N. 277 SENTENZA 1 - 12 dicembre 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero - Rilascio  o  rinnovo  del  permesso  di  soggiorno  dello
  straniero extracomunitario -  Diniego  automatico  in  presenza  di
  sentenza di condanna per uno dei reati per i quali l'art.  381  del
  codice  di  procedura  penale  prevede  l'arresto  facoltativo   in
  flagranza. 
- Decreto legislativo 25 luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
  disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione  e  norme
  sulla condizione dello straniero), artt. 4, comma 3, e 5, comma 5. 
-   
(GU n.52 del 17-12-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo
  CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario  Rosario  MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt.  4,  comma
3, e 5, comma 5, del decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promossi
dal Tribunale regionale di giustizia  amministrativa  di  Trento  con
ordinanze del 20 gennaio e del 17 marzo 2014, iscritte ai nn.  114  e
115 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 18 novembre 2014  il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Nel  corso  di  un  giudizio,  promosso  da   un   cittadino
extracomunitario avverso il provvedimento di rigetto della  richiesta
di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di attesa occupazione
- adottato dalla competente autorita' amministrativa in  ragione  del
fatto che nei confronti dell'interessato, era stata emessa,  ex  art.
444 del codice di procedura penale, sentenza di condanna per il reato
di cui agli artt. 81 del codice penale e 73, comma 5,  del  d.P.R.  9
ottobre  1990,  n.  309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza)  -  il
Tribunale  regionale  di  giustizia  amministrativa  di  Trento,  con
ordinanza emessa il 20 gennaio 2014 (iscritta al n. 114 del  registro
ordinanze del 2014), ha sollevato, in riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 4,
comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello  straniero),  «nella
parte in cui fanno derivare automaticamente il  rigetto  dell'istanza
di rinnovo del permesso di soggiorno del  cittadino  extracomunitario
dalla pronuncia, nei suoi confronti, di una sentenza di condanna  per
uno dei reati per i quali l'art. 381  del  cod.  proc.  pen.  prevede
l'arresto facoltativo in flagranza, senza consentire che la  pubblica
amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una
minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato». 
    Riportati i motivi di impugnazione, in particolare il  rimettente
reputa siano da escludere, nel  caso  di  specie,  il  rilievo  e  la
significativita' tanto dei legami personali palesati  dal  ricorrente
che, in assenza di un dimostrato e stabile rapporto affettivo  ed  in
assenza di figli, non puo' avvalersi della pur "rafforzata" tutela di
cui alla seconda parte dell'art. 5, comma 5, del d.lgs.  n.  286  del
1998 (come dichiarato incostituzionale  dalla  sentenza  n.  202  del
2013),  quanto  del  sopravvenuto   reperimento   di   un'occupazione
lavorativa che non puo'  costituire  elemento  "nuovo"  astrattamente
previsto nella prima parte del citato art. 5, comma 5, come idoneo  a
cancellare di per se' gli effetti della riportata sentenza penale  di
condanna. Ne',  peraltro,  il  rimettente  ritiene  di  aderire  alla
interpretazione estensiva della norma  censurata  seguita  da  alcuni
giudici amministrativi di primo grado che, nonostante  la  diversita'
dei  contesti  normativi,  hanno  applicato   "analogicamente"   alle
disposizioni  in  esame  gli  effetti  della  sentenza  della   Corte
costituzionale  n.  172  del   2012,   riguardante   i   criteri   di
regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari. 
    Poiche', dunque, il ricorso andrebbe rigettato, ed affermata  per
questo la rilevanza della  questione  di  costituzionalita',  il  cui
accoglimento farebbe venire meno il meccanismo di  automaticita'  tra
condanna  e  diniego  del  rinnovo  del  permesso  di  soggiorno,  il
rimettente sottolinea, innanzitutto, come le  norme  censurate  siano
lesive  dell'evocato  parametro  nella  parte  in  cui   riconnettono
automaticamente il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno  alla
condanna penale (compresa quella adottata ai sensi dell'art. 444 cod.
proc. pen.) anche  per  reati  per  i  quali  e'  previsto  l'arresto
facoltativo in flagranza,  ex  art.  381  cod.  proc.  pen.;  con  la
conseguenza  di  porre   legislativamente,   per   i   pari   effetti
"espulsivi", sull'identico piano  di  disvalore  dette  condanne  con
quelle riportate per reati piu' gravi, in cui l'arresto in  flagranza
e' previsto come obbligatorio ex art. 380 cod. proc. pen.,  senza  al
contempo attribuire alla pubblica amministrazione l'onere di valutare
in concreto la pericolosita' sociale del cittadino  extracomunitario,
con riguardo ad una sua condizione complessiva, che non si  esaurisca
direttamente nel  dato  penale,  ma  innesti  quest'ultimo  su  altre
circostanze  "compensative",  quali  la   condotta   successiva,   la
situazione familiare e l'inserimento ed apprezzamento sociale. 
