N. 276 SENTENZA 1 - 12 dicembre 2014
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Fallimento e procedure concorsuali - Estensione della dichiarazione di fallimento. - Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), art. 147, comma 5. -(GU n.52 del 17-12-2014 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Paolo Maria NAPOLITANO; Giudici :Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 147, comma 5 del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso dal Tribunale di Bari nel procedimento vertente tra la curatela del Fallimento Italian Style Allestiment srl e Usai Giuseppe ed altri, con ordinanza del 20 novembre 2013 iscritta al n. 66 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2014. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 5 novembre 2014 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano. Ritenuto in fatto 1.- Il Tribunale di Bari, con ordinanza in data 20 novembre 2011, iscritta al n. 66 del registro ordinanze del 2014, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147, comma 5, del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) nella parte in cui non consente l'estensione del fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una societa' di capitali ad una societa' di fatto costituita tra la societa' originariamente fallita e altri soci di fatto. Premette in fatto di essere chiamato a decidere sul ricorso proposto dalla curatela del Fallimento Italian Style Allestiment srl (di seguito ISA srl), con il quale, previo accertamento «dell'esistenza e/o apparenza di una societa' di fatto tra la societa' fallita e Usai Giuseppe, Usai Luigi, Usai Antonello e Usai Service srl auto e case sicure» (di seguito Usai service srl), si chiede che sia dichiarato, ai sensi dell'art. 147, comma 5 della legge fallimentare, in estensione del fallimento della ISA srl, il fallimento della predetta societa' di fatto e dei suoi soci in quanto illimitatamente responsabili. Nel ricorso si richiede, in via subordinata, la dichiarazione di fallimento, ai sensi dell'art. 147, comma 1 della legge fallimentare, della societa' di fatto e dei suoi soci illimitatamente responsabili, fermo restando il fallimento della ISA srl. Il giudice a quo riferisce che il curatore ricorrente aveva individuato diversi elementi indicativi della esistenza di una societa' di fatto tra la societa' fallita e Usai Giuseppe, Usai Luigi, Usai Antonello e la Usai service srl, vale a dire una compagine sociale di fatto attraverso la quale veniva effettivamente svolta l'attivita' imprenditoriale. In particolare, il curatore aveva indicato quali indici rivelatori l'utilizzo, da parte della fallita e della Usai Service srl della medesima sede legale; la circostanza che il socio unico e legale rappresentante della Usai Service srl era stato socio fino al 2012 della fallita; il fatto che la Usai Service srl e la societa' fallita svolgevano la medesima attivita' nonche' che tutti i beni di proprieta' di quest'ultima erano utilizzati senza alcun titolo scritto e senza pagamento di alcun corrispettivo dalla Usai Service srl; l'utilizzo da parte di entrambe le societa' della medesima modulistica; l'identita' dei dipendenti; infine, la commistione di patrimoni e beni tra le societa' e i soci. Cio' posto, il rimettente osserva come la disposizione censurata impedisca di accogliere il ricorso. L'art. 147, comma 5 della legge fallimentare, infatti, stabilisce che «qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa e' riferibile ad una societa' di cui il fallito e' socio illimitatamente responsabile» il fallimento si estende anche alla societa'. Il tenore letterale della disposizione imporrebbe di ritenere che l'estensione del fallimento alla societa' di fatto e ai suoi soci sia possibile unicamente nel caso in cui il fallimento originario riguardi un imprenditore individuale e non invece nel caso in cui riguardi una societa' commerciale. Il Tribunale esclude che sia possibile pervenire ad una interpretazione estensiva della disposizione, cosi' come prospettato da parte della giurisprudenza di merito. A tale risultato sarebbe di ostacolo l'esclusivo riferimento, contenuto nell'art. 147, comma 5 della legge fallimentare, al solo «imprenditore individuale». Per questa ragione tale disposizione contrasterebbe con gli artt. 3 e 24 Cost. In punto di rilevanza della questione, il giudice a quo osserva come la domanda proposta dalla curatela del fallimento abbia ad oggetto l'estensione del fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una