N. 164 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 aprile 2014

Ordinanza  del 29 aprile 2014  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio sul ricorso  proposto  da  Bellini  S.r.l.  ed
altre contro Ministero dell'economia e delle finanze, Presidenza  del
Consiglio dei ministri e Agenzia delle dogane e dei Monopoli. 
 
Imposte e tasse -  Prodotti  contenenti  nicotina  o  altre  sostanze
  idonei a  sostituire  il  consumo  dei  tabacchi  lavorati  nonche'
  dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio
  - Sottoposizione, a decorrere dal 1° gennaio 2014,  ad  imposta  di
  consumo nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo  di  vendita
  al pubblico - Violazione del  principio  di  uguaglianza  sotto  il
  profilo dell'irrazionalita' - Violazione della riserva di legge  in
  materia di prestazioni imposte - Lesione del principio di  liberta'
  di iniziativa  economica  privata  -  Violazione  dei  principi  di
  imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. 
- Decreto legislativo  26  ottobre  1995,  n.  504,  art.  62-quater,
  inserito dall'art. 11, comma 22, del decreto-legge 28 giugno  2013,
  n. 76, convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n.
  99. 
- Costituzione, artt. 3, 23, 41 e 97. 
Commercio - Commercializzazione dei prodotti  contenenti  nicotina  o
  altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati
  nonche' dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti  di
  ricambio - Assoggettamento a  preventiva  autorizzazione  da  parte
  dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli - Violazione del principio
  di uguaglianza sotto il profilo  dell'irrazionalita'  -  Violazione
  della riserva di legge in materia di prestazioni imposte -  Lesione
  del  principio  di  liberta'  di  iniziativa  economica  privata  -
  Violazione dei principi di imparzialita'  e  buon  andamento  della
  pubblica amministrazione. 
- Decreto legislativo  26  ottobre  1995,  n.  504,  art.  62-quater,
  inserito dall'art. 11, comma 22, del decreto-legge 28 giugno  2013,
  n. 76, convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n.
  99. 
- Costituzione, artt. 3, 23, 41 e 97. 
(GU n.42 del 8-10-2014 )
 
          IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                          (Sezione Seconda) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 1165 del 2014, proposto da:  Soc.  Bellini  S.r.l.,
Soc Fumador S.r.l., Soc New Smoke NetworK  S.r.l.,  Soc.  Flavourland
S.r.l., Soc Vaporart S.r.l., Soc Biofumo S.r.l., Soc 7 Heaven  S.A.S.
Di Follis Darko & C., Soc. Italeco S.r.l., Soc Vivilavi' S.r.l., Soc.
Datastore S.r.l., Soc Flatech  S.r.l.,  Soc  Bandz  S.R.L.,  Soc  Dea
Flavor S.r.l., in persona dei rispettivi  legali  rappresentanti  pro
tempore,  rappresentati  e  difesi  dagli  avv.ti  Paolo   Grassi   e
Massimiliano  Nicodemo,  con  domicilio  eletto  presso   lo   studio
dell'avv. Grassi in Roma, via G. Avezzana, 8; 
    Contro Ministero dell'economia e delle  finanze,  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, agenzia  delle  dogane  e  dei  monopoli,  in
persona   dei   rispettivi   legali   rappresentanti   pro   tempore,
rappresentati e  difesi  ope  legis  dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato, con la quale domiciliano ex lege in Roma, via dei  Portoghesi,
12; 
    Per l'annullamento del D.M. emanato dal Ministero dell'Economia e
delle Finanze il 16 novembre 2013, pubblicato in  Gazzetta  Ufficiale
il 7  dicembre  2013,  recante  la  disciplina,  ai  sensi  dell'art.
62-quater; comma 4, d.lgs. 26  ottobre  1995,  n.  504  e  successive
modificazioni,  della  commercializzazione  dei  prodotti  contenenti
nicotina o  altre  sostanze,  idonei  a  sostituire  il  consumo  dei
tabacchi lavorati, nonche' i dispositivi  meccanici  ed  elettronici,
comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo. 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio delle  amministrazioni
intimate; Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore alla pubblica udienza del giorno 2 aprile 2014 il  Cons.
Silvia Martino; 
    Uditi l'avv. Nicodemo e l'avv. dello  Stato  Meloncelli,  per  le
parti rispettivamente rappresentate; 
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: 
        1. Le societa' odierne ricorrenti  rappresentano  di  operare
nel  settore  delle  c.d.   «sigarette   elettroniche»   (miscele   e
componenti) e/o della produzione e  commercializzazione  di  aromi  e
semilavorati impiegati anche nel settore medesimo, talune occupandosi
sia della produzione che della distribuzione, altre limitandosi  alla
sola commercializzazione. 
    Fino al 22 agosto 2013, il mercato di tale tipologia di  prodotti
ha operato liberamente, senza vincoli  normativi  di  operativita'  e
fiscali di sorta. Successivamente, l'art.  11,  comma  22,  del  d.l.
28.6.2013,  n.  76  (convertito,  con  modificazioni,   nella   legge
9.8.2013, n. 99), ha aggiunto, con effetto a decorrere dal 23.8.2013,
l'art. 62-quater al d.lgs. 26.10.1995, n. 504. 
    Per effetto di tali disposizioni "A decorrere dal 1° gennaio 2014
i prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei  a  sostituire
il consumo dei tabacchi lavorati nonche' i  dispostivi  meccanici  ed
elettronici, comprese le parti di  ricambio,  che  ne  consentono  il
consumo, sono assoggettati ad imposta di consumo nella misura pari al
58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico" (comma 1). 
    Inoltre "La commercializzazione dei prodotti di cui al  comma  1,
e' assoggettata alla preventiva autorizzazione da parte  dell'Agenzia
delle dogane e dei monopoli nei confronti di soggetti  che  siano  in
possesso dei  medesimi  requisiti  stabiliti,  per  la  gestione  dei
depositi  fiscali  di  tabacchi   lavorati,   dall'articolo   3   del
regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 22  febbraio
1999, n. 67" (comma 2). 
    Il comma 4 di tale disposizione, prevede poi che "Con decreto del
Ministro dell'economia e delle finanze,  da  adottarsi  entro  il  31
ottobre  2013,  sono  stabiliti  il  contenuto  e  le  modalita'   di
presentazione dell'istanza ai fini'  dell'autorizzazione  di  cui  al
comma 2, le procedure per la variazione  dei  prezzi  di  vendita  al
pubblico prodotti  di  cui  al  comma  1,  nonche'  le  modalita'  di
prestazione d cauzione di cui al comma 3, di tenuta  dei  registri  e
docume  contabili,  di  liquidazione  e  versamento  dell'imposta  di
consumo, anche in caso di vendita a distanza, di comunicazione  degli
esercizi che effettuano la vendita al pubblico, in  conformita',  per
quanto applicabili, a quelle vigenti peri tabacchi lavorati". 
    Il 16 novembre 2013, e quindi ben oltre il termine del 31 ottobre
2013,  prescritto  dalla  norma  teste'   riportata,   il   Ministero
dell'Economia e delle Finanze  ha  emanato  il  decreto  ministeriale
attuativo. 
