N. 209 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 maggio 2014
Ordinanza del 20 maggio 2014 emessa dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Alessandrini Ernesta ed altri 115. Edilizia - Reati edilizi - Lottizzazione abusiva - Confisca (c.d. confisca urbanistica) - Interpretazione della Corte EDU (sentenza 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia) - Esclusione che la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite possa applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilita' penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi - Lesione dei valori costituzionali oggettivamente fondamentali quali il paesaggio, l'ambiente, la vita e la salute, cui riconoscere prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprieta' - Incompatibilita' con la funzione sociale e l'utilita' sociale cui la proprieta' e l'iniziativa economica privata sono asserviti - Mancata considerazione del bilanciamento che deve essere operato qualora siano in gioco opposti interessi costituzionali protetti anche quando gli uni trovino tutela nella CEDU e gli altri nella Costituzione italiana. - Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2. - Costituzione, artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, primo comma, in relazione all'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.48 del 19-11-2014 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE (Terza Sezione Penale) Composta dagli Ill.mi signori Magistrati: Dott. Saverio Felice Mannino, Presidente; Dott. Silvio Amoresano, Consigliere; Dott. Lorenzo Orilia, Consigliere; Dott. Aldo Aceto, Consigliere; Dott. Alessio Scarcella, Rel. Consigliere. Ha pronunciato la seguente sentenza-ordinanza sul ricorso proposto da: Parti Civili, Alessandrini Ernesta, Bartolomei Anna Rita, Boldrini Daniele, Cangemi Gabriele, Cantaro Ester, Cargnelutti Silvano, Carnevale Alessandra, Carnevale Patrizia, Catenacci Fabrizio, Catenacci Roberto, Celani Antonio, Centioli Maria Serena, Chiacchiarelli Alessandro, Ciaccio Riccardo, Ciccarelli Maria Laura, Ciccarelli Nicola, Colaneri Domenico, Corso Vincenzo, Corvaglia Emanuela, Gentili Franco, D'Angeli Carmine, D'Ercole Mirella, De Angelis Maria, Bruno Alessandro, Del Frate Giuseppe, Dell'Orco Carlo, Di Mattia Stefano, Favaron Liliana, Federici Pier Venanzio, Ferrara Diego Hernan, Fossi Carlo, Fralleoni Giulio, Fusco Fabrizio, Gaggiotti Fabio, Garzia Franco, Gattamelata Franco, Gentili Maurizio, Giraldi Rita, Grillo Santo Darko, Grossi Alessandro, Guarna Caterina Anna, Guarna Tiziana, Ianni Fabio, Khalili Mohamed, La Penna Antonio, Lombi Marco, Maggi Stefano, Mannozzi Antonella, Mariotti Alessandro, Martelli Manuela, Martini Stefano, Martinucci Carlo, Morelli Goffredo, Nava Franco, Oddi Giampiero, Oddi Luciano,Panerai Doriana, Panerai Bruno, Paolacci Fernando, Paoletti Alessandra, Pasquetto Adriano, Petrucci Paola, Piacentini Giampiero, Pomella Paolo, Proioetti Tiziana, Transerici Roberto, Ramussen Eva Leonora, Restaini Ernesto, Ricchiuto Domenico, Rocco Pier Luigi, Rossi Sergio, Rotondi Eliana, Rufini Anna, Di Giovanni Claudio, Santa Angelino, Siclari Vincenzo, Silveri Marco, Sirsi Luigi, Solla Mauro, Staffieri Valentina, Pergolese Giovanni, Toselli Roberto, Tursini Massimiliano, Valentini Marzia, Vecchi Massimo, Veltri Antonio, Veltri Carlo, Veltri Carmelo, Viola Santino, Vivio Maria Pia, Zarella Fabio, Zito Nicolo', Baggiossi Fabrizio, Battisti Roberta, Ceci Patrizio, Ceci Emiliano, Ciolli Luigi, Corona Gianmichele, Di Giambattista Enzo, Di Mambro Alvaro, Fiori Angelo, Frezza Federico, Lorenzetti Sergio, Luzi Massimiliano, Ranieri Massimo, Rezzesi Agostino, Rezzesi Marina, Rossi Galliano, Savalli Antonietta, Testori Alberto, Tortora Sergio, Verini Supplizi Fabio, Gurgone Carlo n. il 19 luglio 1962, Ciccone Carmine n. il 20 gennaio 1975, Lorenzi Carmen n. il 5 novembre 1933, D'Angelo Paolo; Avverso la sentenza n. 6963/2011 Corte Appello di Roma, del 9 maggio 2012; Visti gli atti, la sentenza e il ricorso; Udita in pubblica udienza del 30 aprile 2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Alessio Scarcella; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. V. D'Ambrosio che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi; Udito, per la parte civile, l'Avv. M. Franco, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; Udito, i difensori Avv. G. Fusco (insost. avv. M. Mansutti per Gurgone), L.A. Melegari (insost. dell'avv. C.A. Melegari per Ciccone), R. Borgogno (per Lorenzi), A. Argante (per D'Arcangelo) e A. Fiore (per Schiuntu), che hanno concluso per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. Ritenuto in fatto 1. Gurgone Carlo, Ciccone Carmine, Lorenzi Carmen, D'Arcangelo Vincenzo e Schintu Salvatore - unitamente all'avv. M. Franco, nell'interesse sia dei promissari acquirenti che degli acquirenti di alcuni degli immobili facenti parte del "Villaggio del parco" di Sabaudia, costituitisi parti civili nel processo a quo - hanno proposto ricorso, a mezzo del rispettivi difensori fiduciari cassazionisti, avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma, emessa in data 9 maggio 2012, depositata in data 6 luglio 2012, con cui, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Latina, in data 26 gennaio 2010, e' stato dichiarato non doversi procedere nel confronti di Gurgone Carlo, D'Arcangelo Vincenzo e Schintu Salvatore per i reati loro ascritti; veniva, invece, confermata sia l'assoluzione per insussistenza del fatto di Schintu Salvatore per il reato sub d) nonche' la condanna di Ciccone Carmine e Lorenzi Carmen (rinuncianti espressamente alla prescrizione) alla pena sospesa di anni due di reclusione ciascuno, alle pene accessorie di legge per i reati loro ascritti, alla restituzione delle somme versate in esecuzione dei contratti in essere (rimettendo le parti dinanzi al giudice civile per la liquidazione delle spese), oltre alla confisca degli immobili e dei terreni sequestrati e con rigetto delle richieste di risarcimento del danno avanzate dalle pp.cc. Nello specifico, le imputazioni riguardano, precisamente, i predetti nelle seguenti qualita': 1) Lorenzi Carmen, nella qualita' di amministratore unico della Petrarca Costruzione S.r.l., proprietaria dei terreni descritti nel capo di imputazione che segue; 2) Ciccone Carmine, quale procuratore speciale e amministratore di fatto della predetta societa', committente e direttore dei lavori; 3) Gurgone Carlo, nella qualita' di responsabile pro tempore del settore urbanistica - assetto del territorio - demanio marittimo del Comune di Sabaudia, sottoscrittore della convenzione per l'attuazione del progetto relativo ad una struttura ricettiva per anziani (delibera Consiglio Comunale n. 30 del 22 aprile 2004 avente per oggetto: riconvenzionamento della societa' Petrarca Costruzioni S.r.l. per la realizzazione di una struttura per anziani. Approvazione nuovo schema di convenzione) e del provvedimento n. 23 del 16 agosto 2004 (determina di annullamento della convenzione stipulata in data 13 marzo 2002 con atto rep. 1392 e riconvenzionamento della societa' Petrarca Costruzioni S.r.l. per la realizzazione di una struttura per anziani, secondo lo schema di convenzione allegato alla delibera di Consiglio Comunale n. 30 del 22 aprile 2004), nonche' firmatario dei permessi a costruire nn. 155 del 30 settembre 2004, 254 e 255 del 4 maggio 2005, palesemente illegittimi, in favore di Lorenzi Carmen n. q. di cui sopra per la realizzazione di un centro servizi e unita' abitative condominiali con relativa sanatoria d'ufficio dei lavori di fondazione ai sensi dell'art. 38, D.P.R. n. 380/01, eseguiti prima del rilascio del titolo ed accertati dal Corpo Forestale dello Stato di Terracina, riconvenzionamento in contrasto con la variante al PRG del Comune approvata dalla Regione Lazio con la delibera Regionale n. 2651 del 16 giugno 1998 e con il piano di lottizzazione con la nota n. 11249 della Regione Lazio del 12 ottobre 2000, nonche' permessi a costruire In contrasto con il piano di lottizzazione gia' approvato il 5 luglio 2000 dal Consiglio comunale di Sabaudia, disattendendo la nota n. 11249 della Regione Lazio del 12 ottobre 2000 la quale stabiliva che nello schema di convenzione di cui alla DCC n. 23 del 5 luglio 2000 doveva essere vietata l'alienazione delle singole unita' immobiliari e prevista la gestione unitaria del complesso; 4) D'Arcangelo Vincenzo Pietro, n.q. di capo area dei Lavori Pubblici del Comune di Sabaudia, sottoscrittore del parere tecnico allegato alla delibera di Consiglio Comunale n. 30 del 22 aprile 2004 con cui veniva determinato il gia' citato riconvenzionamento in favore della suddetta societa'; 5) Schintu Salvatore, n. q. di sindaco pro tempore del Comune di Sabaudia al momento della D.C.C. n. 30 del 22 aprile 2004 con cui veniva approvato il riconvenzionamento meglio descritto in premessa, riconvenzionamento in contrasto con la variante al PRG del Comune approvata dalla Regione Lazio con delibera Regionale n. 2651 del 16 giugno 1998 e con il piano di lottizzazione con la nota n. 11249 della Regione Lazio del 12 ottobre 2000, provvedimenti questi ultimi adottati quando lo stesso ricopriva la carica di assessore all'urbanistica del citato Comune e quindi dallo stesso istituzionalmente conosciuti. I reati per cui e' intervenuta pronuncia di proscioglimento per estinzione dei reati per prescrizione (e di condanna per Lorenzi e Ciccone, rinuncianti alla prescrizione), sono i seguenti: I. capo a): artt. 110 e 323 c.p. (contestato come commesso in Sabaudia - settembre 2004 e maggio 2005 in ordine all'epoca del rilascio dei permessi a costruire), perche', in concorso tra loro, in violazione degli strumenti urbanistici vigenti nel Comune di Sabaudia (in particolare in violazione della DGR del 29 agosto 1998 - variante al PRG; del DCC n. 23 del 5 luglio 2000 e nota n. 11249 del 12 ottobre 2000 della Regione Lazio) e della l.r. n. 11/76, modificata dalla l.r. n. 38/96, della DGR n. 6078/99 e l.r. n. 41/03) realizzavano la lottizzazione denominata "Villaggio del Parco" sopra le particelle catastali meglio descritte nel capo che segue, mediante la stipulazione della D.C.C. n. 30 del 22 aprile 2004 e della determinazione n. 23 del 16 agosto 2004, lottizzazione costituita da n. 285 unita' abitative in luogo di un complesso di case albergo per anziani (soggetto al vincolo di destinazione per finalita' sociali), lottizzazione in contrasto segnatamente con la variante al PRG approvata dalla Regione Lazio con D.R. n. 2651 dal 16 giugno 1998 e con il piano di lottizzazione approvato con delibera C.C. n. 23 del 5 luglio 2000 (avente per oggetto una struttura ricettiva per anziani del tipo casa albergo, caratterizzata da un complesso di appartamenti minimi predisposti per coppie di coniugi ed anziani, provvista di servizi sia autonomi che centralizzati), lottizzazione in cui veniva prevista, in spregio al vincolo di destinazione, l'alienazione delle singole unita' immobiliari in regime di libero mercato, delibera del C.C. del 22 aprile 2004 n. 30 e determinazione n. 23 del 16 agosto 2004 illegittime e illecite in quanto in contrasto con i citati strumenti urbanistici, intenzionalmente procurando un ingiusto vantaggio alla societa' Petrarca Costruzioni S.r.l., proprietaria dei terreni, e ai suoi amministratori e soci; II. capo b: artt. 110 c.p. e 44 lett. c), D.P.R. 380/01 (contestato come commesso in Sabaudia fino al marzo 2006) perche', in concorso tra loro, nelle qualita' di cui sopra e con le condotte meglio descritte al capo che precede, sopra un'area distinta al foglio n. 24 del catasto terreni-particelle 11/a, 13 parte, 16, 17, 23 parte e 18 concorrevano a realizzare la lottizzazione denominata "Villaggio del Parco", costituita da 285 unita abitative in luogo di un complesso di case - albergo per anziani (soggetto al vincolo di destinazione per finalita' sociali), parte delle quali gia' compiutamente realizzate, lottizzazione in contrasto con gli strumenti urbanistici e con le normative nazionali e regionali di cui al precedente capo e avente ad oggetto una struttura ricettiva per anziani del tipo casa - albergo, caratterizzata da un complesso di appartamenti minimi predisposti per coppie di coniugi ed anziani, autosufficienti, provvista di servizi sia autonomi che centralizzati, lottizzazione approvata di fatto con delibera n. 30 del 22 aprile 2004 del comune di Sabaudia in cui veniva prevista, in spregio al vincolo di destinazione, di cui alla citata normativa, l'alienazione delle singole unita' immobiliari in regime di libero mercato; III. capo c): artt. 110 c.p. e 44 lett. b), D.P.R. 380/01 (contestato come commesso in Sabaudia fino al marzo 2006) perche', in concorso tra loro, nelle qualita' e con le condotte descritte in precedenza, realizzavano n. 285 unita' abitative mediante il rilascio dei permessi citati, palesemente illegittimi ed illeciti per contrasto con gli strumenti urbanistici e con le normative nazionali regionali di cui ai precedenti capi. 2. Con il ricorso di Gurgone Carlo vengono dedotti cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Deduce, con il primo motivo, l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, nonche' mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) e c), c.p.p.), con riferimento agli artt. 110 e 323 c.p. nonche' art. 546, comma 1, lett. e) e art. 107 comma terzo, lett. c), d.lgs. n. 267/2000 - nullita' della sentenza impugnata. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, nonche' mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) e con riferimento all'art. 323 c. p. - insussistenza dell'elemento oggettivo e psicologico del reato. 2.3. Deduce, con il terzo motivo, l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, nonche' mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) e c), c.p.p.), con riferimento agli artt. 323 c.p. e 522 e 597 c.p.p. 2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), c.p.p, per inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 30 e 44, lett. c), D.P.R. 380/01, nonche' 42 c.p. nonche' il vizio di cui all'art. 606, lett. e), c.p.p. per mancanza di motivazione in ordine agii elementi oggettivi e soggettivi del reato di lottizzazione. 2.5. Deduce, infine, con il quinto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) c.p.p. per inosservanza o errata applicazione dell'art. 44, lett. b), D.P.R. n. 380/01 nonche' il vizio previsto dall'art. 606, lett. e) c.p.p, per mancanza dl motivazione in ordine al reato di contravvenzione urbanistica. 3. Con il ricorso di Schintu Salvatore vengono dedotti due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. atti cod. proc. pen. 3.1. Deduce, con il primo motivo, la nullita' della sentenza per violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all'art. 606, lett. b) e c), c.p.p. in relazione agli artt. 110 e 323 c.p. e all'art. 522 c.p.p. 3.2. Deduce, con il secondo motivo, la nullita' dell'impugnata sentenza per violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento al d.lgs. n. 274/00 e al d.lgs. n. 165/2001. 4. Con il ricorso di D'Arcangelo Vincenzo vengono dedotti sei motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 4.1. Deduce, con il primo motivo: a) la carenza di penale responsabilita' in capo all'ing. Vincenzo D'Arcangelo rilevabile all'evidenza e per tabulas; b) la nullita' insanabile dell'ordinanza 12 aprile 2012 per assoluto difetto di motivazione, nonche' della medesima ordinanza e della sentenza per violazione dell'art. 606, lettere b) ed e) c.p.p., per violazione dell'art. 129 c.p.p. e dell'art. 521 c.p.p., in una a manifeste contraddizioni ed illogicita' risultanti sia dai testo della sentenza, sia da altri atti dei processo. 4.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 lett. e), c.p.p., per manifeste contraddizioni ed illogicita' risultanti sia dal testo della sentenza, sia da altri atti del processo. 4.3. Deduce, con il terzo motivo: a) il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. per inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 3, legge 241/1990 in relazione al preteso difetto di motivazione della deliberazione consiliare 30/2004; b) il vizio di cui all'art. 606, lett. c), c.p.p, in relazione all'art. 533, comma 1, c.p.p. 4.4. Deduce, con il quarto motivo: a) il vizio di cui all'art. 606 lett. c) c.p.p. in relazione all'art. 521, 522 e 597 c.p.p.; b) Il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e) c.p.p. in relazione all'art. 323; c) il vizio di motivazione incoerente. 4.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., per in relazione all'elemento soggettivo previsto dall'art. 323 c.p. 4.6. Deduce, con il sesto ed ultimo motivo, il vizio di cui all'art. 606 lett. d), c.p.p., in relazione all'omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. 5. Con il ricorso di Ciccone Carmine vengono dedotti otto motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 5.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. c), c.p.p. per inosservanza degli artt. 521 e 597 c.p.p.: l'alveo cognitivo e decisionale del giudicante in relazione ai capi di imputazione, alla sentenza di primo grado ed ai motivi di appello. In sintesi, vi sarebbe violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto l'originaria imputazione non aveva contestato l'illegittimita' degli atti amministrativi per vizi di motivazione; la Corte d'appello avrebbe dovuto quindi solo valutare i vizi afferenti l'illegittimita' delle delibere n. 23/2004 e 30/2004, come imposto dall'art. 597 c.p.p., mentre ha valutato la pretesa illegittimita' della procedura amministrativa derivante dalle modifiche alla convenzione stipulata dalla societa' Petrarca S.r.l. riguardante l'alienabilita' delle singole unita' immobiliari. 5.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), c.p.p. per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 323 c.p.: elemento oggettivo del reato. 5.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), c.p.p. per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 323 c.p. nonche' il vizio di cui all'art. 606, lett. e, c.p.p. per manifesta illogicita' della motivazione quanto alla scelta di destinare gli alloggi per anziani per mezzo di usufrutto e non dell'obbligo di proprieta'. 5.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), c.p.p. per inosservanza e/o erronea interpretazione dell'art. 323 c.p.: insussistenza dell'elemento psicologico. 5.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), c.p.p. per inosservanza e/o erronea interpretazione degli artt. 30 e 44, lett. c), D.P.R. n. 380/01 nonche' il vizio previsto dall'art. 606, lett. e), c.p.p. per mancanza di motivazione in ordine al reato di lottizzazione. 5.6. Deduce, con il sesto motivo, Il vizio di cui all'art. 606, lett. b), c.p.p. per inosservanza e/o errata interpretazione degli artt. 30 e 44, lett. c), D.P.R. n. 380/01 e 42 c.p., nonche' il vizio previsto dall'art. 606, lett. e), c.p.p. per mancanza di motivazione in ordine all'elemento psicologico del reato di lottizzazione abusiva. 5.7. Deduce, con il settimo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), c.p.p. per inosservanza o errata interpretazione dell'art. 44, lett. b), D.P.R. n. 380/01 nonche' il vizio previsto dall'art. 606, lett. e), c.p.p. per mancanza di motivazione in ordine al reato di contravvenzione urbanistica. 5.8. Deduce, con l'ottavo ed ultimo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), c.p.p. per inosservanza e/o errata applicazione dell'art. 110 c.p. nonche' il vizio previsto dall'art. 606, lett. e), c.p.p. per mancanza della motivazione in tema di concorso dei ricorrente. 6. Con il ricorso di Lorenzi Carmen vengono dedotti sette motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 6.1. Deduce, con il primo motivo, la nullita' della sentenza impugnata, con riferimento all'art. 606, lett. c), c.p.p., per violazione dei combinato disposto degli artt. 121 c.p.p. e 178, comma 1, lett. c), e 546 c.p.p., non essendo state prese neanche parzialmente in considerazione le argomentazioni difensive esposte in una memoria difensiva contestualmente alla discussione. 6.2. Deduce, con il secondo motivo, la violazione dell'art. 603 c.p.p, nonche' carenza di motivazione, con riferimento all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. 6.3. Deduce, con il terzo motivo, la violazione degli artt. 44, lett. b) e c), D.P.R. n. 380/2001 e 110 c.p. nonche' carenza e illogicita' manifesta della motivazione risultante dal testo stesso del provvedimento impugnato, con riferimento all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione alla mancata assoluzione dell'imputata dai reati edilizi a lei contestati con la formula "perche' il fatto non sussiste" o "perche' il fatto non costituisce reato". 6.4. Deduce, con il quarto motivo, la violazione degli artt. 110 e 323 c.p. nonche' carenza e illogicita' manifesta della motivazione risultante dal testo stesso della sentenza impugnata, con riferimento all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione alla mancata assoluzione dell'imputata dal reato di abuso d'ufficio a lei ascritto con la formula "perche' il fatto non sussiste" o "perche' il fatto non costituisce reato". 6.5. Deduce, con il quinto motivo, la violazione degli artt. 110 e 323 c.p. nonche' carenza assoluta della motivazione risultante dal testo stesso dei provvedimento impugnato, con riferimento all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione all'intervenuta condanna della Lorenzi per concorso nei reati descritti nell'imputazione, senza nessun approfondimento del ruolo da lei ricoperto in ambito societario. 6.6. Deduce, con il sesto motivo, la violazione degli artt. 62 bis e 133 c.p., nonche' carenza assoluta della motivazione risultante dai testo stesso del provvedimento impugnato, con riferimento all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., in merito alla mancata concessione all'imputata delle attenuanti generiche e alla violazione dei criteri di quantificazione della pena. 6.7. Deduce, con il settimo motivo, la violazione dell'art. 185 c.p. nonche' carenza e manifesta illogicita' della motivazione risultante dal testo stesso del provvedimento impugnato, con riferimento all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione all'intervenuta condanna dell'imputata alla restituzione nei confronti della costituita parte civile. 7. Con atto tempestivamente depositato presso la cancelleria di questa Corte nell'interesse di Lorenzi Carmen, e' stato dedotto un ulteriore due motivo aggiunto, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 7.1. Deduce, con tale motivo aggiunto, in relazione al secondo motivo di ricorso (v., sopra, § 6.2.), ulteriori questioni afferenti, da un lato, alla legittimita' o meno della D.C.C. di Sabaudia del 22 aprile 2004 e dei successivi atti amministrativi posti in essere in sua attuazione e, dall'altro, alla configurabilita' o meno, nel caso in esame, del reato di lottizzazione abusiva c.d. negoziate di cui agli artt. 30 e 44, T.U. edilizia. 8. Con il ricorso proposto nell'interesse di n. 107 promissari acquirenti degli immobili facenti parte del "Villaggio del parco" di Sabaudia, costituitisi parti civili nel processo a qua, l'avv. M. Franco deduce un unico, articolato, motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 8.1. Deduce, con tale unico, articolato, motivo, la nullita' della sentenza ex art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., per violazione dell'art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, dell'art. 185 c.p. e degli artt. 538, 539, 541 c.p.p.; nonche' la nullita' della sentenza ex art. 606, lett. e), c.p.p., per illogicita' e mancanza della motivazione oltre che travisamento del fatto. 9. In data 11 aprile 2014, il ricorrente Gurgone Carlo ha depositato presso la cancelleria di questa Corte una memoria ex art. 121 cod. proc. pen. in cui evidenzia alcuni aspetti rilevanti a giustificazione dei proprio operato, analizzando l'iter procedimentale relativo ai fatti contestati. 10. In data 11 aprile 2014, il ricorrente Ciccone Carmine ha depositato presso la cancelleria di questa Corte una memoria ex art. 121 cod. proc. pen., con cui ha: a) dichiarato di revocare la rinuncia alla prescrizione; b) chiesto, in subordine alla richiesta di Cassazione dell'impugnata sentenza per i motivi esplicitati nel ricorso introduttivo, annullarsi l'impugnata sentenza per intervenuta prescrizione, con conseguente revoca della confisca disposta ex art. 44, D.P.R. n. 380/2001. 