N. 234 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 settembre 2014

Ordinanza del 18 settembre  2014  emessa  dalla  Corte  d'appello  di
Firenze nel procedimento civile promosso da Fondazione Teatro  Maggio
Musicale Fiorentino c/Mazzeranghi Maria Gaia. 
 
Lavoro e  occupazione  -  Rapporti  di  lavoro  subordinato  a  tempo
  determinato con fondazioni (nella specie rapporto di lavoro a tempo
  determinato alla dipendenza della Fondazione Teatro Maggio Musicale
  Fiorentino)   -   Previsione,   con   norma   autoqualificata    di
  interpretazione autentica, che l'art. 3, comma 6, primo periodo del
  d.l.  n.  64/2010,  convertito,  con  modificazioni,  in  legge  n.
  100/2010, si interpreta nel senso che alle  fondazioni,  fin  dalla
  loro  trasformazione  in  soggetti  di  diritto  privato,  non   si
  applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione
  del rapporto di lavoro  come  conseguenza  della  violazione  delle
  norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato
  a termine, di  proroga  o  di  rinnovo  dei  medesimi  contratti  -
  Violazione  del  principio  di  uguaglianza  per  irragionevole   e
  ingiustificato deteriore  trattamento  dei  lavoratori  degli  enti
  lirici  privatizzati  rispetto  agli  altri  lavoratori  privati  -
  Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, art. 40, comma 1-bis, aggiunto
  dalla legge 9 agosto 2013, n. 98. 
- Costituzione, artt. 3 e 117, primo comma, in relazione agli artt. 6
  e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e
  delle liberta' fondamentali. 
(GU n.53 del 24-12-2014 )
 
                   LA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE 
                           Sezione lavoro 
 
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  dandone  pubblica  lettura
all'esito dell'udienza del 18  settembre  2014  nella  causa  n.  567
R.Gen. 2013, promossa da Fondazione Teatro Maggio Musicale Fiorentino
in persona del legale rappresentante, con avvocato Andrea  Del  Re  -
appellante -, contro Mazzeranghi Maria Gaia nata il  21  maggio  1973
con avvocato Antonio Civitelli - appellata -. 
    Conclusioni: come in atti. 
    Oggetto: contratti a termine - Ente lirico -  Appello  contro  la
sentenza n. 1319 del 5 dicembre 2012 del Tribunale di Firenze giudice
del lavoro. 
 
                              Ordinanza 
 
    Il Tribunale di Firenze ha accolto la  domanda  di  «conversione»
del rapporto di lavoro a termine in tempo indeterminato  proposta  da
Mazzeranghi Maria Gaia, «tersicorea di fila con obbligo  di  solista»
occupata alle dipendenze  della  Fondazione  Teatro  Maggio  Musicale
Fiorentino, in base ad una serie di  n.  34  contratti  temporanei  a
partire dal 3 giugno 1997 e poi reiterati negli anni, (altri 7) anche
nel corso del giudizio stesso. 
    In particolare, il Tribunale ha cosi' statuito: 
        «Dichiara la nullita' del  termine  apposto  al  contratto  9
gennaio 2001 e quindi instauratosi tra le parti un rapporto di lavoro
a  tempo  indeterminato  da  tale  data,  con   inquadramento   della
ricorrente nel 6° e poi nel 5° livello del CCNL come in  motivazione,
rapporto tuttora in atto  e  in  relazione  al  quale  alla  prossima
scadenza la ricorrente ha diritto  alla  prosecuzione  del  servizio;
condanna la convenuta al pagamento in favore  di  (Mazzeranghi  Maria
Gaia) della indennita' omnicomprensiva di cui all'art. 32,  comma  5,
legge  n.  183/2010  nella  misura  di  sei  mensilita'   dell'ultima
retribuzione globale  di  fatto,  oltre  rivalutazione  monetaria  ed
interessi legali...etc.». 