societa' a responsabilita' limitata, e dunque, proprio l'ipotesi esclusa dalla disposizione censurata. In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente da' conto, innanzitutto, della circostanza che, a seguito della riforma del diritto societario introdotta dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 (Riforma organica della disciplina delle societa' di capitali e societa' cooperative, in attuazione della L. 3 ottobre 2001, n. 366), e' ammessa la possibilita' per le societa' di capitali di partecipare a societa' di persone, come espressamente previsto dall'art. 2361, comma 2, codice civile per quanto riguarda le societa' per azioni, e dall'art. 111-duodecies disp. att. cod. civ. per le societa' a responsabilita' limitata. Inoltre, l'art. 147, comma 1, legge fallimentare, nel testo vigente, prevede la fallibilita' delle societa' di capitali ove siano socie di societa' con responsabilita' illimitata. Alla luce di tale quadro normativo, ad avviso del rimettente, sarebbe ingiustificata l'esclusione della possibilita' di estendere il fallimento alla societa' di fatto cui partecipi una societa' di capitali, allorche' il fallimento originario abbia riguardato la societa' di capitali. Ritiene il Tribunale che tale esclusione determinerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento tra societa' di fatto, in quanto allorche' il fallimento venga richiesto immediatamente nei confronti di una societa' di fatto, esso sarebbe ammissibile ai sensi dell'art. 147, comma 1 della legge fallimentare, mentre nel caso in cui il fallimento originario riguardi una societa' di capitali esso non potrebbe essere esteso alla societa' di fatto. L'art. 3, Cost. sarebbe, inoltre, violato in quanto, mentre l'art. 147, comma 5 della legge fallimentare consente l'estensione del fallimento di un imprenditore individuale ad una societa' di fatto con altre persone fisiche o con altre societa' di capitali, tale estensione e' esclusa quando il fallimento originario riguardi una societa' di capitali. E cio', nonostante che sia pacifico che la societa' di capitali possa essere socia di una societa' di persone. Sarebbe, altresi', violato l'art. 24 Cost. in quanto la disposizione censurata realizzerebbe una ingiustificata compressione del diritto di difesa dei creditori. Costoro, infatti, sarebbero maggiormente tutelati nel caso in cui il fallimento sia originariamente richiesto nei confronti di una societa' di fatto cui partecipi anche (o esclusivamente) una societa' di capitali, rispetto all'ipotesi, pure «identica dal punto di vista sostanziale», di estensione del fallimento da una societa' di capitali ad una societa' di fatto di cui era socia la fallita. Inoltre, godrebbero di maggior tutela i creditori di societa' di fatto composte esclusivamente da persone fisiche ovvero di societa' di fatto dichiarate fallite in estensione al fallimento di un imprenditore individuale, rispetto ai creditori di societa' di fatto il cui fallimento non potrebbe essere dichiarato in estensione del fallimento originariamente dichiarato nei confronti di societa' di capitali socia della societa' di fatto. 2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata. L'art. 147 della legge fallimentare, disponendo che la sentenza che dichiara il fallimento di una societa' di persone produce anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, avrebbe come presupposto la responsabilita' illimitata della societa' originariamente fallita e dei soci della societa'. Medesimo sarebbe il presupposto dell'art. 147, comma 5, il quale stabilisce che il fallimento dell'imprenditore individuale si estende ad una societa' in cui il fallito e' illimitatamente responsabile. Anche in tal caso, infatti, presupposto della estensione sarebbe la comune responsabilita' illimitata dei soci e della societa', nonche' la confusione del patrimonio individuale dei soci con il patrimonio societario, di tal che le vicende dell'uno si riflettono sull'altro. Inoltre, la disposizione sull'estensione del fallimento sarebbe una norma eccezionale e dunque di stretta interpretazione. Osserva, ancora, l'Avvocatura che nella fattispecie all'esame del rimettente, il fallimento della societa' a responsabilita' limitata non potrebbe essere esteso ai soci illimitatamente responsabili componenti della societa' di fatto dal momento che la srl risponderebbe nei limiti del capitale sociale e il suo patrimonio non si confonderebbe con quello dei singoli soci, i quali invece rispondono illimitatamente. Non sussisterebbe, pertanto, la lamentata disparita' di trattamento vertendosi in due situazioni diverse, caratterizzate l'una dalla esistenza della responsabilita' illimitata dei soci e della societa', e l'altra dalla mancanza di tale responsabilita' in capo alla societa'. Neppure vi sarebbe una perdita di garanzie per i creditori della societa' di fatto dal momento che sarebbe necessario contemperare l'esigenza di garanzia di costoro con quella di garantire i creditori particolari della societa' limitatamente responsabile. Considerato in diritto 1.- Il Tribunale ordinario di Bari ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147, comma 5, del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) nella parte in cui non consente l'estensione del fallimento, originariamente dichiarato nei confronti di una societa' di capitali, ad una societa' di fatto costituita tra la societa' fallita e altri soci. La disposizione censurata stabilisce che «qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa e' riferibile ad una societa' di cui il fallito e' socio illimitatamente responsabile», il tribunale dichiara il fallimento della societa'. Il giudice a quo premette di essere chiamato a decidere sul ricorso proposto dal curatore di una societa' a responsabilita' limitata dichiarata fallita, con cui si chiede l'estensione del fallimento, dichiarato nei confronti di detto ente, alla societa' di fatto asseritamente esistente tra di essa ed altri soci, persone fisiche e giuridiche. Cio' posto, il Tribunale censura l'art. 147, comma 5 della legge fallimentare in quanto consentirebbe l'estensione del fallimento dichiarato nei confronti dell'imprenditore individuale il quale risulti successivamente essere socio di una societa' di fatto, mentre una analoga possibilita' non sarebbe prevista nell'ipotesi in cui il fallimento sia originariamente dichiarato nei confronti di una societa' di capitali, socia della societa' di fatto. A suo avviso, tale disposizione violerebbe l'art. 3 Cost. sotto un duplice profilo. Innanzitutto in quanto determinerebbe una disparita' di trattamento tra societa' di fatto dal momento che se il fallimento viene immediatamente chiesto nei confronti della stessa societa' di fatto esso e' ammissibile ai sensi dell'art. 147, comma 1, mentre non sarebbe possibile se richiesto in estensione quando il fallimento sia originariamente dichiarato nei confronti di una societa' di capitali socia della societa' di fatto. Inoltre, la lamentata violazione discenderebbe dalla circostanza che, mentre l'estensione del fallimento alla societa' di fatto e' possibile laddove il fallimento originario abbia riguardato un imprenditore individuale, irragionevolmente sarebbe esclusa l'estensione del fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una societa' di capitali socia di societa' di fatto. Sarebbe, altresi', violato l'art. 24 Cost., in quanto la disposizione censurata realizzerebbe una ingiustificata compressione del diritto di difesa dei creditori i quali sarebbero maggiormente tutelati nel caso di fallimento originariamente richiesto nei confronti della societa' di fatto con partecipazione di una societa' di capitali rispetto all'ipotesi - identica dal punto di vista sostanziale - di estensione del fallimento da una societa' di capitali ad una societa' di fatto della quale la societa' fallita sia socia illimitatamente responsabile. Ulteriore profilo di violazione dell'art. 24 Cost. sarebbe da ravvisare nella maggiore tutela riconosciuta ai creditori di societa' di fatto composte esclusivamente da soci persone fisiche, o, comunque, di societa' di fatto dichiarate fallite in estensione al fallimento di un imprenditore individuale, rispetto ai creditori di societa' di fatto allorche' l'originario fallimento riguardi una societa' di capitali socia della societa' di fatto. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, e' intervenuto in giudizio chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata. 2.