N. 209 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 maggio 2014

Ordinanza del 20 maggio 2014 emessa dalla  Corte  di  cassazione  sul
ricorso proposto da Alessandrini Ernesta ed altri 115. 
 
Edilizia - Reati edilizi - Lottizzazione  abusiva  -  Confisca  (c.d.
  confisca urbanistica) - Interpretazione della Corte  EDU  (sentenza
  29 ottobre 2013, Varvara c. Italia) - Esclusione  che  la  confisca
  dei terreni abusivamente  lottizzati  e  delle  opere  abusivamente
  costruite  possa  applicarsi   nel   caso   di   dichiarazione   di
  prescrizione del reato anche qualora la responsabilita' penale  sia
  stata accertata in tutti i  suoi  elementi  -  Lesione  dei  valori
  costituzionali  oggettivamente  fondamentali  quali  il  paesaggio,
  l'ambiente, la vita e la salute,  cui  riconoscere  prevalenza  nel
  bilanciamento con il diritto di proprieta' -  Incompatibilita'  con
  la funzione sociale  e  l'utilita'  sociale  cui  la  proprieta'  e
  l'iniziativa   economica   privata   sono   asserviti   -   Mancata
  considerazione del bilanciamento che deve  essere  operato  qualora
  siano in gioco  opposti  interessi  costituzionali  protetti  anche
  quando gli  uni  trovino  tutela  nella  CEDU  e  gli  altri  nella
  Costituzione italiana. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, art.
  44, comma 2. 
- Costituzione, artt. 2, 9,  32,  41,  42  e  117,  primo  comma,  in
  relazione all'art. 7 della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
  diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
(GU n.48 del 19-11-2014 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                       (Terza Sezione Penale) 
 
    Composta dagli Ill.mi signori Magistrati: 
      Dott. Saverio Felice Mannino, Presidente; 
      Dott. Silvio Amoresano, Consigliere; 
      Dott. Lorenzo Orilia, Consigliere; 
      Dott. Aldo Aceto, Consigliere; 
      Dott. Alessio Scarcella, Rel. Consigliere. 
    Ha  pronunciato  la  seguente  sentenza-ordinanza   sul   ricorso
proposto da: 
      Parti  Civili,  Alessandrini  Ernesta,  Bartolomei  Anna  Rita,
Boldrini  Daniele,  Cangemi  Gabriele,  Cantaro  Ester,   Cargnelutti
Silvano,  Carnevale   Alessandra,   Carnevale   Patrizia,   Catenacci
Fabrizio, Catenacci Roberto, Celani Antonio, Centioli  Maria  Serena,
Chiacchiarelli Alessandro, Ciaccio Riccardo, Ciccarelli Maria  Laura,
Ciccarelli  Nicola,  Colaneri  Domenico,  Corso  Vincenzo,  Corvaglia
Emanuela, Gentili Franco,  D'Angeli  Carmine,  D'Ercole  Mirella,  De
Angelis Maria, Bruno Alessandro, Del Frate Giuseppe, Dell'Orco Carlo,
Di Mattia Stefano, Favaron Liliana, Federici Pier  Venanzio,  Ferrara
Diego  Hernan,  Fossi  Carlo,  Fralleoni  Giulio,   Fusco   Fabrizio,
Gaggiotti Fabio, Garzia Franco, Gattamelata Franco, Gentili Maurizio,
Giraldi Rita, Grillo Santo Darko, Grossi Alessandro, Guarna  Caterina
Anna, Guarna Tiziana, Ianni Fabio, Khalili Mohamed, La Penna Antonio,
Lombi Marco, Maggi Stefano, Mannozzi Antonella, Mariotti  Alessandro,
Martelli  Manuela,  Martini  Stefano,   Martinucci   Carlo,   Morelli
Goffredo, Nava Franco, Oddi Giampiero, Oddi Luciano,Panerai  Doriana,
Panerai Bruno,  Paolacci  Fernando,  Paoletti  Alessandra,  Pasquetto
Adriano,  Petrucci  Paola,  Piacentini  Giampiero,   Pomella   Paolo,
Proioetti Tiziana, Transerici Roberto, Ramussen Eva Leonora, Restaini
Ernesto, Ricchiuto Domenico, Rocco Pier Luigi, Rossi Sergio,  Rotondi
Eliana, Rufini Anna, Di Giovanni  Claudio,  Santa  Angelino,  Siclari
Vincenzo,  Silveri  Marco,  Sirsi  Luigi,  Solla   Mauro,   Staffieri
Valentina, Pergolese Giovanni, Toselli Roberto, Tursini Massimiliano,
Valentini Marzia,  Vecchi  Massimo,  Veltri  Antonio,  Veltri  Carlo,
Veltri Carmelo, Viola Santino, Vivio Maria Pia, Zarella  Fabio,  Zito
Nicolo', Baggiossi Fabrizio, Battisti Roberta,  Ceci  Patrizio,  Ceci
Emiliano, Ciolli Luigi, Corona Gianmichele, Di Giambattista Enzo,  Di
Mambro Alvaro, Fiori Angelo, Frezza Federico, Lorenzetti Sergio, Luzi
Massimiliano, Ranieri  Massimo,  Rezzesi  Agostino,  Rezzesi  Marina,
Rossi Galliano, Savalli Antonietta, Testori Alberto, Tortora  Sergio,
Verini Supplizi Fabio, Gurgone Carlo n. il 19  luglio  1962,  Ciccone
Carmine n. il 20 gennaio 1975, Lorenzi Carmen n. il 5 novembre  1933,
D'Angelo Paolo; 
    Avverso la sentenza n. 6963/2011 Corte Appello  di  Roma,  del  9
maggio 2012; 
    Visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    Udita in pubblica udienza del 30 aprile 2014 la  relazione  fatta
dal Consigliere Dott. Alessio Scarcella; 
    Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. V.  D'Ambrosio
che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi; 
    Udito, per la parte civile, l'Avv. M. Franco, che ha concluso per
l'accoglimento del ricorso; 
    Udito, i difensori Avv. G. Fusco (insost. avv.  M.  Mansutti  per
Gurgone),  L.A.  Melegari  (insost.  dell'avv.  C.A.   Melegari   per
Ciccone), R. Borgogno (per Lorenzi), A. Argante (per  D'Arcangelo)  e
A. Fiore (per Schiuntu), che hanno concluso  per  l'accoglimento  dei
rispettivi ricorsi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Gurgone Carlo, Ciccone Carmine,  Lorenzi  Carmen,  D'Arcangelo
Vincenzo  e  Schintu  Salvatore  -  unitamente  all'avv.  M.  Franco,
nell'interesse sia dei promissari acquirenti che degli acquirenti  di
alcuni degli immobili facenti parte  del  "Villaggio  del  parco"  di
Sabaudia, costituitisi parti  civili  nel  processo  a  quo  -  hanno
proposto  ricorso,  a  mezzo  del  rispettivi   difensori   fiduciari
cassazionisti, avverso la sentenza della  Corte  d'appello  di  Roma,
emessa in data 9 maggio 2012, depositata in data 6 luglio  2012,  con
cui, in parziale riforma  della  sentenza  emessa  dal  Tribunale  di
Latina, in data 26 gennaio 2010,  e'  stato  dichiarato  non  doversi
procedere nel confronti di  Gurgone  Carlo,  D'Arcangelo  Vincenzo  e
Schintu  Salvatore  per  i  reati  loro  ascritti;  veniva,   invece,
confermata sia l'assoluzione per insussistenza del fatto  di  Schintu
Salvatore per il reato sub d) nonche' la condanna di Ciccone  Carmine
e Lorenzi Carmen (rinuncianti espressamente alla  prescrizione)  alla
pena sospesa di anni due di reclusione ciascuno, alle pene accessorie
di legge per i reati loro ascritti,  alla  restituzione  delle  somme
versate in esecuzione dei contratti in essere  (rimettendo  le  parti
dinanzi al giudice civile per la  liquidazione  delle  spese),  oltre
alla confisca degli immobili e dei terreni sequestrati e con  rigetto
delle richieste di risarcimento del danno avanzate dalle pp.cc. 
    Nello  specifico,  le  imputazioni  riguardano,  precisamente,  i
predetti nelle seguenti qualita': 
      1) Lorenzi Carmen, nella qualita' di amministratore unico della
Petrarca Costruzione S.r.l., proprietaria dei terreni  descritti  nel
capo di imputazione che segue; 
      2) Ciccone Carmine, quale procuratore speciale e amministratore
di fatto della predetta societa', committente e direttore dei lavori; 
      3) Gurgone Carlo, nella qualita' di  responsabile  pro  tempore
del settore urbanistica - assetto del territorio - demanio  marittimo
del  Comune  di  Sabaudia,  sottoscrittore  della   convenzione   per
l'attuazione del progetto relativo ad  una  struttura  ricettiva  per
anziani (delibera Consiglio Comunale n. 30 del 22 aprile 2004  avente
per oggetto: riconvenzionamento della societa'  Petrarca  Costruzioni
S.r.l.  per  la  realizzazione  di   una   struttura   per   anziani.
Approvazione nuovo schema di convenzione) e del provvedimento  n.  23
del 16 agosto  2004  (determina  di  annullamento  della  convenzione
stipulata  in  data  13   marzo   2002   con   atto   rep.   1392   e
riconvenzionamento della societa' Petrarca Costruzioni S.r.l. per  la
realizzazione di una struttura per  anziani,  secondo  lo  schema  di
convenzione allegato alla delibera di Consiglio Comunale n. 30 del 22
aprile 2004), nonche' firmatario dei permessi a costruire nn. 155 del
30  settembre  2004,  254  e  255  del  4  maggio  2005,  palesemente
illegittimi, in favore di Lorenzi Carmen n. q. di cui  sopra  per  la
realizzazione di un centro servizi e  unita'  abitative  condominiali
con relativa sanatoria d'ufficio dei lavori di  fondazione  ai  sensi
dell'art. 38, D.P.R. n.  380/01,  eseguiti  prima  del  rilascio  del
titolo ed accertati dal Corpo Forestale  dello  Stato  di  Terracina,
riconvenzionamento in contrasto con la variante  al  PRG  del  Comune
approvata dalla Regione Lazio con la delibera Regionale n.  2651  del
16 giugno 1998 e con il piano di lottizzazione con la nota  n.  11249
della Regione Lazio del 12 ottobre 2000, nonche' permessi a costruire
In contrasto con il piano di lottizzazione gia' approvato il 5 luglio
2000 dal Consiglio comunale di Sabaudia,  disattendendo  la  nota  n.
11249 della Regione Lazio del 12 ottobre 2000 la quale stabiliva  che
nello schema di convenzione di cui alla DCC n. 23 del 5  luglio  2000
doveva essere vietata l'alienazione delle singole unita'  immobiliari
e prevista la gestione unitaria del complesso; 
      4) D'Arcangelo Vincenzo Pietro, n.q. di capo  area  dei  Lavori
Pubblici del Comune di Sabaudia, sottoscrittore  del  parere  tecnico
allegato alla delibera di Consiglio Comunale n. 30 del 22 aprile 2004
con cui veniva  determinato  il  gia'  citato  riconvenzionamento  in
favore della suddetta societa'; 
      5) Schintu Salvatore, n. q. di sindaco pro tempore  del  Comune
di Sabaudia al momento della D.C.C. n. 30 del 22 aprile 2004 con  cui
veniva approvato il riconvenzionamento meglio descritto in  premessa,
riconvenzionamento in contrasto con la variante  al  PRG  del  Comune
approvata dalla Regione Lazio con delibera Regionale n. 2651  del  16
giugno 1998 e con il piano di lottizzazione  con  la  nota  n.  11249
della Regione Lazio del 12 ottobre 2000, provvedimenti questi  ultimi
adottati  quando  lo  stesso  ricopriva  la   carica   di   assessore
all'urbanistica   del   citato   Comune   e   quindi   dallo   stesso
istituzionalmente conosciuti. 
    I reati per cui e' intervenuta pronuncia di  proscioglimento  per
estinzione dei reati per prescrizione (e di condanna  per  Lorenzi  e
Ciccone, rinuncianti alla prescrizione), sono i seguenti: 
      I. capo a): 
        artt. 110 e 323 c.p. (contestato come commesso in Sabaudia  -
settembre 2004 e maggio 2005 in ordine  all'epoca  del  rilascio  dei
permessi a costruire), perche', in concorso tra loro,  in  violazione
degli strumenti  urbanistici  vigenti  nel  Comune  di  Sabaudia  (in
particolare in violazione della DGR del 29 agosto 1998 - variante  al
PRG; del DCC n. 23 del 5 luglio 2000 e nota n. 11249 del  12  ottobre
2000 della Regione Lazio) e della l.r.  n.  11/76,  modificata  dalla
l.r. n. 38/96, della DGR n. 6078/99 e l.r. n. 41/03) realizzavano  la
lottizzazione denominata "Villaggio del Parco"  sopra  le  particelle
catastali  meglio  descritte  nel  capo  che   segue,   mediante   la
stipulazione  della  D.C.C.  n.  30  del  22  aprile  2004  e   della
determinazione n. 23 del 16 agosto 2004, lottizzazione costituita  da
n. 285 unita' abitative in luogo di un complesso di case albergo  per
anziani (soggetto al vincolo di destinazione per finalita'  sociali),
lottizzazione in  contrasto  segnatamente  con  la  variante  al  PRG
approvata dalla Regione Lazio con D.R. n. 2651 dal 16 giugno  1998  e
con il piano di lottizzazione approvato con delibera C.C. n. 23 del 5
luglio 2000 (avente per oggetto una struttura ricettiva  per  anziani
del tipo casa albergo, caratterizzata da un complesso di appartamenti
minimi predisposti per coppie di coniugi  ed  anziani,  provvista  di
servizi sia autonomi che centralizzati), lottizzazione in cui  veniva
prevista, in spregio al vincolo di destinazione, l'alienazione  delle
singole unita' immobiliari in regime di libero mercato, delibera  del
C.C. del 22 aprile 2004 n. 30 e determinazione n. 23  del  16  agosto
2004 illegittime e illecite in  quanto  in  contrasto  con  i  citati
strumenti  urbanistici,  intenzionalmente  procurando   un   ingiusto
vantaggio alla societa' Petrarca Costruzioni S.r.l., proprietaria dei
terreni, e ai suoi amministratori e soci; 
      II. capo b: 
        artt. 110 c.p. e 44 lett. c), D.P.R. 380/01 (contestato  come
commesso in Sabaudia fino al marzo 2006)  perche',  in  concorso  tra
loro, nelle qualita' di cui sopra e con le condotte meglio  descritte
al capo che precede, sopra un'area  distinta  al  foglio  n.  24  del
catasto terreni-particelle 11/a, 13 parte, 16,  17,  23  parte  e  18
concorrevano a realizzare la lottizzazione denominata "Villaggio  del
Parco", costituita da 285 unita abitative in luogo di un complesso di
case - albergo per anziani (soggetto al vincolo di  destinazione  per
finalita' sociali), parte delle quali gia' compiutamente  realizzate,
lottizzazione in contrasto con gli strumenti  urbanistici  e  con  le
normative nazionali e regionali di cui al precedente capo e avente ad
oggetto una struttura ricettiva per anziani del tipo casa -  albergo,
caratterizzata da un complesso di appartamenti minimi predisposti per
coppie di coniugi ed anziani, autosufficienti, provvista  di  servizi
sia autonomi che centralizzati, lottizzazione approvata di fatto  con
delibera n. 30 del 22 aprile 2004  del  comune  di  Sabaudia  in  cui
veniva prevista, in spregio al vincolo di destinazione, di  cui  alla
citata normativa, l'alienazione delle singole unita'  immobiliari  in
regime di libero mercato; 
      III. capo c): 
        artt. 110 c.p. e 44 lett. b), D.P.R. 380/01 (contestato  come
commesso in Sabaudia fino al marzo 2006)  perche',  in  concorso  tra
loro, nelle qualita' e  con  le  condotte  descritte  in  precedenza,
realizzavano  n.  285  unita'  abitative  mediante  il  rilascio  dei
permessi citati, palesemente illegittimi ed  illeciti  per  contrasto
con gli strumenti urbanistici e con le normative nazionali  regionali
di cui ai precedenti capi. 