    Il giudice del lavoro fiorentino ha ritenuto che - a partire  dal
gennaio 2001 - la sig.ra Mazzeranghi fu  stabilmente  inserita  nella
ordinaria produzione di spettacoli del Maggio Musicale senza  nessuna
reale, coerente e dimostrata esigenza di temporaneita', in violazione
dei principi fissati dall'art. 1, legge 18 aprile 1962,  n.  230.  Ha
altresi' giudicato  che  anche  i  successivi  contratti  (denunciati
anch'essi di nullita' dalla  interessata  quanto  alla  clausola  del
termine) fossero stati stipulati in violazione dell'art. 1, d.lgs.  6
settembre 2001, n. 368 in quanto privi di effettiva motivazione. 
    L'esame dei contratti di lavoro prodotti in atti e la loro stessa
cadenza e  reiterazione  induce  questo  Collegio  a  condividere  la
decisione del Tribunale di Firenze, in quanto le assunzioni a termine
di Mazzeranghi avvennero costantemente con  il  dichiarato  scopo  di
assicurare l'espletamento della ordinaria programmazione  del  Teatro
senza  riferimento  a  specifici  spettacoli  e  anche  al  di  fuori
dell'impegno originariamente preventivato. 
    In diritto, la sentenza impugnata - che ha correttamente rilevato
il carattere privatistico dei  rapporti  di  lavoro  in  esame  -  si
sottrae alle censure della Fondazione appellante, anche alla  stregua
anche dell'insegnamento di Cass. 12 marzo 2014, n. 5748: 
        «Successivamente alla trasformazione (a partire, dunque,  dal
23 maggio 1998), e fino all'entrata in vigore del decreto legislativo
n. 368/2001, ai contratti  di  lavoro  a  termine  stipulati  con  le
fondazioni lirico-sinfoniche si applica la disciplina prevista  dalla
legge 18 aprile 1962,  n.  230,  con  l'unica  esclusione  costituita
dell'art. 2 legge cit., relativa alla proroghe, alla prosecuzione  ed
ai  rinnovi  dei  contratti  a  tempo  determinato,  come   stabilito
dall'art. 22 del decreto legislativo 29 giugno  1996,  n.  367.  Dopo
l'entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368,
ai contratti di  lavoro  a  termine  stipulati  dal  personale  delle
fondazioni lirico-sinfoniche previste dal decreto legislativo del  29
giugno 1996, n. 367, si applicano le disposizioni di cui  al  decreto
legislativo  n.  368/2001,  con  le  uniche   esclusioni   costituite
dall'art. 4, relativo alle proroghe, e  dall'art.  5,  relativo  alle
prosecuzioni ed ai rinnovi, come stabilito dall'art.  11,  comma  4°,
decreto legislativo n. 368/2001.» 
    Nel caso concreto, risultano in ogni caso violate  le  previsioni
della legge n. 230/1962 e poi del  d.lgs.  n.  368/2001,  alle  quali
l'ente  privatizzato   doveva   attenersi,   secondo   il   ricordato
insegnamento di Cass. n. 5748/2014, in quanto i reiterati rapporti  a
termine  si  sono  stabilmente  inseriti  nell'ordinaria   necessita'
produttiva del Teatro. 
    Cio'  posto,  un  primo  intervento  del  legislatore  in  questa
specifica  materia  si  e'  avuto  con  l'art.  3,  comma   6°,   del
decreto-legge  30  aprile  2010,  n.  64,  convertito  in  legge  con
modificazioni, con legge 29 giugno 2010,  n.  100,  che  ha  disposto
«alle fondazioni lirico-sinfoniche,  fin  dalla  loro  trasformazione
soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi l'art. 3,  quarto
e quinto comma, della legge 22  luglio  1977,  n.  426  e  successive
modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati
dopo la loro trasformazione in  soggetti  di  diritto  privato  e  al
periodo  anteriore  alla  data  di  entrata  in  vigore  del  decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368». 