11. In data 11 aprile 2014, la ricorrente Lorenzi Carmen ha depositato presso la cancelleria di questa Corte una memoria ex art. 121 cod. proc. pen., con cui ha: a) dichiarato di revocare la rinuncia alla prescrizione; b) chiesto, in subordine alla richiesta di Cassazione dell'impugnata sentenza per i motivi esplicitati nel ricorso introduttivo, annullarsi l'impugnata sentenza per intervenuta prescrizione, con conseguente revoca della confisca disposta ex art. 44, D.P.R. n. 380/2001. Considerato in diritto 12. Ritiene, anzitutto, il Collegio debba essere valutata preliminarmente la richiesta, comune a tutte le parti ricorrenti, relativa alla adozione di pronuncia ampiamente liberatoria da parte della Suprema Corte (annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza per insussistenza dei fatto o perche' il fatto non costituisce reato) alla luce delle considerazioni sviluppate da ciascuna delle parti ricorrenti nei separati ricorsi ed oggetto di specifica puntualizzazione in sede di discussione. Il nucleo essenziale, comune ai ricorsi, e' costituito dalla censura mossa all'impugnata sentenza (ed a quella di primo grado, confermativa della prospettazione accusatoria), secondo cui non sussisterebbero elementi probatori sicuri per ritenere configurabili gli elementi oggettivi e soggettivi dei reati in questione (abuso d'ufficio, lottizzazione abusiva e costruzione edilizia abusiva). In questo senso, in estrema sintesi, la difesa dei ricorrenti ha evidenziato alcuni profili che, nell'ottica difensiva, escluderebbero in nuce la configurabilita' degli illeciti in questione: a) quanto al delitto di abuso d'ufficio (art. 323 c.p.), il reato non sarebbe configurabile in caso di eccesso di potere, salvo che non sia possibile accertare l'esistenza dell'abnormita' dell'atto amministrativo impugnato e, quanto all'elemento psicologico (dolo), la sentenza sarebbe censurabile per averlo desunto da elementi inidonei ed insufficienti per considerarlo sussistente; gli atti contestati come illegittimi in realta' non sarebbero tali, in quanto, ad esempio, il vincolo di destinazione d'uso (v. artt. 15 e 16 della Convenzione) riguardava chi sarebbe andato ad occupare l'alloggio e non il proprietario; la violazione di uno degli obblighi avrebbe comportato, in virtu' di un'espressa previsione contenuta nell'atto amministrativo asseritamente illegittimo, l'acquisizione al Comune della proprieta' dell'area; la stessa Regione Lazio con la nota prot. n. 100940 del 15 luglio 2004 avrebbe confermato la legittimita' del nuovo schema di Convenzione di cui alla delibera n. 30 del 22 aprile 2004, quanto alla destinazione d'uso dell'edificio da realizzarsi come struttura per anziani; non sarebbe stato chiaro, sin dall'inizio, quale sia la violazione di legge realmente contestata ai ricorrenti; b) quanto, poi, al reato di lottizzazione abusiva (art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001) non vi sarebbero gli estremi per ritenerlo configurabile, in assenza di elementi probatori certi per ritenere che, con la convenzione "novellata" si sia operata un'illegittima trasformazione della destinazione urbanistica di zona da servizi e residenziale, con contestuale modifica della finalita' socio assistenziale dell'intervento edificatorio in questione. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive con riferimento alle condotte ascritte ai pubblici ufficiali, le difese Argante, Gurgone e Schintu hanno evidenziato come i loro assistiti fossero estranei alle violazioni ipotizzate (in particolare: a) il D'Arcangelo in quanto subentrante nell'incarico appena un mese e mezzo prima della delibera n. 30/2004, per di piu' essendosi limitato ad esprimere un parere di regolarita' tecnica, provvedendo ad inviare la delibera alla regione Lazio che poi procede alla verifica positiva della conformita' dell'atto, sicche' il parere positivo dell'organo di controllo ne confermerebbe la regolarita'; b) quanto al Gurgone, egli sarebbe entrato a far parte del Comune di Sabaudia nel luglio 2004 quando ormai tutti gli atti sarebbero gia' stati adottati, essendosi (imitato soltanto a dare esecuzione a quanto deliberato, donde non vi sarebbero elementi per configurarne la responsabilita' per i reati ascrittigli; c) quanto, infine, allo Schintu, la sua estraneita' ai fatti addebitati deriverebbe dalla circostanza per la quale fu proprio lui, in sede di consiglio comunale, a chiedere che la delibera n. 30/2004 venisse trasmessa alla regione Lazio per la verifica di conformita' e, comunque, quale Sindaco, non avrebbe svolto alcun atto salvo che votare al pari di qualsiasi altro consigliere comunale). Infine, per quanto concerne la difesa delle parti' civili costituite, premesso che le posizioni vanno differenziate in quanto delle 107 parti civili costituite, almeno per quindici di esse si pone il problema della confiscabilita' degli immobili, attesa l'intervenuta stipula degli atti notarili di acquisto degli immobili con conseguente trasferimento della proprieta', sicche' - ove si confermasse il decisum di merito - gli stessi verrebbero ingiustamente privati della proprieta' degli immobili, essendo sicuramente qualificabili come terzi di buona fede rispetto all'illecito lottizzatorio, tanto da essersi costituiti parti civili nei confronti dei pubblici amministratori e dei titolari della societa' costruttrice degli immobili. 13. Ritiene, tuttavia, il Collegio corretta la prospettazione del Procuratore generale di Udienza, che ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte circa le condizioni previste per poter, in sede di legittimita', pronunciare l'annullamento dell'impugnata sentenza che abbia dichiarato l'estinzione di tutti i reati per prescrizione quantomeno, con riferimento, nel caso in esame, ai pubblici ufficiali. Perche', infatti, sia possibile accedere ad una formula ampiamente liberatoria da parte di questa Corte, secondo l'autorevole insegnamento delle Sezioni Unite, sono necessarie alcune condizioni. In particolare, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice e' legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi' che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu' al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita' di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28 maggio 2009 dep. 15 settembre 2009, Tettamanti, Rv. 244274). Cio' significa, in altri termini - com'e' stato correttamente chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4, n. 23680 del 7 maggio 2013 - dep. 31 maggio 2013, Rizzo e altro, Rv. 256202), successiva all'autorevole arresto del Massimo Consesso di questa Corte - che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilita' per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attivita' ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorieta' o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze. 13.1. E questo non e' certamente, il caso in esame. Ed infatti, non puo' dirsi che dagli atti emerga l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico di ciascun imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza. Sul punto e' bene richiamare quanto emerso, al fine di meglio lumeggiare l'approdo di questo Collegio. In estrema sintesi cio' risulta dalle tappe amministrative che hanno condotto alla contestazione dei reati in questione: a) il Comune di Sabaudia deliberava con delibera CC n. 36/1994 resa in variante al PRG, consistente in un cambio di destinazione d'uso da area rurale ad area per la realizzazione di un centro per anziani, al fine di attuare le finalita' di pubblica utilita' individuate; la trasformazione di un terreno agricolo in area destinata dia realizzazione di una struttura ricettiva per anziani era conforme all'utilita' pubblica da realizzare strutture socio-assistenziali ed, in tale ottica, la Regione Lazio, con DGR n. 2651 del 126/06/1998, approvava la variante al PRG; b) successivamente, in conformita' alla DGR n. 2651/98 di approvazione della variante, il Comune di Sabaudia approvava un primo piano di lottizzazione ed li relativo schema di convenzione (parte integrante del deliberato) che si fondavano sui presupposti, da un lato, della gestione unitaria della struttura ricettiva per anziani secondo le modalita' della casa-albergo e, dall'altro, del divieto di alienazione delle singole unita' immobiliari; scopo di tale prescrizione era quello di mantenere la vocazione di struttura socio - assistenziale, vocazione che poteva essere realizzata solo rispettando la variante al PRG da agricola a servizi; c) in un secondo momento, l'amministrazione comunale approvava (delibera CC n. 30/2004) un nuovo schema di convenzione (parte integrante del deliberato), in cui veniva trasformata la struttura ricettiva da casa - albergo a residenza per anziani e veniva meno il vincolo di inalienabilita' delle singole unita' immobiliari imposto dalla regione ai sensi dell'art. 2, l.r. n. 36/87. In sostanza, con la delibera n. 30/2004, si e' trasformata la struttura ricettiva assistenziale per anziani da struttura a servizi, coerente con le indicazioni stabilite dalla Regione Lazio all'atto dell'approvazione della variante urbanistica del PRG, a residenziale. Dunque, con il piano di lottizzazione ed il nuovo schema di convenzione, l'amministrazione comunale ha aggirato l'ostacolo della destinazione di zona a servizi, prevista dalla variante al PRG e dei vincoli imposti alla Regione Lazio in sede di accertamento di conformita', consentendo un intervento edificatorio di tipo strettamente residenziale, senza alcun carattere socio-assistenziale e, quindi, di servizi. Di fatto, pertanto, tale variante ha comportato una variante al PRG, trasformando una zona destinata a servizi in una di tipo residenziale; la trasformazione della destinazione urbanistica della zona e' stata attuata mediante una procedura irrituale, ossia utilizzando uno strumento attuativo, qual e' il piano di lottizzazione, ed uno strumento civilistico, qual e' la convenzione. Si evidenzia quindi che, oltre la sostanziale illegittimita' con cui si e' operata la variante urbanistica, la diversa destinazione della zona da servizi e residenziale si e' ottenuta anche attraverso una modifica non consentita della finalita' socio-assistenziale. Ne consegue, dunque, che le fasi procedurali seguite dal Comune di Sabaudia hanno determinato la realizzazione di un intervento edificatorio analogo all'edilizia tipica residenziale delle zone omogenee C di espansione; nel caso di specie, peraltro, non puo' neanche farsi riferimento alla tipologia della "casa - albergo", trattandosi di una struttura residenziale per anziani. Ed Infatti, la legge della Regione Lazio 12 dicembre 2003, n. 41 prevede come requisiti per dette case-albergo: a) la fornitura di servizi sia autonomi che centralizzati; b) l'accoglienza di non piu' di 80 anziani. E' evidente che, nel caso in esame, nessuna delle due condizioni risulta rispettata e il mancato rispetto di tali condizioni si inquadra nella piu' ampia volonta' di non realizzare una struttura di tipo residenziale, adeguandosi pertanto all'illegittima trasformazione dell'area da servizi e residenziale e alla contestuale variazione della struttura, nata con destinazione socio - assistenziale, e trasformatasi in residenziale. Pertanto, ne discende, da un lato, l'illegittima ed arbitraria trasformazione di un'area da servizi a residenziale, realizzando di fatto una vera e propria variante di tipo urbanistico e, dall'altro, il venir meno della finalita' socio - assistenziale della struttura realizzata in violazione della DGR n. 2651/98. In conclusione, da un punto di vista oggettivo, emerge che il Comune di Sabaudia con l'approvazione del nuovo schema di lottizzazione convenzionata allegato alla delibera n. 30/2004, ha consentito la realizzazione di un intervento edificatorio in piano contrasto sia con la variante al PRG sia con la finalita' di utilita' pubblica individuate dalla stessa amministrazione comunale, e, cioe', quella di creare strutture socio-assistenziali per anziani, consentendo, di fatto, la realizzazione di edifici che, per natura giuridica e tipologia possono qualificarsi come residenziali. E', quindi, corretto l'inquadramento giuridico delle decisioni di merito che hanno ritenuto configurata, nel caso in esame, la realizzazione di un vero e proprio complesso residenziale in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico, cio' che pacificamente integra la violazione del combinato disposto degli artt. 30, comma 1, e 44, lett. e), D.P.R. n. 380/2001. Sul punto, infatti, la giurisprudenza di questa Sezione e' assolutamente consolidata essendosi, peraltro, giunti ad affermare che il reato di lottizzazione abusiva e' configurabile anche in presenza dell'autorizzazione della P.A., nel caso in cui quest'ultima contrasti con gli strumenti urbanistici vigenti (precisandosi in motivazione che il giudice, ove ravvisi tale contrasto, puo' accertare l'abusivita' dell'intervento prescindendo da qualunque giudizio sull'autorizzazione, senza necessita' di operare alcuna disapplicazione del provvedimento amministrativo: Sez. 3, n. 618 del 20 settembre 2011 dep. 12 gennaio 2012, Chifari e altri, Rv. 251878). E', quindi, evidente che, con riferimento all'illecito lottizzatorio, non sussisterebbero le condizioni per poter accedere alla richiesta difensiva di adozione della pronuncia ampiamente liberatoria, l'unica che, secondo la citata giurisprudenza, da un lato, consentirebbe la prevalenza della formula proscioglimento nei merito rispetto alla declaratoria di estinzione per prescrizione e, dall'altro, di evitare la confisca dell'area, atteso che - come piu' volte affermato da questa Sezione (Sez. 3, n. 9982 del 21 novembre 2007 - dep. 5 marzo 2008, Quattrone, Rv. 238984) - l'obbligatorieta' della confisca del terreno abusivamente lottizzato e delle opere sullo stesso abusivamente costruite consegue all'accertamento giudiziale della sussistenza del reato di lottizzazione abusiva indipendentemente da una