza
del diritto e il concetto di processo equo  sanciti  dall'articolo  6
ostano, salvo che  per  imperative  ragioni  di  interesse  generale,
all'ingerenza  del  potere  legislativo  nell'amministrazione   della
giustizia  al  fine  di  influenzare  l'esito  giudiziario   di   una
controversia (sentenze Raffinerie greche Stran  e  Stratis  Andreadis
succitata, § 49, serie A n. 301-B; Zielinski e Pradal &  Gonzalez  ed
altri succitata, §57). La Corte rammenta inoltre che l'esigenza della
parita' delle armi implica l'obbligo di offire a ciascuna  parte  una
ragionevole  possibilita'  di  presentare  la  propria  causa   senza
trovarsi  in  una  situazione  di  netto  svantaggio  rispetto   alla
controparte (si vedano in particolare le sentenze Dombo Beheer B.  V.
c. Paesi Bassi del  27  ottobre  1993,  §  33,  serie  A  n.  274,  e
Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis, succitata, § 46)». 
    Nel caso de  quo  e'  incontestabile  il  contrasto  della  norma
nazionale, art. 5 comma 13 del D.l. n. 95/2012, con  1'art.  6  della
CEDU e con l'art. 1 del protocollo n. 1. Ed  invero,  la  norma,  nel
sopprimere retroattivamente ogni effetto prodotto  dal  giudicato  ha
influenzato   l'esito   del    giudizio,    privando,    nel    corso
dell'esecuzione, il commissario ad acta dei poteri  assegnatigli  dal
giudice amministrativo  e  finalizzati  all'attuazione  dei  precetti
contenuti nel giudicato, venendo  cosi'  a  violare  il  diritto  dei
ricorrenti assicurato dall'art. 6 della  CEDU  a  un  processo  equo,
ispirato alla parita' tra le parti ed alla preminenza del diritto. 
    L'esecuzione  completa  del  giudicato  costituisce  un   diritto
riconosciuto alla parte vittoriosa affinche' non ottenga,  dopo  anni
di battaglie giudiziarie, una soddisfazione inesistente e menomata. 
    E non v'e' nemmeno dubbio che i  ricorrenti  disponessero  di  un
bene suscettibile di essere tutelato dall'articolo 1  del  Protocollo
n. 1. E'  solo  il  caso  di  rammentare  che,  come  da  consolidata
giurisprudenza della Corte CEDU (cfr. Maurice  c.  Francia  [GC],  n.
11810/03, § 63, CEDU 2005 IX, il concetto di  «beni»,  infatti,  puo'
coprire tanto i «beni attuali» quanto le «legittime speranze»,  posto
che il riconoscimento abbia una base sufficiente nel diritto interno,
il che e' confermato da  una  giurisprudenza  ben  consolidata  degli
organi giudicanti. 
    Nel caso di specie siamo ben al di la' delle legittime  speranze,
perche' i ricorrenti, odierni appellanti, hanno diritto all'integrale
esecuzione della res iudicata. 
    Ad  avviso  del  Collegio,  la  norma  della   cui   legittimita'
costituzionale si tratta ha  comportato  un'ingerenza  nell'esercizio
dei diritti che i ricorrenti potevano far valere  in  virtu'  di  una
sentenza  passata  in  giudicato  e  della   quale   era   in   corso
l'esecuzione. 
    Per quanto esposto, la rilevata violazione delle nome  interposte
offre sicuro fondamento al sospetto di incostituzionalita'  dell'art.
5, comma tredici, del D.L. n. 95/2012  per  conflitto  con  il  comma
primo ed il secondo comma dell'art. 111 della Costituzione. 
    Nel caso sottoposto ad analisi la novella si e' sovrapposta  alla
giurisdizione ed ha radicalmente eliminato la condizione  di  parita'
davanti al giudice imparziale e terzo. 
    2. Non manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012,  n.  95
in relazione agli artt. 3, 24, 97, 101 e 113, Cost. 
    La   peculiare   antigiuridicita'   della   legge   sospetta   di
incostituzionalita'    conforma    il    dettato    normativo    come
legge-provvedimento. Infatti il comma tredici, dell'art.  5  D.L.  n.
95/2012  ha  introdotto  una   specifica   previsione   a   contenuto
particolare e concreto, inequivocabilmente diretta ad interferire  in
termini  ostativi  sull'esecuzione  del  giudicato  formatosi   sulla
sentenza n. 4266/07. 
    L'intervento  del  Legislatore  configura  un  tipico   caso   di
legge-provvedimento. 
    E' vero che la Corte  costituzionale  ha  affermato  che  non  e'
preclusa alla legge  ordinaria  la  possibilita'  di  attrarre  nella
propria sfera di disciplina oggetti o  materie  normalmente  affidati
all'autorita' amministrativa, non sussistendo un divieto di  adozione
di leggi a contenuto particolare e concreto (sent. n. 347/95); ma  ha
parimenti precisato che «queste leggi sono  ammissibili  entro limiti
sia  specifici,  quale  e'  quello  del   rispetto   della   funzione
giurisdizionale in ordine alle cause in corso, sia generali, e  cioe'
del principio della ragionevolezza e non arbitrarieta'» (cfr.  sentt.
n. 495/95, ma anche n. 346/91 e n. 143/89). 