    In proposito, questo Collegio  condivide  quanto  statuito  dalla
gia' citata Cass.  n.  5748/2010,  con  la  quale  il  giudice  della
nomofilachia ha ritenuto che l'intervento normativo  del  2010  sopra
riportato «ha un valore meramente confermativo della inapplicabilita'
ai rapporti in esame delle norme in tema di rinnovi dei  contratti  a
tempo determinati, dovendosi intendere  tale  termine  riferito  alla
continuazione del rapporto di lavoro dopo la sua scadenza  e  per  un
periodo superiore a quello indicato dal legislatore, la  riassunzione
del lavoratore effettuata prima della  scadenza  del  periodo  minimo
fissato dalla legge, nonche', infine, il  fenomeno  delle  assunzioni
successive  alla  scadenza  del  termine   e   senza   soluzioni   di
continuita'. L'art. 3 non  riguarda  invece  i  vizi  afferenti  alla
mancanza dell'atto scritto e alla insussistenza delle ipotesi tipiche
ovvero delle ragioni di carattere tecnico, produttivo,  organizzativo
o sostitutivo che legittimano l'apposizione del termine» (per analoga
interpretazione vedi motivazione di Cass. 26 maggio 2011, n. 11573). 
    Giova aggiungere che nello  stesso  senso  si  era  orientata  la
prevalente    giurisprudenza    di    merito,     favorevole     alla
«stabilizzazione» di siffatti rapporti di lavoro a termine  stipulati
«contra legem» dagli enti lirici, senza che l'intervento  legislativo
del 2010 influenzasse la specifica materia  della  insussistenza  «ab
origine» delle situazioni legittimanti l'assunzione temporanea. 
    A questo punto, si aveva un nuovo intervento del legislatore  con
l'art. 40, comma 1-bis, d.l. 21 giugno 2013, n.  69,  convertito  con
modifiche in legge 9 agosto  2013,  n.  98,  che  sotto  la  rubrica:
(Riequilibrio finanziario dello stato di previsione della  spesa  del
Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo),  cosi'
dispone: 
        «1-bis. L'art. 3, comma 6, primo periodo,  del  decreto-legge
30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge  29
giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni, fin
dalla loro trasformazione in soggetti  di  diritto  privato,  non  si
applicano le disposizioni di legge che prevedono  la  stabilizzazione
del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle  norme
in materia di stipulazione  di  contratti  di  lavoro  subordinato  a
termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi contratti». 
    Ritiene il Collegio che, sotto la apparente forma interpretativa,
l'art. 40, comma 1-bis,  ora  riportato,  introduca  in  realta'  una
disposizione innovativa e retroattiva che interviene  a  privare  del
diritto   alla   conversione   del   rapporto   (o   comunque    alla
stabilizzazione dello stesso)  i  soggetti,  come  Mazzeranghi  Maria
Gaia, i quali frattanto avevano gia' ottenuto una sentenza favorevole
del giudice del lavoro  (nel  nostro  caso,  la  sentenza  risale  al
dicembre 2012). 
    La questione della legittimita' costituzionale  del  citato  art.
40, comma 1-bis, e' quindi rilevante in  quanto  investe  un  aspetto
decisivo della presente controversia. 
    La stessa Fondazione appellante (nella memoria 1° agosto 2014) ha
ricordato che, a  seguito  dell'entrata  in  vigore  della  legge  n.
183/2010, che poneva un termine di  decadenza  per  siffatte  azioni,
«molti  dipendenti  (assunti  a  termine)  dalle  Fondazioni   lirico
sinfoniche hanno impugnato i  detti  contratti».  Esisteva  cioe'  un
vasto  contenzioso  che  interessava  il  limitato  numero  di   enti
privatizzati e gia' contemplati dalla legge n. 800/1967 ed un  gruppo
di lavoratori individuabili nominativamente. 