    Analizzate le  ragioni  che,  nei  fatti,  hanno  determinato  il
giudice penale a ritenere di lieve entita' il fatto-reato ascritto al
ricorrente ed a condannarlo alla pena  de  qua  (con  la  concessione
delle  attenuanti  generiche  e  del  beneficio   della   sospensione
condizionale della pena), il TRGA di Trento osserva che, quanto  alla
normativa impugnata ed alle conseguenze "espulsive" per il  cittadino
extracomunitario, il legislatore non prevede alcuna differenziazione,
in materia di "reati inerenti gli stupefacenti", fra le  sentenze  di
condanna penale pronunciate in  forza  dell'art.  73,  comma  1,  del
d.P.R. n. 309 del  1990,  e  quelle  inflitte  "per  fatti  di  lieve
entita'" in applicazione del quinto comma della stessa norma; nonche'
fra i reati che rendono obbligatorio l'arresto in flagranza e  quelli
che ne ammettono la mera  facoltativita'  in  presenza  dei  previsti
presupposti. E che, pertanto, il testo unico sull'immigrazione, senza
ragionevole  giustificazione,  assoggetta  allo  stesso   trattamento
figure di reato non solo oggettivamente e soggettivamente diverse, ma
anche   caratterizzate,   internamente,   da   una   ben   differente
qualificazione e graduazione giuridica. La quale  deve  ritenersi,  a
propria volta, non  casuale  ma  riflesso  di  una  ponderata  scelta
legislativa  inerente  la  valutazione  della  distinta  gravita'   e
pericolosita' dei fatti, che (come riconosciuta dallo stesso  diritto
vivente) si pone in contraddizione (vulnerando cosi'  i  principi  di
uguaglianza e ragionevolezza) con la censurata  scelta  normativa  di
escludere che la Pubblica  amministrazione,  chiamata  a  valutare  e
delibare l'istanza di rinnovo del  permesso  di  soggiorno,  possa  a
propria volta tener conto  di  quella  stessa  e  graduata  scala  di
riferimento. 
    Il rimettente - richiamata  la  giurisprudenza  costituzionale  e
della Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  che,  in  materia  di
regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno  dello  straniero  nel
territorio  nazionale,  afferma   che   la   ampia   discrezionalita'
attribuita  al  legislatore  trova  il  suo  limite  nella  manifesta
irragionevolezza e mancata proporzionalita' delle scelte (sentenze n.
148 del 2008, n. 206 del 2006 e n. 62 del 2004; nonche' Dalia  contro
Francia, sentenza 19 febbraio 1998; Maslov contro  Austria,  sentenza
23 giugno 2008) - rileva che anche l'automatismo espulsivo,  riflesso
della pur riconosciuta discrezionalita' legislativa, e' destinato  ad
incontrare i limiti segnati dai precetti costituzionali,  per  essere
in armonia con  l'art.  3  Cost.,  occorrendo  dunque  che  esso  sia
conforme a criteri di intrinseca  ragionevolezza  secondo  l'id  quod
plerumque accidit (sentenze n. 231 e n. 164 del 2011; n. 265 e n. 139
del 2010). 