    E' singolare che la Corte dei Conti, con una nota del  competente
Ufficio di controllo, nel dare corso, per ragioni di correntezza,  al
provvedimento, abbia contestualmente rilevato che l'adozione di  esso
"cosi  a  ridosso  dell'entrata  in  vigore  delle  disposizioni,  ha
limitato drasticamente lo svolgimento  del  controllo  preventivo  di
legittimita' da parte dell'Ufficio che non ne ha potuto effettuare  i
necessari approfondimenti". 
    Il  decreto  ministeriale  e'  stato  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale solo il 7 dicembre 2013. 
    Le ricorrenti avversano  siffatta  normativa,  nonche'  la  fonte
primaria  che  di  cui  costituiscono  attuazione,   in   particolare
deducendo: 
        la violazione dell'art. 77, comma 2, Cost. per  essere  stato
il di n. 76/2013 emanato in  assenza  dei  necessari  presupposti  di
straordinarieta',  necessita'   ed   urgenza;   l'insussistenza   del
presupposto dell'urgenza, tra gli altri, e' resa evidente  dal  fatto
che  il  d.l.,  nella  parte  di  interesse,  e'  insuscettibile   di
applicazione  immediata,  dal  momento  che  le  modalita'   per   la
presentazione dell'istanza di autorizzazione alla commercializzazione
dei  prodotti  succedanei  di   che   trattasi   e'   stata   rimessa
all'emanazione  di  un  decreto  attuativo  (pur  esso   oggetto   di
impugnativa), pubblicata in G.U. solo il 7.12.2013; 
        la violazione dell'art.  3  Cost.,  per  avere  equiparato  i
dispositivi meccanici ed elettronici alternativi al fumo, nonche'  le
loro parti di ricambio, ai tabacchi lavorati. 
    Le sigarette elettroniche non  hanno  alcuna  caratteristica  che
possa renderle assimilabili ai  tabacchi  lavorati.  In  particolare,
nessun fumo o combustione sono connessi  al  loro  funzionamento,  ed
anzi, il vantaggio per chi le utilizza e' proprio quello  di  evitare
l'inalazione  dei  prodotti  della  combustione,  caratteristici  dei
tabacchi lavorati. 
    Le miscele impiegate sono, in alcuni casi,  del  tutto  prive  di
nicotina, o,  comunque,  contengono  detta  sostanza  in  percentuali
minime. 
    Pure irragionevole sarebbe l'aggravio fiscale per prodotti di uso
promiscuo (quali le batterie),  i  quali,  ove  commercializzati  per
finalita' diverse, non soggiacciono ad alcuna tassazione al consumo. 
    Prive di fondamento sarebbero le stime, contenute nella Relazione
tecnica al d.l., circa le maggiori entrate previste, nella misura  di
117 milioni di curo  su  base  annua,  ove  si  consideri  che  (come
rilevato dal Servizio del Bilancio del Senato con nota di lettura  n.
10 del luglio 2013) non e' stato tenuto in alcun conto  l'effetto  di
disicentivazione, al consumo derivante dalla traslazione dell'imposta
sul prezzo; la previsione del nuovo  tributo  rischia,  pertanto,  di
causare un effetto esattamente opposto a quello auspicato; 
        la  tempistica  di   emissione   del   decreto   ministeriale
attuativo, inoltre, ha reso impossibile l'applicazione, a partire dal
1° gennaio 2014, della nuova normativa; di fatto, la lunga tempistica
prescritta dall'art. 2 del d.m. del 16  novembre  2013  per  ottenere
l'autorizzazione all'esercizio del deposito fiscale e,  quindi,  alla
commercializzazione del prodotto, ha reso  impossibile  alle  odierne
ricorrenti il prosieguo della loro attivita', con conseguente  palese
violazione del principio costituzionale di  liberta'  dell'iniziativa
economica privata; 
        pure violati sarebbero i  principi  di  concorrenza,  sanciti
dalla Costituzione, dall'art. 3 del Trattato UE, dagli  artt.  119  e
120 del TFUE e dal Protocollo sul mercato interno e sulla concorrenza
allegato al Trattato di Lisbona del 13.12.2007; in  particolare,  per
effetto delle nuova imposizione, le  odierne  ricorrenti,  in  quanto
imprese italiane, si vengono a trovare  in  posizione  di  svantaggio
rispetto alle concorrenti ubicate in altri Stati membri,  laddove  e'
noto che solo un  aumentato  coordinamento  delle  politiche  fiscali
degli  Stati  aderenti   all'Unione   Europea   puo'   garantire   il
completamento del processo di integrazione europea; 
        vi sarebbe, infine, la  violazione  dell'art.  32  Cost.,  in
quanto l'introduzione  di  una  imposta  cosi'  elevata  disincentiva
l'acquisto  dei  dispositivi  alternativi   al   fumo   tradizionale,
quest'ultimo   fonte   di   danni   accertati   alla   salute   della
collettivita'; al contrario, le ricorrenti allegano  i  risultati  di
studi  recenti  i  quali  confermano  che  le  e-cig  possono   ormai
considerarsi una alternativa sicura al fumo tradizionale. 
    Le ricorrenti, infine, hanno domandato il risarcimento dei  danni
derivanti dall'applicazione dei provvedimenti impugnati. 
    Si sono costituite, per resistere, le amministrazioni intimate. 
    Con ordinanza n. 803 del 20 febbraio 2014, resa nella  camera  di
consiglio del 19.2.2014, e' stata respinta l'istanza cautelare. 
    Le  parti   hanno   presentato   articolate   memorie   e   ampia
documentazione. 
    Ti ricorso, infine, e' stato introitato  per  la  decisione  alla
pubblica udienza del 2.4.2014. 
    2. Cio'  premesso,  devono  anzitutto  respingersi  le  eccezioni
sollevate dalla difesa erariale tese a dimostrare  l'inammissibilita'
e/o improcedibilita' del ricorso per le ragioni dovute, nell'ordine: 
        alla carenza di  giurisdizione  del  giudice  amministrativo,
trattandosi di fattispecie rientrante nella giurisdizione del giudice
tributario; 
        al difetto originario di interesse a ricorrere  di  tutte  le
ricorrenti, in mancanza dell'adozione di atti impositivi; 
        al difetto  di  interesse  delle  ricorrenti  che  non  hanno
presentato la domanda disciplinata dall'art, 2 del d.m. 16.11.2013; 
        alla, pretesa, cessazione della materia del  contendere,  per
effetto  delle  modifiche  apportate  al  d.m.  16.11.2013  dal  d.m.
12.2.2014,  nonche'  dell'interpretazione  resa  dall'Agenzia   delle
Dogane e dei Monopoli con la circolare del 21 gennaio 2014. 
    2.1. In primo luogo,  e'  orientamento  ormai  consolidato  delle
Sezioni Unite quello  secondo  cui  la  giurisdizione  esclusiva  del
giudice tributario in ordine ai "tributi di ogni  genere  e  specie",
istituita dall'art. 2, comma 1, d.lg. 31 dicembre 1992 n.  546,  come
successivamente   modificato,   puo'   svolgersi   solo    attraverso
l'impugnazione  di  specifici  atti  impositivi  dell'amministrazione
finanziaria. 