    Piu' in particolare, l'art. 40, comma 1-bis, d.l. 21 giugno 2013,
n. 69, convertito con modificazioni in legge 9 agosto  2013,  n.  98,
costituisce una risposta legislativa al fatto che un certo numero  di
lavoratori dipendenti precari degli enti lirici - come Mazzeranghi  -
stavano   conseguendo   pronunzie    giudiziali    favorevoli    alla
«conversione» dei rapporti di lavoro illegittimi: pronunzie di merito
avvalorate dalla giurisprudenza  della  Cassazione  sopra  citata  (e
dalla circostanza che  l'intervento  normativo  del  2010  era  stato
giudicato non pertinente e quindi non idoneo a vanificare  le  sempre
piu' numerose sentenze favorevoli ai lavoratori). 
    E' noto, d'altra parte, che, alla stregua del complesso normativo
sopra citato, il numero degli enti lirici privatizzati costituisce un
ambito assai circoscritto  di  datori  di  lavoro  e  che,  pertanto,
l'intervento  della  legge  retroattiva  del  2013  viene  a  colpire
(risalendo indietro nel tempo) un ristretto numero di lavoratori  ben
individuabili nominativamente, i quali ricevono cosi' un singolare  e
non giustificato trattamento normativo difforme e deteriore  rispetto
alla generalita' dei lavoratori a  termine  nel  settore  privato,  i
quali, nello stesso periodo (dal 23 maggio 1998 al  9  agosto  2013),
sono stati parimenti soggetti alla legge 18 aprile 1962, n. 230 e  al
d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368. 
    Ne' vale l'obiezione per cui l'art. 36, d.lgs. n.  165/2001  gia'
contempla  il  divieto  di  «conversione»  dei  rapporti   irregolari
dell'impiego pubblico, in quanto un  simile  argomento  trascura  che
Mazzeranghi (e gli  altri  precari  in  analoga  condizione)  sono  e
restano dipendenti privati (che  verrebbero  a  ricevere  un  solo  e
deteriore aspetto del trattamento normativo del pubblico impiego). 
    In tal senso, il Collegio giudica rilevante e non  manifestamente
infondata la eccezione di illegittimita'  costituzionale  prospettata
dalla difesa della appellata nella memoria difensiva del 19  febbraio
2014 in relazione all'art. 3 Cost. sotto  il  duplice  profilo  della
irragionevolezza e della non giustificata disparita' di trattamento. 
    Bisogna poi considerare che  l'art.  40,  comma  1-bis,  d.l.  21
giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, in legge 9  agosto
2013,  n.  98,  e'  intervenuto  retroattivamente  a  modificare  una
situazione di diritto nella quale Mazzeranghi Maria Gaia  si  trovava
da oltre 15 anni (maggio  1998)  e  nella  quale  faceva  ragionevole
affidamento avendo peraltro gia' ottenuto riconoscimento  dei  propri
diritti con la sentenza n. 1319 del 5 dicembre 2012 del Tribunale  di
Firenze giudice del lavoro. 
    Anche recentemente Cass. 12 agosto 2014, n. 17892, ha svolto  una
serie di considerazioni che questo Collegio deve richiamare in quando
risultano del tutto pertinenti alla fattispecie in esame: 
        «Deve inoltre considerarsi che il giudice delle  leggi  (cfr.
ex aliis, C. Cost. n. 78/2012),  ha  in  piu'  occasioni  chiarito  i
limiti che il legislatore incontra  nell'emanare  norme  retroattive,
anche di  interpretazione  autentica,  individuandolo,  in  generale,
nell'esigenza  di  tutelare  principi,  diritti  e  beni  di  rilievo
costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi  imperativi  di
interesse generale», ai sensi della Convenzione europea  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU).»; 
        «Ha quindi stabilito che la norma che deriva dalla  legge  di
interpretazione autentica  puo'  dirsi  costituzionalmente  legittima
innanzitutto  qualora  si  limiti  ad  assegnare  alla   disposizione
interpretata un significato gia'  in  essa  contenuto,  riconoscibile
come una delle possibili letture del testo  originario  (ex  plurimis
sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n.  209  del  2010  e  n.  24  del
2009).»; 
        «In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di
chiarire "situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo",  in
ragione di "un dibattito giurisprudenziale  irrisolto"  (sentenza  n.