- Le censure prospettate dal Tribunale di Bari sono inammissibili. Il rimettente muove dal presupposto che, nella fattispecie al suo esame, la societa' a responsabilita' limitata gia' dichiarata fallita fosse socia di una societa' di fatto costituita tra la medesima, altra societa' a responsabilita' limitata, e talune persone fisiche. Tuttavia, nel sollevare la questione, il rimettente non si e' preliminarmente interrogato sulla possibilita' per una societa' di capitali di partecipare ad una societa' di fatto a fronte del disposto dell'art. 2361, comma 2, codice civile. Questo, infatti - a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 (Riforma organica della disciplina delle societa' di capitali e societa' cooperative, in attuazione della L. 3 ottobre 2001, n. 366) - nel consentire alle societa' per azioni di assumere partecipazioni in imprese comportanti la responsabilita' illimitata, stabilisce che tale assunzione sia deliberata dall'assemblea dei soci e che gli amministratori ne diano specifica informazione nella nota integrativa del bilancio. Ebbene, il giudice a quo non ha verificato la compatibilita' di tale previsione con la possibilita' per le societa' di capitali di partecipare a societa' di fatto la cui costituzione avviene per facta concludentia, prescindendo, dunque, da qualunque formalita'. In particolare, il Tribunale non ha preso posizione in ordine alla discussa questione concernente le conseguenze del mancato rispetto degli adempimenti previsti dall'art. 2361, comma 2, cod.civ., se, cioe', l'assunzione di partecipazioni in societa' di persone sia comunque efficace, rilevando eventualmente solo sul piano interno alla societa' ai fini della configurabilita' di una responsabilita' degli amministratori, ovvero se tale mancanza precluda la stessa possibilita' per una societa' per azioni di partecipare ad una societa' di fatto. Il rimettente non ha nemmeno accertato se la conclusione valida per le societa' per azioni, cui ha specificamente riguardo l'art. 2361 cod.civ., possa estendersi anche alle societa' a responsabilita' limitata per le quali manca una analoga previsione espressa. Poiche' le soluzioni a tale questione emerse nella giurisprudenza di merito, cosi' come in dottrina, non sono univoche, mentre la Corte di cassazione non si e' ancora pronunciata, il rimettente avrebbe dovuto esprimersi su di essa dal momento che la soluzione positiva costituisce presupposto imprescindibile per l'eventuale applicazione della disposizione censurata. La mancanza di ogni argomentazione al riguardo si risolve in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione prospettata, comportandone l'inammissibilita'. 3.- Neppure il Tribunale ha motivato in ordine alla sussistenza nella fattispecie al suo esame di una societa' di fatto di cui fosse socia la societa' dichiarata fallita. E' ben vero che secondo la giurisprudenza di legittimita' la mancanza della prova scritta del contratto di costituzione di una societa' di fatto o irregolare - la quale non e' richiesta dalla legge ai fini della sua validita' - non impedisce al giudice l'accertamento aliunde, mediante ogni mezzo di prova, della esistenza di una struttura societaria; tuttavia tale aspetto deve essere oggetto di specifica e rigorosa valutazione da parte del giudice. Proprio tale valutazione non e' stata svolta dal Tribunale. Esso, infatti, nell'ordinanza di rimessione si e' limitato ad elencare gli elementi che sono stati individuati dal curatore fallimentare come indici della esistenza di una societa' di fatto alla quale sarebbe riferibile l'attivita' svolta dalla societa' dichiarata fallita, senza, tuttavia, operare alcuna verifica in ordine alla sussistenza e alla pregnanza dei medesimi, neppure limitandosi a far proprie le argomentazioni del curatore. In tal modo il rimettente ha omesso di valutare in concreto se le suddette circostanze fossero espressione di una affectio societatis la quale rivelasse effettivamente l'esistenza di una societa' di fatto. Il giudice a quo, infine, ha omesso di verificare se l'attivita' imprenditoriale svolta dalla societa' dichiarata fallita fosse riferibile alla societa' di fatto eventualmente ritenuta esistente, secondo quanto previsto dalla disposizione censurata. L'assenza di ogni argomentazione su entrambi i profili ora evidenziati, poiche' non consente di accertare la sussistenza delle condizioni per l'eventuale applicazione dell'art. 147, comma 5, legge fallimentare, alla fattispecie concreta all'esame del giudice a quo, preclude a questa Corte ogni verifica in ordine alla rilevanza della questione prospettata, comportandone, anche sotto tale profilo, l'inammissibilita'.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147, comma 5, del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Bari con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 dicembre 2014. F.to: Paolo Maria NAPOLITANO, Presidente e Redattore Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2014. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella Paola MELATTI