    2. Con il ricorso di Gurgone Carlo vengono dedotti cinque motivi,
di  seguito  enunciati  nei  limiti  strettamente  necessari  per  la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 
    2.1. Deduce,  con  il  primo  motivo,  l'inosservanza  o  erronea
applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche,  di  cui
si deve tener conto nell'applicazione  della  legge  penale,  nonche'
mancanza,   contraddittorieta'   o   manifesta   illogicita'    della
motivazione  (art.  606,  comma  1,  lett.  b)  e  c),  c.p.p.),  con
riferimento agli artt. 110 e 323 c.p.  nonche'  art.  546,  comma  1,
lett. e) e art. 107 comma terzo,  lett.  c),  d.lgs.  n.  267/2000  -
nullita' della sentenza impugnata. 
    2.2. Deduce, con il  secondo  motivo,  l'inosservanza  o  erronea
applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche,  di  cui
si deve tener conto nell'applicazione  della  legge  penale,  nonche'
mancanza,   contraddittorieta'   o   manifesta   illogicita'    della
motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) e con  riferimento  all'art.
323 c. p. - insussistenza dell'elemento oggettivo e  psicologico  del
reato. 
    2.3. Deduce,  con  il  terzo  motivo,  l'inosservanza  o  erronea
applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche,  di  cui
si deve tener conto nell'applicazione  della  legge  penale,  nonche'
mancanza,   contraddittorieta'   o   manifesta   illogicita'    della
motivazione  (art.  606,  comma  1,  lett.  b)  e  c),  c.p.p.),  con
riferimento agli artt. 323 c.p. e 522 e 597 c.p.p. 
    2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art.  606,
lett. b), c.p.p, per  inosservanza  e/o  erronea  applicazione  degli
artt. 30 e 44, lett. c), D.P.R. 380/01, nonche' 42  c.p.  nonche'  il
vizio  di  cui  all'art.  606,  lett.  e),  c.p.p.  per  mancanza  di
motivazione in ordine agii elementi oggettivi e soggettivi del  reato
di lottizzazione. 
    2.5. Deduce, infine, con  il  quinto  motivo,  il  vizio  di  cui
all'art. 606, lett. b) c.p.p. per inosservanza o errata  applicazione
dell'art. 44, lett. b), D.P.R. n. 380/01 nonche'  il  vizio  previsto
dall'art. 606, lett. e) c.p.p, per mancanza dl motivazione in  ordine
al reato di contravvenzione urbanistica. 
    3. Con il  ricorso  di  Schintu  Salvatore  vengono  dedotti  due
motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. atti cod. proc. pen. 
    3.1. Deduce, con il primo motivo, la nullita' della sentenza  per
violazione di legge e difetto di motivazione  in  relazione  all'art.
606, lett. b) e c), c.p.p. in relazione agli artt. 110 e 323  c.p.  e
all'art. 522 c.p.p. 
    3.2. Deduce, con il secondo motivo,  la  nullita'  dell'impugnata
sentenza per  violazione  di  legge  e  difetto  di  motivazione  con
riferimento al d.lgs. n. 274/00 e al d.lgs. n. 165/2001. 
    4. Con il ricorso di D'Arcangelo  Vincenzo  vengono  dedotti  sei
motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 
    4.1. Deduce, con il primo motivo: 
      a) la  carenza  di  penale  responsabilita'  in  capo  all'ing.
Vincenzo D'Arcangelo rilevabile all'evidenza e per tabulas; 
      b) la nullita' insanabile dell'ordinanza  12  aprile  2012  per
assoluto difetto di motivazione, nonche' della medesima  ordinanza  e
della sentenza per violazione dell'art. 606, lettere b) ed e) c.p.p.,
per violazione dell'art. 129 c.p.p. e dell'art. 521 c.p.p., in una  a
manifeste contraddizioni ed  illogicita'  risultanti  sia  dai  testo
della sentenza, sia da altri atti dei processo. 
    4.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art.  606
lett.  e),  c.p.p.,  per  manifeste  contraddizioni  ed   illogicita'
risultanti sia dal testo  della  sentenza,  sia  da  altri  atti  del
processo. 
    4.3. Deduce, con il terzo motivo: 
      a) il vizio di cui all'art. 606, lett. b)  ed  e),  c.p.p.  per
inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 3, legge  241/1990  in
relazione al  preteso  difetto  di  motivazione  della  deliberazione
consiliare 30/2004; 
      b) il vizio di cui all'art. 606, lett. c), c.p.p, in  relazione
all'art. 533, comma 1, c.p.p. 
    4.4. Deduce, con il quarto motivo: 
      a) il vizio di cui all'art. 606 lett. c)  c.p.p.  in  relazione
all'art. 521, 522 e 597 c.p.p.; 
      b) Il vizio di cui all'art. 606,  lett.  b)  ed  e)  c.p.p.  in
relazione all'art. 323; 
      c) il vizio di motivazione incoerente. 
    4.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all'art.  606,
lett. b) ed e), c.p.p.,  per  in  relazione  all'elemento  soggettivo
previsto dall'art. 323 c.p. 
    4.6. Deduce, con il sesto ed  ultimo  motivo,  il  vizio  di  cui
all'art. 606 lett. d), c.p.p., in relazione  all'omessa  rinnovazione
dell'istruttoria dibattimentale. 
    5. Con il ricorso di Ciccone Carmine vengono dedotti otto motivi,
di  seguito  enunciati  nei  limiti  strettamente  necessari  per  la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 
    5.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui  all'art.  606,
lett. c), c.p.p. per inosservanza  degli  artt.  521  e  597  c.p.p.:
l'alveo cognitivo e decisionale del giudicante in relazione  ai  capi
di imputazione, alla sentenza di primo grado ed ai motivi di appello. 
    In  sintesi,  vi   sarebbe   violazione   del   principio   della
corrispondenza tra chiesto  e  pronunciato,  in  quanto  l'originaria
imputazione  non  aveva  contestato   l'illegittimita'   degli   atti
amministrativi per vizi di motivazione; la  Corte  d'appello  avrebbe
dovuto quindi solo valutare i vizi afferenti  l'illegittimita'  delle
delibere n. 23/2004 e 30/2004, come  imposto  dall'art.  597  c.p.p.,
mentre  ha  valutato  la  pretesa  illegittimita'   della   procedura
amministrativa derivante dalle modifiche alla  convenzione  stipulata
dalla societa'  Petrarca  S.r.l.  riguardante  l'alienabilita'  delle
singole unita' immobiliari. 
    5.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606,
lett. b), c.p.p. per inosservanza o  erronea  applicazione  dell'art.
323 c.p.: elemento oggettivo del reato. 
    5.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui  all'art.  606,
lett. b), c.p.p. per inosservanza o  erronea  applicazione  dell'art.
323 c.p. nonche' il vizio di cui all'art. 606, lett.  e,  c.p.p.  per
manifesta  illogicita'  della  motivazione  quanto  alla  scelta   di
destinare gli alloggi per  anziani  per  mezzo  di  usufrutto  e  non
dell'obbligo di proprieta'. 
    5.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art.  606,
lett.  b),  c.p.p.  per  inosservanza  e/o  erronea   interpretazione
dell'art. 323 c.p.: insussistenza dell'elemento psicologico. 
    5.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all'art.  606,
lett. b), c.p.p. per inosservanza e/o erronea  interpretazione  degli
artt. 30 e 44, lett. c), D.P.R. n. 380/01 nonche' il  vizio  previsto
dall'art. 606, lett. e), c.p.p. per mancanza di motivazione in ordine
al reato di lottizzazione. 
    5.6. Deduce, con il sesto motivo, Il vizio di cui  all'art.  606,
lett. b), c.p.p. per inosservanza e/o  errata  interpretazione  degli
artt. 30 e 44, lett. c), D.P.R. n. 380/01 e 42 c.p., nonche' il vizio
previsto dall'art. 606, lett. e), c.p.p. per mancanza di  motivazione
in  ordine  all'elemento  psicologico  del  reato  di   lottizzazione
abusiva. 
    5.7. Deduce, con il settimo motivo, il vizio di cui all'art. 606,
lett. b), c.p.p. per inosservanza o errata interpretazione  dell'art.
44, lett. b), D.P.R. n. 380/01 nonche' il  vizio  previsto  dall'art.
606, lett. e), c.p.p. per mancanza di motivazione in ordine al  reato
di contravvenzione urbanistica. 
    5.8. Deduce, con l'ottavo ed  ultimo  motivo,  il  vizio  di  cui
all'art.  606,  lett.  b),  c.p.p.  per   inosservanza   e/o   errata
applicazione dell'art. 110 c.p. nonche' il vizio  previsto  dall'art.
606, lett. e), c.p.p. per  mancanza  della  motivazione  in  tema  di
concorso dei ricorrente. 
    6. Con il ricorso di Lorenzi Carmen vengono dedotti sette motivi,
di  seguito  enunciati  nei  limiti  strettamente  necessari  per  la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 
    6.1. Deduce, con il primo  motivo,  la  nullita'  della  sentenza
impugnata, con  riferimento  all'art.  606,  lett.  c),  c.p.p.,  per
violazione dei combinato disposto degli artt. 121 c.p.p. e 178, comma
1,  lett.  c),  e  546  c.p.p.,  non  essendo  state  prese   neanche
parzialmente in considerazione le argomentazioni difensive esposte in
una memoria difensiva contestualmente alla discussione. 
    6.2. Deduce, con il secondo motivo, la violazione  dell'art.  603
c.p.p, nonche' carenza di motivazione, con riferimento all'art.  606,
lett. b) ed e), c.p.p., in relazione al  mancato  accoglimento  della
richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. 
    6.3. Deduce, con il terzo motivo, la violazione degli  artt.  44,
lett. b) e c), D.P.R. n.  380/2001  e  110  c.p.  nonche'  carenza  e
illogicita' manifesta della motivazione risultante dal  testo  stesso
del provvedimento impugnato, con riferimento all'art. 606,  lett.  b)
ed e), c.p.p., in relazione alla  mancata  assoluzione  dell'imputata
dai reati edilizi a lei contestati con la formula "perche'  il  fatto
non sussiste" o "perche' il fatto non costituisce reato". 
    6.4. Deduce, con il quarto motivo, la violazione degli artt.  110
e 323 c.p. nonche' carenza e illogicita' manifesta della  motivazione
risultante dal testo stesso della sentenza impugnata, con riferimento
all'art. 606, lett. b) ed  e),  c.p.p.,  in  relazione  alla  mancata
assoluzione dell'imputata dal reato di abuso d'ufficio a lei ascritto
con la formula "perche' il fatto non sussiste" o  "perche'  il  fatto
non costituisce reato". 
    6.5. Deduce, con il quinto motivo, la violazione degli artt.  110
e 323 c.p. nonche' carenza assoluta della motivazione risultante  dal
testo stesso dei provvedimento impugnato,  con  riferimento  all'art.
606, lett. b) ed e), c.p.p., in  relazione  all'intervenuta  condanna
della Lorenzi per  concorso  nei  reati  descritti  nell'imputazione,
senza nessun approfondimento del ruolo da  lei  ricoperto  in  ambito
societario. 
    6.6. Deduce, con il sesto motivo, la violazione  degli  artt.  62
bis e 133 c.p., nonche' carenza assoluta della motivazione risultante
dai  testo  stesso  del  provvedimento  impugnato,  con   riferimento
all'art. 606,  lett.  b)  ed  e),  c.p.p.,  in  merito  alla  mancata
concessione all'imputata delle attenuanti generiche e alla violazione
dei criteri di quantificazione della pena. 
    6.7. Deduce, con il settimo motivo, la violazione  dell'art.  185
c.p.  nonche'  carenza  e  manifesta  illogicita'  della  motivazione
risultante  dal  testo  stesso  del  provvedimento   impugnato,   con
riferimento all'art. 606,  lett.  b)  ed  e),  c.p.p.,  in  relazione
all'intervenuta  condanna   dell'imputata   alla   restituzione   nei
confronti della costituita parte civile. 
    7. Con atto tempestivamente depositato presso la  cancelleria  di
questa Corte nell'interesse di Lorenzi Carmen, e'  stato  dedotto  un
ulteriore due  motivo  aggiunto,  di  seguito  enunciato  nei  limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod.
proc. pen. 
    7.1. Deduce, con tale motivo aggiunto, in  relazione  al  secondo
motivo di ricorso (v., sopra, § 6.2.), ulteriori questioni afferenti,
da un lato, alla legittimita' o meno della D.C.C. di Sabaudia del  22
aprile 2004 e dei successivi atti amministrativi posti in  essere  in
sua attuazione e, dall'altro, alla configurabilita' o meno, nel  caso
in esame, del reato di lottizzazione abusiva c.d.  negoziate  di  cui
agli artt. 30 e 44, T.U. edilizia. 
    8. Con il ricorso proposto nell'interesse di  n.  107  promissari
acquirenti degli immobili facenti parte del "Villaggio del parco"  di
Sabaudia, costituitisi parti civili nel processo  a  qua,  l'avv.  M.
Franco deduce un unico, articolato, motivo, di seguito enunciato  nei
limiti strettamente necessari per la motivazione ex  art.  173  disp.
att. cod. proc. pen. 
    8.1. Deduce, con tale  unico,  articolato,  motivo,  la  nullita'
della sentenza ex art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., per violazione
dell'art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, dell'art. 185 c.p. e degli
artt. 538, 539, 541 c.p.p.; nonche' la  nullita'  della  sentenza  ex
art.  606,  lett.  e),  c.p.p.,  per  illogicita'  e  mancanza  della
motivazione oltre che travisamento del fatto. 
    9. In data  11  aprile  2014,  il  ricorrente  Gurgone  Carlo  ha
depositato presso la cancelleria di questa Corte una memoria ex  art.
121 cod. proc. pen. in  cui  evidenzia  alcuni  aspetti  rilevanti  a
giustificazione   dei    proprio    operato,    analizzando    l'iter
procedimentale relativo ai fatti contestati. 
    10. In data 11 aprile 2014,  il  ricorrente  Ciccone  Carmine  ha
depositato presso la cancelleria di questa Corte una memoria ex  art.
121 cod. proc. pen., con cui ha: 
      a) dichiarato di revocare la rinuncia alla prescrizione; 
      b)  chiesto,  in  subordine  alla   richiesta   di   Cassazione
dell'impugnata  sentenza  per  i  motivi  esplicitati   nel   ricorso
introduttivo,  annullarsi  l'impugnata   sentenza   per   intervenuta
prescrizione, con conseguente revoca della confisca disposta ex  art.
44, D.P.R. n. 380/2001. 
    11. In data 11 aprile  2014,  la  ricorrente  Lorenzi  Carmen  ha
depositato presso la cancelleria di questa Corte una memoria ex  art.
121 cod. proc. pen., con cui ha: 
      a) dichiarato di revocare la rinuncia alla prescrizione; 
      b)  chiesto,  in  subordine  alla   richiesta   di   Cassazione
dell'impugnata  sentenza  per  i  motivi  esplicitati   nel   ricorso
introduttivo,  annullarsi  l'impugnata   sentenza   per   intervenuta
prescrizione, con conseguente revoca della confisca disposta ex  art.