311 del 2009), o di  "ristabilire  un'interpretazione  piu'  aderente
alla originaria volonta' del legislatore" (ancora sentenza n. 311 del
2009), a tutela della certezza del  diritto  e  dell'eguaglianza  dei
cittadini,   cioe'    di    principi    di    preminente    interesse
costituzionale.». 
    Ipotesi queste che non possono ravvisarsi nella  specie,  ove  e'
riconosciuta legittimita' ed efficacia, con effetto retroattivo ed  a
distanza di oltre dieci anni, con relativo vulnus alla  certezza  del
diritto, a delibere peggiorative di una sola categoria di  assicurati
(gia' pensionati), in contrasto  con  quanto  affermato  dal  giudice
delle  leggi  circa   il   rispetto   del   principio   generale   di
ragionevolezza,  che  si   riflette   nel   divieto   di   introdurre
ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela  dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale  principio  connaturato  allo
Stato  di  diritto;  la  coerenza  e  la  certezza   dell'ordinamento
giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al
potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010, citata, punto  5A,  del
Considerato in diritto). 
    Nella specie non puo' ritenersi che sussistano  detti  requisiti,
in primo luogo difettando una situazione di oggettiva incertezza  del
dato  normativo,  sussistendo  in  materia  un  ampio,  e  da   tempo
consolidato, univoco orientamento di legittimita', in senso  peraltro
opposto a quello della  novella  in  esame,  che  si  pone  cosi'  in
contrasto con gli ultimi dei limiti indicati. 
    La soluzione fatta  propria  dal  legislatore  con  la  norma  in
questione,  inoltre,  non  puo'  essere  considerata  una   possibile
variante  di  senso  del  testo  originario   della   norma   oggetto
d'interpretazione, quanto piuttosto  una  norma  innovativa,  diretta
esclusivamente  a  rendere  retroattivamente  legittimi  gli  atti  e
delibere emanati dalla Cassa in contrasto con  le  norme  vigenti  in
materia, come evincibili dal consolidato orientamento di legittimita'
in argomento. 
    Anche nel caso che interessa  Mazzeranghi  e  la  Fondazione  del
Maggio Musicale Fiorentino  si  deve  sottolineare  che  l'intervento
della legge di  conversione  n.  98/2013,  lungi  dall'esprimere  una
soluzione ermeneutica rientrante tra i significati  ascrivibili  alla
normativa previgente (e anzi in coincidenza  temporale  con  sentenze
della  Cassazione  di  segno  opposto)  e'  intervenuta  a   derogare
all'assetto esistente e  a  frustrare  l'affidamento  dei  lavoratori
interessati,  in  palese  contrasto   col   divieto   di   introdurre
ingiustificate disparita' di trattamento e in dispregio della  tutela
dell'affidamento legittimamente sorto nei lavoratori coinvolti  (cfr.
da ultimo C. Cost. n. 170/2013, n. 103/2013, n. 271/2011). 
    La norma in questione, inoltre, facendo retroagire la  disciplina
in essa prevista al maggio 1998, non rispetta i principi generali  di
eguaglianza e ragionevolezza (cfr. C. Cost. n. 209 del 2010). 