    Pertanto, pur non ignorando che, con sentenza n. 148 del 2008, la
Corte ha dichiarato non fondata una analoga questione di legittimita'
costituzionale  delle  stesse  disposizioni  in  esame,  il  Collegio
sottolinea  come  sia  venuta  progressivamente  ad  affermarsi,   in
generale,  una  tutela  "rafforzata"  dello  "statuto"  del  soggetto
extracomunitario, che ha portato (appunto con le sentenze n. 202  del
2013 e n. 172 del 2012) ad un significativo approfondimento in ordine
alla valenza delle presunzioni assolute e generalizzate  fissate  dal
legislatore in tema di pericolosita', delimitando e contenendo  detto
automatismo  in   termini   di   ragionevolezza   costituzionale,   e
coordinando  le  norme  dettate  dal  legislatore   in   materia   di
immigrazione con l'inquadramento e le differenziazioni stabilite  dal
legislatore in materia penale.  Secondo  il  rimettente,  infatti,  i
principi stabiliti nella citata sentenza n.  172  del  2012  appaiono
riferibili anche alle norme che regolano il rinnovo del  permesso  di
soggiorno, nella parte in cui queste prevedono il diniego  automatico
in  mera  presenza  di  condanne  penali  riportate   dal   cittadino
extracomunitario anche per reati esclusi dal novero di quelli  per  i
quali (art. 380 cod. proc. pen.) il legislatore  prescrive  l'arresto
obbligatorio. 
    2.- Nel corso di altro analogo giudizio, promosso da un cittadino
extracomunitario avverso il provvedimento di rigetto della  richiesta
di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo  -
ugualmente adottato  dalla  competente  autorita'  amministrativa  in
ragione del fatto che il ricorrente aveva subito anch'esso, a seguito
di patteggiamento, una condanna per il delitto  di  cui  al  comma  5
dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 - il Tribunale  regionale  di
giustizia amministrativa di Trento, con ordinanza emessa il 17  marzo
2014 (iscritta al n.  115  del  registro  ordinanze  del  2014),  con
motivazioni  pressoche'  identiche,  ha  sollevato,  in   riferimento
all'art.   3   Cost.,   la   medesima   questione   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5,  del  d.lgs.  n.
286 del 1998, «nella parte in cui fanno derivare  automaticamente  il
rigetto  dell'istanza  di  rinnovo  del  permesso  di  soggiorno  del
cittadino extracomunitario dalla pronuncia, nei  suoi  confronti,  di
una sentenza di condanna per uno dei reati per i quali l'art. 381 del
cod. proc. pen. prevede l'arresto  facoltativo  in  flagranza,  senza
consentire che la pubblica amministrazione provveda ad accertare  che
il medesimo rappresenti una  minaccia  per  l'ordine  pubblico  o  la
sicurezza dello Stato». 
    3.- In entrambi i giudizi, si e'  costituito  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, che (con identiche argomentazioni) ha  concluso
per  la  inammissibilita'  e  per  l'infondatezza   della   sollevata
questione. 
    In particolare, la difesa dello Stato sottolinea  che  la  Corte,
con sentenza n. 148 del 2008 (richiamata dallo stesso rimettente), ha
gia'  dichiarato   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale esattamente dello stesso combinato disposto  dell'art.
4, comma 3, e dell'art. 5, comma  5,  del  d.lgs.  n.  286  del  1998
(allora sollevata in riferimento agli articoli 2, 3, 24  e  97  della
Costituzione), ritenendo  come  non  sia  irragionevole  condizionare
l'ingresso e la permanenza dello straniero nel  territorio  nazionale
alla circostanza della mancata commissione di  reati  di  non  scarso
rilievo; ed evidenziando che «in tale ordine di idee, la condanna per
un delitto punito con la pena detentiva,  la  cui  configurazione  e'
diretta a tutelare beni giuridici di rilevante valore sociale - quali
sono le fattispecie incriminate ivi  prese  in  considerazione  dalla
normativa censurata -  non  puo',  di  per  se',  essere  considerata
circostanza ininfluente ai fini di cui  trattasi,  al  punto  di  far
ritenere manifestamente irragionevole la disciplina  legislativa  che
siffatta condanna assume come circostanza  ostativa  all'accettazione
dello straniero nel territorio dello Stato». 
    Inoltre, l'Avvocatura rileva che tale linea interpretativa non e'
stata mutata dalle  successive  pronunce  (ed  in  particolare  dalla
sentenza  n.  172  del  2012),  che  anzi  ne   hanno   espressamente
riaffermato la portata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento,
con due ordinanze di contenuto pressoche' identico, censura gli artt.
4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.
286  (Testo  unico  delle  disposizioni  concernenti  la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello  straniero),  «nella
parte in cui fanno derivare automaticamente il  rigetto  dell'istanza
di rinnovo del permesso di soggiorno del  cittadino  extracomunitario
dalla pronuncia, nei suoi confronti, di una sentenza di condanna  per
uno dei reati per i quali l'art. 381  del  cod.  proc.  pen.  prevede
l'arresto facoltativo in flagranza, senza consentire che la  pubblica
amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una
minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato». 