    In particolare, in un caso  simile  a  quello  in  questione,  la
Consulta ha censurato le norme «il cui  intento  non  sia  quello  di
stabilire una regola astratta, ma di incidere su di un giudicato, non
potendosi consentire al legislatore di risolvere, con la forma  della
legge, specifiche controversie e di vanificare  gli  effetti  di  una
pronuncia giurisdizionale divenuta intangibile, violando  i  principi
relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere  giurisdizionale
e concernente la tutela dei  diritti  e  degli  interessi  legittimi»
(sent. n. 374/2000). 
    La  palese  incidenza  sulla  res   iudicata   esclude   che   la
disposizione operi soltanto sul piano normativo perche', come  dianzi
esposto, disvela in modo incontestabile la volonta' di scavalcare  il
giudicato. 
    Cosi' come stabilito dai giudici  costituzionali  la  valutazione
delle  circostanze  temporali  in  cui  si  inserisce  un  intervento
legislativo e' fondamentale in ordine  alla  costituzionalita'  dello
stesso,  in  particolare:  «Nel  caso  in  esame  peculiare   valenza
sintomatica assume la considerazione del tempo, delle modalita' e del
contesto in cui e' stata emanata la disposizione censurata» (sent. n.
267/2007). 
    Da quanto esposto e considerato ne deriva, inoltre, il  conflitto
anche con l'art. 24 della Carta  Costituzionale,  che  garantisce  la
tutela dei diritti e degli interessi  e  fa  divieto  alla  legge  di
incidere e/o modificare questioni coperte dal giudicato. 
    Inoltre, la norma in esame,  mirando  ad  evitare  che  sia  data
esecuzione ad una sentenza definitiva ed esecutiva, viola  il  canone
di  imparzialita'  e  buon  andamento  dell'amministrazione   ed   il
principio del legittimo affidamento del cittadino (artt. 3 e 97 della
Costituzione). 
    3. Non manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012,  n.  95
in relazione agli artt. 102, primo comma, 103, primo comma, Cost. 
    Il comma 13 dell'art. 5 D.L. 6 luglio 2012,  n.  95,  vanificando
gli effetti di una pronuncia giurisdizionale divenuta intangibile, ha
invaso l'area riservata alla funzione giurisdizionale, vulnerando  il
principio della divisione dei poteri giurisdizionali e normativi.  Di
qui  il  denunciato  conflitto  con  gli  artt.  102  e   103   della
Costituzione,  i  quali  attribuiscono  l'esercizio  della   funzione
giurisdizionale ai  magistrati  ordinari  ed  amministrativi  per  la
tutela neutrale dei diritti e degli interessi legittimi. 
    Il Collegio, pertanto, visti gli artt. 134 della Costituzione,  1
della L. Cost. n. 1/1948 23 e segg. della  L.  87/1953,  sospende  il
giudizio e rimette gli atti alla  Corte  costituzionale  per  l'esame
della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 13,
del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,  dalla
legge  7  agosto  2012,  n.  135,  che  ha   disposto   l'abrogazione
dell'articolo 17-bis del D.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001,  che  aveva
previsto l'istituzione, previa  la  mediazione  della  contrattazione
collettiva, della vice dirigenza, in riferimento agli  artt.  3,  24,
97, 101, 102, 103, 111, 113, 117, Cost. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale  (Sezione  Quarta),
visto l'art. 23 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  ritenuta  la
rilevanza  e  non  manifesta   infondatezza,   rimette   alla   Corte
costituzionale la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
5, comma  13,  del  D.L.  6  luglio  2012,  n.  95,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135,  che  ha  disposto
l'abrogazione dell'articolo 17-bis del D.lgs. n.  165  del  30  marzo
2001, che aveva previsto l'istituzione, previa  la  mediazione  della
contrattazione collettiva, della vice dirigenza, in riferimento  agli
artt. 3, 24, 97, 101, 102, 103, 111, 113,  117,  Cost.,  sospende  il
giudizio e dispone l'immediata trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale. 
    Ordina che, a cura della Segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei
ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento. 
    Cosi' deciso in Roma nella camera  di  consiglio  del  giorno  12
novembre 2013 con l'intervento dei magistrati: 
        Riccardo Virgilio, Presidente; 
        Nicola Russo, Consigliere, Estensore; 
        Raffaele Potenza, Consigliere; 
        Andrea Migliozzi, Consigliere; 
        Giulio Veltri, Consigliere. 
 
                       Il Presidente: Virgilio 
 
 
                                                   L'estensore: Russo