    In  questi  casi  -  trattandosi  peraltro   di   un   intervento
legislativo ispirato a mere finalita' di risparmio di spese in  danno
di  un  numero  circoscritto  di   lavoratori   degli   enti   lirici
individuabili nominativamente - valgono le ulteriori e  condivisibili
considerazioni gia' svolte dalla citata Cass. n. 17892/2014 citata: 
        «Ne' puo' venire in considerazione, nel contesto riferito, il
principio della discrezionalita' del legislatore  nel  collocare  nel
tempo le innovazioni normative (C. Cost. ordinanze n. 137 e  346  del
2008). E' peraltro noto che, a partire dalle sentenze n.  348  e  349
del 2007, la giurisprudenza della Corte  costituzionale  e'  costante
nel  ritenere  che  le  norme  della  CEDU  -  nel  significato  loro
attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo,  specificamente
istituita  per  dare  ad  esse  interpretazione  e   applicazione   -
integrino, quali  "norme  interposte",  il  parametro  costituzionale
espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone
la conformazione della  legislazione  interna  ai  vincoli  derivanti
dagli obblighi internazionali (ex plurimis, sentenze n. 1  del  2011;
n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010; sulla perdurante validita' di  tale
ricostruzione anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona,
sentenza n. 80 del 2011).»; 
        «La  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  ha  piu'  volte
affermato che se, in  linea  di  principio,  nulla  vieta  al  potere
legislativo  di  regolamentare   in   materia   civile,   con   nuove
disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti  da  leggi
in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di
processo equo sanciti dall'art. 6 della Convenzione ostano, salvo che
per imperative  ragioni  di  interesse  generale,  all'ingerenza  del
potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, al  fine  di
influenzare l'esito giudiziario di una controversia (ex plurimis,  v.
Corte europea, sentenza sezione seconda, 7  giugno  2011,  Agrati  ed
altri contro Italia; sezione seconda, 31 maggio 2011,  Maggio  contro
Italia; sezione quinta, 11 febbraio 2010,  Javaugue  contro  Francia;
sezione seconda, 10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia).»; 
        «Pertanto, secondo  il  giudice  delle  leggi,  sussiste  uno
spazio, sia pur delimitato, per un  intervento  del  legislatore  con
efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all'art. 25  Cost.),  se
giustificato da "motivi imperativi d'interesse generale". Nel caso in
esame, come si evince dalle considerazioni sopra svolte, non e'  dato
ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi  d'interesse  generale,
idonei ad attribuire effetto retroattivo alla norma in questione.  Ne
segue che risulta violato anche  il  parametro  costituito  dall'art.
117, primo comma, Cost., in relazione all'art.  6  della  Convenzione
europea, come  interpretato  dalla  Corte  di  Strasburgo,  incidendo
sull'esito giudiziario di controversie in corso». 
    Nel caso in esame, ritiene il Collegio che non siano  ravvisabili
i gia' ricordati motivi  imperativi  di  interesse  generale  (tenuto
conto anche del permanente  carattere  privato  delle  Fondazioni  in
questione), mentre e' palese l'intento del legislatore di intervenire
con norme innovative sull'esito di un ristretto numero di giudizi  in
corso. 
    Ne segue che appare palese  la  violazione  anche  del  parametro
costituito dall'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt.
6 e 13 della Convenzione europea, come interpretato  dalla  Corte  di
Strasburgo. Va  dunque  sollevata,  anche  di  ufficio,  la  relativa
questione  di   costituzionalita'   in   quanto   rilevante   e   non
manifestamente infondata: cosi' interpretando comunque il Collegio la
univoca doglianza prospettata dalla difesa della appellata (pagg.  27
e seguenti della memoria difensiva) circa  il  carattere  retroattivo
della legge  del  2013  e  la  mancanza  dei  «motivi  imperativi  di
interesse generale» e i connessi richiami  giurisprudenziali  (mentre
il riferimento ai parametri di cui agli artt. 35 e  36  Cost.  sembra
manifestamente infondato). 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87: 
        1) solleva  la  questione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 40, comma 1-bis, d.l. 21 giugno 2013,  n.  69,  convertito,
con modificazioni, in legge 9 agosto  2013,  n.  98,  per  violazione
degli artt. 3 e 117, comma 1, Cost. in relazione agli artt.  6  e  13
della CEDU; 
        2) sospende il giudizio in corso e  dispone  la  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale; 
        3)  dispone  che,  a  cura  della  cancelleria,  la  presente
ordinanza sia notificata al presidente del Consiglio dei  ministri  e
sia  comunicata  altresi'  ai  Presidenti  delle   due   Camere   del
Parlamento. 
 
          Cosi' deciso in Firenze il 18 settembre 2014. 
 
                       Il Presidente: Bronzini