    In particolare l'art. 4, comma 3, prevede  quanto  segue:  «Ferme
restando le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 4, l'Italia, in
armonia con gli obblighi assunti con l'adesione a  specifici  accordi
internazionali, consentira' l'ingresso nel  proprio  territorio  allo
straniero che dimostri di essere in possesso di idonea documentazione
atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonche'  la
disponibilita' di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata  del
soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno  per  motivi
di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza. I mezzi  di
sussistenza sono definiti con apposita direttiva emanata dal Ministro
dell'interno, sulla  base  dei  criteri  indicati  nel  documento  di
programmazione di cui all'articolo 3, comma  1.  Non  e'  ammesso  in
Italia lo straniero  che  non  soddisfi  tali  requisiti  o  che  sia
considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la  sicurezza  dello
Stato o di uno dei Paesi con  i  quali  l'Italia  abbia  sottoscritto
accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la
libera circolazione delle persone o che risulti condannato, anche con
sentenza non  definitiva,  compresa  quella  adottata  a  seguito  di
applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo  444  del
codice di procedura penale, per  reati  previsti  dall'articolo  380,
commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti
gli  stupefacenti,   la   liberta'   sessuale,   il   favoreggiamento
dell'immigrazione  clandestina  verso  l'Italia  e   dell'emigrazione
clandestina dall'Italia verso altri Stati  o  per  reati  diretti  al
reclutamento di  persone  da  destinare  alla  prostituzione  o  allo
sfruttamento  della  prostituzione  o  di  minori  da  impiegare   in
attivita' illecite. Impedisce l'ingresso dello  straniero  in  Italia
anche la condanna, con  sentenza  irrevocabile,  per  uno  dei  reati
previsti dalle disposizioni del titolo III,  capo  III,  sezione  II,
della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del  diritto
di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale. Lo straniero
per il quale e' richiesto il  ricongiungimento  familiare,  ai  sensi
dell'articolo 29, non e' ammesso in  Italia  quando  rappresenti  una
minaccia concreta e attuale per  l'ordine  pubblico  o  la  sicurezza
dello  Stato  o  di  uno  dei  Paesi  con  i  quali  l'Italia   abbia
sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere
interne e la libera circolazione delle persone». 
    A sua volta, l'art. 5, comma 5,  dispone  che:  «Il  permesso  di
soggiorno o il suo rinnovo  sono  rifiutati  e,  se  il  permesso  di
soggiorno e' stato rilasciato, esso e'  revocato,  quando  mancano  o
vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno
nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo
22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi  elementi  che
ne consentano il rilascio  e  che  non  si  tratti  di  irregolarita'
amministrative sanabili. Nell'adottare il  provvedimento  di  rifiuto
del rilascio, di revoca o di  diniego  di  rinnovo  del  permesso  di
soggiorno  dello  straniero  che  ha   esercitato   il   diritto   al
ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi
dell'articolo  29,  si  tiene  anche  conto  della  natura  e   della
effettivita' dei vincoli familiari dell'interessato e  dell'esistenza
di legami familiari e sociali con il suo  Paese  d'origine,  nonche',
per lo straniero gia' presente sul territorio nazionale, anche  della
durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale». 
    Secondo il rimettente, il combinato disposto  di  tali  norme  si
porrebbe  in  contrasto  con  l'art.  3  Cost.,   per   irragionevole
disparita'  di   trattamento,   giacche'   le   stesse   riconnettono
automaticamente il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno  alla
condanna penale, compresa quella adottata ai sensi dell'art. 444 cod.
proc. pen. (nella specie per violazione dell'art. 73,  comma  5,  del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, recante il «Testo unico delle leggi in
materia di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
tossicodipendenza») anche per reati per i quali e' previsto l'arresto
facoltativo in flagranza, ex art. 381 cod. proc. pen.; cosi'  ponendo
legislativamente, per i pari effetti "espulsivi", sull'identico piano
di disvalore dette condanne  con  quelle  riportate  per  reati  piu'
gravi, in cui l'arresto in flagranza e' previsto come obbligatorio ex
art. 380 cod. proc. pen. 