pronuncia di condanna, salvo il caso di assoluzione per insussistenza del fatto, circostanza che, come visto, non ricorre nel caso in esame. Ne' avrebbe, si noti, rilievo la questione dell'asserita assenza di volonta' colpevole dei ricorrenti con riferimento all'illecito lottizzatorio, atteso che e' pacifico che il reato di lottizzazione abusiva - che e' a consumazione alternativa, potendosi realizzare sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici, puo' essere integrato anche a titolo di sola colpa (principio affermato in relazione ad una fattispecie di acquisto, come autonome residenze private, di unita' immobiliari facenti parte di complesso turistico - alberghiero: Sez. 3, n. 17865 del 17 marzo 2009 - dep. 29 aprile 2009, P.M. in proc. Quarta e altri, Rv. 243750). Rimarrebbero, dunque, da valutare sia la configurabilita' del delitto di abuso d'ufficio che quello di costruzione edilizia abusiva. Quanto a quest'ultimo, pacifica l'ammissibilita' di un concorso materiale tra l'art. 44, lett. b) ed il reato di lottizzazione abusiva, previsto dall'art. 44, comma primo, lett. c), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Sez. 3, n. 9307 del 24 febbraio 2011 - dep. 9 marzo 2011, Silvestro e altra, Rv. 249763), e' evidente che la realizzazione delle 285 unita' abitative eseguite mediante tali atti amministrativi, illegittimi ed illeciti per contrasto con gli strumenti urbanistici e con le norme nazionali e regionali citate, integra la violazione ipotizzata (dovendosi, peraltro, rilevare che in sede di merito, inspiegabilmente, non e' stata disposta la sanzione amministrativa accessoria della demolizione dei manufatti abusivi, conseguente ex lege). Quanto, poi, al reato di abuso d'ufficio, potrebbe accedersi unicamente alla fondatezza delle censure difensive in ordine alla configurabilita' dell'elemento psicologico del reato (non essendovi le condizioni per poter dubitare, alla luce di quanto sopra riassunto, della "violazione di norme di legge o di regolamento" e dell'ingiusto vantaggio patrimoniale arrecato), atteso che (v. pag. 27 dell'impugnata sentenza), in effetti la decisione impugnata non mostra di approfondire adeguatamente la questione della configurabilita' dell'elemento psicologico del reato, donde, quantomeno su tale profilo, l'accoglimento delle censure difensive sul punto, comporterebbe l'obbligo per questa Corte di disporre l'annullamento dell'impugnata sentenza per vizio di motivazione con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma per nuovo giudizio sul punto. Tuttavia, com'e' noto, cio' non e' consentito a questa Corte di legittimita', atteso che, per costante insegnamento delle Sezioni Unite, in presenza di una causa di estinzione del reato (sicuramente valevole per i pubblici ufficiali, non rinuncianti alla prescrizione e salva la valutazione circa l'efficacia della revoca della rinuncia alla prescrizione per i due ricorrenti Lorenzi e Ciccone, fondata su una recente decisione di questa Corte che consente la revocabilita' della rinuncia: Sez. 6, n. 30104 del 11 luglio 2012 - dep. 23 luglio 2012, Pg in proc. Barcella e altro, Rv. 253256), non sono rilevabili in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28 maggio 2009 dep. 15 settembre 2009, Tettamanti, Rv. 244275; conf.: Sez. U, n. 1653 del 21 ottobre 1992 - dep. 22 febbraio 1993, Marino ed altri, Rv. 192471). Ne discenderebbe, pertanto, in virtu' di quanto sopra deciso -impregiudicata la questione dell'efficacia della revoca della rinuncia alla prescrizione da parte dei ricorrenti Ciccone e Lorenzi la conseguente statuizione confermativa dell'impugnata sentenza per tutti i reati ascritti, che riguarderebbe anche i capi della sentenza impugnata con cui e' stata disposta la confisca delle aree e dei terreni lottizzati. 14. Ed infatti, secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, la confisca dei terreni puo' essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato, purche' sia accertata - come avvenuto nel caso in esame - la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la piu' ampia partecipazione degli interessati, e che verifichi l'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere (Sez. 3, n. 17066 del 4 febbraio 2013 - dep. 15 aprile 2013, Volpe e altri, Rv. 255112). La giurisprudenza di questa Sezione ha, infatti, costantemente ritenuto che la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite consegue non soltanto ad una sentenza di condanna, ma anche quando, pur essendo accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, non si pervenga alla condanna od all'irrogazione della pena per causa diversa (In motivazione la Corte, riferendosi esemplificativamente al caso della prescrizione del reato, ha precisato che tale soluzione e' conforme alla giurisprudenza CEDU che non ritiene necessaria la condanna del proprietario della "res" per disporre la confisca: (Sez. 3, n. 39078 del 13 luglio 2009 - dep. 8 ottobre 2009, Apponi e altri, Rv. 245347; Sez. 3, n. 21188 del 30 aprile 2009 dep. 20 maggio 2009, Casasanta e altri, Rv. 243630 ed altre conformi). Questa stessa sezione, inoltre, ha, da un lato, ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 19, legge 28 febbraio 1985, n, 47 (oggi sostituito dall'art. 44, comma secondo, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), che consente al giudice di disporre la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite in caso di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, in quanto tale norma non viola il combinato disposto degli artt. 117 Cost. e 7 C.E.D.U., dal momento che la confisca, anche se disposta dopo l'estinzione del reato, conserva la sua natura sanzionatoria, sia perche' legata al presupposto di un reato estinto ma storicamente esistente, sia perche' la stessa e' applicata da un organo che esercita la giurisdizione penale (Sez. 3, n. 20243 del 25 marzo 2009 - dep. 14 maggio 2009, Rammacca Sala e altri, Rv. 243624); dall'altro, ha ritenuto irrilevante la questione di costituzionalita', per asserito contrasto con gli artt. 27, 42 e 117, comma primo, Cost. (in relazione all'art. 7 CEDU), dell'art. 44, comma secondo, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 nella parte in cui consente la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite a prescindere dal giudizio di responsabilita' e nei confronti di persone estranee ai fatti, in quanto la confisca e' condizionata, sotto il profilo soggettivo, quantomeno all'accertamento di profili di colpa nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere (In motivazione la Corte, richiamando la recente sentenza n. 239 del 2009 della Corte Cost., ha precisato che la giurisprudenza di legittimita' ha gia' fornito un'interpretazione adeguatrice alle decisioni della Corte di Strasburgo del 30 agosto 2007 e del 20 gennaio 2009 nel caso Sud Fondi S.r.l. c/ Italia, che esclude la ravvisabilita' dei denunciati profili di incostituzionalita': Sez. 3, n, 39078 del 13 luglio 2009 - dep. 8 ottobre 2009, Apponi e altri, Rv. 245348). Non emergono, infatti, elementi incontrovertibili da cui possa escludersi che i 15 acquirenti e i restanti promissari acquirenti gli immobili abusivamente lottizzati, costituitisi parti civili nel presente processo, fossero qualificabili come terzi di buona fede (come ben spiegato dalla Corte territoriale nell'impugnata sentenza alle pagg. 28/29 della sentenza impugnata) e, quindi, anche nei confronti di questi ultimi (sicuramente nei confronti dei 15 acquirenti con atto notarile degli immobili) la disposta confisca dovrebbe essere confermata, con innegabile sacrificio patrimoniale del diritto di proprieta', non potendo gli stessi qualificarsi come terzi estranei al reato di lottizzazione abusiva per il solo fatto di non aver mai rivestito la qualita' di persona sottoposta ad indagini od imputato, ne' l'intervenuta costituzione di parte civile e' decisiva per affermarne l'estraneita' (Sez. 3, n. 48924 del 21 ottobre 2009 - dep. 21 dicembre 2009, Tortora e altri, Rv. 245764). 15. La difesa dei ricorrenti (avv. Franco per le parti civili; Avv. Borgogno per Lorenzi e Avv. Melegari per Ciccone) ha, pero', insistito sull'impossibilita' per questa Corte di poter confermare la statuizione inerente la confisca delle aree e degli immobili oggetto dell'illecito lottizzatorio, facendo leva sulla recente sentenza della Corte e.d.u. del 21 ottobre 2013 (ric. n. 17475/2009) resa nel caso Varvara c. Italia. Con tale sentenza, la seconda sezione della Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto che l'applicazione della confisca urbanistica nelle ipotesi di proscioglimento per estinzione del reato costituisce una violazione del principio di legalita' sancito dall'art. 7 Cedu. Ne conseguirebbe, dunque, le necessita', per questo Collegio, di doversi uniformare all'interpretazione fornita in sede europea, con conseguente annullamento dell'ordina di confisca, essendo stata disposta la stessa in assenza di condanna. Ritiene, tuttavia, il Collegio di dover sottoporre al giudizio della Corte costituzionale la legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, come interpretata dalla predetta sentenza, in quanto la stessa viola alcune norme della nostra carta Fondamentale. 15.1. Per meglio comprendere tale soluzione, e' necessario un seppur sintetico, approfondimento. La Corte e.d.u., con la sentenza resa nel caso Varvara c. Italia, risolve, anzitutto, in poche righe il problema della qualificazione "penale" della confisca urbanistica prevista dall'art. 44 del D.P.R. n. 380/2001, limitandosi a richiamare la decisione di ricevibilita' resa il 30 agosto 2007 nell'ambito del noto affaire Sud Fondi, meglio noto come caso di Punta Perotti. In quella decisione (Corte EDU, sez. II, sent. 10 maggio 2012, ric. n. 75909/01, Sud Fondi e altri c. Italia), i giudici di Strasburgo avevano cosi' affermato: «La Corte osserva che la sanzione prevista dall'art. 19, della legge n. 47/1985 non tende alla riparazione pecuniaria di un danno, ma mira essenzialmente a punire al fine di impedire la reiterazione delle inosservanze previste dalla legge (...). Questa conclusione e' confermata dalla constatazione che la confisca ha colpito l'85 % dei terreni non costruiti, quindi in mancanza di un reale pericolo per il paesaggio. La sanzione era quindi in parte preventiva e in parte repressiva, quest'ultima generalmente caratteristica distintiva delle sanzioni penali (...). Ancora, la Corte rileva la severita' della sanzione che, secondo la legge n. 47/1985, concerne tutti i terreni inclusi nel piano di lottizzazione (...). La Corte rileva infine che il testo unico dell'edilizia del 2001 classifica tra le sanzioni penali la confisca prevista per il reato di lottizzazione abusiva. Tenuto conto dei suddetti elementi, la Corte ritiene che la confisca in parola sia una "pena" ai sensi dell'art. 7 della Convenzione». Ora, come sopra precisato, dopo la condanna dell'Italia nella pronuncia sul merito Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia del 20 gennaio 2009, questa Corte ha costantemente ribadito la qualificazione "amministrativa" della confisca urbanistica confermandone, di conseguenza, l'applicabilita' anche in assenza di condanna (e, in particolare, in caso di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato). D'altra parte, al fine di evitare contraddizioni con le conclusioni della sentenza Sud Fondi - che per la prima volta riconduceva il principio di colpevolezza all'art. 7 Cedu (rispetto ad una vicenda in cui la confisca urbanistica era stata applicata nonostante l'assoluzione degli imputati ex art. 5 c.p.) - questa stessa Sezione, come in precedenza chiarito, ha precisato l'esigenza di un accertamento da parte del giudice dell'elemento soggettivo del reato, accanto a quello della oggettiva "trasformazione urbanistica od edilizia del terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (fulcro del reato di lottizzazione abusiva previsto dall'art. 30 del Testo unico). La questione centrale sottoposta alla Corte europea dei diritti umani nel caso Varvara c. Italia, per l'appunto, verteva sulla legittimita' di tale perdurante distinzione interna tra pena e confisca, e della conseguente applicabilita' della seconda in assenza di condanna. Nel merito, la Corte e.d.u. osserva che l'art. 7 Cedu non si limita a richiedere la necessita' di una base legale per i reati e per le pene, ma implica altresi' l'illegittimita' dell'applicazione di sanzioni penali per fatti commessi da altri (nella giurisprudenza precedente gia' ritenute contrastanti con la presunzione d'innocenza di cui all'art. 6, d 2, Cedu) o, comunque, che non sia fondata su di un giudizio di colpevolezza «consignee dans un verdict de culpabilite'». L'applicazione della confisca urbanistica in assenza di condanna risulta, pertanto, per i giudici europei, incompatibile con quest'ultimo corollario e comporta una violazione della disposizione in parola (riconosciuta con sei voti contro uno, quello del giudice Pinto de Albuquerque che aveva formulato un'articolata opinione dissenziente). Sulla base di tali conclusioni, e' stata ritenuta "assorbita" la doglianza relativa all'art. 6, § 2, Cedu, mentre e' stata dichiarata (in questo caso, all'unanimita') una violazione dell'art. 1, protocollo n. 1 poiche' la limitazione del diritto di proprieta' sancito dalla disposizione si e' rivelata priva di una base legale e, quindi, arbitraria. La sentenza in esame segna, indubbiamente, un'ulteriore tappa nell'interpretazione evolutiva dell'art. 7 Cedu e, in particolare, un rilancio del processo di "convenzionalizzazione" del principio di colpevolezza. L'esito e' rappresentato dal rigetto della mediazione che la giurisprudenza di questa Corte aveva tentato per conciliare le indicazioni della sentenza Sud Fondi con la ritenuta operativita' della confisca dei terreni anche nei casi di prescrizione del reato di lottizzazione abusiva. In particolare, viene respinta la tesi, consolidata nelle pronunce in materia (ma si deve ricordare che il tema della "confisca senza condanna" e' emerso anche in altri settori dell'ordinamento ed e' stato legislativamente consacrato anche di recente nella legislazione europea, come dimostra la previsione della nuova actio in rem come modello di confisca europea, ex art. 5 della recente direttiva 2014/42/UE, del 3 aprile 2014 e relativa "al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e del proventi da reato nell'Unione europea" che prevede, appunto, la confisca senza condanna), secondo la quale un giudizio di colpevolezza potrebbe essere formulato validamente anche nell'ambito di determinate sentenze di proscioglimento per estinzione del reato (tesi sostanzialmente avallata dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 239/2009 del 24 luglio 2009, in cui si afferma chiaramente, ai § 3: "fra le sentenze di proscioglimento ve ne sono alcune che «pur non applicando una pena comportano, in diverse forme e gradazioni, un sostanziale riconoscimento della responsabilita' dell'imputato o comunque l'attribuzione del fatto all'imputato medesimo» (sentenza n. 85 del 2008). In particolare, volendo riferirsi alla fattispecie propria del giudizio a quo, non si puo' affermare che siffatto «sostanziale riconoscimento», per quanto privo di effetti sul piano della responsabilita' penale, sia comunque impedito da una pronuncia di proscioglimento, conseguente a prescrizione, ove invece l'ordinamento imponga di apprezzare tale profilo per fini diversi dall'accertamento penale del fatto di reato"). La sentenza Varvara c. Italia, determina un inevitabile superamento della giurisprudenza di questa Corte in quanto, anche dopo la sentenza Sud Fondi, residuava uno spazio di agibilita' della confisca applicata in relazione a reato prescritto, a condizione che restasse preservata, all'esito di un giudizio di merito, l'effettivita' dell'accertamento dei profili di responsabilita', sia sotto l'aspetto oggettivo che soggettivo. Diversamente, con la sentenza Varvara, la Corte e.d.u. opera un ulteriore ,passo avanti nella sua stessa giurisprudenza, avendo infatti sempre sostenuto che l'art. 7 della Convenzione non richiede espressamente un «nesso psicologico» o «intellettuale» o «morale» tra l'elemento materiale del reato e la persona che ne e' ritenuta l'autore, tra l'altro dovendosi evidenziare come la stessa Corte e.d.u. aveva recentemente concluso per la non violazione dell'art. 7 in un caso in cui era stata Inflitta una multa a una parte ricorrente che aveva commesso un reato senza dolo o colpa (Valico S.r.l. c. Italia (dec.), n. 70074/01, CEDU 2006-III), in quanto l'accertamento di responsabilita' era stato considerato sufficiente per giustificare l'applicazione della sanzione. La sentenza Varvara, invece, ritiene che (§ 71) la "logica della «pena» e della «punizione», e la nozione di «guiity» (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di «persona colpevole» (nella versione francese), depongono a favore di un'interpretazione dell'art. 7 che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilita' da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore. In mancanza di cio', la punizione non avrebbe senso .... Sarebbe, infatti, incoerente esigere, da una parte, una base legale accessibile .e prevedibile e permettere, dall'altra, una punizione quando, come nel caso di specie, la persona interessata non e' stata condannata", conseguendone, pertanto (v. § 72) che "nella presente causa, la sanzione penale inflitta al ricorrente (n.d.r., la confisca), quando il reato era estinto e la sua responsabilita' non era stata accertata con una sentenza di condanna, contrasta con i principi di legalita' penale appena esposti dalla Corte e che sono parte integrante del principio di legalita' che l'art. 7 della Convenzione impone di rispettare. La sanzione controversa non e' quindi prevista dalla legge ai sensi dell'art. 7 della Convenzione ed e' arbitraria". La sentenza della Corte e.d.u. nel caso Varvara c. Italia, peraltro e' divenuta definitiva a seguito del rigetto, intervenuto in data 25 marzo 2014, della richiesta di rinvio alla Grande Camera da parte del Governo italiano. 15.2. Alla luce di tali considerazioni, occorre tuttavia, valutare se - alla luce del dovere del giudice comune di sperimentare un'interpretazione conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali cio' e' permesso dai testi delle norme, secondo quanto affermato dalle note sentenze della Corte costituzionale n. 349/2007 e n. 348/2007 - l'interpretazione dell'art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, come operata dalla Corte e.d.u. con la citata sentenza Varvara c. Italia, sia pero' compatibile con altri principi costituzionali contenuti nella nostra Carta Fondamentale che, peraltro, trascendono la mera tutela del diritto di proprieta' secondo la norma dell'art. 1, protocollo n. 1 della Convenzione e.d.u., norma anch'essa ritenuta violata dalla sentenza Varvara, che, infatti (v.§ 85), muovendo dalla constatazione che il reato in relazione al quale e' stata ordinata la confisca dei beni del ricorrente non era previsto dalla legge nel senso dell'art. 7 della Convenzione ed era arbitrario (paragrafi 72/73 supra), ha dichiarato che «l'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del ricorrente era contraria al principio di legalita' ed era arbitraria e che vi e' stata violazione dell'art. 1, del Protocollo n. 1». Orbene, se puo', infatti, ritenersi che la norma In questione (art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001), come interpretata dalla Cedu con la sentenza Varvara, non ponga problemi di compatibilita' costituzionale con l'art. 25, comma 2, Cost., non contravvenendo apertamente alla garanzia della legalita' in materia penale, prevedendo una particolare tipologia di confisca in cui e' il legislatore stesso ad operare la disarticolazione del nesso tra confisca e condanna - sicche' quest'ultima non dovra' considerarsi presupposto imprescindibile della prima, atteso che la confisca dei terreni e delle opere abusive prevista dall'art. 44, T.U. edilizia e' riferita a una "sentenza definitiva che accerta che vi e' stata lottizzazione abusiva", e non esige quindi una sentenza di condanna (situazione che, a ben vedere, si riscontra anche nel caso della confisca prevista dall'art. 301, D.P.R. n. 43/1973, secondo la quale "nei casi di contrabbando, e' sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto o il profitto", senza alcuna menzione esplicita - dunque - del requisito della sentenza di condanna), non altrettanto deve ritenersi con riferimento ad ulteriori parametri costituzionali, quali quelli di cui agli artt. 2, 9, 32, 41, 42, 117, primo comma, Cost. (quest'ultima, quale norma che permette di creare un ponte, tramite il rinvio mobile, tra la normativa nazionale e quella delle convenzioni internazionali), i quali impongono che il paesaggio, l'ambiente, la vita e la salute siano tutelati quali valori costituzionali oggettivamente fondamentali, cui riconoscere prevalenza nel bilanciamento con il diritto dl proprieta', ritenuto violato dalla sentenza Varvara con la condanna dell'Italia per contrasto con l'art. 1, del protocollo n. 1 della Convenzione e.d.u. 15.3. Ed invero, i principi fondamentali della Costituzione, descritti negli articoli (1/12) e nella Parte prima relativa ai "Diritti e doveri dei cittadini", caratterizzano, strutturandolo in profondita', l'ordinamento costituzionale: questo verrebbe letteralmente meno - trasformandosi in un ordinamento diverso - nel caso in cui detti principi non fossero osservati e fatti oggetto di specifica tutela. I valori elencati assumono in tal modo una valenza giuridica di tale "essenzialita'", da poter affermare che la stessa organizzazione dei pubblici poteri sia prevalentemente funzionale al loro svolgimento ed alla loro attuazione. La "persona", nel suo patrimonio identificativo ed irretrattabile, costituisce nella nostra Costituzione il soggetto attorno al quale si incentrano diritti e doveri. Nell'uso corrente, "diritti umani", "diritti inviolabili", "diritti costituzionali" e "diritti fondamentali" sono termini utilizzati in modo promiscuo ma equivalente, e stanno ad indicare diritti che dovrebbero essere riconosciuti ad ogni individuo in quanto tale: cio' sembrerebbe attestare, proprio a livello di un senso e "sapere comune", l'intimo e complesso rapporto che da sempre lega tra loro e Indissolubilmente diritto naturale e diritto positivo. Sotto tale profilo, la proprieta', quale diritto costituzionalmente garantito (art. 42), nello speciale regime di tutela del territorio e' spesso sostanzialmente "svuotato" - o meglio arricchito di contenuti socialmente rilevanti - per garantire interessi a carattere "super-individuale", come la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale della nazione. Tali interessi derivano da valori, in parte sanciti in via diretta dalla Carta costituzionale [(a) diritti inviolabili dell'uomo (art. 2); b) la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione (art. 9); c) la tutela della salute (art. 32)], in parte In via indiretta dalla stessa Costituzione, che a seguito della riforma del titolo V, ha inserito per la prima volta la "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", nel testo costituzionale (art. 117, comma 2, lett. s). La proprieta', poi, come situazione giuridica soggettiva reale e statica, e l'iniziativa economica privata, come situazione giuridica complessa e dinamica, pur rappresentando degli istituti distinti e costituzionalmente garantiti (artt. 42, comma 2, e 41, comma 2, Cost.), sono entrambi asserviti, in quanto facce di una stessa medaglia, ad assolvere una funzione sociale e un'utilita' sociale: a) controllo dell'iniziativa economica privata in funzione della liberta', sicurezza e dignita' umana (art. 41, comma 2, Cost.); b) la legge determina i programmi e i controlli opportuni perche' l'attivita' economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (art. 41, comma 2, Cost.). 15.4. A tal riguardo, occorre fare alcune precisazioni. Non v'e' dubbio che il bene giuridico protetto dalla norma dell'art. 30, d.p.r. n. 380/2001 (T.U. Edilizia) e' non solo l'ordinata pianificazione urbanistica, ma anche (e soprattutto) l'effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioe' il Comune), cui spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio non previamente assentito. In particolare, poi, le norme dettate in materia di lottizzazione abusiva, perseguono un evidente scopo pianificatorio, che trova un'espressa tutela costituzionale. Nel 1948, infatti, la pianificazione - seppur in un'accezione strettamente economica - acquisisce rilievo costituzionale, dal momento che l'art. 41 Cost. - dopo aver sancito che «l'iniziativa economica e' libera» e «non puo' svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana» - ha previsto che «la legge determina i programmi e i controlli opportuni perche' l'attivita' economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». Come e' noto, la Costituzione sancisce all'art. 2 che "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'". Occorre tenere presente che i diritti inviolabili, siano essi esplicitamente previsti o desunti per implicito dalla Costituzione, rappresentano una vera e propria manifestazione del "principio personalistico": tale principio invita ad una considerazione del soggetto non quale monade isolata e avulsa dal "mondo", bensi' appunto come "persona", tale proprio in quei rapporti sociali di relazione che soli la sostanziano. In particolare, la dimostrazione del contributo che la Corte costituzionale ha dato all'estensione del "principio personalistico" ad ambiti di materie in cui si riteneva che la legge dovesse limitarsi a disciplinare interessi pubblici ed interessi privati, e' offerta dalla giurisprudenza costituzionale, ormai consolidata, in materia di "ambiente" e di "uso del territorio". Merita di essere ricordata, in primo luogo, la sentenza n. 210 del 1987, dove si afferma che in Costituzione e' rinvenibile un riconoscimento specifico della salvaguardia dell'ambiente come diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettivita'. Si tende, cioe', ad una concezione unitaria del bene ambientale, comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali. Esso comprende la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali, la esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale ed in definitiva la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni. Ed ancora, nella sentenza n. 196 del 2004,. in tema di "condono edilizio", la Corte sottolinea, nell'esaminare la materia, il rapporto che intercorre tra "dignita' umana" e "iniziativa economica privata", rilevando "come in un settore del genere vengano in rilievo una pluralita' di interessi pubblici, i quali devono necessariamente trovare un punto di equilibrio, poiche' il fine della legislazione sul "condono" consiste proprio nel realizzare un contemperamento dei valori in gioco: da una parte, quelli del paesaggio, della cultura, della salute, della conformita' dell'iniziativa economica privata all'utilita' sociale, della funzione sociale della proprieta'; dall'altra, quelli, altrettanto rilevanti e fondamentali sul piano della dignita' umana, dell'abitazione e del lavoro". 15.5. Nelle sentenze della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo il diritto di proprieta' privata viene spesso definito "un diritto fondamentale", per l'ovvio motivo che qualsiasi diritto umano non puo' essere leso, ed e' pertanto "fondamentale". Sennonche' deve porsi in risalto che il diritto di proprieta' privata assume valore diverso in ragione del suo contenuto e della sua estensione, ragion per cui un uso indifferenziato dell'aggettivo "fondamentale", come avviene nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, puo' essere foriero di equivoci ed esige una precisa puntualizzazione. A tal fine e' necessario prender le mosse da quanto dicono, al riguardo, l'art. 17 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e l'art. 1 del Protocollo addizionale. L'art. 17 della Dichiarazione stabilisce che "Ogni individuo ha diritto ad avere una proprieta' sua personale o in comune con altri. Nessun individuo potra' essere arbitrariamente privato della sua proprieta'". L'art. 1 del Protocollo addizionale afferma che "Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua proprieta', se non per causa di utilita' pubblica". Questa seconda norma nulla aggiunge, nella sua generalita', alla norma della Dichiarazione: il rispetto al diritto sui propri beni e' infatti indifferentemente accolto in ogni ordinamento, essendo evidente che ogni diritto, in quanto tale, deve essere rispettato. La Costituzione della Repubblica italiana certamente riconosce come diritto fondamentale, da definire diritto inviolabile dell'uomo, ai sensi dell'art. 2 Cost., non il diritto di proprieta' privata senza aggettivi, ma li diritto di "proprieta' personale", quella riferibile al soddisfacimento dei bisogni primari dell'uomo. Cio' e' dimostrato dal fatto, innanzitutto, che la Costituzione, quando ha voluto riconoscere un diritto fondamentale, cioe' un diritto dell'uomo preesistente alla Costituzione stessa ha usato la dizione "la Repubblica riconosce e garantisce, ecc.". Nel caso della proprieta' privata, invece, la Costituzione scorpora detto diritto dai diritti dell'uomo di cui al citato art. 2 Cost. e ne colloca la disciplina, non tra i diritti fondamentali di cui ai "Principi fondamentali" od ai "Diritti e doveri dei cittadini", ma nel Titolo dedicato ai "Rapporti economici". Ma v'e' di piu'. A Proposito della proprieta' privata, la Costituzione non usa piu' la dizione "La Repubblica riconosce e garantisce, ecc.", ma "la legge riconosce e garantisce". Afferma testualmente l'art. 42 Cost. "La proprieta' e' pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprieta' privata e' riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprieta' privata puo' essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sull'eredita'". Il diritto di proprieta' privata, dunque, non costituisce un valore assoluto, un diritto fondamentale inviolabile, ma un diritto che esiste secondo la previsione della legge, la quale, tenuto conto del suo obbligo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, potrebbe anche comprimerla, riducendola, come afferma la giurisprudenza della Corte costituzionale, anche ad un "nucleo essenziale". La nostra Costituzione considera fondamentale solo questo "nucleo essenziale" della proprieta' privata, e che di conseguenza costituisce un diritto inviolabile soltanto la "proprieta' personale". L'indiscutibile conferma e' nell'art. 47 Cost., secondo il quale "La Repubblica... favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprieta' dell'abitazione, alla proprieta' diretta coltivatrice e al diretto o indiretto Investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese". Il che rientra pienamente nel citato concetto di "proprieta' personale". Il diritto all'abitazione, peraltro, e' stato considerato, proprio in riferimento al citato art. 47 Cost., un diritto fondamentale inviolabile dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. sentenze nn. 217 del 1988, 404 del 1988, 252 del 1989, 559 del 1989, 419 del 1991, 364 del 1990). 16. Appare, quindi, evidente come l'interpretazione che la Cedu ha operato della norma di cui all'art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, escludendo la confiscabilita' delle aree e dei terreni abusivamente lottizzati nel caso in cui il giudizio non si concluda con una sentenza di condanna, ma con una sentenza di proscioglimento per prescrizione, violi gli artt. 2, 9, 32, 41, 42, 117, primo comma, Cost., i quali impongono che il paesaggio, l'ambiente, la vita e la salute siano tutelati quali valori costituzionali oggettivamente fondamentali, cui riconoscere prevalenza nei bilanciamento con il diritto di proprieta'. 16.1. Ed invero, quanto all'art. 2 Cost., laddove afferma che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita', e richiede l'adempimento del doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale», si e' gia' detto in precedenza come il diritto di proprieta' privata non costituisce un valore assoluto, un diritto fondamentale inviolabile, ma un diritto che esiste secondo la previsione della legge, la quale, tenuto conto del suo obbligo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, potrebbe anche comprimerla, riducendola, come afferma la giurisprudenza della Corte costituzionale, anche ad un "nucleo essenziale". Con riferimento alla previsione dell'art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, e' la legge a prevedere che la sentenza definitiva del giudice penale che "accerta" che vi e' stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca del terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, con conseguente acquisizione gratuita dei terreni, di diritto, al patrimonio del comune nel cui territorio e' avvenuta la lottizzazione. E', quindi, la legge che impone, in caso di "accertata" lottizzazione (accertamento che, pur contenuto in una sentenza di proscioglimento per prescrizione che abbia pero' acclarato la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell'illecito lottizzatorio, legittimerebbe la confisca, secondo l'interpretazione di questa Corte, avallata dalla giurisprudenza costituzionale con la gia' richiamata sentenza n. 239/2009 e, sotto certi aspetti, la n. 85/2008) il sacrificio del diritto di proprieta' che, pertanto, per le ragioni esposte, non puo' essere considerato quale diritto inviolabile. Secondo la sentenza Varvara, diversamente, in caso di "confisca senza condanna" ex art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, l'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del ricorrente sarebbe contraria al principio di legalita' ed arbitraria, con conseguente violazione dell'art. 1, del Protocollo n. 1 (tutela della proprieta'): cio' impedirebbe, quindi, a questa Corte, secondo l'esegesi "convenzionalmente orientata" di confermare la disposta confisca degli immobili e dei terreni in sequestro, cosi' imponendo di considerare il diritto di proprieta' come inviolabile, con conseguente violazione dell'art. 2 Cost. 16.2. Analoga censura di costituzionalita', in secondo luogo, investe la norma in questione, come interpretata dalla Corte e.d.u., in rapporto all'art. 9 Cost. Ed infatti, il 2° comma, dell'art. 9 Cost., che afferma che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», e' iscritto tra i principi fondamentali della Costituzione. L'art. 9, con il riferimento indistinto al paesaggio, e' improntato alla "concezione integrale del paesaggio", cioe' alla forma dell'intero paese. La concezione integrale e' recepita dalla giurisprudenza costituzionale e da quella amministrativa (Corte cost. 23 novembre 2011, n. 309; Corte cost. 7.11.2007, n. 367; nella giurisprudenza amministrativa, v. l'importante Cons. St., ad. plen., 14.12.2001, n. 9). Il rapporto tra la tutela del paesaggio dell'art. 9, 2° comma, e "l'urbanistica" di cui trattava l'originario art. 117 Cost. e - dopo la l. Cost. n. 3/2011 - il "governo del territorio", e' oggetto di vasta letteratura che, soprattutto negli anni '70 e '80, ha visto contrapposte due accezioni: quella della ricordata "panurbanistica" (incentrata sulla lata definizione di "urbanistica" raggiunta con l'art. 80, D.P.R. n. 616/1977: la «disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonche' la protezione dell'ambiente») volta ad assorbirle la prima nella seconda; e quella che muove dalla collocazione tra i principi fondamentali dell'art. 9 Cost., che le distingue e le pone in relazione sostanzialmente gerarchica con prevalenza della prima. La tutela del paesaggio e' una manifestazione particolare, arricchita dalla qualificazione culturale, della piu' ampia tutela dell'ambiente, a condizione che di questa si assuma una nozione genetica, non meramente quantitativa, di protezione di tutte le condizioni originarie di qualita' della vita e non solo di quelle inerenti la salubrita', e se comunque si assume che "paesaggio" indica innanzitutto «la morfologia del territorio», cioe' «l'ambiente nel suo aspetto visivo» (cosi' C. cost. 7.11.2007, n. 367; cfr. anche, C. cost. 21.10.2011, n. 275; C. cost. 22.7.2009, n. 226; C. cost, 30.5.2008, n. 180; C. cost. 5.5.2006, n. 182 e 183; C. cost. 14.12.1993, n. 430; C. cost. 11.7.1989, n. 391; C. cost. 30.12.1987, n. 641). Del resto, sul tema dei rapporti tra tutela dell'ambiente, del territorio e del paesaggio, la stessa Corte costituzionale sottolinea, ad esempio, come «una forte espansione delle fonti di energia rinnovabili [...] potrebbe incidere negativamente sul paesaggio: il moltiplicarsi di impianti, infatti, potrebbe compromettere i valori estetici del territorio, ugualmente rilevanti dal punto di vista storico e culturale, oltre che economico, per le potenzialita' dei suo sfruttamento turistico» (C. cost. 21.10.2011, n. 275). Orbene, e' pacifico che la condotta illecita di cui si' discute (lottizzazione abusiva) viene ad incidere in modo rilevante non soltanto sull'assetto del territorio, ma sull'intero ambiente: la violazione determina un "vulnus" alle condizioni di vita della popolazione ivi residente, della quale altera le condizioni soggettive ed oggettive di vita, la cui protezione e' costituzionalmente statuita dall'art. 9; tale illecito comporta una lesione del paesaggio, che va considerato anche una risorsa, non soltanto naturalistica, ma anche economica, poiche' rappresenta fonte di introiti per la collettivita'. La natura di principio fondamentale della nostra Carta costituzionale della tutela del paesaggio e del territorio giustifica, nell'ottica del legislatore, il sacrificio della proprieta' privata attraverso l'ablazione coattiva imposta dall'art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, anche nel caso di accertamento dell'illecito lottizzatorio non seguito da una sentenza di condanna; l'operativita' della confisca, tuttavia, sarebbe impedita dall'esegesi "convenzionale" dell'art. 44, comma 2, citato, atteso che, nel caso sottoposto ai giudizio di questa Corte, attesa l'assenza di una pronuncia di "condanna" sarebbe impedita l'applicazione della norma sanzionatoria: ancora una volta, quindi, secondo la lettura operata alla luce della sentenza Varvara, vi sarebbe prevalenza del diritto di proprieta' rispetto alla tutela del territorio e del paesaggio, dunque di un valore costituzionale oggettivamente fondamentale, cui invece dev'essere riconosciuta prevalenza nel bilanciamento con li diritto di proprieta'. 