44, D.P.R. n. 380/2001. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    12.  Ritiene,  anzitutto,  il  Collegio  debba  essere   valutata
preliminarmente la richiesta, comune a  tutte  le  parti  ricorrenti,
relativa alla adozione di pronuncia ampiamente liberatoria  da  parte
della  Suprema  Corte  (annullamento  senza   rinvio   dell'impugnata
sentenza  per  insussistenza  dei  fatto  o  perche'  il  fatto   non
costituisce reato)  alla  luce  delle  considerazioni  sviluppate  da
ciascuna delle parti ricorrenti nei separati ricorsi  ed  oggetto  di
specifica puntualizzazione in sede di discussione. 
    Il nucleo essenziale, comune  ai  ricorsi,  e'  costituito  dalla
censura mossa all'impugnata sentenza (ed a  quella  di  primo  grado,
confermativa  della  prospettazione  accusatoria),  secondo  cui  non
sussisterebbero elementi probatori sicuri per ritenere  configurabili
gli elementi oggettivi e soggettivi dei  reati  in  questione  (abuso
d'ufficio, lottizzazione abusiva e costruzione edilizia abusiva).  In
questo senso,  in  estrema  sintesi,  la  difesa  dei  ricorrenti  ha
evidenziato alcuni profili che, nell'ottica difensiva, escluderebbero
in nuce la configurabilita' degli illeciti in questione: 
      a) quanto al delitto di abuso d'ufficio  (art.  323  c.p.),  il
reato non sarebbe configurabile in caso di eccesso di  potere,  salvo
che non sia possibile accertare l'esistenza dell'abnormita' dell'atto
amministrativo impugnato e, quanto all'elemento  psicologico  (dolo),
la sentenza  sarebbe  censurabile  per  averlo  desunto  da  elementi
inidonei ed insufficienti  per  considerarlo  sussistente;  gli  atti
contestati come illegittimi in realta' non sarebbero tali, in quanto,
ad esempio, il vincolo di destinazione d'uso (v. artt. 15 e 16  della
Convenzione) riguardava chi sarebbe andato ad occupare  l'alloggio  e
non il proprietario; la violazione  di  uno  degli  obblighi  avrebbe
comportato, in virtu' di un'espressa previsione  contenuta  nell'atto
amministrativo asseritamente illegittimo,  l'acquisizione  al  Comune
della proprieta' dell'area; la stessa Regione Lazio con la nota prot.
n. 100940 del 15 luglio 2004 avrebbe confermato la  legittimita'  del
nuovo schema di Convenzione di cui alla delibera n. 30 del 22  aprile
2004, quanto alla destinazione  d'uso  dell'edificio  da  realizzarsi
come  struttura  per  anziani;  non   sarebbe   stato   chiaro,   sin
dall'inizio, quale sia la violazione di legge realmente contestata ai
ricorrenti; 
      b) quanto, poi, al reato di  lottizzazione  abusiva  (art.  44,
lett. c), D.P.R. n.  380/2001)  non  vi  sarebbero  gli  estremi  per
ritenerlo configurabile, in assenza di elementi probatori  certi  per
ritenere  che,  con  la  convenzione  "novellata"  si   sia   operata
un'illegittima trasformazione della destinazione urbanistica di  zona
da servizi e residenziale, con contestuale modifica  della  finalita'
socio assistenziale dell'intervento edificatorio in questione. 
    Quanto, poi, alle singole posizioni  soggettive  con  riferimento
alle condotte ascritte ai  pubblici  ufficiali,  le  difese  Argante,
Gurgone e Schintu hanno evidenziato come  i  loro  assistiti  fossero
estranei  alle  violazioni  ipotizzate   (in   particolare:   a)   il
D'Arcangelo in quanto subentrante  nell'incarico  appena  un  mese  e
mezzo prima della delibera n. 30/2004, per di piu' essendosi limitato
ad esprimere un parere di regolarita' tecnica, provvedendo ad inviare
la delibera alla regione Lazio che poi procede alla verifica positiva
della conformita' dell'atto, sicche' il parere  positivo  dell'organo
di controllo ne confermerebbe la regolarita'; b) quanto  al  Gurgone,
egli sarebbe entrato a far parte del Comune di  Sabaudia  nel  luglio
2004 quando ormai tutti  gli  atti  sarebbero  gia'  stati  adottati,
essendosi (imitato soltanto a dare esecuzione  a  quanto  deliberato,
donde non vi sarebbero elementi per configurarne  la  responsabilita'
per i reati ascrittigli; c) quanto,  infine,  allo  Schintu,  la  sua
estraneita' ai fatti addebitati deriverebbe dalla circostanza per  la
quale fu proprio lui, in sede di consiglio comunale, a  chiedere  che
la delibera n. 30/2004 venisse trasmessa alla regione  Lazio  per  la
verifica di conformita'  e,  comunque,  quale  Sindaco,  non  avrebbe
svolto alcun atto  salvo  che  votare  al  pari  di  qualsiasi  altro
consigliere comunale). 
    Infine,  per  quanto  concerne  la  difesa  delle  parti'  civili
costituite, premesso che le posizioni vanno differenziate  in  quanto
delle 107 parti civili costituite, almeno per  quindici  di  esse  si
pone  il  problema  della  confiscabilita'  degli  immobili,   attesa
l'intervenuta stipula degli atti notarili di acquisto degli  immobili
con conseguente trasferimento della  proprieta',  sicche'  -  ove  si
confermasse  il  decisum  di   merito   -   gli   stessi   verrebbero
ingiustamente  privati  della  proprieta'  degli  immobili,   essendo
sicuramente  qualificabili  come  terzi  di   buona   fede   rispetto
all'illecito lottizzatorio, tanto da essersi costituiti parti  civili
nei confronti  dei  pubblici  amministratori  e  dei  titolari  della
societa' costruttrice degli immobili. 
    13. Ritiene, tuttavia, il Collegio corretta la prospettazione del
Procuratore generale di Udienza, che ha richiamato la  giurisprudenza
di questa Corte circa le condizioni previste per poter,  in  sede  di
legittimita', pronunciare l'annullamento dell'impugnata sentenza  che
abbia dichiarato l'estinzione  di  tutti  i  reati  per  prescrizione
quantomeno,  con  riferimento,  nel  caso  in  esame,   ai   pubblici
ufficiali. Perche', infatti, sia possibile accedere  ad  una  formula
ampiamente liberatoria da parte di questa Corte, secondo l'autorevole
insegnamento delle Sezioni Unite, sono necessarie alcune  condizioni.
In particolare, in presenza di una causa di estinzione del reato,  il
giudice e' legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a  norma
dell'art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. soltanto  nei  casi  in
cui le circostanze idonee ad  escludere  l'esistenza  del  fatto,  la
commissione del medesimo da parte dell'imputato e  la  sua  rilevanza
penale emergano dagli atti in modo  assolutamente  non  contestabile,
cosi' che la valutazione che il giudice  deve  compiere  al  riguardo
appartenga piu' al concetto di "constatazione", ossia  di  percezione
"ictu  oculi",  che  a  quello  di  "apprezzamento"  e   sia   quindi
incompatibile  con  qualsiasi  necessita'  di   accertamento   o   di
approfondimento (Sez.  U,  n.  35490  del  28  maggio  2009  dep.  15
settembre 2009, Tettamanti, Rv. 244274). 
    Cio' significa, in altri termini  -  com'e'  stato  correttamente
chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4, n. 23680 del 7
maggio 2013 - dep. 31  maggio  2013,  Rizzo  e  altro,  Rv.  256202),
successiva all'autorevole arresto  del  Massimo  Consesso  di  questa
Corte - che la formula di proscioglimento nel  merito  prevale  sulla
dichiarazione  di  improcedibilita'  per   intervenuta   prescrizione
soltanto nel caso in cui  sia  rilevabile,  con  una  mera  attivita'
ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a  carico
dell'imputato ovvero la prova positiva della  sua  innocenza,  e  non
anche nel caso di mera contraddittorieta' o insufficienza della prova
che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze. 
    13.1. E questo non e' certamente, il caso in esame. 
    Ed infatti, non puo'  dirsi  che  dagli  atti  emerga  l'assoluta
assenza della prova di colpevolezza  a  carico  di  ciascun  imputato
ovvero la prova positiva della sua innocenza. 
    Sul punto e' bene richiamare quanto emerso,  al  fine  di  meglio
lumeggiare l'approdo di questo  Collegio.  In  estrema  sintesi  cio'
risulta  dalle  tappe  amministrative   che   hanno   condotto   alla
contestazione dei reati in questione: 
      a) il Comune di Sabaudia deliberava con delibera CC n.  36/1994
resa in variante al PRG, consistente in  un  cambio  di  destinazione
d'uso da area rurale ad area per la realizzazione di  un  centro  per
anziani, al  fine  di  attuare  le  finalita'  di  pubblica  utilita'
individuate;  la  trasformazione  di  un  terreno  agricolo  in  area
destinata dia realizzazione di una struttura  ricettiva  per  anziani
era  conforme   all'utilita'   pubblica   da   realizzare   strutture
socio-assistenziali ed, in tale ottica, la Regione Lazio, con DGR  n.
2651 del 126/06/1998, approvava la variante al PRG; 
      b) successivamente, in  conformita'  alla  DGR  n.  2651/98  di
approvazione della variante, il Comune di Sabaudia approvava un primo
piano di lottizzazione ed li relativo schema  di  convenzione  (parte
integrante del deliberato) che si fondavano sui  presupposti,  da  un
lato, della gestione unitaria della struttura ricettiva  per  anziani
secondo le modalita' della casa-albergo e, dall'altro, del divieto di
alienazione  delle  singole  unita'  immobiliari;   scopo   di   tale
prescrizione era quello di mantenere la vocazione di struttura  socio
-  assistenziale,  vocazione  che  poteva  essere   realizzata   solo
rispettando la variante al PRG da agricola a servizi; 
      c) in un secondo momento, l'amministrazione comunale  approvava
(delibera CC n.  30/2004)  un  nuovo  schema  di  convenzione  (parte
integrante del deliberato), in cui veniva  trasformata  la  struttura
ricettiva da casa - albergo a residenza per anziani e veniva meno  il
vincolo di inalienabilita' delle singole unita'  immobiliari  imposto
dalla regione ai sensi dell'art. 2, l.r. n. 36/87. 
    In sostanza, con la delibera n. 30/2004,  si  e'  trasformata  la
struttura ricettiva assistenziale per anziani da struttura a servizi,
coerente con le indicazioni stabilite dalla  Regione  Lazio  all'atto
dell'approvazione della variante urbanistica del PRG, a residenziale.
Dunque,  con  il  piano  di  lottizzazione  ed  il  nuovo  schema  di
convenzione, l'amministrazione comunale ha aggirato l'ostacolo  della
destinazione di zona a servizi, prevista dalla variante al PRG e  dei
vincoli imposti  alla  Regione  Lazio  in  sede  di  accertamento  di
conformita',  consentendo  un   intervento   edificatorio   di   tipo
strettamente residenziale, senza alcun carattere  socio-assistenziale
e,  quindi,  di  servizi.  Di  fatto,  pertanto,  tale  variante   ha
comportato una variante al PRG, trasformando  una  zona  destinata  a
servizi  in  una  di  tipo  residenziale;  la  trasformazione   della
destinazione urbanistica della zona e'  stata  attuata  mediante  una
procedura irrituale, ossia utilizzando uno strumento attuativo,  qual
e' il piano di lottizzazione, ed uno strumento civilistico,  qual  e'
la convenzione. 
    Si evidenzia quindi che, oltre la sostanziale illegittimita'  con
cui si e' operata la variante urbanistica,  la  diversa  destinazione
della zona da servizi e residenziale si e' ottenuta anche  attraverso
una modifica non consentita della finalita'  socio-assistenziale.  Ne
consegue, dunque, che le  fasi  procedurali  seguite  dal  Comune  di
Sabaudia  hanno  determinato  la  realizzazione  di   un   intervento
edificatorio analogo  all'edilizia  tipica  residenziale  delle  zone
omogenee C di espansione; nel caso  di  specie,  peraltro,  non  puo'
neanche farsi riferimento alla  tipologia  della  "casa  -  albergo",
trattandosi di una struttura residenziale per anziani. Ed Infatti, la
legge della Regione Lazio  12  dicembre  2003,  n.  41  prevede  come
requisiti per dette case-albergo: a)  la  fornitura  di  servizi  sia
autonomi che centralizzati;  b)  l'accoglienza  di  non  piu'  di  80
anziani. E' evidente che,  nel  caso  in  esame,  nessuna  delle  due
condizioni  risulta  rispettata  e  il  mancato  rispetto   di   tali
condizioni si inquadra nella piu' ampia volonta'  di  non  realizzare
una   struttura   di   tipo   residenziale,   adeguandosi    pertanto
all'illegittima trasformazione dell'area da servizi e residenziale  e
alla contestuale variazione della struttura,  nata  con  destinazione
socio - assistenziale, e trasformatasi in residenziale. 
    Pertanto, ne discende, da un lato,  l'illegittima  ed  arbitraria
trasformazione di un'area da servizi a residenziale,  realizzando  di
fatto una vera e propria variante di tipo urbanistico e,  dall'altro,
il venir meno della finalita' socio - assistenziale  della  struttura
realizzata in violazione della DGR n. 2651/98. 
    In conclusione, da un punto di vista  oggettivo,  emerge  che  il
Comune  di  Sabaudia  con  l'approvazione   del   nuovo   schema   di
lottizzazione convenzionata allegato alla  delibera  n.  30/2004,  ha
consentito la realizzazione di un intervento  edificatorio  in  piano
contrasto sia con la variante al PRG sia con la finalita' di utilita'
pubblica individuate dalla stessa amministrazione comunale, e, cioe',
quella  di  creare   strutture   socio-assistenziali   per   anziani,
consentendo, di fatto, la realizzazione di edifici  che,  per  natura
giuridica e tipologia possono qualificarsi come residenziali. 
    E', quindi, corretto l'inquadramento giuridico delle decisioni di
merito  che  hanno  ritenuto  configurata,  nel  caso  in  esame,  la
realizzazione  di  un  vero  e  proprio  complesso  residenziale   in
contrasto con le previsioni dello  strumento  urbanistico,  cio'  che
pacificamente integra la  violazione  del  combinato  disposto  degli
artt. 30, comma 1, e 44, lett. e), D.P.R.  n.  380/2001.  Sul  punto,
infatti,  la  giurisprudenza  di  questa  Sezione  e'   assolutamente
consolidata essendosi, peraltro, giunti ad affermare che il reato  di
lottizzazione   abusiva   e'   configurabile   anche   in    presenza
dell'autorizzazione  della  P.A.,  nel  caso  in   cui   quest'ultima
contrasti con gli  strumenti  urbanistici  vigenti  (precisandosi  in
motivazione  che  il  giudice,  ove  ravvisi  tale  contrasto,   puo'
accertare  l'abusivita'  dell'intervento  prescindendo  da  qualunque
giudizio sull'autorizzazione,  senza  necessita'  di  operare  alcuna
disapplicazione del provvedimento amministrativo: Sez. 3, n. 618  del
20 settembre 2011 dep. 12 gennaio 2012, Chifari e altri, Rv. 251878). 
    E',  quindi,   evidente   che,   con   riferimento   all'illecito
lottizzatorio, non sussisterebbero le condizioni per  poter  accedere
alla richiesta  difensiva  di  adozione  della  pronuncia  ampiamente
liberatoria, l'unica che, secondo la  citata  giurisprudenza,  da  un
lato, consentirebbe la prevalenza della formula  proscioglimento  nei
merito rispetto alla declaratoria di estinzione per  prescrizione  e,
dall'altro, di evitare la confisca dell'area, atteso che - come  piu'
volte affermato da questa Sezione (Sez. 3, n. 9982  del  21  novembre
2007 - dep. 5 marzo 2008, Quattrone, Rv. 238984) -  l'obbligatorieta'
della confisca del terreno  abusivamente  lottizzato  e  delle  opere
sullo  stesso  abusivamente   costruite   consegue   all'accertamento
giudiziale della  sussistenza  del  reato  di  lottizzazione  abusiva
indipendentemente da una pronuncia di  condanna,  salvo  il  caso  di
assoluzione per insussistenza del fatto, circostanza che, come visto,
non ricorre nel caso in esame. 
    Ne' avrebbe, si noti, rilievo la questione dell'asserita  assenza
di volonta' colpevole dei  ricorrenti  con  riferimento  all'illecito
lottizzatorio, atteso che e' pacifico che il reato  di  lottizzazione
abusiva - che e' a consumazione alternativa, potendosi realizzare sia
per il  difetto  di  autorizzazione  sia  per  il  contrasto  con  le
prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici,  puo'  essere
integrato anche a  titolo  di  sola  colpa  (principio  affermato  in
relazione ad una fattispecie di  acquisto,  come  autonome  residenze
private, di unita' immobiliari facenti parte di complesso turistico -
alberghiero: Sez. 3, n. 17865 del 17 marzo  2009  -  dep.  29  aprile
2009, P.M. in proc. Quarta e altri, Rv. 243750). 
    Rimarrebbero, dunque, da valutare  sia  la  configurabilita'  del
delitto  di  abuso  d'ufficio  che  quello  di  costruzione  edilizia
abusiva. Quanto  a  quest'ultimo,  pacifica  l'ammissibilita'  di  un
concorso  materiale  tra  l'art.  44,  lett.  b)  ed  il   reato   di
lottizzazione abusiva, previsto dall'art. 44, comma primo, lett.  c),
del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Sez. 3, n.  9307  del  24  febbraio
2011 - dep. 9 marzo 2011, Silvestro e altra, Rv. 249763), e' evidente
che la realizzazione delle 285  unita'  abitative  eseguite  mediante
tali atti amministrativi, illegittimi ed illeciti per  contrasto  con
gli strumenti urbanistici  e  con  le  norme  nazionali  e  regionali
citate,  integra  la  violazione  ipotizzata  (dovendosi,   peraltro,
rilevare che in  sede  di  merito,  inspiegabilmente,  non  e'  stata
disposta la sanzione amministrativa accessoria della demolizione  dei
manufatti abusivi, conseguente ex lege). 
    Quanto, poi, al reato  di  abuso  d'ufficio,  potrebbe  accedersi
unicamente alla fondatezza delle censure  difensive  in  ordine  alla
configurabilita' dell'elemento psicologico del reato  (non  essendovi
le  condizioni  per  poter  dubitare,  alla  luce  di  quanto   sopra
riassunto, della "violazione di norme di legge o  di  regolamento"  e
dell'ingiusto vantaggio patrimoniale arrecato), atteso che  (v.  pag.
27 dell'impugnata sentenza), in effetti la  decisione  impugnata  non
mostra   di   approfondire   adeguatamente   la    questione    della
configurabilita'  dell'elemento   psicologico   del   reato,   donde,
quantomeno su tale profilo, l'accoglimento  delle  censure  difensive
sul punto, comporterebbe  l'obbligo  per  questa  Corte  di  disporre
l'annullamento dell'impugnata sentenza per vizio di  motivazione  con
rinvio ad altra sezione della  Corte  d'appello  di  Roma  per  nuovo
giudizio sul punto. 
    Tuttavia, com'e' noto, cio' non e' consentito a questa  Corte  di
legittimita', atteso che, per  costante  insegnamento  delle  Sezioni
Unite, in presenza di una causa di estinzione del reato  (sicuramente
valevole per i pubblici ufficiali, non rinuncianti alla  prescrizione
e salva la valutazione circa l'efficacia della revoca della  rinuncia
alla prescrizione per i due ricorrenti Lorenzi e Ciccone, fondata  su
una recente decisione di questa Corte che consente  la  revocabilita'
della rinuncia: Sez. 6, n. 30104 del 11 luglio 2012 - dep. 23  luglio
2012, Pg in proc. Barcella e altro, Rv. 253256), non sono  rilevabili
in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza  impugnata
in quanto  il  giudice  del  rinvio  avrebbe  comunque  l'obbligo  di
procedere immediatamente  alla  declaratoria  della  causa  estintiva
(Sez. U, n.  35490  del  28  maggio  2009  dep.  15  settembre  2009,
Tettamanti, Rv. 244275; conf.: Sez. U, n. 1653 del 21 ottobre 1992  -
dep. 22 febbraio 1993, Marino ed altri, Rv. 192471). 
    Ne discenderebbe, pertanto, in  virtu'  di  quanto  sopra  deciso
-impregiudicata  la  questione  dell'efficacia  della  revoca   della
rinuncia alla prescrizione da parte dei ricorrenti Ciccone e  Lorenzi
la conseguente statuizione confermativa dell'impugnata  sentenza  per
tutti i reati ascritti, che riguarderebbe anche i capi della sentenza
impugnata con cui e' stata disposta la  confisca  delle  aree  e  dei
terreni lottizzati. 
    14. Ed infatti, secondo pacifica giurisprudenza di questa  Corte,
la confisca dei terreni puo' essere disposta anche in presenza di una
causa estintiva del reato, purche' sia accertata - come avvenuto  nel
caso in esame - la sussistenza della lottizzazione abusiva  sotto  il
profilo oggettivo  e  soggettivo,  nell'ambito  di  un  giudizio  che
assicuri il contraddittorio e  la  piu'  ampia  partecipazione  degli
interessati, e che verifichi l'esistenza  di  profili  quantomeno  di
colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza e del difetto
di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene  ad
incidere (Sez. 3, n. 17066 del 4 febbraio 2013 - dep. 15 aprile 2013,
Volpe e altri, Rv. 255112). 
    La giurisprudenza di questa Sezione  ha,  infatti,  costantemente
ritenuto che la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e  delle
opere abusivamente costruite consegue non soltanto ad una sentenza di
condanna, ma anche quando, pur essendo accertata la  sussistenza  del
reato  di  lottizzazione  abusiva  nei  suoi  elementi  oggettivo   e
soggettivo, non si pervenga alla condanna  od  all'irrogazione  della
pena  per  causa  diversa  (In  motivazione  la  Corte,   riferendosi
esemplificativamente  al  caso  della  prescrizione  del  reato,   ha
precisato che tale soluzione e' conforme alla giurisprudenza CEDU che
non ritiene necessaria la condanna del proprietario della  "res"  per
disporre la confisca: (Sez. 3, n. 39078 del 13 luglio 2009 -  dep.  8
ottobre 2009, Apponi e altri, Rv. 245347; Sez. 3,  n.  21188  del  30
aprile 2009 dep. 20 maggio 2009, Casasanta e  altri,  Rv.  243630  ed
altre conformi). 
    Questa  stessa  sezione,  inoltre,  ha,  da  un  lato,   ritenuto
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art.  19,  legge  28  febbraio  1985,  n,  47  (oggi  sostituito
dall'art. 44, comma secondo, D.P.R.  6  giugno  2001,  n.  380),  che
consente al giudice di disporre la confisca dei terreni  abusivamente
lottizzati  e  delle  opere  abusivamente  costruite   in   caso   di
declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, in quanto tale
norma non viola il combinato disposto  degli  artt.  117  Cost.  e  7
C.E.D.U., dal  momento  che  la  confisca,  anche  se  disposta  dopo
l'estinzione del reato, conserva la  sua  natura  sanzionatoria,  sia
perche' legata al presupposto di un  reato  estinto  ma  storicamente
esistente, sia perche' la  stessa  e'  applicata  da  un  organo  che
esercita la giurisdizione penale (Sez. 3, n. 20243 del 25 marzo  2009
-  dep.  14  maggio  2009,  Rammacca  Sala  e  altri,  Rv.   243624);
dall'altro,    ha    ritenuto    irrilevante    la    questione    di
costituzionalita', per asserito contrasto con gli artt. 27, 42 e 117,
comma primo, Cost. (in relazione  all'art.  7  CEDU),  dell'art.  44,
comma secondo, D.P.R. 6 giugno  2001,  n.  380  nella  parte  in  cui
consente la confisca dei  terreni  abusivamente  lottizzati  e  delle
opere  abusivamente  costruite  a   prescindere   dal   giudizio   di
responsabilita' e nei confronti di  persone  estranee  ai  fatti,  in
quanto la confisca e'  condizionata,  sotto  il  profilo  soggettivo,
quantomeno all'accertamento di profili di colpa  nella  condotta  dei
soggetti  sul  cui  patrimonio  la  misura  viene  ad  incidere   (In
motivazione la Corte, richiamando la recente sentenza n. 239 del 2009
della Corte Cost., ha precisato che la giurisprudenza di legittimita'
ha gia' fornito un'interpretazione adeguatrice alle  decisioni  della
Corte di Strasburgo del 30 agosto 2007 e del 20 gennaio 2009 nel caso
Sud Fondi  S.r.l.  c/  Italia,  che  esclude  la  ravvisabilita'  dei
denunciati profili di incostituzionalita': Sez. 3, n,  39078  del  13
luglio 2009 - dep. 8 ottobre 2009, Apponi e altri, Rv.  245348).  Non
emergono, infatti, elementi incontrovertibili da cui possa escludersi
che i 15 acquirenti e i restanti promissari acquirenti  gli  immobili
abusivamente  lottizzati,  costituitisi  parti  civili  nel  presente
processo, fossero qualificabili come terzi di buona  fede  (come  ben
spiegato dalla Corte territoriale nell'impugnata sentenza alle  pagg.
28/29 della sentenza impugnata) e, quindi,  anche  nei  confronti  di
questi ultimi (sicuramente nei confronti dei 15 acquirenti  con  atto
notarile  degli  immobili)  la  disposta  confisca  dovrebbe   essere
confermata, con innegabile sacrificio  patrimoniale  del  diritto  di
proprieta', non potendo gli stessi qualificarsi come  terzi  estranei
al reato di lottizzazione abusiva per il solo fatto di non  aver  mai
rivestito la qualita' di persona sottoposta ad indagini od  imputato,
ne' l'intervenuta  costituzione  di  parte  civile  e'  decisiva  per
affermarne l'estraneita' (Sez. 3, n. 48924 del 21 ottobre 2009 - dep.
21 dicembre 2009, Tortora e altri, Rv. 245764). 
    15. La difesa dei ricorrenti (avv. Franco per  le  parti  civili;
Avv. Borgogno per Lorenzi e Avv. Melegari  per  Ciccone)  ha,  pero',
insistito sull'impossibilita' per questa Corte di poter confermare la
statuizione inerente la confisca delle aree e degli immobili  oggetto
dell'illecito lottizzatorio,  facendo  leva  sulla  recente  sentenza
della Corte e.d.u. del 21 ottobre 2013 (ric. n. 17475/2009) resa  nel
caso Varvara c. Italia. 
    Con tale sentenza, la seconda sezione  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo  ha  ritenuto  che  l'applicazione  della  confisca
urbanistica nelle ipotesi di proscioglimento per estinzione del reato
costituisce  una  violazione  del  principio  di  legalita'   sancito
dall'art. 7 Cedu. Ne conseguirebbe, dunque, le necessita', per questo
Collegio, di doversi uniformare all'interpretazione fornita  in  sede
europea,  con  conseguente  annullamento  dell'ordina  di   confisca,
essendo stata disposta la stessa in assenza di condanna. 
    Ritiene, tuttavia, il Collegio di dover  sottoporre  al  giudizio
della Corte costituzionale la legittimita' costituzionale della norma
di cui all'art. 44, comma 2, D.P.R. n.  380/2001,  come  interpretata
dalla predetta sentenza, in quanto la stessa viola alcune norme della
nostra carta Fondamentale. 
    15.1. Per meglio comprendere tale  soluzione,  e'  necessario  un
seppur sintetico, approfondimento. 
    La Corte e.d.u., con la sentenza resa nel caso Varvara c. Italia,
risolve, anzitutto, in poche righe il problema  della  qualificazione
"penale" della confisca urbanistica prevista dall'art. 44 del  D.P.R.
n. 380/2001, limitandosi a richiamare la decisione  di  ricevibilita'
resa il 30 agosto 2007 nell'ambito del noto affaire Sud Fondi, meglio
noto come caso di Punta Perotti. 
    In quella decisione (Corte EDU, sez. II, sent.  10  maggio  2012,
ric. n. 75909/01,  Sud  Fondi  e  altri  c.  Italia),  i  giudici  di
Strasburgo avevano cosi' affermato: «La Corte osserva che la sanzione
prevista  dall'art.  19,  della  legge  n.  47/1985  non  tende  alla
riparazione pecuniaria di un danno, ma mira essenzialmente  a  punire
al fine di impedire la reiterazione delle inosservanze previste dalla
legge (...). 
    Questa conclusione  e'  confermata  dalla  constatazione  che  la
confisca ha colpito l'85 %  dei  terreni  non  costruiti,  quindi  in
mancanza di un reale pericolo  per  il  paesaggio.  La  sanzione  era
quindi in  parte  preventiva  e  in  parte  repressiva,  quest'ultima
generalmente caratteristica distintiva delle sanzioni penali (...). 
    Ancora, la Corte rileva la severita' della sanzione che,  secondo
la legge n. 47/1985, concerne tutti i terreni inclusi  nel  piano  di
lottizzazione (...). La  Corte  rileva  infine  che  il  testo  unico
dell'edilizia del 2001 classifica tra le sanzioni penali la  confisca
prevista per il reato di  lottizzazione  abusiva.  Tenuto  conto  dei
suddetti elementi, la Corte ritiene che la confisca in parola sia una
"pena" ai sensi dell'art. 7 della Convenzione». 
    Ora, come sopra precisato, dopo  la  condanna  dell'Italia  nella
pronuncia sul merito Sud Fondi  S.r.l.  e  altri  c.  Italia  del  20
gennaio   2009,   questa   Corte   ha   costantemente   ribadito   la
qualificazione   "amministrativa"    della    confisca    urbanistica
confermandone, di conseguenza, l'applicabilita' anche in  assenza  di
condanna  (e,  in  particolare,  in  caso  di   proscioglimento   per
intervenuta prescrizione  del  reato).  D'altra  parte,  al  fine  di
evitare contraddizioni con le conclusioni della sentenza Sud Fondi  -
che per la prima  volta  riconduceva  il  principio  di  colpevolezza
all'art.  7  Cedu  (rispetto  ad  una  vicenda  in  cui  la  confisca
urbanistica  era  stata  applicata  nonostante  l'assoluzione   degli
imputati ex art. 5 c.p.) - questa stessa Sezione, come in  precedenza
chiarito, ha precisato l'esigenza di un  accertamento  da  parte  del
giudice dell'elemento soggettivo del reato, accanto  a  quello  della
oggettiva "trasformazione urbanistica od edilizia del terreni  stessi
in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (fulcro
del reato di lottizzazione abusiva previsto dall'art.  30  del  Testo
unico). 
    La questione centrale sottoposta alla Corte europea  dei  diritti
umani nel caso  Varvara  c.  Italia,  per  l'appunto,  verteva  sulla
legittimita' di  tale  perdurante  distinzione  interna  tra  pena  e
confisca, e della conseguente applicabilita' della seconda in assenza
di condanna. 
    Nel merito, la Corte e.d.u. osserva che  l'art.  7  Cedu  non  si
limita a richiedere la necessita' di una base legale per  i  reati  e
per le pene, ma implica altresi'  l'illegittimita'  dell'applicazione
di sanzioni penali per fatti commessi da altri (nella  giurisprudenza
precedente gia' ritenute contrastanti con la presunzione  d'innocenza
di cui all'art. 6, d 2, Cedu) o, comunque, che non sia fondata su  di
un  giudizio  di  colpevolezza  «consignee   dans   un   verdict   de
culpabilite'». L'applicazione della confisca urbanistica  in  assenza
di condanna risulta, pertanto, per i giudici  europei,  incompatibile
con  quest'ultimo  corollario  e  comporta   una   violazione   della
disposizione in parola (riconosciuta con sei voti contro uno,  quello
del giudice Pinto de Albuquerque che  aveva  formulato  un'articolata
opinione dissenziente). 
    Sulla base di tali conclusioni, e' stata ritenuta "assorbita"  la
doglianza relativa all'art. 6, § 2, Cedu, mentre e' stata  dichiarata
(in  questo  caso,  all'unanimita')  una  violazione   dell'art.   1,
protocollo n. 1 poiche' la  limitazione  del  diritto  di  proprieta'
sancito dalla disposizione si e' rivelata priva di una base legale e,
quindi, arbitraria. 
    La sentenza in esame  segna,  indubbiamente,  un'ulteriore  tappa
nell'interpretazione evolutiva dell'art. 7 Cedu e, in particolare, un
rilancio del processo di  "convenzionalizzazione"  del  principio  di
colpevolezza. L'esito e' rappresentato dal rigetto  della  mediazione
che la giurisprudenza di questa Corte aveva tentato per conciliare le
indicazioni della sentenza Sud Fondi  con  la  ritenuta  operativita'
della confisca dei terreni anche nei casi di prescrizione  del  reato
di lottizzazione abusiva. In particolare,  viene  respinta  la  tesi,
consolidata nelle pronunce in materia (ma si deve  ricordare  che  il
tema della "confisca senza condanna" e' emerso anche in altri settori
dell'ordinamento ed e' stato  legislativamente  consacrato  anche  di
recente nella legislazione europea, come dimostra la previsione della
nuova actio in rem come modello di confisca europea, ex art. 5  della
recente direttiva 2014/42/UE,  del  3  aprile  2014  e  relativa  "al
congelamento e alla confisca dei beni strumentali e del  proventi  da
reato nell'Unione europea" che prevede, appunto,  la  confisca  senza
condanna), secondo la quale  un  giudizio  di  colpevolezza  potrebbe
essere  formulato  validamente  anche  nell'ambito   di   determinate
sentenze  di  proscioglimento  per   estinzione   del   reato   (tesi
sostanzialmente avallata  dalla  stessa  Corte  costituzionale  nella
sentenza  n.  239/2009  del  24  luglio  2009,  in  cui  si   afferma
chiaramente, ai § 3: "fra le sentenze di proscioglimento ve  ne  sono
alcune che «pur non applicando una pena comportano, in diverse  forme
e gradazioni, un  sostanziale  riconoscimento  della  responsabilita'
dell'imputato  o  comunque  l'attribuzione  del  fatto   all'imputato
medesimo»  (sentenza  n.  85  del  2008).  In  particolare,   volendo
riferirsi alla fattispecie propria del giudizio a quo,  non  si  puo'
affermare che siffatto «sostanziale riconoscimento», per quanto privo
di effetti sul  piano  della  responsabilita'  penale,  sia  comunque
impedito  da  una  pronuncia  di   proscioglimento,   conseguente   a
prescrizione, ove invece l'ordinamento  imponga  di  apprezzare  tale
profilo per  fini  diversi  dall'accertamento  penale  del  fatto  di
reato"). 
    La  sentenza  Varvara  c.  Italia,   determina   un   inevitabile
superamento della giurisprudenza di questa  Corte  in  quanto,  anche
dopo la sentenza Sud Fondi, residuava uno spazio di agibilita'  della
confisca applicata in relazione a reato prescritto, a condizione  che
restasse  preservata,   all'esito   di   un   giudizio   di   merito,
l'effettivita' dell'accertamento dei profili di responsabilita',  sia
sotto l'aspetto oggettivo che soggettivo. 
    Diversamente, con la sentenza Varvara, la Corte e.d.u.  opera  un
ulteriore ,passo  avanti  nella  sua  stessa  giurisprudenza,  avendo
infatti sempre sostenuto che l'art. 7 della Convenzione non  richiede
espressamente un «nesso psicologico» o «intellettuale» o «morale» tra
l'elemento materiale del reato  e  la  persona  che  ne  e'  ritenuta
l'autore, tra l'altro dovendosi  evidenziare  come  la  stessa  Corte
e.d.u. aveva recentemente concluso per la non violazione dell'art.  7
in un caso in cui era stata Inflitta una multa a una parte ricorrente
che aveva commesso un reato senza dolo  o  colpa  (Valico  S.r.l.  c.
Italia (dec.), n. 70074/01, CEDU 2006-III), in quanto  l'accertamento
di responsabilita' era stato considerato sufficiente per giustificare
l'applicazione della sanzione. 
    La sentenza Varvara, invece, ritiene che (§ 71) la "logica  della
«pena» e della «punizione», e la nozione di «guiity» (nella  versione
inglese) e la corrispondente nozione di  «persona  colpevole»  (nella
versione  francese),  depongono  a   favore   di   un'interpretazione
dell'art.  7  che   esige,   per   punire,   una   dichiarazione   di
responsabilita' da parte dei giudici nazionali, che possa  permettere
di addebitare il reato e di comminare  la  pena  al  suo  autore.  In
mancanza di cio',  la  punizione  non  avrebbe  senso  ....  Sarebbe,
infatti,  incoerente  esigere,  da  una  parte,   una   base   legale
accessibile .e prevedibile e permettere,  dall'altra,  una  punizione
quando, come nel caso di specie, la persona interessata non e'  stata
condannata", conseguendone, pertanto (v. § 72)  che  "nella  presente
causa,  la  sanzione  penale  inflitta  al  ricorrente  (n.d.r.,   la
confisca), quando il reato era estinto e la sua  responsabilita'  non
era stata accertata con una sentenza di  condanna,  contrasta  con  i
principi di legalita' penale appena esposti dalla Corte  e  che  sono
parte integrante del  principio  di  legalita'  che  l'art.  7  della
Convenzione impone di rispettare.  La  sanzione  controversa  non  e'
quindi prevista dalla legge ai sensi dell'art. 7 della Convenzione ed
e' arbitraria". 
    La sentenza della  Corte  e.d.u.  nel  caso  Varvara  c.  Italia,
peraltro e' divenuta definitiva a seguito del rigetto, intervenuto in
data 25 marzo 2014, della richiesta di rinvio alla Grande  Camera  da
parte del Governo italiano. 
    15.2.  Alla  luce  di  tali  considerazioni,  occorre   tuttavia,
valutare se - alla luce del dovere del giudice comune di sperimentare
un'interpretazione conforme alla disposizione internazionale, entro i
limiti nei quali cio' e' permesso  dai  testi  delle  norme,  secondo
quanto affermato dalle note sentenze della  Corte  costituzionale  n.
349/2007 e n. 348/2007 - l'interpretazione  dell'art.  44,  comma  2,
D.P.R. n. 380/2001, come operata dalla Corte  e.d.u.  con  la  citata
sentenza Varvara c. Italia, sia pero' compatibile con altri  principi
costituzionali  contenuti  nella  nostra  Carta   Fondamentale   che,
peraltro, trascendono  la  mera  tutela  del  diritto  di  proprieta'
secondo la norma dell'art.  1,  protocollo  n.  1  della  Convenzione
e.d.u., norma anch'essa ritenuta violata dalla sentenza Varvara, che,
infatti (v.§ 85),  muovendo  dalla  constatazione  che  il  reato  in
relazione al quale  e'  stata  ordinata  la  confisca  dei  beni  del
ricorrente non era previsto dalla legge nel senso dell'art.  7  della
Convenzione ed era arbitrario (paragrafi 72/73 supra), ha  dichiarato
che «l'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del ricorrente  era
contraria al principio di legalita' ed era arbitraria  e  che  vi  e'
stata violazione dell'art. 1, del Protocollo n. 1». 
    Orbene, se puo', infatti, ritenersi che  la  norma  In  questione
(art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001), come interpretata dalla  Cedu
con  la  sentenza  Varvara,  non  ponga  problemi  di  compatibilita'
costituzionale con l'art. 25,  comma  2,  Cost.,  non  contravvenendo
apertamente  alla  garanzia  della  legalita'  in   materia   penale,
prevedendo una  particolare  tipologia  di  confisca  in  cui  e'  il
legislatore stesso ad  operare  la  disarticolazione  del  nesso  tra
confisca e condanna - sicche' quest'ultima  non  dovra'  considerarsi
presupposto imprescindibile della prima, atteso che la  confisca  dei
terreni e delle opere abusive prevista dall'art. 44, T.U. edilizia e'
riferita a una "sentenza definitiva  che  accerta  che  vi  e'  stata
lottizzazione abusiva", e non esige quindi una sentenza  di  condanna
(situazione che, a ben vedere, si  riscontra  anche  nel  caso  della
confisca prevista dall'art. 301, D.P.R. n. 43/1973, secondo la  quale
"nei casi di contrabbando, e' sempre ordinata la confisca delle  cose
che servirono o furono destinate a commettere il reato e  delle  cose
che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto o il profitto", senza alcuna
menzione esplicita  -  dunque  -  del  requisito  della  sentenza  di
condanna),  non  altrettanto  deve  ritenersi  con   riferimento   ad
ulteriori parametri costituzionali, quali quelli di cui agli artt. 2,
9, 32, 41, 42, 117, primo comma, Cost. (quest'ultima, quale norma che
permette di creare  un  ponte,  tramite  il  rinvio  mobile,  tra  la
normativa nazionale e quella  delle  convenzioni  internazionali),  i
quali impongono che il paesaggio, l'ambiente, la  vita  e  la  salute
siano   tutelati   quali   valori    costituzionali    oggettivamente
fondamentali, cui riconoscere prevalenza  nel  bilanciamento  con  il
diritto dl proprieta', ritenuto violato dalla sentenza Varvara con la
condanna dell'Italia per contrasto con l'art. 1, del protocollo n.  1
della Convenzione e.d.u. 
    15.3. Ed invero,  i  principi  fondamentali  della  Costituzione,
descritti negli articoli (1/12)  e  nella  Parte  prima  relativa  ai
"Diritti e doveri dei cittadini", caratterizzano,  strutturandolo  in
profondita',   l'ordinamento    costituzionale:    questo    verrebbe
letteralmente meno - trasformandosi in un ordinamento diverso  -  nel
caso in cui detti principi non fossero osservati e fatti  oggetto  di
specifica tutela. 
    I valori elencati assumono in tal modo una valenza  giuridica  di
tale "essenzialita'", da poter affermare che la stessa organizzazione
dei  pubblici  poteri  sia   prevalentemente   funzionale   al   loro
svolgimento ed alla loro attuazione. La "persona", nel suo patrimonio
identificativo   ed   irretrattabile,   costituisce   nella    nostra
Costituzione il soggetto attorno al quale  si  incentrano  diritti  e
doveri. 
    Nell'uso  corrente,  "diritti  umani",   "diritti   inviolabili",
"diritti  costituzionali"  e  "diritti  fondamentali"  sono   termini
utilizzati in modo promiscuo ma equivalente,  e  stanno  ad  indicare
diritti che dovrebbero  essere  riconosciuti  ad  ogni  individuo  in
quanto tale: cio' sembrerebbe attestare,  proprio  a  livello  di  un
senso e "sapere comune", l'intimo e complesso rapporto che da  sempre
lega  tra  loro  e  Indissolubilmente  diritto  naturale  e   diritto
positivo. 
    Sotto   tale    profilo,    la    proprieta',    quale    diritto
costituzionalmente garantito (art.  42),  nello  speciale  regime  di
tutela del territorio e' spesso sostanzialmente "svuotato" - o meglio
arricchito  di  contenuti  socialmente  rilevanti  -  per   garantire
interessi a carattere "super-individuale", come la conservazione e la
valorizzazione del patrimonio naturale della nazione. Tali  interessi
derivano da valori, in parte  sanciti  in  via  diretta  dalla  Carta
costituzionale [(a) diritti inviolabili dell'uomo  (art.  2);  b)  la
tutela del paesaggio e  del  patrimonio  storico  e  artistico  della
nazione (art. 9); c) la tutela della salute (art. 32)], in  parte  In
via indiretta dalla stessa Costituzione, che a seguito della  riforma
del  titolo  V,  ha  inserito  per  la   prima   volta   la   "tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema  e  dei  beni  culturali",  nel  testo
costituzionale (art. 117, comma 2, lett. s). 
    La proprieta', poi, come situazione giuridica soggettiva reale  e
statica, e l'iniziativa economica privata, come situazione  giuridica
complessa e dinamica, pur rappresentando degli  istituti  distinti  e
costituzionalmente garantiti (artt. 42,  comma  2,  e  41,  comma  2,
Cost.), sono entrambi  asserviti,  in  quanto  facce  di  una  stessa
medaglia, ad assolvere una funzione sociale e un'utilita' sociale: a)
controllo  dell'iniziativa  economica  privata  in   funzione   della
liberta', sicurezza e dignita' umana (art. 41, comma 2, Cost.); b) la
legge  determina  i  programmi  e  i  controlli   opportuni   perche'
l'attivita' economica pubblica e privata possa essere  indirizzata  e
coordinata a fini sociali (art. 41, comma 2, Cost.). 
    15.4. A tal riguardo, occorre fare alcune precisazioni. 
    Non v'e' dubbio  che  il  bene  giuridico  protetto  dalla  norma
dell'art.  30,  d.p.r.  n.  380/2001  (T.U.  Edilizia)  e'  non  solo
l'ordinata  pianificazione  urbanistica,  ma  anche  (e  soprattutto)
l'effettivo controllo del territorio da parte del  soggetto  titolare
della stessa funzione di pianificazione (cioe' il Comune), cui spetta
di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con
conseguente legittima repressione di  qualsiasi  intervento  di  tipo
lottizzatorio non previamente  assentito.  In  particolare,  poi,  le
norme dettate in materia  di  lottizzazione  abusiva,  perseguono  un
evidente  scopo  pianificatorio,   che   trova   un'espressa   tutela
costituzionale. Nel 1948, infatti,  la  pianificazione  -  seppur  in
un'accezione   strettamente   economica    -    acquisisce    rilievo
costituzionale, dal momento che l'art. 41 Cost. - dopo  aver  sancito
che «l'iniziativa economica e'  libera»  e  «non  puo'  svolgersi  in
contrasto con l'utilita' sociale o  in  modo  da  recare  danno  alla
sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana» - ha previsto che  «la
legge  determina  i  programmi  e  i  controlli   opportuni   perche'
l'attivita' economica pubblica e privata possa essere  indirizzata  e
coordinata a fini sociali». 
    Come e'  noto,  la  Costituzione  sancisce  all'art.  2  che  "la
Repubblica riconosce e garantisce i  diritti  inviolabili  dell'uomo,
sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si  svolge  la  sua
personalita'". Occorre tenere presente  che  i  diritti  inviolabili,
siano essi esplicitamente previsti  o  desunti  per  implicito  dalla
Costituzione, rappresentano una vera  e  propria  manifestazione  del
"principio   personalistico":   tale   principio   invita   ad    una
considerazione del soggetto non quale monade  isolata  e  avulsa  dal
"mondo", bensi' appunto come "persona", tale proprio in quei rapporti
sociali di relazione che soli la sostanziano. 
    In particolare, la dimostrazione  del  contributo  che  la  Corte
costituzionale ha dato all'estensione del "principio  personalistico"
ad ambiti di  materie  in  cui  si  riteneva  che  la  legge  dovesse
limitarsi a disciplinare interessi pubblici ed interessi privati,  e'
offerta dalla giurisprudenza costituzionale,  ormai  consolidata,  in
materia di "ambiente" e di "uso del  territorio".  Merita  di  essere
ricordata, in primo luogo, la sentenza  n.  210  del  1987,  dove  si
afferma  che  in  Costituzione  e'  rinvenibile   un   riconoscimento
specifico della salvaguardia dell'ambiente come diritto  fondamentale
della persona  ed  interesse  fondamentale  della  collettivita'.  Si
tende,  cioe',  ad  una  concezione  unitaria  del  bene  ambientale,
comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali. Esso  comprende
la conservazione, la razionale gestione  ed  il  miglioramento  delle
condizioni naturali, la esistenza e la  preservazione  dei  patrimoni
genetici terrestri e marini, di tutte le specie  animali  e  vegetali
che in esso vivono allo stato naturale ed in  definitiva  la  persona
umana in tutte le sue estrinsecazioni. Ed ancora, nella  sentenza  n.
196 del 2004,. in tema di "condono edilizio",  la  Corte  sottolinea,
nell'esaminare la materia, il rapporto che intercorre  tra  "dignita'
umana" e  "iniziativa  economica  privata",  rilevando  "come  in  un
settore del genere vengano in rilievo  una  pluralita'  di  interessi
pubblici,  i  quali  devono  necessariamente  trovare  un  punto   di
equilibrio, poiche' il fine della legislazione sul "condono" consiste
proprio nel realizzare un contemperamento dei valori in gioco: da una
parte, quelli del  paesaggio,  della  cultura,  della  salute,  della
conformita' dell'iniziativa economica privata  all'utilita'  sociale,
della  funzione  sociale  della   proprieta';   dall'altra,   quelli,
altrettanto rilevanti e fondamentali sul piano della dignita'  umana,
dell'abitazione e del lavoro". 
    15.5.  Nelle  sentenze  della  Corte  dei  diritti  dell'uomo  di
Strasburgo il diritto di proprieta' privata viene spesso definito "un
diritto fondamentale", per l'ovvio motivo che qualsiasi diritto umano
non puo' essere leso, ed e' pertanto "fondamentale". 
    Sennonche' deve porsi in risalto che  il  diritto  di  proprieta'
privata assume valore diverso in ragione del suo  contenuto  e  della
sua estensione, ragion per cui un uso indifferenziato  dell'aggettivo
"fondamentale", come avviene  nella  giurisprudenza  della  Corte  di
Strasburgo, puo' essere foriero di  equivoci  ed  esige  una  precisa
puntualizzazione. 
    A tal fine e' necessario prender le mosse da  quanto  dicono,  al
riguardo,  l'art.  17  della  Dichiarazione  universale  dei  diritti
dell'uomo e l'art. 1 del  Protocollo  addizionale.  L'art.  17  della
Dichiarazione stabilisce che "Ogni individuo ha diritto ad avere  una
proprieta' sua personale o in  comune  con  altri.  Nessun  individuo
potra' essere arbitrariamente privato della sua proprieta'". 
    L'art. 1 del Protocollo addizionale  afferma  che  "Ogni  persona
fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno puo'
essere privato della sua proprieta', se non  per  causa  di  utilita'
pubblica". 
    Questa seconda norma nulla aggiunge, nella sua generalita',  alla
norma della Dichiarazione: il rispetto al diritto sui propri beni  e'
infatti  indifferentemente  accolto  in  ogni  ordinamento,   essendo
evidente che ogni diritto, in quanto tale, deve essere rispettato. 
    La Costituzione della Repubblica  italiana  certamente  riconosce
come diritto fondamentale, da definire diritto inviolabile dell'uomo,
ai sensi dell'art. 2 Cost., non  il  diritto  di  proprieta'  privata
senza aggettivi, ma li  diritto  di  "proprieta'  personale",  quella
riferibile al soddisfacimento dei bisogni primari dell'uomo. 
    Cio' e' dimostrato dal fatto, innanzitutto, che la  Costituzione,
quando ha  voluto  riconoscere  un  diritto  fondamentale,  cioe'  un
diritto dell'uomo preesistente alla Costituzione stessa ha  usato  la
dizione "la Repubblica riconosce e garantisce, ecc.". Nel caso  della
proprieta' privata, invece, la Costituzione  scorpora  detto  diritto
dai diritti dell'uomo di cui al citato art. 2 Cost. e ne  colloca  la
disciplina, non tra  i  diritti  fondamentali  di  cui  ai  "Principi
fondamentali" od ai "Diritti e doveri dei cittadini", ma  nel  Titolo
dedicato ai "Rapporti economici". 
    Ma v'e' di piu'. 
    A Proposito della proprieta' privata,  la  Costituzione  non  usa
piu' la dizione "La Repubblica riconosce e garantisce, ecc.", ma  "la
legge riconosce e garantisce". 
    Afferma testualmente l'art. 42 Cost. "La proprieta' e' pubblica o
privata. I beni economici  appartengono  allo  Stato,  ad  enti  o  a
privati. La proprieta' privata  e'  riconosciuta  e  garantita  dalla
legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i  limiti,
allo  scopo  di  assicurarne  la  funzione  sociale  e  di   renderla
accessibile a tutti. La proprieta'  privata  puo'  essere,  nei  casi
preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi  di
interesse generale. La legge stabilisce le norme ed  i  limiti  della
successione  legittima  e  testamentaria  e  i  diritti  dello  Stato
sull'eredita'". 
    Il diritto di proprieta'  privata,  dunque,  non  costituisce  un
valore assoluto, un diritto fondamentale inviolabile, ma  un  diritto
che esiste secondo la previsione della legge, la quale, tenuto  conto
del suo obbligo di assicurarne la  funzione  sociale  e  di  renderla
accessibile a tutti, potrebbe anche  comprimerla,  riducendola,  come
afferma la giurisprudenza della Corte  costituzionale,  anche  ad  un
"nucleo essenziale". 
    La nostra Costituzione considera fondamentale solo questo "nucleo
essenziale"  della  proprieta'  privata,   e   che   di   conseguenza
costituisce  un   diritto   inviolabile   soltanto   la   "proprieta'
personale". 
    L'indiscutibile conferma e' nell'art. 47 Cost., secondo il  quale
"La Repubblica... favorisce l'accesso  del  risparmio  popolare  alla
proprieta' dell'abitazione, alla proprieta' diretta coltivatrice e al
diretto o  indiretto  Investimento  azionario  nei  grandi  complessi
produttivi del Paese". Il che rientra pienamente nel citato  concetto
di "proprieta' personale". Il diritto  all'abitazione,  peraltro,  e'
stato considerato, proprio in riferimento al citato art. 47 Cost., un
diritto fondamentale inviolabile dalla giurisprudenza  costituzionale
(cfr. sentenze nn. 217 del 1988, 404 del 1988, 252 del 1989, 559  del
1989, 419 del 1991, 364 del 1990). 
    16. Appare, quindi, evidente come l'interpretazione che  la  Cedu
ha operato della norma  di  cui  all'art.  44,  comma  2,  D.P.R.  n.
380/2001, escludendo la confiscabilita'  delle  aree  e  dei  terreni
abusivamente lottizzati nel caso in cui il giudizio non  si  concluda
con una sentenza di condanna, ma con una sentenza di  proscioglimento
per prescrizione, violi gli artt. 2, 9, 32, 41, 42, 117, primo comma,
Cost., i quali impongono che il paesaggio, l'ambiente, la vita  e  la
salute siano  tutelati  quali  valori  costituzionali  oggettivamente
fondamentali, cui riconoscere prevalenza  nei  bilanciamento  con  il
diritto di proprieta'. 
    16.1. Ed invero, quanto all'art. 2 Cost., laddove afferma che «La
Repubblica riconosce e garantisce i  diritti  inviolabili  dell'uomo,
sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si  svolge  la  sua
personalita', e richiede l'adempimento  del  doveri  inderogabili  di
solidarieta' politica, economica e sociale»,  si  e'  gia'  detto  in
precedenza come il diritto di proprieta' privata non  costituisce  un
valore assoluto, un diritto fondamentale inviolabile, ma  un  diritto
che esiste secondo la previsione della legge, la quale, tenuto  conto
del suo obbligo di assicurarne la  funzione  sociale  e  di  renderla
accessibile a tutti, potrebbe anche  comprimerla,  riducendola,  come
afferma la giurisprudenza della Corte  costituzionale,  anche  ad  un
"nucleo essenziale". Con riferimento alla  previsione  dell'art.  44,
comma 2, D.P.R. n. 380/2001, e' la legge a prevedere che la  sentenza
definitiva  del  giudice  penale  che  "accerta"  che  vi  e'   stata
lottizzazione abusiva, dispone la confisca del terreni,  abusivamente
lottizzati e delle  opere  abusivamente  costruite,  con  conseguente
acquisizione gratuita dei terreni,  di  diritto,  al  patrimonio  del
comune nel cui territorio e' avvenuta la lottizzazione.  E',  quindi,
la  legge  che  impone,  in   caso   di   "accertata"   lottizzazione
(accertamento che, pur contenuto in una sentenza  di  proscioglimento
per prescrizione che  abbia  pero'  acclarato  la  sussistenza  degli
elementi  oggettivi   e   soggettivi   dell'illecito   lottizzatorio,
legittimerebbe  la  confisca,  secondo  l'interpretazione  di  questa
Corte, avallata  dalla  giurisprudenza  costituzionale  con  la  gia'
richiamata sentenza  n.  239/2009  e,  sotto  certi  aspetti,  la  n.
85/2008) il sacrificio del diritto di proprieta' che,  pertanto,  per
le  ragioni  esposte,  non  puo'  essere  considerato  quale  diritto
inviolabile. Secondo la sentenza Varvara, diversamente,  in  caso  di
"confisca senza condanna" ex art. 44, comma 2,  D.P.R.  n.  380/2001,
l'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del  ricorrente  sarebbe
contraria al principio di legalita' ed  arbitraria,  con  conseguente
violazione  dell'art.  1,  del  Protocollo   n.   1   (tutela   della
proprieta'):  cio'  impedirebbe,  quindi,  a  questa  Corte,  secondo
l'esegesi "convenzionalmente orientata"  di  confermare  la  disposta
confisca degli immobili e dei terreni in sequestro,  cosi'  imponendo
di  considerare  il  diritto  di  proprieta'  come  inviolabile,  con
conseguente violazione dell'art. 2 Cost. 
    16.2. Analoga censura di  costituzionalita',  in  secondo  luogo,
investe la norma in questione, come interpretata dalla Corte  e.d.u.,
in rapporto all'art. 9 Cost. 
    Ed infatti, il 2° comma, dell'art. 9 Cost., che  afferma  che  la
Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico  e  artistico
della  Nazione»,  e'  iscritto  tra  i  principi  fondamentali  della
Costituzione. L'art. 9, con il riferimento indistinto  al  paesaggio,
e' improntato alla "concezione integrale del paesaggio",  cioe'  alla
forma dell'intero paese. La concezione integrale  e'  recepita  dalla
giurisprudenza costituzionale e da quella amministrativa (Corte cost.
23 novembre 2011, n.  309;  Corte  cost.  7.11.2007,  n.  367;  nella
giurisprudenza amministrativa, v. l'importante Cons. St., ad.  plen.,
14.12.2001, n. 9). Il rapporto tra la tutela del paesaggio  dell'art.
9, 2° comma, e "l'urbanistica" di cui trattava l'originario art.  117
Cost. e - dopo la l. Cost. n. 3/2011 - il "governo  del  territorio",
e' oggetto di vasta letteratura che, soprattutto  negli  anni  '70  e
'80, ha visto contrapposte  due  accezioni:  quella  della  ricordata
"panurbanistica" (incentrata sulla lata definizione di  "urbanistica"
raggiunta con l'art. 80, D.P.R. n. 616/1977: la «disciplina  dell'uso
del  territorio  comprensiva  di  tutti  gli   aspetti   conoscitivi,
normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di
trasformazione del suolo nonche' la protezione dell'ambiente»)  volta
ad assorbirle la prima  nella  seconda;  e  quella  che  muove  dalla
collocazione tra i principi fondamentali dell'art. 9  Cost.,  che  le
distingue e le  pone  in  relazione  sostanzialmente  gerarchica  con
prevalenza della prima. 
    La  tutela  del  paesaggio  e'  una  manifestazione  particolare,
arricchita dalla qualificazione culturale, della  piu'  ampia  tutela
dell'ambiente, a condizione che  di  questa  si  assuma  una  nozione
genetica, non meramente  quantitativa,  di  protezione  di  tutte  le
condizioni originarie di qualita' della vita e  non  solo  di  quelle
inerenti la salubrita', e  se  comunque  si  assume  che  "paesaggio"
indica innanzitutto «la morfologia del territorio», cioe' «l'ambiente
nel suo aspetto visivo» (cosi'  C.  cost.  7.11.2007,  n.  367;  cfr.
anche, C. cost. 21.10.2011, n. 275; C. cost. 22.7.2009,  n.  226;  C.
cost, 30.5.2008, n. 180; C. cost. 5.5.2006, n. 182 e  183;  C.  cost.
14.12.1993, n. 430; C. cost. 11.7.1989, n. 391; C. cost.  30.12.1987,
n. 641). Del resto, sul tema dei rapporti tra  tutela  dell'ambiente,
del territorio  e  del  paesaggio,  la  stessa  Corte  costituzionale
sottolinea, ad esempio, come «una forte  espansione  delle  fonti  di
energia  rinnovabili  [...]  potrebbe  incidere   negativamente   sul
paesaggio:  il   moltiplicarsi   di   impianti,   infatti,   potrebbe
compromettere i valori estetici del territorio, ugualmente  rilevanti
dal punto di vista storico e culturale, oltre che economico,  per  le
potenzialita' dei suo sfruttamento turistico» (C.  cost.  21.10.2011,
n. 275). 
    Orbene, e' pacifico che la condotta illecita di cui  si'  discute
(lottizzazione abusiva) viene  ad  incidere  in  modo  rilevante  non
soltanto sull'assetto del territorio,  ma  sull'intero  ambiente:  la
violazione determina  un  "vulnus"  alle  condizioni  di  vita  della
popolazione  ivi  residente,  della  quale   altera   le   condizioni
soggettive   ed   oggettive   di   vita,   la   cui   protezione   e'
costituzionalmente statuita dall'art. 9; tale illecito  comporta  una
lesione del paesaggio, che va  considerato  anche  una  risorsa,  non
soltanto naturalistica, ma anche economica, poiche' rappresenta fonte
di introiti per la collettivita'. 
    La  natura  di  principio   fondamentale   della   nostra   Carta
costituzionale  della  tutela  del   paesaggio   e   del   territorio
giustifica,  nell'ottica  del  legislatore,   il   sacrificio   della
proprieta' privata attraverso l'ablazione coattiva imposta  dall'art.
44, comma 2, D.P.R. n.  380/2001,  anche  nel  caso  di  accertamento
dell'illecito lottizzatorio non seguito da una sentenza di  condanna;
l'operativita'   della   confisca,   tuttavia,    sarebbe    impedita
dall'esegesi "convenzionale" dell'art. 44, comma  2,  citato,  atteso
che,  nel  caso  sottoposto  ai  giudizio  di  questa  Corte,  attesa
l'assenza  di  una   pronuncia   di   "condanna"   sarebbe   impedita
l'applicazione della norma sanzionatoria: ancora una  volta,  quindi,
secondo la lettura operata  alla  luce  della  sentenza  Varvara,  vi
sarebbe prevalenza del diritto di proprieta' rispetto alla tutela del
territorio e  del  paesaggio,  dunque  di  un  valore  costituzionale
oggettivamente  fondamentale,  cui  invece  dev'essere   riconosciuta
prevalenza nel bilanciamento con li diritto di proprieta'. 
    16.3. A soluzioni non dissimili si perviene valutando la norma in
questione, come interpretata dalla Corte e.d.u., in rapporto all'art.
32 Cost. 
    Il bene della salute e' tutelato dall'art. 32, primo comma, della
Costituzione «non solo come interesse della collettivita' ma anche  e
soprattutto come diritto fondamentale dell'individuo»  (Corte  cost.,
sentenza n. 356 del 1991),  che  impone  piena  ed  esaustiva  tutela
(Corte cost., sentenze n, 307 e 455 del  1990),  in  quanto  «diritto
primario e assoluto,  pienamente  operante  anche  nei  rapporti  tra
privati» (Corte cost., sentenze n. 202 del 1991, n. 55 9 del 1987, n.
184 del 1986, n. 88 del 1979). 
    Nell'evoluzione della giurisprudenza  costituzionale  il  diritto
alla salute si estende fino a configurarsi, nel suo collegamento  con
l'art. 9 della  Costituzione,  anche  come  diritto  ad  un  ambiente
salubre. Il  riconoscimento  di  un  diritto  soggettivo  individuale
all'ambiente,  tutelato  quale  diritto  fondamentale,  muove  da  un
concetto di "salute" come situazione giuridica generale di  benessere
dell'individuo derivante anche, se non soprattutto, dal godimento  di
un  ambiente  salubre.  Secondo  la  Corte  costituzionale,   infatti
"l'ambiente e' protetto come elemento  determinativo  della  qualita'
della vita":  la  sua  protezione  non  persegue  astratte  finalita'
naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza  di  un  habitat
naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e  che  e'  necessario  alla
collettivita' e, per essa, ai cittadini,  secondo  valori  largamente
sentiti; e' imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt.  9  e
32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto" (Corte
cost., sentenze n. 210 e n. 641 del 1987). 
    In particolare, il bene dell'ambiente come  diritto  fondamentale
della  persona  (oltre  che   come   interesse   fondamentale   della
collettivita') "comprende la conservazione, la razionale gestione  ed
il miglioramento delle condizioni  naturali  (aria,  acque,  suolo  e
territorio  in  tutte  le  sue  componenti),  la   esistenza   e   la
preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte  le
specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato  naturale  ed
in definitiva la persona  umana  in  tutte  le  sue  estrinsecazioni"
(Corte cost., sentenza n. 210 del 1987). 
    Una lettura costituzionalmente orientata  del  diritto  garantito
dall'art. 32 Cost., quindi, conduce a ritenere che le  norme  dettate
dalla legislazione urbanistica (e, segnatamente, quelle  dettate  dal
D.P.R. n. 380/2001 in tema di contrasto alla lottizzazione  abusiva),
abbiano come obiettivo non soltanto la conservazione di  un  ordinato
assetto territoriale, ma anche quello  di  garantire  la  tutela  del
diritto ad un "ambiente" salubre e, dunque, la  tutela  della  salute
umana ex art. 32 Cost. 
    Correlando gli articoli 9 e 32 Cost. emerge a chiare lettere  che
un ambiente salubre  condiziona  necessariamente  l'effettivita'  dei
diritto alla salute: l'ambiente, attraverso il combinato disposto  di
tali articoli,  viene  letto  come  valore  unitario  e  fondamentale
interesse della collettivita'. 
    Del resto, la giurisprudenza  di  questa  Corte,  attraverso  una
nutrita serie di decisioni, ha osservato che "il diritto alla salute,
piuttosto e oltre che come mero diritto alla vita  e  all'incolumita'
fisica deve configurarsi come diritto ad un ambiente  salubre"  (Sez.
3, sentenza n. 1152 del 22/02/1979, non  massimata)  e,  inoltre,  ha
riconosciuto la sussistenza di  un  diritto  soggettivo  all'ambiente
salubre, considerando  tale  diritto  come  un  particolare  modo  di
atteggiarsi dei  diritto  alla  salute  costituzionalmente  garantito
(Sez. U, sentenza n. 5172 del 06/10/1979, Rv. 401788). E cio' avviene
giacche' si ritiene che l'ambiente, pur essendo esterno all'uomo,  lo
condizioni, in quanto costituisce la sfera in cui egli vive ed opera:
collegandosi all'art. 3 Cost. puo' dirsi che l'ambiente e'  il  luogo
in cui l'individuo, rapportandosi nella socialita', sviluppa  la  sua
personalita';  pertanto  e'  necessario  costruire  e  mantenere   un
ambiente salubre in cui nulla  costituisca  pericolo  per  la  salute
dell'uomo stesso. Questo orientamento viene difeso e  riaffermato  da
questa Corte in tutte le successive sentenze nelle quali  si  prevede
anche la prevalenza del  diritto  all'ambiente  salubre  sugli  altri
interessi, in  caso  di  conflitti  (Sez.  L,  sentenza  n.  786  del
26/01/1991, non massimata). 
    Analogamente, la  Corte  costituzionale,  nella  sua  consolidata
giurisprudenza, ha affermato la sussistenza dei diritto  all'ambiente
salubre e la  preminenza  dello  stesso  sugli  altri  "valori":  nel
conflitto tra tre diversi interessi quali il mercato, l'ambiente e la
persona,   essa   ammette   che   possa   comprimersi    l'integrita'
dell'ambiente in ragione degli interessi economici delle imprese,  ma
che  questa  compressione  non  possa  in  alcun  modo  compromettere
l'interesse fondamentale della persona alla difesa  della  salubrita'
dell'ambiente  (Corte  Cost.,  sentenza  n.  127/1990).  Infatti,  la
liberta' economica, pur  garantita,  riconosciuta  e  tutelata  nella
Carta costituzionale, non si presenta alla stregua di una  situazione
giuridica soggettiva pari  a  quella  che  emerge  nel  diritto  alla
salute, assoluto, primario e inviolabile,  ma  e'  funzionalizzata  e
sott'ordinata gerarchicamente a quest'ultimo. 
    Come,  infine,  viene  evidenziato  nella  sentenza  della  Corte
costituzionale  n.  62  del  2005,   il   diritto   alla   salubrita'
dell'ambiente trova fondamento non solo negli articoli  9  e  32,  ma
anche negli articoli 2 e 3 della Costituzione, dai quali discende  la
qualita' di diritto inviolabile  garantito  a  ciascun  individuo  in
maniera egualitaria. 
    Non  v'e'  dubbio  che  la  tutela  del  diritto   alla   salute,
nell'attuale  accezione  del  diritto   ad   un   ambiente   salubre,
costituisca  ulteriore  oggetto  di  salvaguardia  e   tutela   nella
legislazione urbanistica. In particolare, e' possibile affermare  che
la salvaguardia di un ordinato  assetto  territoriale  attraverso  il
divieto di attivita' consistenti in illecita lottizzazione, attua  la
c.d. pianificazione territoriale, i cui scopi sono: a) promuovere  un
ordinato sviluppo del territorio; b) assicurare  che  i  processi  di
trasformazione  siano  compatibili  con  la  sicurezza  e  la  tutela
dell'integrita' fisica e con l'identita' culturale del territorio; c)
migliorare la qualita' della vita e la salubrita' degli  insediamenti
umani. 
    Poiche', come sopra chiarito, non v'e'  dubbio  il  diritto  alla
salute ed alla salubrita' dell'ambiente  debba  ritenersi  prevalente
rispetto al diritto di proprieta', cio' che  invece  sarebbe  escluso
dall'esegesi normativa dell'art. 44, comma  2,  D.P.R.  n.  380/2001,
operata dalla sentenza Varvara. Ed  infatti,  escludere  -  nel  caso
sottoposto all'esame di questa Corte - la confiscabilita' dei terreni
e degli immobili sequestrati determinerebbe,  ancora  una  volta,  la
prevalenza  dei  diritto  di  proprieta'  sul  diritto  alla   salute
nell'accezione c.s. intesa: nel conflitto tra diritto di proprieta' e
diritto  alla  salute,  non  puo'  ammettersi  che  la  tutela  della
proprieta'  (come,  invece,  imporrebbe  la  lettura  della  sentenza
Varvara) possa comprimere il diritto all'integrita' dell'ambiente, in
quanto detta compressione  finirebbe  per  compromettere  l'interesse
fondamentale della persona alla difesa della salubrita' dell'ambiente
e, quindi, del diritto alla salute. 
    La natura di diritto fondamentale attribuito dalla  nostra  Carta
costituzionale al diritto alla  salute  giustifica,  nell'ottica  del
legislatore,  il  sacrificio  della  proprieta'  privata   attraverso
l'ablazione  coattiva  imposta  dall'art.  44,  comma  2,  D.P.R.  n.
380/2001, anche nel caso di accertamento dell'illecito  lottizzatorio
non  seguito  da  una  sentenza  di  condanna;  l'operativita'  della
confisca, tuttavia,  sarebbe  impedita  dall'esegesi  "convenzionale"
dell'art. 44, comma 2, citato, atteso che,  nel  caso  sottoposto  al
giudizio di questa  Corte,  attesa  l'assenza  di  una  pronuncia  di
"condanna" sarebbe impedita l'applicazione della norma sanzionatoria:
ancora una volta, quindi, secondo la lettura operata alla luce  della
sentenza Varvara, vi sarebbe prevalenza  del  diritto  di  proprieta'
rispetto al diritto alla salute, dunque di un  valore  costituzionale
oggettivamente fondamentale,  cui  invece  deve  essere  riconosciuta
prevalenza nei bilanciamento con il diritto di proprieta'. 
    16.4. Analoga censura di  costituzionalita',  in  secondo  luogo,
investe la norma in questione, come interpretata dalla Corte  e.d.u.,
in rapporto agli artt. 41 e 42 Cost. 
    La proprieta',  come  situazione  giuridica  soggettiva  reale  e
statica, e l'iniziativa economica privata, come situazione  giuridica
complessa e dinamica, pur rappresentando degli  istituti  distinti  e
costituzionalmente garantiti (artt. 42,  comma  2,  e  41,  comma  2,
Cost.), sono entrambi  asserviti,  in  quanto  facce  di  una  stessa
medaglia, ad assolvere una funzione sociale e un'utilita' sociale: a)
controllo  dell'iniziativa  economica  privata  in   funzione   della
liberta', sicurezza e dignita' umana (art. 41, comma 2, Cost.); b) la
legge  determina  i  programmi  e  i  controlli   opportuni   perche'
l'attivita' economica pubblica e privata possa essere  indirizzata  e
coordinata a fini sociali (art. 41, comma 2, Cost.). 
    In tale ottica, quindi, il legislatore non  consente  una  tutela
dell'interesse  proprietario  in  se',  ma  solo  se  tale  posizione
giuridica soggettiva possa  ritenersi  compatibile  con  la  funzione
sociale  e  un'utilita'  sociale  cui  il  mantenimento  dell'assetto
proprietario e' preordinato. Nel caso dell'illecito lottizzatorio, e'
la legge stessa a prevedere,  invece,  il  sacrificio  dell'interesse
economico sotteso alla posizione del privato  proprietario,  mediante
la previsione dell'ablazione coattiva di cui all'art.  44,  comma  2,
D.P.R. n. 380/2001. In definitiva, dunque, e' lo  stesso  legislatore
che, operando una valutazione comparativa tra  l'interesse  (rectius,
il diritto)  del  privato  a  mantenere  la  proprieta'  dei  terreni
abusivamente lottizzati e/o delle  opere  abusivamente  costruite,  e
l'interesse dello Stato a reprimere quelle condotte  che  "comportino
trasformazione  urbanistica  od  edilizia  dei  terreni   stessi   in
violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti  o
adottati, o comunque stabilite dalle  leggi  statali  o  regionali  o
senza la prescritta autorizzazione" (art.  30,  comma  1,  D.P.R.  n,
380/2001), impone - con la previsione  della  confisca  ex  art.  44,
comma 2, D.P.R. n. 380/2001 - il sacrificio del diritto di proprieta'
attesa  l'incompatibilita'  della  condotta   integrante   l'illecito
lottizzatorio con la funzione sociale e con l'utilita' sociale cui il
mantenimento  dell'assetto  proprietario  e'  preordinato  ai   sensi
dell'art. 41 e 42 Cost. 
    L'operativita'  della  confisca,   tuttavia,   sarebbe   impedita
dall'esegesi "convenzionale" dell'art. 44, comma  2,  citato,  atteso
che,  nel  caso  sottoposto  al  giudizio  di  questa  Corte,  attesa
l'assenza di una pronuncia di "condanna" sa e impedita l'applicazione
della norma sanzionatoria:  ancora  una  volta,  quindi,  secondo  la
lettura operata alla luce  della  sentenza  Varvara,  vi  sarebbe  la
prevalenza  "assoluta"  del  diritto  di  proprieta'  a   prescindere
dall'assolvimento della funzione sociale e dell'utilita' sociale  cui
la proprieta', come situazione giuridica soggettiva reale e  statica,
e l'iniziativa economica privata, come situazione giuridica complessa
e dinamica (artt. 42, comma 2, e 41, comma 2, Cost.),  sono  entrambi
asserviti. 
    16.5. Per completezza, si noti, ad analoghi approdi e'  pervenuta
anche la piu' recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, che  con
una serie di decisioni conformi (Cons. St., IV, 10  maggio  2012,  n.
2710; Cons. St., IV 21 dicembre 2012, n.  6656;  Cons.  St.,  IV,  28
novembre 2012, n. 6040; Cons. St., IV, 8 luglio 2013, n. 3606;  Cons.
St., IV, 6 maggio 2013,  n.  2427)  hanno  segnato  il  ritorno  alla
nozione di panurbanistica. 
    In particolare, i giudici amministrativi hanno osservato  che  il
potere  di  pianificazione  urbanistica  del  territorio  -  la   cui
attribuzione  e   conformazione   normativa   e'   costituzionalmente
conferita alla potesta' legislativa concorrente dello Stato  e  delle
Regioni, ex art. 117, comma terzo,  Cost.  ed  il  cui  esercizio  e'
normalmente attribuito, pur nel  contesto  di  ulteriori  livelli  ed
ambiti  di  pianificazione,  al  Comune  -  non  e'   limitato   alla
individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale,
ed in  particolare  alla  possibilita'  e  limiti  edificatori  delle
stesse. Al contrario,  tale  potere  di  pianificazione  deve  essere
rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che  non
e' limitato solo alla disciplina coordinata  della  edificazione  dei
suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalita', in
tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina  dell'utilizzo
delle aree,  realizzi  anche  finalita'  economico  -  sociali  della
comunita' locale (non in contrasto ma anzi in armonico  rapporto  con
analoghi Interessi di altre comunita' territoriali, regionali e dello
Stato), nel quadro  di  rispetto  e  positiva  attuazione  di  valori
costituzionalmente tutelati. 
    Proprio per tali ragioni, lo stesso  legislatore  costituzionale,
nel novellare l'art. 117 della  Costituzione  per  il  tramite  della
legge Cost. n. 3/2001, ha sostituito -  al  fine  di  individuare  le
materie rientranti nella potesta'  legislativa  concorrente  Stato  -
Regioni - il  termine  "urbanistica",  con  la  piu'  onnicomprensiva
espressione di "governo del territorio",  certamente  piu'  aderente,
contenutisticamente, alle finalita' di pianificazione che oggi devono
ricomprendersi nel citato termine di "urbanistica". 
    D'altra parte, gia' il legislatore ordinario (sia  pure  ai  fini
della attribuzione di giurisdizione sulle relative controversie), con
l'art. 34, comma 2, d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80, aveva affermato  che
"la materia urbanistica  concerne  tutti  gli  aspetti  dell'uso  del
territorio". 
    Tali   finalita',   per    cosi'    dire    "piu'    complessive"
dell'urbanistica, e degli strumenti  che  ne  comportano  attuazione,
sono peraltro desumibili fin dalla legge  17  agosto  1942  n.  1150,
laddove essa individua il contenuto della "disciplina  urbanistica  e
dei suoi scopi"  (art.  1),  non  solo  nell'"assetto  ed  incremento
edilizio" dell'abitato,  ma  anche  nello  "sviluppo  urbanistico  in
genere   nel   territorio   della   Repubblica".    In    definitiva,
l'urbanistica,  ed   il   correlativo   esercizio   del   potere   di
pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico,  solo
come un coordinamento delle potenzialita'  edificatorie  connesse  al
diritto di proprieta', cosi' offrendone una visione affatto minimale,
ma devono essere ricostruiti come Intervento degli enti  esponenziali
sul proprio territorio, in funzione  dello  sviluppo  complessivo  ed
armonico del medesimo. 
    Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialita' edificatorie
dei suoli - non in  astratto,  bensi'  in  relazione  alle  effettive
esigenze di abitazione della comunita' ed alle concrete vocazioni del
luoghi - sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di
tutela della salute e quindi della vita salubre degli  abitanti,  sia
delle esigenze economico  -  sociali  della  comunita'  radicata  sul
territorio, sia, in  definitiva,  del  modello  di  sviluppo  che  si
intende imprimere ai luoghi  stessi,  in  considerazione  della  loro
storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione "de futuro" sulla
propria  stessa  essenza,  svolta  -  per  auto-rappresentazione   ed
autodeterminazione  -  dalla  comunita'   medesima,   attraverso   le
decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora,  attraverso  la
partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio. 
    In definitiva, il potere di  pianificazione  urbanistica  non  e'
funzionale solo all'interesse pubblico all'ordinato sviluppo edilizio
del  territorio  in  considerazione  delle   diverse   tipologie   di
edificazione  distinte  per  finalita'  (civile  abitazione,   uffici
pubblici, opifici  industriali  e  artigianali,  etc.),  ma  esso  e'
funzionalmente  rivolto  alla  realizzazione  contemperata   di   una
pluralita' di Interessi pubblici, che trovano il  proprio  fondamento
in valori costituzionalmente garantiti. 
    Ne consegue che, diversamente opinando,  e  cioe'  nel  senso  di
ritenere il potere di pianificazione urbanistica limitato  alla  sola
prima ipotesi,  si  priverebbe  la  pubblica  amministrazione  di  un
essenziale strumento di realizzazione di valori costituzionali, quali
sono almeno quelli espressi dagli articoli 9, comma secondo, 32,  42,
44, 47, comma secondo, Cost. 
    16.6. Appare, dunque, evidente in  questa  situazione,  come  non
possa ritenersi conforme  a  Costituzione  l'interpretazione  operata
dalla sentenza Varvara della Corte di Strasburgo la quale in  sintesi
afferma che il diritto di proprieta' privata, indipendentemente dalle
sue dimensioni, e' un diritto fondamentale inviolabile. 
    Provvide sono state al riguardo le sentenze n. 348 e 349 del 2007
della Corte costituzionale. 
    Dette sentenze, infatti, hanno ben messo in evidenza che le norme
della   Convenzione   Europea   dei   Diritti    dell'Uomo    (CEDU),
nell'interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo,  e  cioe',  in
ultima analisi, dalle sentenze di detta Corte, non sono  cogenti  per
l'ordinamento giuridico italiano, ma costituiscono  semplicemente  lo
strumento in base al quale e' possibile stabilire il contenuto  degli
obblighi internazionali che l'Italia e' tenuta a rispettare, al sensi
dell'art. 117, primo comma, della Costituzione. Dette sentenze  della
Corte  di   Strasburgo   hanno,   in   altri   termini,   un   valore
sub-costituzionale e intanto possono costituire il  contenuto  di  un
obbligo internazionale, in quanto siano conformi a  Costituzione.  Si
tratta, in altri termini, di norme interposte soggette  al  controllo
della Corte costituzionale. E'  stata  cosi'  posta  una  valvola  di
sicurezza, 
    Qualora la Corte di Strasburgo,  come  avvenuto  nel  caso  della
sentenza Varvara, affermi esplicitamente che la proprieta' privata e'
un diritto fondamentale ed inviolabile del cittadino (al  punto  tale
da non essere confiscabile pur in presenza di un "accertato" illecito
lottizzatorio, come pure  prevede  l'art.  44,  comma  2,  D.P.R.  n.
380/2001, reso pero' inapplicabile dall'esegesi di  tale  norma  alla
luce della norma convenzionale dell'art. 1, del protocollo n. 1 della
Convenzione e.d.u.), una norma siffatta - siccome interpretata  dalla
Corte e.d.u. - non potrebbe  mai  ritenersi  accoglibile  nel  nostro
ordinamento  e  ne  dovrebbe   essere   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale,  trattandosi,  come  si  e'  visto,  di   una   norma
sub-costituzionale, rientrante nell'ampio concetto  delle  cosiddette
"norme interposte". 
    16.7. Nel caso in cui si  profili  un  contrasto  tra  una  norma
interna e una norma della CEDU, «il  giudice  nazionale  comune  deve
preventivamente verificare la  praticabilita'  di  un'interpretazione
della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a  tutti  i
normali strumenti di ermeneutica giuridica» (sentenze n. 236 e n. 113
del 2011; n. 93 del 2010; n. 311 del 2009).  Se  questa  verifica  da
esito negativo  e  il  contrasto  non  puo'  essere  risolto  in  via
interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la  norma
interna ne' farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la
CEDU, nella interpretazione che ne ha fornito la Corte di Strasburgo,
e  pertanto  con  la  Costituzione,  deve  denunciare   la   rilevata
incompatibilita'   proponendo   una   questione    di    legittimita'
costituzionale in  riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,
ovvero all'art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti  di  una  norma
convenzionale ricognitiva di una  norma  del  diritto  internazionale
generalmente riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e
n. 311 del 2009). 
    Nella   giurisprudenza    costituzionale    si    e',    inoltre,
reiteratamente  affermato  che,  con  riferimento   ad   un   diritto
fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non puo'  mai
essere causa di una diminuzione di  tutela  rispetto  a  quelle  gia'
predisposte dall'ordinamento interno,  ma  puo'  e  deve,  viceversa,
costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa. 
    Del resto, l'art. 53  della  stessa  Convenzione  stabilisce  che
l'interpretazione delle disposizioni CEDU non puo' implicare  livelli
di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali. 
    Di  conseguenza,  il  confronto   tra   tutela   prevista   dalla
Convenzione e tutela costituzionale  dei  diritti  fondamentali  deve
essere effettuato mirando alla  massima  espansione  delle  garanzie,
concetto nel quale deve essere compreso,  come  gia'  chiarito  nelle
sentenze nn. 348 e 349 del  2007,  il  necessario  bilanciamento  con
altri interessi costituzionalmente protetti, cioe'  con  altre  norme
costituzionali, che a loro volta  garantiscano  diritti  fondamentali
che potrebbero essere incisi dall'espansione di una singola tutela. 
    Il richiamo al «margine di apprezzamento» nazionale  -  elaborato
dalla stessa Corte di Strasburgo, e rilevante come temperamento  alla
rigidita' dei principi formulati in sede europea - deve essere sempre
presente nelle valutazioni della Corte costituzionale,  tenuto  conto
che la tutela dei diritti fondamentali deve essere  sistemica  e  non
frazionata in una serie di norme  non  coordinate  ed  in  potenziale
conflitto tra loro. 
    16.8.  Come  piu'  volte  affermato  dalla  Corte  costituzionale
(sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 e n.
239 del 2009, n. 39 del 2008, n. 349 e n. 348 del 2007),  il  giudice
delle leggi non puo' sostituire la propria  interpretazione  di'  una
disposizione  della  CEDU  a  quella  data  in  occasione  della  sua
applicazione al caso di specie dalla Corte di  Strasburgo,  con  cio'
superando i confini delle proprie  competenze  in  violazione  di  un
preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione  e
la ratifica, senza l'apposizione di riserve, della Convenzione,  esso
pero' e' tenuto a valutare come ed  in  quale  misura  l'applicazione
della  Convenzione  da  parte  della  Corte  europea   si   inserisca
nell'ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel  momento
in cui va ad integrare il primo comma dell'art. 117 Cost., come norma
interposta, diviene oggetto di bilanciamento,  secondo  le  ordinarie
operazioni cui questa Corte e' chiamata in tutti  i  giudizi  di  sua
competenza (sent.  n.  317  del  2009).  Operazioni  volte  non  gia'
all'affermazione della primazia dell'ordinamento nazionale,  ma  alla
integrazione delle tutele. 
    Nell'attivita'   di    bilanciamento    con    altri    interessi
costituzionalmente protetti cui e' chiamata la Corte  costituzionale,
gli Interessi (rectius, diritti) sottesi ai parametri  costituzionali
evocati (artt. 2, 9, 32, 41, 42, 117, primo comma, Cost.) come  sopra
specificati, complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla
disposizione censurata, prevalgono - a giudizio di questa Corte - sul
diritto di proprieta', di pari rango costituzionale. 
    A differenza della Corte EDU, la Corte costituzionale e' chiamata
ad operare una valutazione  sistemica,  e  non  isolata,  dei  valori
coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata,  ed  e',  quindi,
tenuta a quel bilanciamento,  solo  ad  essa  spettante,  che,  nella
specie, da' appunto luogo alla soluzione indicata. 
    Va, quindi, sollevata la questione di costituzionalita' dell'art.
44, comma 2, del D.P.R. n. 380  del  2001,  come  interpretato  dalla
Corte EDU (sentenza Varvara) nel senso che la confisca  ivi  prevista
non puo' applicarsi nel caso di  dichiarazione  di  prescrizione  del
reato anche qualora la responsabilita' penale sia stata accertata  in
tutti i suoi elementi,  atteso  che  tale  norma  deve  ritenersi  in
contrasto con gli artt. 2, 9, 32, 41, 42, 117, primo comma, Cost. - i
quali, come in precedenza specificato, impongono  che  il  paesaggio,
l'ambiente,  la  vita  e  la  salute  siano  tutelati  quali   valori
costituzionali   oggettivamente   fondamentali,    cui    riconoscere
prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprieta' - in quanto
la norma suddetta, come sopra interpretata, non tiene conto  di  tale
bilanciamento, che deve essere sempre operato qualora siano in  gioco
opposti Interessi costituzionalmente protetti, anche qualora gli  uni
trovino tutela nella Cedu e gli altri nella Costituzione italiana. 
    Per completezza,  va  ricordato  che  l'obbligatorio  ricorso  al
giudizio della Corte costituzionale nel caso in esame discende  anche
dall'impossibilita' di attivare la procedura prevista dal  Protocollo
n.  16  alla  Convenzione  e.d.u.  (con  cui,  seppure   con   talune
limitazioni, sara' in futuro possibile sospendere il procedimento  in
corso  e  rivolgersi  alla  Corte  europea  per  chiedere  un  parere
consultivo  su  una   questione   relativa   all'applicazione   della
Convenzione europea e dei suoi Protocolli),  non  essendo  ancora  lo
stesso entrato in vigore, pur essendo stato aperta alla  firma  degli
Stati membri firmatari del Trattato STE 5, a Strasburgo, il 2 ottobre
2013 (ed in pari data sottoscritta dall'Italia), attesa  la  mancanza
delle prescritte dieci ratifiche. 
    16.9. Non v'e' dubbio, infine, che ne vada ritenuta, oltre la non
manifesta infondatezza per le ragioni dianzi  specificate,  anche  la
rilevanza. 
    Quest'ultima, invero,  e'  comprovata  dal  rilievo  per  cui  e'
proprio dalla soluzione  della  questione  di  costituzionalita'  che
dipende l'applicabilita' della disposizione normativa  dell'art.  44,
comma 2,  D.P.R.  n.  380/2001  nel  caso  in  esame,  nel  quale  si
controverte  -  come  ampiamente  descritto  al  §  13.1  -  di   una
fattispecie  in  cui  risulta   dimostrata   la   sussistenza   della
responsabilita' penale per l'illecito lottizzatorio sotto il  profilo
oggettivo e soggettivo, responsabilita' che  e'  stata  accertata  da
parte dei giudici di merito con valutazione condivisibile  ed  esente
da censure in sede di legittimita'. 
    Questa Corte, infatti, non potendo adottare altra sentenza se non
di rigetto dei ricorsi  (essendo  preclusa,  per  le  ragioni  dianzi
precisate,  sia  la  pronuncia  di  annullamento  senza  rinvio,  non
essendovi le condizioni per l'applicazione dell'art.  129,  comma  2,
c.p.p., sia, peraltro, una pronuncia di annullamento con  rinvio  per
vizio  di   motivazione   quanto   alla   sussistenza   dell'elemento
psicologico, ostandovi  l'estinzione  per  prescrizione  dei  reati),
dovrebbe disporre la conferma delle statuizioni di cui  all'impugnata
sentenza  quanto  alla  confisca  degli  immobili  e  delle  aree  in
sequestro, ostandovi,  pero',  allo  stato,  l'interpretazione  della
norma adottata dalla sentenza Varvara che, come visto,  preclude  una
"confisca senza condanna". 
    17. Il giudizio in corso  dev'essere,  conseguentemente,  sospeso
sino   all'esito   del   giudizio   incidentale    di    legittimita'
costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte, visto l'art, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza,  solleva
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44, comma  2,  del
D.P.R. n. 380 del 2001, come interpretato dalla Corte  EDU  (sentenza
Varvara) nel senso che la confisca ivi prevista non  puo'  applicarsi
nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora  la
responsabilita' penale sia stata accertata in tutti i suoi  elementi,
per violazione degli artt. 2, 9, 32, 41, 42, 117, primo comma,  Cost.
- i quali impongono che il paesaggio, l'ambiente, la vita e la salute
siano   tutelati   quali   valori    costituzionali    oggettivamente
fondamentali, cui riconoscere prevalenza  nel  bilanciamento  con  il
diritto di proprieta' - in  quanto  la  norma  suddetta,  come  sopra
interpretata, non tiene conto di tale bilanciamento, che deve  essere
sempre   operato   qualora   siano   in   gioco   opposti   interessi
costituzionalmente protetti, anche qualora  gli  uni  trovino  tutela
nella Cedu e gli altri nella Costituzione italiana (v. Corte cost. n.
264 del 2012); 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale; 
    Dispone  che,  a  cura  della   cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico Ministero
nonche' ai Presidente del Consiglio dei Ministri,  e  che  sia  anche
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
      Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  Suprema  di
Cassazione, il 30 aprile 2014. 
 
                                       Il Consigliere est.: Scarcella 
 
                       Il Presidente: Mannino