    Ne    consegue    che,    in    mancanza     della     mediazione
rappresentata-dall'impugnativa  dell'atto  impositivo,   il   giudice
tributario  "non  puo'  giudicare  della  legittimita'   degli   atti
amministrativi generali, dei quali puo' conoscere, incidenter  tantum
ed entro confini determinati,  solo  ai  fini  della  disapplicazione
nella  singola  fattispecie  dell'atto   amministrativo   presupposto
dell'atto impositivo impugnato" (Cassa civ., Sez. Un., 21.3.2006,  n.
6224). 
    La cognizione  degli  atti  autoritativi  di  carattere  generale
presupposti alla specifica obbligazione  tributaria  spetta,  invece,
alla giurisdizione  del  giudice  amministrativo  (cosi  ancora,  con
riguardo all'interpretazione dell'art. 7,  comma  5,  del  d.lgs.  n.
546/92, le Sezioni unite, sentenza n. 3030 dell'1.3.2002). 
    Nello stesso senso e la giurisprudenza del  Consiglio  di  Stato,
invocata da  parte  ricorrente,  secondo  cui  "ad  esclusione  delle
controversie riservate alla  giurisdizione  del  giudice  tributario,
sono impugnabili davanti  al  giudice  amministrativo  i  regolamenti
governativi,  ministeriali  o  di  enti  locali  che  istituiscono  o
disciplinano tributi  di  qualsiasi  genere,  in  quanto  concernenti
interessi legittimi (Cons. St.,  sez.  VI^,  30  settembre  2004,  n.
6353). 
    2.2. Neppure puo' ritenersi che, in assenza di atti impositivi, i
provvedimenti impugnati, per il loro carattere  generale,  non  siano
immediatamente lesivi. 
    E'  noto,  infatti,  che  il  principio  secondo  cui  le   norme
regolamentari vanno impugnate unitamente all'atto  applicativo  trova
eccezione per i provvedimenti che presentano un carattere specifico e
concreto, risultando idonei,  come  tali,  ad  incidere  direttamente
nella  sfera  giuridica  degli   interessati,   a   decorrere   dalla
pubblicazione nelle forme previste dalla legge (TAR Lazio, sez. I, 12
aprile 2011, n. 3202 cfr. anche, da ultimo, Cons.  St.,  sez.  VI,  4
dicembre 2012, n. 6208).». 
    Nel caso di specie, i decreti del MEF del 16.11.2013 e 12.2.2014,
nonche'  le  disposizioni  applicative   e   interpretative   dettate
dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, appaiono idonei ad incidere
direttamente sull'attivita'  d'impresa  svolta  dalle  ricorrenti  in
quanto, da un lato, attuano la previsione della fonte primaria  nella
parte  in  cui  ne  vieta  lo   svolgimento   senza   la   prescritta
autorizzazione  e  la  sottopone  ad  un  nuovo  regime   impositivo;
dall'altro,  "conformano"  la   medesima   attivita',   mediante   la
disciplina di una serie di adempimenti amministrativi e/o  contabili,
finalizzati all'assolvimento dell'obbligazione tributaria. 
    2.3. Le considerazioni teste'  svolte  consentono  di  respingere
anche l'eccezione relativa al sopravvenuto  difetto  di  interesse  a
ricorrere  delle  imprese  che  non  hanno  presentato   domanda   di
autorizzazione. E evidente, infatti, che il cuore  della  impugnativa
riguarda la stessa introduzione di un regime  di  autorizzazione  per
una attivita' in precedenza libera, nonche' degli obblighi  tributari
cui siffatto regime e' correlato. 
    Per la stessa ragione, la circostanza che il  d.m.  del  12.2.204
abbia semplificato il procedimento di autorizzazione, ovvero  che  la
circolare del 21 gennaio 2014  abbia  (in  ipotesi)  chiarito  che  i
prodotti "accessori",  non  sono  soggetti  all'imposta,  non  appare
idonea a determinare la cessazione della materia del contendere. 
    3. Nel merito, nell'ordine logico delle  questioni,  il  Collegio
reputa necessario affrontare preliminarmente  la  questione  relativa
alla "compatibilita' comunitaria" dell'art. 62-quater del  d.lgs.  n.
504 del 1995, introdotto dall'art. 11, comma 22, D.L. 28 giugno 2013,
n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto  2013,  n.
99, il quale, nella prospettazione dei  ricorrenti,  si  porrebbe  in
contrasto con le norme  dei  Trattati  in  materia  di  tutela  della
concorrenza. 
    Secondo quanto chiarito dalla Corte costituzionale  (sentenza  n.
319 del 26 luglio 1996), ove una questione di  costituzionalita'  sia
fondata sull'interpretazione di una norma comunitaria, prima  di  una
eventuale  rimessione  alla  Consulta  occorre   che   il   contenuto
delle norme  poste  dalle   fonti   comunitarie   sia   compiutamente
definitivamente individuato secondo le  regole  all'uopo  dettate  da
quell'ordinamento. 
    Al riguardo, deve pero' anche ricordarsi che il giudice nazionale
non e' tenuto a chiedere una decisione pregiudiziale  alla  Corte  di
Giustizia  se  la  normativa  comunitaria  non  dia  adito  ad  alcun
ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla  questione  sollevata
(Corte di Giustizia CE, 6 ottobre 1982, in causa C- 283/81, Cilfit), 
    3.1. L'imposta introdotta dall'art. 11, comma 22, D.L. 28  giugno
2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9  agosto  2013,
n. 99, appartiene al novero delle imposte speciali  sui  consumi,  le
quali,  a  differenza  dell'IVA,  non  hanno  carattere  generale  ma
colpiscono una determinata categoria di beni o servizi. 
    Esse si caratterizzano,  altresi',  per  la  struttura  monofase,
diventando esigibili in un unico momento  dettagliatamente  descritto
dalla  normativa  di  riferimento  (cfr.  Corte  Cost.,  sentenza  n.
185/2011). Nell'ordinamento italiano, la disciplina delle  accise  (e
delle altre imposte indirette sulla  produzione  e  sui  consumi)  e'
contenuta in larga parte nel decreto legislativo 26 ottobre 1995,  n.
504  (Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  concernenti  le
imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni  penali  e
amministrative), piu' volte modificato  ed  integrato  in  attuazione
delle direttive comunitarie che hanno disciplinato la materia. 
    Da ultimo, il decreto legislativo 29 marzo 2010, n.  48  (recante
"Attuazione della direttiva 2008/118/CE relativa al  regime  generale
delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE") ha provveduto, fra
l'altro, a modificare le  norme  collegate  al  fatto  generatore  ed
all'esigibilita'  dell'accisa,  di  cui   alla   relativa   direttiva
comunitaria. 
    La  disciplina  generale  delle   imposizioni   indirette   sulla
produzione e sui  consumi,  diverse  dalle  accise  disciplinate  dai
Titoli I e II del TUA (ovvero le imposte indirette diverse da  quelle
sulla produzione o sul consumo dei prodotti  energetici,  dell'alcole
etilico e delle  bevande  alcoliche,  dell'energia  elettrica  e  dei
tabacchi lavorati), e' contenuta nell'art. 61 del cit. d.lgs. 
    In particolare,  secondo  tali  disposizioni,  "a)  l'imposta  e'
dovuta sui prodotti immessi in consumo  nel  mercato  interno  ed  e'
esigibile con l'aliquota vigente alla data in  cui  viene  effettuata
l'immissione in consumo" mentre obbligato al  pagamento  dell'imposta
e' "il fabbricante per  i  prodotti  ottenuti  nel  territorio  dello
Stato", ovvero "il soggetto  che  effettua  la  prima  immissione  in
consumo per i prodotti di  provenienza  comunitaria",  ovvero  ancora
"l'importatore per i prodotti di provenienza da Paesi terzi". 
    L'immissione in consumo si verifica: 
        "1) per i prodotti nazionali, all'atto della cessione sia  ai
diretti utilizzatori o consumatori sia a ditte esercenti il commercio
che ne effettuano la rivendita; 
        2) per i prodotti di provenienza  comunitaria,  all'atto  del
ricevimento della merce da parte del soggetto acquirente  ovvero  nel
momento cui si considera effettuata, ai fini dell'imposta sul  valore
aggiunto, la cessione, da parte  del  venditore  residente  in  altro
Stato membro,  a  privati  consumatori  o  a  soggetti  che  agiscono
nell'esercizio di una impresa, arte o professione; 
        3) per i prodotti di provenienza  da  Paesi  terzi,  all'atto
dell'importazione; 
        4) per i prodotti che risultano mancanti alle verifiche e per
i quali non e' possibile accertare il regolare esito, all'atto  della
loro constatazione; 
    Appare  anche  utile  precisare,   relativamente   ai   "prodotti
succedanei dei prodotti da fumo" che  gli  adempimenti  fiscali  sono
disciplinati con esplicito richiamo al regime del deposito fiscale in
materia di accise. 
    L'art. 62-quater del TUA istituisce poi  una  procedura  "per  la
variazione dei prezzi di vendita al pubblico dei prodotti" succedanei
del tabacco. 
    In  concreto,  l'art.  4  del  d.m.   16.11.2013   prescrive   la
"preventiva  iscrizione   in   apposito   tariffario   disposta   con
provvedimento  dell'Agenzia"  del  prezzo  di  vendita  al   pubblico
comunicato dal soggetto autorizzato alla commercializzazione. 
    In  ambito  comunitario,  come  gia'  accennato,   la   direttiva
2008/118/CE, oltre a disciplinare il regime  generale  delle  accise,
stabilisce alcuni principi fondamentali in ordine all'imposizione sui
"prodotti diversi dai prodotti sottoposti ad  accisa",  al  fine  di,
garantire il corretto funzionamento del mercato interno. 
    Le accise c.d. "armonizzate" riguardano esclusivamente: 
        a) prodotti energetici ed elettricita' di cui alla  direttiva
2003/96/CE; 
        b) alcole e bevande alcoliche di cui alle direttive 92/83/CEE
e 92/84/CEE; 
        c)  tabacchi  lavorati  di  cui  alle   direttive   95/59/CE,
92/79/CEE e 92/80/CEE. 
    Relativamente ai prodotti gia' sottoposti ad  accisa,  l'art.  1,
par. 2, della direttiva stabilisce  che  "Gli  Stati  membri  possono
applicare ai prodotti sottoposti ad accisa  altre  imposte  indirette
aventi finalita' specifiche, purche' tali imposte siano conformi alle
norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o  per  l'imposta
sul  valore  aggiunto  in  materia  di  determinazione   della   base
imponibile, calcolo, esigibilita' e controllo dell'imposta". 
    Relativamente ai prodotti "diversi  dai  prodotti  sottoposti  ad
accisa", gli Stati membri  rimangono  tuttavia  liberi  di  applicare
altre forme di imposizione, purche' l'applicazione  di  tali  imposte
non comporti "negli scambi  tra  Stati  membri,  formalita'  connesse
all'attraversamento delle frontiere" (art. 1, par. 3). 
    In sostanza, le norme comunitarie consentono agli Stati membri di
introdurre altre forme di imposizione indiretta sui  prodotti  per  i
quali gia'  sussiste  un'accisa  armonizzata  nonche'  di  introdurre
accise non armonizzate. 
    E' significativo che l'ordinamento comunitario, per  non  privare
gli Stati membri di un  efficace  strumento  di  politica  economica,
abbia lasciato ad essi ampio margine di  discrezionalita'  sia  nella
scelta delle aliquote delle accise armonizzate (essendo previste solo
aliquote  minime),  sia  nell'istituire  prelievi  aventi  specifiche
finalita' quand'anche gravanti su prodotti gia'  soggetti  ad  accisa
armonizzata. A  cio'  si  aggiunge  la  possibilita'  di  tassare  la
produzione  o  il  consumo  di   beni   estranei   al   processo   di
armonizzazione, la quale non e' legata alla necessita' di  perseguire
specifiche finalita' ma puo' essere giustificata  anche  soltanto  da
esigenze di bilancio. 
    3.2. La disamina della  normativa  comunitaria  applicabile  alla
fattispecie consente di confutare agevolmente l'affermazione di parte
ricorrente circa il fatto  che  la  nuova  imposizione  si  ponga  in
contrasto con il diritto primario dell'Unione in  materia  di  tutela
della concorrenza. 
    Il  processo  di   armonizzazione   comunitaria   delle   imposte
indirette,  per  quanto  qui   interessa,   ha   infatti   riguardato
esclusivamente  (oltre  l'imposta  sul  valore  aggiunto)  le  accise
gravanti su alcol, tabacchi e prodotti energetici, in  conformita'  a
quanto un tempo prescritto dall'art. 93  del  Trattato  CE,  e  oggi,
dall'art. 113 del TFUE. 
    Inoltre, poiche' i "prodotti succedanei dei prodotti da fumo" non
sono sottoposti ad accisa, l'imposta speciale  di  consumo  istituita
dallo Stato italiano non deve osservare nemmeno i requisiti  previsti
dall'art. 1, par. 2, della  direttiva  2008/118/CE,  bensi'  soltanto
quelli del par. 3 del medesimo articolo. 
    Non e' necessario, cioe', che l'imposizione abbia  una  finalita'
specifica, ne' che essa rispetti le regole di imposizione applicabili
ai fini dell'Iva o delle accise  armonizzate  per  la  determinazione
della base imponibile, il calcolo,  l'esigibilita'  ed  il  controllo
dell'imposta. 
    A parere del Collegio, non vi e', poi, neanche  violazione  della
Direttiva 2006/112/CE relativa  al  sistema  di  imposta  comune  sul
valore aggiunto. 
    Ai sensi dell'art. 401  le  disposizioni  di  siffatta  direttiva
consentono ad uno Stato membro di mantenere o introdurre "imposte sui
contratti di assicurazione, imposte sui  giochi  e  sulle  scommesse,
accise, imposte di registro e qualsiasi imposta, diritto o tassa",  a
condizione che esse non abbiano il carattere di  imposta  sul  volume
d'affari (e che non diano luogo "negli scambi  fra  Stati  membri,  a
formalita' connesse con il passaggio di una frontiera"). 
    Le caratteristiche essenziali dell'imposta  sul  valore  aggiunto
sono le seguenti. 
    L'IVA si applica in  modo  generale  alle  operazioni  aventi  ad
oggetto beni o servizi; e' proporzionale a detti beni  e  servizi,  a
prescindere dal numero di operazioni effettuate;  viene  riscossa  in
ciascuna fase del procedimento  di  produzione  e  distribuzione;  si
applica sul valore  aggiunto  dei  beni  e  dei  servizi,  in  quanto
l'imposta dovuta in  occasione  di  una  operazione  viene  calcolata
previa detrazione di quella  che  e'  stata  versata  all'atto  della
precedente operazione (cfr., in materia, Corte di Giustizia, sentenza
9 marzo 2000, in causa C437/97,  Wien  e  Wein  &  Co.  HandelsgesmbH
Oberosterreichische Landesregierung), 
    Nel caso oggi in rilievo, invece, l'imposta: 
        e' destinata a colpire un bene specifico; 
        e' a struttura  monofase,  in  quanto  diviene  esigibile  al
momento dell'immissione in consumo e  non  vi  e'  un  meccanismo  di
deduzione analogo a quello dell'IVA; 
        concorre essa stessa a formare il valore finale del  prodotto
per cui VIVA (come avviene nei prodotti  soggetti  ad  accisa)  grava
anche sulla stessa imposta; 
        non e' a rivalsa obbligatoria, ne' e'  vero  che  un  effetto
analogo si avrebbe a causa della sottoposizione del  prodotto  ad  un
regime tariffario in  quanto,  come  in  precedenza  evidenziato,  le
imprese rimangono, almeno sul piano giuridico -  formale,  libere  di
fissare il prezzo di vendita del prodotto e quindi  di  scegliere  in
quale misura traslarne il peso sul consumatore. 
    Non vi e', infine, contrasto con altre norme dei Trattati  ovvero
con principi di carattere generale. 
    In particolare: 
        non  e'  violato  l'art.  30  del  TIFUE  ("i  dazi  doganali
all'importazione o all'esportazione o le tasse di effetto equivalente
sono vietati tra gli Stati membri. Tale divieto si applica  anche  ai
dazi doganali di carattere fiscale"), in quanto l'imposta si  applica
tanto  ai  prodotti  nazionali  quanto  a   quelli   di   provenienza
comunitaria; 
        non sono violati gli artt. 34 e 35, relativi  al  divieto  di
restrizioni  quantitative  all'importazione   e/o   all'esportazione,
ovvero di qualsiasi misura di effetto equivalente, in  quanto,  anche
in questo caso, l'imposta si applica a tutti i  prodotti  immessi  in
commercio nel territorio dello Stato; 
        non e' violato il principio di  non  discriminazione  di  cui
all'art.  110  ("Nessuno  Stato   membro   applica   direttamente   o
indirettamente ai  prodotti  degli  altri  Stati  membri  imposizioni
interne,  di  qualsivoglia  natura,  superiori  a  quelle   applicate
direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari [...]"),
in quanto l'imposta che si applica ai prodotto comunitari e' uguale a
quella che si applica sui prodotti nazionali. 
    3.3. In definitiva, reputa il Collegio che l'art.  62-quater  del
TUA, non debba essere disapplicato  in  quanto  incompatibile  con  i
parametri comunitari evocati e  che,  comunque,  non  sia  necessario
rimettere alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale. 
    4. Tanto premesso, in ordine all'ammissibilita' e  procedibilita'
del  ricorso,  nonche'  all'insussistenza   di   profili   idonei   a
giustificare la disapplicazione dell'art. 62-quater del  TUA,  appare
tuttavia rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale della  medesima  disposizione,  questione
che il Collegio intende sollevare, d'ufficio, nei termini di  seguito
indicati. 
    4.1. Innanzitutto, in punto di rilevanza  della  questione,  deve
premettersi che i  provvedimenti  impugnati  vengono  sostanzialmente
censurati nella parte in cui gli stessi, senza curarsi di specificare
quali prodotti o sostanze possano essere considerati "succedanei" del
tabacco, hanno assoggettato a regime autorizzativo,  tariffario  (nei
sensi in precedenza specificati) e all'imposta di consumo: 
        qualsiasi  sostanza  liquida  e  vaporizzabile,   anche   non
contenente nicotina; 
        qualsiasi   dispositivo   necessario    a    consentire    la
vaporizzazione, a prescindere dal fatto che  essa  abbia  ad  oggetto
sostanze   contenenti   nicotina    o,    comunque,    oggettivamente
qualificabili come succedanee del tabacco; 
    prodotti accessori e strumentali, aventi uso promiscuo. 
    Pure oggetto di rilievi e' la circostanza  che  l'amministrazione
abbia stabilito la data del 1° gennaio 2014 per l'entrata  in  vigore
del regime autorizzatorio, come pure il fatto  che  non  siano  state
previste adeguate norme transitorie. 
    Tali disposizioni, pero', rappresentano  soltanto  la  pedissequa
iproduzione del contenuto della fonte primaria, la quale, al comma 1,
ha  previsto  che  "A  decorrere  dal  1°  gennaio  2014  i  prodotti
contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire  il  consumo
dei tabacchi lavorati nonche' i dispostivi meccanici ed  elettronici,
comprese le parti di ricambio, che ne  consentono  il  consumo,  sono
assoggettati ad imposta di consumo nella  misura  pari  al  58,5  per
cento del prezzo di vendita al pubblico",  mentre,  al  comma  2,  ha
assoggettato la commercializzazione "dei prodotti di cui al comma 1",
alla "preventiva autorizzazione da parte dell'Agenzia delle dogane  e
dei monopoli nei confronti di soggetti  che  siano  in  possesso  dei
medesimi requisiti stabiliti, per la gestione dei depositi fiscali di
tabacchi lavorati [...]". 
    E' bene  anche  sottolineare  che  e'  il  legislatore  ad  avere
direttamente  individuato  il  presupposto  di  imposta  e  la   base
imponibile (quest'ultima rappresentata dai prodotti "succedanei"  dei
prodotti da fumo, secondo la definizione recata dal comma 1),  mentre
alla fonte secondaria e' stato rimesso soltanto  di  disciplinare  il
"contenuto e le  modalita'  di  presentazione  dell'istanza  ai  fini
dell'autorizzazione di cui al comma 2, le procedure per la variazione
dei prezzi di vendita al pubblico dei prodotti di  cui  al  comma  1,
nonche' le modalita' di prestazione della cauzione di cui al comma 3,
di tenuta dei registri  e  documenti  contabili,  di  liquidazione  e
versamento dell'imposta di  consumo,  anche  in  caso  di  vendita  a
distanza, di comunicazione degli esercizi che effettuano  la  vendita
al pubblico, in conformita', per quanto applicabili, a quelle vigenti
per i tabacchi lavorati" 
    Non era quindi nel potere  del  Ministro  dell'Economia  e  delle
Finanze  ne'  di  specificare  quali  prodotti   debbano   ritenersi'
"succedanei" dei prodotti da fumo, ne' di stabilire una data  diversa
dal 1° gennaio  2014,  per  l'entrata  in  vigore  del  nuovo  regime
autorizzatorio ed impositivo. 
    Al  riguardo,  e'  poi  agevole  rilevare  che,  sebbene   l'art.
62-quater non stabilisca espressamente la data a partire dalla  quale
la commercializzazione dei "succedanei" dei prodotti da fumo richiede
il possesso dell'autorizzazione, essa non  puo'  che  coincidere  con
l'entrata in vigore del regime  impositivo  in  quanto  l'unico  fine
dell'autorizzazione,   cosi'   come   strutturata,   appare    quello
strumentale  alla  vigilanza  fiscale  e,  pertanto,  al  versamento,
all'accertamento e alla riscossione dell'imposta. 
    Da tale assetto deriva che i principali vizi dedotti  -  relativi
all'ambito oggettivo di  applicazione  dell'imposta  e  del  connesso
regime autorizzativo, alla determinazione  della  base  imponibile  e
all'introduzione di una aliquota indifferenziata -  non  possono  che
risolversi nella questione di legittimita' costituzionale della norma
citata, nella parte in cui: 
        ha  assoggettato  alla  preventiva  autorizzazione  da  parte
dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la  commercializzazione  dei
prodotti "succedanei dei prodotti da fumo", definiti come i "prodotti
contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire  il  consumo
dei tabacchi lavorati nonche' i dispostivi meccanici ed  elettronici,
comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo"; 
        ha sottoposto, a decorrere dal 1° gennaio  2014,  i  medesimi
prodotti "ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5  per  cento
del prezzo di vendita al pubblico". 
    4.2.  Relativamente  alla  non   manifesta   infondatezza   della
questione di legittimita' costituzionale, il Collegio osserva  quanto
segue. 
    4.2.1. L'applicazione delle accise e,  piu'  in  generale,  delle
imposte sui consumi, puo' avere non solo funzione di gettito fiscale,
ma anche perseguire finalita' extrafiscali, strumentali a  scelte  di
carattere politico - economico. 
    La finalita' delle imposte speciali sui consumi  puo'  essere  in
particolare quella di disincentivare il consumo di beni che  generano
esternalita' negative a danno della  collettivita',  ovvero  soltanto
quella di aumentare le entrate pubbliche  senza  eccessivi  costi  di
accertamento e di riscossione. 
    Sul  piano  economico,  e  dal  punto  di  vista  della   equita'
distributiva, esse hanno effetti regressivi o progressivi  a  seconda
delle tipologie di consumo e della elasticita' delle curve di domanda
e di offerta. 
    Nel caso di beni voluttuari, come l'alcol e il tabacco, e'  stato
rilevato ad esempio che, trattandosi di beni che generano dipendenza,
i consumatori non riescono a decidere la quantita' di consumo in modo
razionale, con la conseguenza che, a parita' dell'onere tributario, i
soggetti a basso  reddito  percepiscono  un  sacrificio  dell'imposta
maggiore rispetto ai soggetti ad alto reddito. 
    L'imposta speciale sul consumo di beni voluttuari di questo  tipo
avrebbe percio' ragione d'essere soltanto se finalizzata a ridurre il
consumo di tali beni e  non  anche  per  la  loro  qualita'  di  beni
secondari o di lusso. 
    Dal  punto  di  vista  giuridico  -  costituzionale,  si  e'  poi
osservato che il presupposto giuridico-formale delle accise  e  delle
imposte sui consumi, e cioe' il fatto  del  consumo,  puo'  includere
elementi patrimoniali non utilizzabili per adempiere all'obbligazione
tributaria,  ma  solo  spendibili  per  soddisfare  il  bisogno   dei
contribuenti. 
    Il consumo, di per se', non costituisce quindi  indice  certo  di
capacita' economica in quanto, perche' sia  tale,  occorre  presumere
che esso sia posto in essere con mezzi derivanti da  un  reddito,  o,
comunque, con una ricchezza propria. 
    Inoltre e' difficile stabilire quando, in quali condizioni  e  in
quale misura il carico fiscale si trasferisca  effettivamente  da  un
soggetto all'altro, essendo molteplici le  variabili  economiche,  le
forze e le condizioni di mercato da cui dipende la traslazione. 
    Pertanto,  per  quanto  concerne  l'imposizione  indiretta,   una
rigorosa  applicazione  del  principio  di  capacita'   contributiva,
espresso dall'art.  53,  comma  1,  Cost.,  condurrebbe  a  ravvisare
l'illegittimita'  costituzionale  di  gran  parte  delle  fattispecie
assunte a presupposto di tale forma di imposizione. 
    Secondo parte della dottrina, tuttavia, la capacita' contributiva
richiesta dall'art. 53, comma 1, Cost., per  realizzare  il  concorso
alle spese pubbliche non deve essere esclusivamente intesa  come  una
capacita' espressa da presupposti che richiedono  anche  elementi  di
patrimonialita'  (nel  senso  della  necessaria  identificazione  del
cosiddetto indice di potenzialita' economica con  il  patrimonio  del
soggetto passivo dell'obbligazione tributaria)  bensi'  in  un'ottica
meramente distributiva, in  cui  il  soggetto  passivo  d'imposta  e'
scelto  indipendentemente  dalla  sua  forza  economica  a  contenuto
patrimoniale e in cui il raggiungimento dell'obiettivo della  "giusta
imposta" e' affidato conseguentemente al solo rispetto del  principio
di ragionevolezza previsto dall'art. 3 cost. e presupposto  dall'art.
53 comma 1 cost. 
    In sostanza, definendo  la  funzione  fiscale  come  una  vera  e
propria funzione di riparto del carico pubblico tra i  consociati  si
consente al legislatore ordinario di assumere, quali soggetti passivi
di imposta idonei a concorrere alle pubbliche spese, anche coloro che
pongono in essere presupposti aventi una rilevanza economico-sociale,
ma non necessariamente anche patrimoniale. 
    L'importante e' che, come ritenuto  dalla  Corte  costituzionale,
tali presupposti siano  oggettivamente  rilevabili,  si  prestino  ad
essere comparati con altre situazioni fiscalmente rilevanti  e  siano
pur sempre misurabili economicamente. 
    Ad esempio, secondo  Corte  cost.  n.  102/93,  che  richiama  la
sentenza n. 201 del 1975, per capacita' contributiva "deve intendersi
l'idoneita' soggettiva  all'obbligazione  d'imposta,  deducibile  dal
presupposto al quale la prestazione e' collegata senza che spetti  al
giudice della legittimita'  delle  leggi  alcun  controllo,  se  non,
ovviamente,  sotto   il   profilo   dell'assoluta   arbitrarieta'   o
irrazionalita' delle norme». 
    In tali pronunce (ma cfr. anche 16 giugno 1964, n. 45, 28  luglio
1976, n. 200, 11 luglio 1989, n. 387) si afferma che il principio  di
capacita' contributiva risponde all'esigenza di  garantire  che  ogni
prelievo  tributario   abbia   causa   giustificatrice   in   "indici
concretamente rilevatori di ricchezza" dai quali  sia  "razionalmente
deducibile l'idoneita' soggettiva all'obbligazione d'imposta". 