16.3. A soluzioni non dissimili si perviene valutando la norma in questione, come interpretata dalla Corte e.d.u., in rapporto all'art. 32 Cost. Il bene della salute e' tutelato dall'art. 32, primo comma, della Costituzione «non solo come interesse della collettivita' ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell'individuo» (Corte cost., sentenza n. 356 del 1991), che impone piena ed esaustiva tutela (Corte cost., sentenze n, 307 e 455 del 1990), in quanto «diritto primario e assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati» (Corte cost., sentenze n. 202 del 1991, n. 55 9 del 1987, n. 184 del 1986, n. 88 del 1979). Nell'evoluzione della giurisprudenza costituzionale il diritto alla salute si estende fino a configurarsi, nel suo collegamento con l'art. 9 della Costituzione, anche come diritto ad un ambiente salubre. Il riconoscimento di un diritto soggettivo individuale all'ambiente, tutelato quale diritto fondamentale, muove da un concetto di "salute" come situazione giuridica generale di benessere dell'individuo derivante anche, se non soprattutto, dal godimento di un ambiente salubre. Secondo la Corte costituzionale, infatti "l'ambiente e' protetto come elemento determinativo della qualita' della vita": la sua protezione non persegue astratte finalita' naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che e' necessario alla collettivita' e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; e' imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto" (Corte cost., sentenze n. 210 e n. 641 del 1987). In particolare, il bene dell'ambiente come diritto fondamentale della persona (oltre che come interesse fondamentale della collettivita') "comprende la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali (aria, acque, suolo e territorio in tutte le sue componenti), la esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale ed in definitiva la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni" (Corte cost., sentenza n. 210 del 1987). Una lettura costituzionalmente orientata del diritto garantito dall'art. 32 Cost., quindi, conduce a ritenere che le norme dettate dalla legislazione urbanistica (e, segnatamente, quelle dettate dal D.P.R. n. 380/2001 in tema di contrasto alla lottizzazione abusiva), abbiano come obiettivo non soltanto la conservazione di un ordinato assetto territoriale, ma anche quello di garantire la tutela del diritto ad un "ambiente" salubre e, dunque, la tutela della salute umana ex art. 32 Cost. Correlando gli articoli 9 e 32 Cost. emerge a chiare lettere che un ambiente salubre condiziona necessariamente l'effettivita' dei diritto alla salute: l'ambiente, attraverso il combinato disposto di tali articoli, viene letto come valore unitario e fondamentale interesse della collettivita'. Del resto, la giurisprudenza di questa Corte, attraverso una nutrita serie di decisioni, ha osservato che "il diritto alla salute, piuttosto e oltre che come mero diritto alla vita e all'incolumita' fisica deve configurarsi come diritto ad un ambiente salubre" (Sez. 3, sentenza n. 1152 del 22/02/1979, non massimata) e, inoltre, ha riconosciuto la sussistenza di un diritto soggettivo all'ambiente salubre, considerando tale diritto come un particolare modo di atteggiarsi dei diritto alla salute costituzionalmente garantito (Sez. U, sentenza n. 5172 del 06/10/1979, Rv. 401788). E cio' avviene giacche' si ritiene che l'ambiente, pur essendo esterno all'uomo, lo condizioni, in quanto costituisce la sfera in cui egli vive ed opera: collegandosi all'art. 3 Cost. puo' dirsi che l'ambiente e' il luogo in cui l'individuo, rapportandosi nella socialita', sviluppa la sua personalita'; pertanto e' necessario costruire e mantenere un ambiente salubre in cui nulla costituisca pericolo per la salute dell'uomo stesso. Questo orientamento viene difeso e riaffermato da questa Corte in tutte le successive sentenze nelle quali si prevede anche la prevalenza del diritto all'ambiente salubre sugli altri interessi, in caso di conflitti (Sez. L, sentenza n. 786 del 26/01/1991, non massimata). Analogamente, la Corte costituzionale, nella sua consolidata giurisprudenza, ha affermato la sussistenza dei diritto all'ambiente salubre e la preminenza dello stesso sugli altri "valori": nel conflitto tra tre diversi interessi quali il mercato, l'ambiente e la persona, essa ammette che possa comprimersi l'integrita' dell'ambiente in ragione degli interessi economici delle imprese, ma che questa compressione non possa in alcun modo compromettere l'interesse fondamentale della persona alla difesa della salubrita' dell'ambiente (Corte Cost., sentenza n. 127/1990). Infatti, la liberta' economica, pur garantita, riconosciuta e tutelata nella Carta costituzionale, non si presenta alla stregua di una situazione giuridica soggettiva pari a quella che emerge nel diritto alla salute, assoluto, primario e inviolabile, ma e' funzionalizzata e sott'ordinata gerarchicamente a quest'ultimo. Come, infine, viene evidenziato nella sentenza della Corte costituzionale n. 62 del 2005, il diritto alla salubrita' dell'ambiente trova fondamento non solo negli articoli 9 e 32, ma anche negli articoli 2 e 3 della Costituzione, dai quali discende la qualita' di diritto inviolabile garantito a ciascun individuo in maniera egualitaria. Non v'e' dubbio che la tutela del diritto alla salute, nell'attuale accezione del diritto ad un ambiente salubre, costituisca ulteriore oggetto di salvaguardia e tutela nella legislazione urbanistica. In particolare, e' possibile affermare che la salvaguardia di un ordinato assetto territoriale attraverso il divieto di attivita' consistenti in illecita lottizzazione, attua la c.d. pianificazione territoriale, i cui scopi sono: a) promuovere un ordinato sviluppo del territorio; b) assicurare che i processi di trasformazione siano compatibili con la sicurezza e la tutela dell'integrita' fisica e con l'identita' culturale del territorio; c) migliorare la qualita' della vita e la salubrita' degli insediamenti umani. Poiche', come sopra chiarito, non v'e' dubbio il diritto alla salute ed alla salubrita' dell'ambiente debba ritenersi prevalente rispetto al diritto di proprieta', cio' che invece sarebbe escluso dall'esegesi normativa dell'art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, operata dalla sentenza Varvara. Ed infatti, escludere - nel caso sottoposto all'esame di questa Corte - la confiscabilita' dei terreni e degli immobili sequestrati determinerebbe, ancora una volta, la prevalenza dei diritto di proprieta' sul diritto alla salute nell'accezione c.s. intesa: nel conflitto tra diritto di proprieta' e diritto alla salute, non puo' ammettersi che la tutela della proprieta' (come, invece, imporrebbe la lettura della sentenza Varvara) possa comprimere il diritto all'integrita' dell'ambiente, in quanto detta compressione finirebbe per compromettere l'interesse fondamentale della persona alla difesa della salubrita' dell'ambiente e, quindi, del diritto alla salute. La natura di diritto fondamentale attribuito dalla nostra Carta costituzionale al diritto alla salute giustifica, nell'ottica del legislatore, il sacrificio della proprieta' privata attraverso l'ablazione coattiva imposta dall'art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, anche nel caso di accertamento dell'illecito lottizzatorio non seguito da una sentenza di condanna; l'operativita' della confisca, tuttavia, sarebbe impedita dall'esegesi "convenzionale" dell'art. 44, comma 2, citato, atteso che, nel caso sottoposto al giudizio di questa Corte, attesa l'assenza di una pronuncia di "condanna" sarebbe impedita l'applicazione della norma sanzionatoria: ancora una volta, quindi, secondo la lettura operata alla luce della sentenza Varvara, vi sarebbe prevalenza del diritto di proprieta' rispetto al diritto alla salute, dunque di un valore costituzionale oggettivamente fondamentale, cui invece deve essere riconosciuta prevalenza nei bilanciamento con il diritto di proprieta'. 16.4. Analoga censura di costituzionalita', in secondo luogo, investe la norma in questione, come interpretata dalla Corte e.d.u., in rapporto agli artt. 41 e 42 Cost. La proprieta', come situazione giuridica soggettiva reale e statica, e l'iniziativa economica privata, come situazione giuridica complessa e dinamica, pur rappresentando degli istituti distinti e costituzionalmente garantiti (artt. 42, comma 2, e 41, comma 2, Cost.), sono entrambi asserviti, in quanto facce di una stessa medaglia, ad assolvere una funzione sociale e un'utilita' sociale: a) controllo dell'iniziativa economica privata in funzione della liberta', sicurezza e dignita' umana (art. 41, comma 2, Cost.); b) la legge determina i programmi e i controlli opportuni perche' l'attivita' economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (art. 41, comma 2, Cost.). In tale ottica, quindi, il legislatore non consente una tutela dell'interesse proprietario in se', ma solo se tale posizione giuridica soggettiva possa ritenersi compatibile con la funzione sociale e un'utilita' sociale cui il mantenimento dell'assetto proprietario e' preordinato. Nel caso dell'illecito lottizzatorio, e' la legge stessa a prevedere, invece, il sacrificio dell'interesse economico sotteso alla posizione del privato proprietario, mediante la previsione dell'ablazione coattiva di cui all'art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001. In definitiva, dunque, e' lo stesso legislatore che, operando una valutazione comparativa tra l'interesse (rectius, il diritto) del privato a mantenere la proprieta' dei terreni abusivamente lottizzati e/o delle opere abusivamente costruite, e l'interesse dello Stato a reprimere quelle condotte che "comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione" (art. 30, comma 1, D.P.R. n, 380/2001), impone - con la previsione della confisca ex art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 - il sacrificio del diritto di proprieta' attesa l'incompatibilita' della condotta integrante l'illecito lottizzatorio con la funzione sociale e con l'utilita' sociale cui il mantenimento dell'assetto proprietario e' preordinato ai sensi dell'art. 41 e 42 Cost. L'operativita' della confisca, tuttavia, sarebbe impedita dall'esegesi "convenzionale" dell'art. 44, comma 2, citato, atteso che, nel caso sottoposto al giudizio di questa Corte, attesa l'assenza di una pronuncia di "condanna" sa e impedita l'applicazione della norma sanzionatoria: ancora una volta, quindi, secondo la lettura operata alla luce della sentenza Varvara, vi sarebbe la prevalenza "assoluta" del diritto di proprieta' a prescindere dall'assolvimento della funzione sociale e dell'utilita' sociale cui la proprieta', come situazione giuridica soggettiva reale e statica, e l'iniziativa economica privata, come situazione giuridica complessa e dinamica (artt. 42, comma 2, e 41, comma 2, Cost.), sono entrambi asserviti. 16.5. Per completezza, si noti, ad analoghi approdi e' pervenuta anche la piu' recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, che con una serie di decisioni conformi (Cons. St., IV, 10 maggio 2012, n. 2710; Cons. St., IV 21 dicembre 2012, n. 6656; Cons. St., IV, 28 novembre 2012, n. 6040; Cons. St., IV, 8 luglio 2013, n. 3606; Cons. St., IV, 6 maggio 2013, n. 2427) hanno segnato il ritorno alla nozione di panurbanistica. In particolare, i giudici amministrativi hanno osservato che il potere di pianificazione urbanistica del territorio - la cui attribuzione e conformazione normativa e' costituzionalmente conferita alla potesta' legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, ex art. 117, comma terzo, Cost. ed il cui esercizio e' normalmente attribuito, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune - non e' limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilita' e limiti edificatori delle stesse. Al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non e' limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalita', in tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina dell'utilizzo delle aree, realizzi anche finalita' economico - sociali della comunita' locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi Interessi di altre comunita' territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati. Proprio per tali ragioni, lo stesso legislatore costituzionale, nel novellare l'art. 117 della Costituzione per il tramite della legge Cost. n. 3/2001, ha sostituito - al fine di individuare le materie rientranti nella potesta' legislativa concorrente Stato - Regioni - il termine "urbanistica", con la piu' onnicomprensiva espressione di "governo del territorio", certamente piu' aderente, contenutisticamente, alle finalita' di pianificazione che oggi devono ricomprendersi nel citato termine di "urbanistica". D'altra parte, gia' il legislatore ordinario (sia pure ai fini della attribuzione di giurisdizione sulle relative controversie), con l'art. 34, comma 2, d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80, aveva affermato che "la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell'uso del territorio". Tali finalita', per cosi' dire "piu' complessive" dell'urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla legge 17 agosto 1942 n. 1150, laddove essa individua il contenuto della "disciplina urbanistica e dei suoi scopi" (art. 1), non solo nell'"assetto ed incremento edilizio" dell'abitato, ma anche nello "sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica". In definitiva, l'urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialita' edificatorie connesse al diritto di proprieta', cosi' offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come Intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo. Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialita' edificatorie dei suoli - non in astratto, bensi' in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunita' ed alle concrete vocazioni del luoghi - sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico - sociali della comunita' radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione "de futuro" sulla propria stessa essenza, svolta - per auto-rappresentazione ed autodeterminazione - dalla comunita' medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio. In definitiva, il potere di pianificazione urbanistica non e' funzionale solo all'interesse pubblico all'ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalita' (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma esso e' funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralita' di Interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti. Ne consegue che, diversamente opinando, e cioe' nel senso di ritenere il potere di pianificazione urbanistica limitato alla sola prima ipotesi, si priverebbe la pubblica amministrazione di un essenziale strumento di realizzazione di valori costituzionali, quali sono almeno quelli espressi dagli articoli 9, comma secondo, 32, 42, 44, 47, comma secondo, Cost. 16.6. Appare, dunque, evidente in questa situazione, come non possa ritenersi conforme a Costituzione l'interpretazione operata dalla sentenza Varvara della Corte di Strasburgo la quale in sintesi afferma che il diritto di proprieta' privata, indipendentemente dalle sue dimensioni, e' un diritto fondamentale inviolabile. Provvide sono state al riguardo le sentenze n. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale. Dette sentenze, infatti, hanno ben messo in evidenza che le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU), nell'interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, e cioe', in ultima analisi, dalle sentenze di detta Corte, non sono cogenti per l'ordinamento giuridico italiano, ma costituiscono semplicemente lo strumento in base al quale e' possibile stabilire il contenuto degli obblighi internazionali che l'Italia e' tenuta a rispettare, al sensi dell'art. 117, primo comma, della Costituzione. Dette sentenze della Corte di Strasburgo hanno, in altri termini, un valore sub-costituzionale e intanto possono costituire il contenuto di un obbligo internazionale, in quanto siano conformi a Costituzione. Si tratta, in altri termini, di norme interposte soggette al controllo della Corte costituzionale. E' stata cosi' posta una valvola di sicurezza, Qualora la Corte di Strasburgo, come avvenuto nel caso della sentenza Varvara, affermi esplicitamente che la proprieta' privata e' un diritto fondamentale ed inviolabile del cittadino (al punto tale da non essere confiscabile pur in presenza di un "accertato" illecito lottizzatorio, come pure prevede l'art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, reso pero' inapplicabile dall'esegesi di tale norma alla luce della norma convenzionale dell'art. 1, del protocollo n. 1 della Convenzione e.d.u.), una norma siffatta - siccome interpretata dalla Corte e.d.u. - non potrebbe mai ritenersi accoglibile nel nostro ordinamento e ne dovrebbe essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale, trattandosi, come si e' visto, di una norma sub-costituzionale, rientrante nell'ampio concetto delle cosiddette "norme interposte". 16.7. Nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU, «il giudice nazionale comune deve preventivamente verificare la praticabilita' di un'interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica» (sentenze n. 236 e n. 113 del 2011; n. 93 del 2010; n. 311 del 2009). Se questa verifica da esito negativo e il contrasto non puo' essere risolto in via interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la norma interna ne' farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la CEDU, nella interpretazione che ne ha fornito la Corte di Strasburgo, e pertanto con la Costituzione, deve denunciare la rilevata incompatibilita' proponendo una questione di legittimita' costituzionale in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., ovvero all'art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e n. 311 del 2009). Nella giurisprudenza costituzionale si e', inoltre, reiteratamente affermato che, con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non puo' mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle gia' predisposte dall'ordinamento interno, ma puo' e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa. Del resto, l'art. 53 della stessa Convenzione stabilisce che l'interpretazione delle disposizioni CEDU non puo' implicare livelli di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali. Di conseguenza, il confronto tra tutela prevista dalla Convenzione e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie, concetto nel quale deve essere compreso, come gia' chiarito nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, cioe' con altre norme costituzionali, che a loro volta garantiscano diritti fondamentali che potrebbero essere incisi dall'espansione di una singola tutela. Il richiamo al «margine di apprezzamento» nazionale - elaborato dalla stessa Corte di Strasburgo, e rilevante come temperamento alla rigidita' dei principi formulati in sede europea - deve essere sempre presente nelle valutazioni della Corte costituzionale, tenuto conto che la tutela dei diritti fondamentali deve essere sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. 16.8. Come piu' volte affermato dalla Corte costituzionale (sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 e n. 239 del 2009, n. 39 del 2008, n. 349 e n. 348 del 2007), il giudice delle leggi non puo' sostituire la propria interpretazione di' una disposizione della CEDU a quella data in occasione della sua applicazione al caso di specie dalla Corte di Strasburgo, con cio' superando i confini delle proprie competenze in violazione di un preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione e la ratifica, senza l'apposizione di riserve, della Convenzione, esso pero' e' tenuto a valutare come ed in quale misura l'applicazione della Convenzione da parte della Corte europea si inserisca nell'ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell'art. 117 Cost., come norma interposta, diviene oggetto di bilanciamento, secondo le ordinarie operazioni cui questa Corte e' chiamata in tutti i giudizi di sua competenza (sent. n. 317 del 2009). Operazioni volte non gia' all'affermazione della primazia dell'ordinamento nazionale, ma alla integrazione delle tutele. Nell'attivita' di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti cui e' chiamata la Corte costituzionale, gli Interessi (rectius, diritti) sottesi ai parametri costituzionali evocati (artt. 2, 9, 32, 41, 42, 117, primo comma, Cost.) come sopra specificati, complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla disposizione censurata, prevalgono - a giudizio di questa Corte - sul diritto di proprieta', di pari rango costituzionale. A differenza della Corte EDU, la Corte costituzionale e' chiamata ad operare una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, ed e', quindi, tenuta a quel bilanciamento, solo ad essa spettante, che, nella specie, da' appunto luogo alla soluzione indicata. Va, quindi, sollevata la questione di costituzionalita' dell'art. 44, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, come interpretato dalla Corte EDU (sentenza Varvara) nel senso che la confisca ivi prevista non puo' applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilita' penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi, atteso che tale norma deve ritenersi in contrasto con gli artt. 2, 9, 32, 41, 42, 117, primo comma, Cost. - i quali, come in precedenza specificato, impongono che il paesaggio, l'ambiente, la vita e la salute siano tutelati quali valori costituzionali oggettivamente fondamentali, cui riconoscere prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprieta' - in quanto la norma suddetta, come sopra interpretata, non tiene conto di tale bilanciamento, che deve essere sempre operato qualora siano in gioco opposti Interessi costituzionalmente protetti, anche qualora gli uni trovino tutela nella Cedu e gli altri nella Costituzione italiana. Per completezza, va ricordato che l'obbligatorio ricorso al giudizio della Corte costituzionale nel caso in esame discende anche dall'impossibilita' di attivare la procedura prevista dal Protocollo n. 16 alla Convenzione e.d.u. (con cui, seppure con talune limitazioni, sara' in futuro possibile sospendere il procedimento in corso e rivolgersi alla Corte europea per chiedere un parere consultivo su una questione relativa all'applicazione della Convenzione europea e dei suoi Protocolli), non essendo ancora lo stesso entrato in vigore, pur essendo stato aperta alla firma degli Stati membri firmatari del Trattato STE 5, a Strasburgo, il 2 ottobre 2013 (ed in pari data sottoscritta dall'Italia), attesa la mancanza delle prescritte dieci ratifiche. 16.9. Non v'e' dubbio, infine, che ne vada ritenuta, oltre la non manifesta infondatezza per le ragioni dianzi specificate, anche la rilevanza. Quest'ultima, invero, e' comprovata dal rilievo per cui e' proprio dalla soluzione della questione di costituzionalita' che dipende l'applicabilita' della disposizione normativa dell'art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 nel caso in esame, nel quale si controverte - come ampiamente descritto al § 13.1 - di una fattispecie in cui risulta dimostrata la sussistenza della responsabilita' penale per l'illecito lottizzatorio sotto il profilo oggettivo e soggettivo, responsabilita' che e' stata accertata da parte dei giudici di merito con valutazione condivisibile ed esente da censure in sede di legittimita'. Questa Corte, infatti, non potendo adottare altra sentenza se non di rigetto dei ricorsi (essendo preclusa, per le ragioni dianzi precisate, sia la pronuncia di annullamento senza rinvio, non essendovi le condizioni per l'applicazione dell'art. 129, comma 2, c.p.p., sia, peraltro, una pronuncia di annullamento con rinvio per vizio di motivazione quanto alla sussistenza dell'elemento psicologico, ostandovi l'estinzione per prescrizione dei reati), dovrebbe disporre la conferma delle statuizioni di cui all'impugnata sentenza quanto alla confisca degli immobili e delle aree in sequestro, ostandovi, pero', allo stato, l'interpretazione della norma adottata dalla sentenza Varvara che, come visto, preclude una "confisca senza condanna". 17. Il giudizio in corso dev'essere, conseguentemente, sospeso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale.
P. Q. M. La Corte, visto l'art, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, come interpretato dalla Corte EDU (sentenza Varvara) nel senso che la confisca ivi prevista non puo' applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilita' penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi, per violazione degli artt. 2, 9, 32, 41, 42, 117, primo comma, Cost. - i quali impongono che il paesaggio, l'ambiente, la vita e la salute siano tutelati quali valori costituzionali oggettivamente fondamentali, cui riconoscere prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprieta' - in quanto la norma suddetta, come sopra interpretata, non tiene conto di tale bilanciamento, che deve essere sempre operato qualora siano in gioco opposti interessi costituzionalmente protetti, anche qualora gli uni trovino tutela nella Cedu e gli altri nella Costituzione italiana (v. Corte cost. n. 264 del 2012); Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico Ministero nonche' ai Presidente del Consiglio dei Ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 30 aprile 2014. Il Consigliere est.: Scarcella Il Presidente: Mannino