    Per il giudice a quo, la conseguente esclusione per  la  Pubblica
amministrazione del potere di valutare in concreto  la  pericolosita'
sociale del cittadino extracomunitario -  con  riguardo  ad  una  sua
condizione complessiva, che non si esaurisca  direttamente  nel  dato
penale, ma innesti quest'ultimo su altre  circostanze  "compensative"
(quali  la   condotta   successiva,   la   situazione   familiare   e
l'inserimento ed apprezzamento sociale) - contraddice la  progressiva
affermazione, fatta da questa Corte nelle sentenze n. 202 del 2013  e
n. 172 del 2012, di  una  tutela  "rafforzata"  dello  "statuto"  del
soggetto  extracomunitario,  che  ha  portato  ad  un   significativo
approfondimento  della   valenza   delle   presunzioni   assolute   e
generalizzate fissate  dal  legislatore  in  tema  di  pericolosita',
attraverso la delimitazione ed il contenimento di  detto  automatismo
in termini di ragionevolezza costituzionale. 
    2.- Le due ordinanze  di  rimessione  sollevano  (con  le  stesse
motivazioni) identiche questioni, e pertanto i  relativi  giudizi  di
legittimita' costituzionale vanno riuniti  per  essere  definiti  con
unica decisione. 
    3.- Le questioni sono inammissibili. 
    3.1.-  Per  porre  rimedio  al  lamentato  vulnus  che  le  norme
censurate arrecherebbero  agli  evocati  principi  di  uguaglianza  e
ragionevolezza, il Collegio rimettente ha mutuato pedissequamente  la
sua formulazione da quella accolta nella sentenza n. 172 del 2012, la
quale   rispondeva   alla   diversa   esigenza   di   ricondurre    a
costituzionalita'  una  specifica  disciplina  della  emersione   dei
lavoratori extracomunitari (di cui all'art. 1-ter, comma 13,  lettera
c, del decreto-legge 1° luglio 2009, n.  78,  recante  «Provvedimenti
anticrisi,   nonche'   proroga   di   termini»),   escludente   dalla
regolarizzazione coloro i quali risultassero «condannati,  anche  con
sentenza non definitiva [...],  per  uno  dei  reati  previsti  dagli
articoli 380 e 381» del  codice  di  procedura  penale.  Il  Collegio
chiede,  pertanto,  che  questa   Corte   dichiari   l'illegittimita'
costituzionale delle  norme  medesime,  «nella  parte  in  cui  fanno
derivare automaticamente  il  rigetto  dell'istanza  di  rinnovo  del
permesso di soggiorno del cittadino extracomunitario dalla pronuncia,
nei suoi confronti, di una sentenza di condanna per uno dei reati per
i quali l'art. 381 del cod. proc. pen. prevede l'arresto  facoltativo
in  flagranza,  senza  consentire  che  la  pubblica  amministrazione
provveda ad accertare che il medesimo rappresenti  una  minaccia  per
l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato». 
    3.2.- Formulato in questi termini ed in  riferimento  all'oggetto
del  presente  giudizio  di  costituzionalita',  il  petitum  risulta
connotato da un rilevante tasso di manipolativita'. 
    La richiesta pronuncia additiva  risulta,  invero,  espressamente
diretta ad una auspicata e radicale innovazione dell'attuale  sistema
identificativo delle  fattispecie  ostative  alla  concessione  o  al
rinnovo del permesso di soggiorno a seguito di  condanna  penale  del
richiedente. In sostituzione di  quello  censurato  (strutturato  dal
legislatore sulla duplice individuazione,  da  un  lato,  dei  «reati
previsti dall'articolo 380, commi 1 e  2,  del  codice  di  procedura
penale»; e, dall'altro, dei  «reati  inerenti  gli  stupefacenti,  la
liberta' sessuale, il favoreggiamento  dell'immigrazione  clandestina
verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri
Stati o per reati diretti al reclutamento  di  persone  da  destinare
alla prostituzione o  allo  sfruttamento  della  prostituzione  o  di
minori da impiegare in attivita' illecite») il  rimettente  chiede  a
questa Corte  l'introduzione  di  tutt'altro  criterio,  che  darebbe
esclusivo rilievo alla condanna del soggetto solo per uno  dei  reati
per i quali l'art. 381 cod. proc. pen. prevede l'arresto  facoltativo
in  flagranza,  con  cio'  eliminando  qualunque  possibile  autonoma
incidenza  ostativa  alla  condanna  per   le   singole   fattispecie
delittuose nominate dal censurato art. 4, comma 3 (tra cui,  appunto,
la categoria dei «reati inerenti gli stupefacenti»). 