    Queste sentenze vanno  poi  lette  in  sintonia  con  quelle  che
riconoscono  la  legittimita'  costituzionale  di   presupposti   che
esprimono una capacita' contributiva in termini di mera potenzialita'
economica. 
    Ad esempio, secondo la sentenza n. 156/2001 (in materia di Irap),
"rientra nella discrezionalita' del legislatore, con il  solo  limite
della  non  arbitrarieta',  la  determinazione  dei   singoli   fatti
espressivi della capacita'  contributiva  che,  quale  idoneita'  del
soggetto  all'obbligazione  di  imposta,  puo'  essere   desunta   da
qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente  dal
reddito individuale (sentenze n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143
del 1995, n. 159 del 1985)". 
    In pratica, l'art.  53,  comma  1  viene  applicato  dalla  Corte
costituzionale  in  maniera  congiunta  con  l'art.   3,   "assumendo
principio di uguaglianza quale regola fondamentale ed autosufficiente
di congruita' che prevale su ogni altra regola attinente  ai  criteri
di riparto dei carichi pubblici". 
    Secondo tale giurisprudenza, e la  dottrina  cui  si  ispira,  il
legislatore "deve operare il riparto del carico  pubblico  secondo  i
criteri di coerenza interna, non  contraddittorieta',  adeguatezza  e
non arbitrarieta'  assicurando  che  a  situazioni  di  fatto  uguali
corrispondano  uguali  regimi  impositivi  e,   correlativamente,   a
situazioni diverse corrisponda un trattamento tributario diseguale". 
    4.2.2.   Alla   luce   delle   coordinate   ermeneutiche   teste'
sintetizzate, il Collegio reputa non condivisibile, in  primo  luogo,
la prospettazione delle ricorrenti secondo  cui  l'equiparazione  del
trattamento  fiscale  delle  sigarette  elettroniche  a  quello   dei
tabacchi  lavorati  determini  una  violazione   del   principio   di
uguaglianza poiche'  essi  costituirebbero  beni  oggettivamente  non
assimilabili tra loro. 
    Come gia' chiarito, da un punto di vista giuridico - formale,  le
imposte speciali sui consumi possono colpire qualunque bene  che  non
sia gia'  sottoposto  ad  accisa,  e  cio'  anche  al  solo  fine  di
incrementare le entrate del bilancio dello Stato. 
    Inoltre, allo stato, non vi e'  ancora  una  definitiva  certezza
scientifica circa il fatto che la sigaretta elettronica non  presenti
alcun rischio per la salute  dell'uomo,  ovvero  che  costituisca  un
presidio utile alla disassuefazione dal tabagismo. 
    Al riguardo, va detto pero' che non convince nemmeno la posizione
della  difesa   erariale,   secondo   cui   la   principale   ragione
dell'intervento legislativo in esame risiederebbe nella tutela  della
salute dei consumatori e nel principio di precauzione. 
    Negli atti governativi  e  parlamentari  (in  particolare,  nella
relazione illustrativa al d.d.l. di conversione del di. n.  76/2013),
si rinviene  infatti  soltanto  il  riferimento  alla  necessita'  di
salvaguardare le entrate erariali derivanti dal consumo dei  tabacchi
lavorati, mentre, nel contesto del medesimo intervento normativo,  la
tutela   dei   consumatori   viene   piu'   opportunamente   affidata
all'attivita' di "monitoraggio" da parte del Ministero  della  Salute
"sugli effetti dei prodotti succedanei dei prodotti  da  fumo"  (art.
11, comma 23, del d.l. n. 76/2013, come  modificato  dalla  legge  di
conversione, che ha inserito un comma 10-bis nell'art. 51 della legge
16 gennaio 2003, n. 3). 
    4.2.3.  Le  ricorrenti  hanno   poi   sostenuto   che   l'entita'
dell'imposizione sarebbe arbitraria e che non vi sarebbe  proporzione
rispetto al suo presupposto economico in quanto  la  possibilita'  di
trasferire  il  peso  dell'imposta  sul  rivenditore  finale,  o  sul
consumatore, rimane condizionata alla  capacita'  del  produttore  di
includere la quota dell'imposta nel prezzo del  prodotto  immesso  in
consumo. 
    Inoltre, non si sarebbe tenuto conto dell'effetto disincentivante
sul consumo derivante dal peso dell'imposta sul prezzo. 
    E' tuttavia evidente che se il legislatore, nell'esercizio  della
potesta' tributaria, fosse vincolato alle regole del mercato,  nessun
bene potrebbe mai  essere  assoggettato  alle  imposte  speciali  sui
consumi. 
    Si e' inoltre gia' rilevato che, per capacita' contributiva, deve
intendersi  "l'idoneita'   soggettiva   all'obbligazione   d'imposta,
deducibile dal -presupposto al quale  la  prestazione  e'  collegata"
(Corte Cost., sentenza n. 102/93, cit.). 
    Nel caso di  specie,  rilevatore  di  capacita'  contributiva  e'
costituito dalla percezione del prezzo di vendita dei succedanei  del
tabacco,  in  relazione  al  quale  non  puo'  dubitarsi,  almeno  in
astratto, dell'idoneita' del soggetto colpito (e non gia'  di  quello
effettivamente inciso) a far fronte all'obbligo tributario, 
    E'  comunque  rimasto  indimostrato   che   l'imposta   determini
l'annullamento   dei   margini   di   utile   e   quindi   l'assoluta
impossibilita', o  estrema  difficolta',  di  esercitare  l'attivita'
economica in esame. 
    4.2.4. Cio' posto, il  vizio  di  fondo  della  normativa  recata
dall'art. 62-quater del TUA, nella parte di interesse nella  presente
controversia, consiste,  a  parere  del  Collegio,  nella  violazione
dell'art. 3 della Carta fondamentale, per l'intrinseca irrazionalita'
di una disposizione che non individua in  maniera  oggettiva,  ovvero
secondo categorie tecnico - giuridiche, i  "prodotti  succedanei  dei
prodotti da fumo" colpiti dall'imposta. 
    Come noto, con la nozione di "bene succedaneo" si fa  riferimento
ad un bene idoneo a sostituirne altri per soddisfare un bisogno o  un
impiego. 
    Si tratta, percio', di un concetto di natura empirico  economica,
che riflette le preferenze "soggettive" dei consumatori. 
    Nel caso di specie, occorre altresi' considerare che il  comparto
delle  sigarette  elettroniche  non  ha  ancora,  nemmeno   in   sede
comunitaria, una precisa qualificazione merceologica, ne' vi  e'  una
normativa di carattere tecnico alla  quale  l'art.  62-quater  possa,
anche solo implicitamente, rinviare. 
    Per quanto riguarda, poi, la proposta di direttiva sul tabacco  e
i "prodotti conciati" approvata dal Parlamento Europeo il 26 febbraio
2014 (e  dal  Consiglio  in  data  14  marzo  2014),  particolarmente
enfatizzata dalla difesa erariale, va osservato che, allo  stato,  si
tratta di norme non  ancora  vigenti,  non  direttamente  applicabili
nell'ordinamento interno e,  comunque,  successive  all'adozione  del
d.l. n. 76/2013. 
    Inoltre,  siffatta  normativa,  sebbene  contenga  una  analitica
definizione della sigaretta elettronica,  (cfr.  l'art.  2,  n.  16),
disciplina i soli prodotti contenenti nicotina e rimette  agli  Stati
membri "la responsabilita' di adottare norme sugli aromi", nonche' di
motivare  e  di  notificare  "qualsiasi  divieto  di  tali   prodotti
aromatizzati", in  conformita'  a  quanto  previsto  dalla  direttiva
98/34/CE (considerando n. 47). 
    In assenza di una autonoma definizione legislativa della  nozione
di "prodotto succedaneo", rilevante sul piano  giuridico  -  formale,
l'individuazione delle «sostanze idonee a sostituire il  consumo  dei
tabacchi lavorati» rimane del tutto incerta. 
    Parimenti incerta ed opinabile appare anche l'individuazione  dei
prodotti che "consentono" il  consumo  dei  succedanei  del  tabacco,
potendo, in tale generica nozione, essere ricornpresa tutta una serie
di beni di natura promiscua, il cui uso  non  e'  necessariamente  ed
esclusivamente   strumentale   al   fumo   elettronico   e   la   cui
commercializzazione, in altri settori, e' del tutto libera. 
    Si spiega cosi', ad esempio, la  contraddittorieta'  delle  prime
indicazioni operative contenute nelle  circolari  dell'Agenzia  delle
Dogane  e  dei  Monopoli,  le  quali,  pur  escludendo  che  prodotti
accessori  come  !,  caricabatterie  e  custodie  siano  assoggettati
all'imposta, hanno comunque  stabilito  che,  qualora  il  prezzo  di
vendita del prodotto "succedaneo" comprenda anche gli accessori, esso
concorre integralmente a formare la base imponibile. 
    Ulteriore conseguenza dell'imprecisa formulazione della  norma  e
della mancanza  di  criteri  atti  ad  individuare  con  certezza  le
componenti della base imponibile, e'  la  previsione  di  un'aliquota
indifferenziata, idonea a gravare con lo  stesso  peso  su  tutta  la
filiera del fumo elettronico e, come detto, anche su prodotti ad  uso
promiscuo. 
    Tutte le incongruenze rilevate sono dovute alla  circostanza  che
la finalita' perseguita (quella di recuperare la perdita  di  gettito
sui tabacchi lavorati derivante dal mutamento  delle  preferenze  dei
consumatori), e' stata direttamente trasposta nella costruzione della
fattispecie e sostituita all'oggetto dell'imposizione. 
    A cio' si aggiunga che il legislatore non ha nemmeno ritenuto  di
conferire all'autorita' amministrativa, mediante la  formulazione  di
criteri direttivi, il potere di integrare  il  precetto  normativo  e
quindi di chiarire l'ambito di applicazione dell'imposta. 
    Come gia' in precedenza evidenziato,  alla  fonte  secondaria  e'
stato rimesso soltanto di disciplinare il procedimento autorizzatorio
nonche'  le  fasi   di   accertamento,   versamento   e   riscossione
dell'imposta. 
    Per  altro  verso,  in  assenza  di  un  contenuto   prescrittivo
sufficientemente  determinato,  e   quindi   di   una   valida   base
legislativa,  l'amministrazione  e'  stata  lasciata  sostanzialmente
libera di includere (o meno) nella base imponibile qualsivoglia  bene
che, secondo  il  suo  insindacabile  apprezzamento,  venga  ritenuto
idoneo a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati. 
    Ne consegue la violazione non solo dei gia'  richiamati  principi
di eguaglianza e ragionevolezza in materia tributaria, ma anche della
riserva di legge in materia di prestazioni imposte e di imparzialita'
e buon andamento della pubblica  amministrazione  (cfr.,  sul  punto,
Corte Cost., sentenza n.350 del 26.10.2007 nonche' n. 115/2011). 
    E' quasi inutile aggiungere che l'indeterminatezza  del  precetto
normativo lede anche il diritto di libera  iniziativa  economica,  in
quanto gli operatori del settore si  trovano  nell'impossibilita'  di
pianificare correttamente i propri  investimenti  e  di  adeguare  le
strutture aziendali alla nuova imposizione. 
    5.  Quanto  appena  argomentato  giustifica  la  valutazione   di
rilevanza  e  non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale, in relazione agli articoli, 3, 23, 41  e
97 della.  Costituzione,  dell'art.  62-quater  del  d.lgs.  n.  504,
introdotto dall'art. 11, comma  22,  D.L.  28  giugno  2013,  n.  76,
convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n.  99,  nella
parte in cui: 
        ha  assoggettato  alla  preventiva  autorizzazione  da  parte
dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la  commercializzazione  dei
prodotti "succedanei dei prodotti da fumo", definiti come i "prodotti
contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire  il  consumo
dei tabacchi lavorati nonche' i dispostivi meccanici ed  elettronici,
comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo"; 
        ha sottoposto, a decorrere dal 1° gennaio  2014,  i  medesimi
prodotti "ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5  per  cento
del prezzo di vendita al pubblico". 
    Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del  giudizio
e la rimessione degli atti alla  Corte  Costituzionale  affinche'  si
pronunci sulla questione. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma,
sez. II^, non definitivamente pronunciando sul ricorso,  e  i  motivi
aggiunti, di cui in premessa, cosi' dispone: 
        1) dichiara rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  in
relazione agli artt. 3, 23, 41 e 97 della Costituzione, la  questione
di legittimita' dell'art. 62-quater del  d.lgs.  n.  504,  introdotto
dall'art. 11, comma 22, D.L. 28 giugno 2013, n. 76,  convertito,  con
modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 99, nella parte in cui: 
          ha assoggettato alla  preventiva  autorizzazione  da  parte
dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la  commercializzazione  dei
prodotti "succedanei dei prodotti da fumo", definiti come i "prodotti
contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire  il  consumo
dei tabacchi lavorati nonche' i dispostivi meccanici  ed  elettronici
comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo"; 
          ha sottoposto, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i  medesimi
prodotti "ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5  per  cento
del prezzo di vendita al pubblico". 
        2) dispone la sospensione  del  presente  giudizio  e  ordina
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale; 
        3) rinvia ogni ulteriore statuizione in rito,  nel  merito  e
sulle spese di lite all'esito del giudizio incidentale  promosso  con
la presente pronuncia; 
        4) ordina che, a cura  della  Segreteria  della  Sezione,  la
presente  ordinanza  sia  notificata  alle  parti  costituite  e   al
Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  nonche'   comunicata   ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Roma nella  camera  di  consiglio  del  giorno  2
aprile 2014 con l'intervento dei magistrati: Luigi Tosti, Presidente;
Salvatore  Mezzacapo,  Consigliere;  Silvia   Martino,   Consigliere,
Estensore. 
 
                     L'estensore: Silvia Martino 
 
 
                                           Il Presidente: Luigi Tosti