    3.3.- Nel delineare le condizioni ostative collegate al  rilascio
o al rinnovo del permesso di  soggiorno  in  dipendenza  di  condanne
penali (anche non definitive,  a  differenza  di  quanto  domanda  il
giudice  a  quo  il  quale,  enunciando  il  petitum  in  termini  di
"condanna" parrebbe  evocare,  invece,  secondo  l'ordinario  lessico
normativo, una condanna irrevocabile), la scelta del  legislatore  e'
stata quella di dar vita  ad  un  sistema  "bipartito"  basato  sulla
enucleazione di due  criteri  concorrenti  di  natura  composita.  Il
primo, di tipo misto, riferito  ai  casi  per  i  quali  e'  previsto
l'arresto obbligatorio in flagranza; disciplina, quest'ultima, che, a
sua volta, risulta costruita (art. 380, commi 1 e 2, cod. proc. pen.)
su  base  in  parte  "quantitativa",  raccordata,  cioe',  alla  pena
prevista dalla legge, e, in parte, qualitativa, ragguagliata, quindi,
alla specificita' dei titoli di reato. L'altro paradigma,  del  tutto
peculiare, riferito non gia' ad  una  rassegna  quantitativa,  basata
sulla pena, ne' ad una indicazione qualitativa fondata su  specifiche
fattispecie delittuose, ma calibrato in funzione  di  "tipologie"  di
reati, individuati ratione materiae e raggruppati,  per  cosi'  dire,
all'interno di  complessi  normativi  delineati  solo  attraverso  il
richiamo ai relativi "settori di criminalita'". 
    La disamina delle "materie" evocate dalla normativa in  questione
(che riflette anche specifici  impegni  internazionali  derivanti  da
convenzioni o trattati o normativa  di  rango  comunitario)  dimostra
come sia  evidente  l'intendimento  del  legislatore  di  assumere  a
paradigma ostativo non certo la gravita' del fatto, in se' e per  se'
considerata, quanto - e soprattutto - la specifica natura del  reato,
riposando la sua scelta su una esigenza di conformazione agli impegni
di "inibitoria" di traffici riguardanti determinati settori  reputati
maggiormente sensibili. 
    Ne deriva, quindi, che la introduzione  di  un  modello  di  tipo
esclusivamente "quantitativo",  fondato,  cioe',  sulla  gravita'  in
concreto  del  fatto  e  sulla  sanzione  applicabile   (cosi'   come
pretenderebbe il giudice a quo) si tradurrebbe, non tanto in una pura
e  semplice  deroga  all'automatismo,  come  pur  si  insiste   nelle
ordinanze di rimessione, quanto nella creazione di un  "sistema"  del
tutto nuovo - diverso e alternativo - rispetto a  quello  prefigurato
dal legislatore. La "addizione", infatti, che il rimettente sollecita
non  si  circoscriverebbe  neppure  al  "caso"  a  lui  devoluto,  ma
prevederebbe per tutti i reati una soglia di divieto  di  automatismo
ove la pena sancita sia iscrivibile nella forbice  edittale  prevista
dall'art. 381 cod. proc. pen. per i casi di  arresto  facoltativo  in
flagranza. 
    3.4.- Poiche', dunque, il petitum formulato  si  connota  per  un
cospicuo tasso di  manipolativita',  derivante  anche  dalla  «natura
creativa»  e  «non  costituzionalmente  obbligata»  della   soluzione
evocata (sentenze n. 241, n. 81 e n. 30 del 2014;  ordinanza  n.  190
del 2013) - tanto piu'  vertendosi  in  materia  di  regolamentazione
dell'ingresso  e  del  soggiorno  dello  straniero   nel   territorio
nazionale,  rispetto  alla  conformazione  della   quale   e'   stata
riconosciuta ampia discrezionalita' del legislatore (sentenze n.  202
del 2013, n. 172 del 2012, n. 148 del 2008, n. 206 del 2006 e  n.  62
del 1994) -, le questioni devono essere dichiarate inammissibili. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale degli artt. 4, comma 3, e  5,  comma  5,  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello  straniero),  sollevate  -  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione - dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di
Trento, con le due ordinanze indicate in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'1 dicembre 2014. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI