N. 245 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 giugno 2014

Ordinanza del 24 giugno 2014 del G.I.P. del  Tribunale  di  Catanzaro
nel procedimento penale a carico di G. M.. 
 
Processo penale - Misure cautelari - Criteri di scelta delle misure -
  Mancata previsione del divieto della custodia cautelare in  carcere
  nel caso di imputata (nella specie, del  delitto  di  cui  all'art.
  416-bis  cod.  pen.)  madre  di  un  figlio  minore  totalmente   o
  gravemente invalido, con lei convivente e che, per  le  difficolta'
  persistenti a svolgere i compiti e le funzioni  proprie  della  sua
  eta', necessiti della costante presenza della  madre  -  Violazione
  del  principio  di  ragionevolezza  -  Disparita'  di   trattamento
  rispetto alla madre di prole di  eta'  inferiore  ad  anni  sei  in
  analoga situazione - Lesione del diritto  alla  salute  del  minore
  disabile. 
- Codice di procedura penale, art. 275, comma 4. 
- Costituzione, artt. 3 e 32. 
(GU n.2 del 14-1-2015 )
 
                       TRIBUNALE DI CATANZARO 
           Sezione del Giudice per le indagini preliminari 
 
    Il G.I.P., dott. Pietro Scuteri nel procedimento sopra  rubricato
a carico, tra gli altri, di G. M, nata a  ///,  attualmente  detenuta
presso la casa circondariale di  Reggio  Calabria,  difesa  dall'avv.
Lucio Canzoniere del foro di Lamezia Terme, imputata del delitto p. e
p. dall'art. 416-bis del c.p.  (capo  1  dell'ordinanza  di  custodia
cautelare dell'8 maggio 2014,  emessa  nell'ambito  del  procedimento
penale in epigrafe indicato convenzionalmente denominato «C. »). 
    Rilevato che con istanza ex art. 299 c.p.p., depositata in data 6
giugno 2014, la difesa  dell'indagata  ha  chiesto  la  revoca  della
massima misura cautelare di rigore o in subordine la sostituzione con
quella degli arresti domiciliari. 
    Rilevato   che   a   fondamento   dell'istanza,   corredata    da
documentazione (segnatamente: lettera di dimissione  del  Policlinico
San Donato Milanese, centro di cardiologia pediatrica del  19  maggio
2014 relativa alla figlia R. F. - certificato di stato  di  famiglia;
copia del certificato di pensione INPS relativo alla figlia R.  F.  -
decreto di computo di custodia cautelare e  delle  pene  espiate  per
altro reato relativo al marito R. G.), l'istante deduce che la figlia
dell'indagata, R. F. e' soggetto  invalido  bisognoso  di  assistenza
materna e che il prossimo 17 luglio  2014  la  minore  dovra'  essere
sottoposta ad intervento cardiochirurgico. 
    Acquisito l'articolato parere del P.M. in data 6 giugno 2014. 
    Acquisita la documentazione integrativa depositata  dalla  difesa
in data 20 giugno 2014 in ottemperanza  all'ordinanza  interlocutoria
del 9 giugno 2014. 
    Rilevato che il titolo  del  reato  per  il  quale  l'istante  e'
cautelata, articoli 110, 416-bis del c.p., ai  sensi  dell'art.  275,
comma 3 del c.p.p. non  consente  l'applicazione  di  misura  diversa
rispetto alla custodia cautelate in carcere. 
    Rilevato che il titolo  del  reato  per  il  quale  l'istante  e'
cautelata, articoli 110, 416-bis del c.p., ai  sensi  dell'art.  275,
comma 3 del c.p.p. non  consente  l'applicazione  di  misura  diversa
rispetto alla custodia cautelare in carcere. 
    Ritenuto che, nel caso di specie,  in  cui,  peraltro,  l'istante
chiede la revoca  o  la  sostituzione  della  misura  della  custodia
cautelare  in  carcere  con  quella  degli  arresti  domiciliari,  la
presunzione legislativa di sussistenza delle esigenze  cautelari  non
puo' ritenersi superata con  riferimento  all'art.  274,  lettera  c)
c.p.p. essendo, a parere dello scrivente, ancora attuali le  esigenze
cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. (come recentemente ravvisate  in
sede di applicazione della misura cautelare) le quali possono  essere
correttamente dedotte: 
    1) dalle modalita' dei fatti e dalla personalita' dell'agente che
in esse si manifesta, con particolare riferimento  al  reato  di  cui
all'art. 416-bis c.p. (elemento di per se' idoneo  a  determinare  un
apprezzamento  parimenti  utile  per  ritenere  la  sussistenza   del
concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie,  alla
luce delle modalita' del fatto); 
    2) dalla condotta criminosa sintomatica di uno stile di vita  che
di per se' impone una prognosi infausta concretante  le  esigenze  di
prevenzione. 
    Ritenuto altresi'  che  nel  caso  in  esame  si  evidenzia,  con
particolare rilevanza, la illegittimita' costituzionale  della  norma
citata  (art.  275,  comma  2  c.p.p.)  con  riferimento   non   alla
presunzione  di  sussistenza  delle  esigenze  cautelari,  bensi'  al
divieto di applicazione di diverse misure che  possano  garantire  le
esigenze. 
 
                          Osserva e rileva 
 
    1. Non appare manifestamente infondata  -  con  riferimento  agli
articoli 3 e 32 della Costituzione - la questione  di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 275, comma 4 del codice di procedura  penale
nella parte in cui non  prevede  che  non  puo'  essere  disposta  la
custodia cautelare in carcere quando imputata sia madre di un  figlio
maggiore degli anni  sei,  con  lei  convivente,  che  per  le  gravi
condizioni di salute in cui versa necessiti della  costante  presenza
ed assistenza della madre. 
    In particolare ritiene lo scrivente che trattasi di  questione  -
oltre che non manifestamente infondata per le ragioni che  meglio  si
esporranno infra - rilevante nel caso di specie. 
    In merito si osserva, infatti, che: 
    1) l'indagata G. M., madre convivente, della  misura  R.  F.,  di
anni sei e mesi nove, e' detenuta in regime di custodia cautelare  in
carcere perche' gravemente indiziata  del  delitto  di  cui  all'art.
416-bis c.p.; 
    2) la minore R. F. e' soggetto affetto  da  gravi  patologie  sin
dalla tenerissima  eta',  in  condizione  di  invalidita',  tanto  da
beneficiare  di  pensione  di  invalidita'  INPS  [cfr.   copia   del
certificato di pensione e lettera di dimissione del  Policlinico  San
Donato Milanese, centro di cardiologia pediatrica del 19 maggio 2014,
nonche' verbale  di  verifica  di  invalidita'  civile  dell'INPS  di
Lamezia  Terme  del  5  novembre  2013  nel  quale  sotto   la   voce
«invalidita' accertata» si legge  «minore  invalido  con  difficolta'
persistenti a svolgere i compiti e  le  funzioni  proprie  della  sua
eta-indennita' di frequenza»]; 
    3) R.  G.  marito  della  G.,  nonche'  padre  della  minore,  e'
anch'esso ristretto in regime di custodia cautelare  in  carcere,  in
espiazione pena, con scadenza 15  aprile  2024  (cfr.  certificazione
prodotta dalla difesa). 
    2. Come detto, G. M. e' cautelata per il reato  di  cui  all'art.
416-bis c.p., ossia per una  fattispecie  delittuosa  ricompresa  tra
quelle previste dall'art. 275,  comma  3  c.p.p.  per  le  quali,  in
presenza delle esigenze cautelari di  cui  all'art.  274  c.p.p.,  il
legislatore  ha   previsto   -   in   deroga   all'ordinario   potere
discrezionale del giudice di valutare e scegliere quale sia la misura
cautelare proporzionata ai fatti concreti ed adeguata a  tutelare  le
esigenze cautelati - una presunzione  di  adeguatezza  della  massima
misura di rigore. 
    Tale presunzione -  salvo  l'essere  superata  dalla  valutazione
circa l'assenza di esigenze cautelali - e' derogabile solo in ipotesi
tassative previste dallo stesso art. 275 c.p.p. 
    L'art. 275 ai commi 4 e 4-bis  c.p.p.  prevede,  infatti,  alcune
specifiche (tassative) ipotesi  in  presenza  delle  quali  non  puo'
essere disposta la misura della custodia in carcere, se non  in  caso
di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, ed in presenza  della
quali puo' essere applicata una misura cautelare diversa tra  cui  la
misura cautelare detta detenzione domiciliare. 
    Tali ipotesi sono: 
    1) quella in cui imputata siano donna incinta o madre di prole di
eta' inferiore a sei anni con lei convivente, ovvero  padre,  qualora
la  madre  sia  deceduta  o  assolutamente  impossibilitata  a   dare
assistenza alla prole; 
    2) quella in cui imputata sia persona che ha superato  l'eta'  di
settanta anni; 
    3) quella in cui imputata e' persona affetta da AIDS conclamata o
da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'art. 286-bis,
comma 2; 
    4) quella in cui imputata e' persona affetta  da  altra  malattia
particolarmente grave, per effetto della quale le sue  condizioni  di
salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e  comunque
tali da non  consentire  adeguate  cure  in  caso  di  detenzione  in
carcere. 
    Con le norme in questione, in sostanza, il  legislatore  codifica
il principio di attenuazione della custodia cautelare in carcere  nei
confronti di persone le quali si trovino  in  particolari  condizioni
soggettive  che  di  per  se'  sconsiglierebbero  la  restrizione  in
carcere. 
    Le quattro ipotesi, seppur  differenti  nella  loro  peculiarita'
l'una dall'altra, presentano un comune denominatore ravvisabile nella
necessita' di garantire la protezione di «soggetti  deboli»  peraltro
non  necessariamente  coincidenti  con   il   soggetto   destinatario
esclusivo della misura cautelare. 
    In particolare infatti, nel primo caso - a differenza degli altri
in cui il soggetto debole e', per lo suo stesse condizioni di salute,
il cautelato - il beneficiario mediato della previsione, normativa e'
il minore infraseienne convivente, per assicurare la tutela del quale
il legislatore prescrive il divieto di custodia cautelare in  carcere
della madre  ovvero  del  padre  qualora  la  madre  sia  deceduta  o
assolutamente impossibilitata a prestargli assistenza. 
    Tali ipotesi, corno detto, sono tassative e non  suscettibili  di
interpretazione analogica. 
    Intervenendo in ordine a  tale  questione,  infatti,  la  Suprema
corte ha chiarito  che  «in  tema  di  provvedimenti  coercitivi,  il
divieto di  disporre  la  custodia  cautelare  in  carcere,  previsto
dall'art. 275,  comma  quarto  cod.  proc.  pen.,  costituendo  norma
eccezionale, non e' applicabile estensivamente ad altre  ipotesi  non
espressamente contemplate» [cfr. Cass. Sez. 4, sentenza n. 42516  del
16 luglio 2009; si veda anche Cass. Sez. sentenza n. 32400/10 che  ha
ribadito che «la norma  (art.  275,  comma  4  c.p.p.)  ha  carattere
eccezionale e ne e' preclusa l'applicazione a casi analoghi»]. 
    Tale orientamento interpretativo che impedisce  l'interpretazione
analogica  della  norma  in  oggetto  deve  ritenersi   assolutamente
pacifico. 
    Al fine  evidenziare  la  legittimita'  di  tale  orientamento  i
Giudici supremi hanno, infatti, evidenziato - occupandosi di un  caso
analogo a quello in oggetto e relativo  ad  impugnazione  avverso  un
provvedimento con  il  quale  era  stata  respinta  la  richiesta  di
sostituzione  della  custodia  cautelare  in  carcere   con   arresti
domiciliari, avanzata sul  presupposto  della  necessita',  da  parte
dell'indagato, di assistere un figlio portatore di handicap e percio'
bisognevole  di  cure  continue  -  che  «in  tema  di  provvedimenti
coercitivi, la "ratio" della limitazione al  parere  del  giudice  di
scegliere la misura  cautelare  personale,  introdotta  dall'art.  5,
legge 8 agosto 1995, n. 332, che ha  modificato  l'art.  275,  quarto
comma, cod. proc. pen., secondo  cui  non  puo'  essere  disposta  la
custodia  cautelare  in  carcere,  salvo  casi  eccezionali,   quando
imputati siano donna incinta o madre di prole di  eta'  inferiore  ai
tre anni con lei convivente,  ovvero  padre,  qualora  la  madre  sia
deceduta o  assolutamente  impossibilitata  a  dare  assistenza  alla
prole, va individuata nell'avvertita esigenza di garantire  ai  figli
l'assistenza familiare in un momento particolarmente significativo  e
qualificante della loro formazione fisica e,  soprattutto,  psichica,
qual'e' quello fino ai tre anni; con il superamento di tale limite di
eta' puo', infatti, considerarsi concluso il primo e piu'  importante
ciclo formativo ed aperto uno nuovo,  nel  quale  le  esigenze  della
prole possono essere soddisfatte da un qualsiasi altro congiunto  ed,
all'occorrenza,  dai  pubblici  istituti  a  cio'  deputati.  Non  e'
pertanto consentito  interpretare  estensivamente  la  norma  fino  a
ricomprendere  nel  divieto  ivi  previsto  ulteriori  ipotesi,   non
espressamente contemplate, in cui si deduca la necessita',  da  parte
dell'indagato, di prestare assistenza a familiari diversi  da  quelli
indicati nella disposizione predetta» (cfr. Cass. Sez.  2,  sentenza.
n. 795 del 14 febbraio 1996). 
    La scelta legislativa di ancorare la  possibilita'  di  concedere
gli arresti domiciliari, al limite temporale (convenzionale) dei  sei
anni di eta' del figlio minore ed al  presupposto  della  convivenza,
impedisce, quindi, di fatto, anche un'interpretazione estensiva  tale
da ricomprendervi il caso di specie, con la conseguenza che, superato
tale limite di eta', in considerazione del fatto che lo  Stato  offre
(rectius dovrebbe offrire) le provvidenze legislative a favore  ed  a
sostegno  della  genitorialita'  [anche  attraverso  il  ricorso   ad
istituti sostitutivi ed economici, quali scuole primarie pubbliche  e
private convenzionate con il sistema  pubblico],  non  e'  invocatile
l'applicazione della norma in esame  anche  nell'ipotesi  in  cui  il
minore sia, per il suo stato  di  portatore  di  handicap  totalmente
invalidante,  incapace  di  provvedere  da  solo  anche   alle   piu'
elementari esigenze quotidiane ed anche se,  da  un  punto  di  vista
fisico o mentale (ma non anagrafico) si possa equiparare ad un minore
di anni sei. 
    Tirando  le  fila  di  quanto  sin  qui  detto,  puo',  pertanto,
affermarsi che, secondo le norme vigenti ed i  pacifici  orientamenti
giurisprudenziali richiamati: 
    le ipotesi previste dall'art. 275, comma 4 e 4-bis,  c.p.p.  sono
tassative; 
    le ipotesi suddette  non  sono  suscettibili  di  interpretazione
analogica, in quanto si tratta di una norma che introduce una  deroga
rispetto alla previsione del terzo comma relativa alla presunzione di
adeguatezza  della  misura  cautelare  in   carcere   peri   soggetti
gravemente indiziati di delitti ivi indicati; 
    con specifico riferimento alla  ipotesi  di  indagata  «madre  di
prole di eta' inferiore a sei anni», presupposti per  poter  disporre
l'applicazione della misura detentiva domiciliare sono: 
    1) l'assenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; 
    2) la convivenza tra l'indagata detenuta e il minore; 
    3) un'eta' del minore inferiore a sei anni; 
        non e'  possibile  operare  una  «interpretazione  estensiva»
della norma in oggetto in tutti i casi in cui sia superato il  limite
convenzionale  dei  sei  anni,   a   prescindere   dalle   condizioni
psicofisiche del minore convivente. 
    Cio'  posto,  ritiene  lo  scrivente  che  la  disciplina  appena
esposta;  in  guarito  finalizzata  alla  tutela  e   protezione   di
determinate categorie di soggetti «deboli», contrasti con i  principi
costituzionali di eguaglianza e di ragionevolezza per  la  previsione
di un trattamento difforme in ordine a situazioni familiari  analoghe
ed equiparabili fra loro, quali sono quelle della madre di un  figlio
minore degli anni sei e della madre di un figlio disabile e/o affetto
da patologia invalidante che lo renda incapace di provvedere da  solo
anche alle piu' elementari esigenze,  il  quale,  ancorche'  maggiore
degli anni sei, ha necessita' di essere assistito  dalla  madre  allo
stesso modo di un bambino di eta' inferiore, agli anni sei. 
    Il legislatore, come visto, ha previsto nell'art.  275,  comma  4
c.p.p., la possibilita' di concedere, in deroga alla  presunzione  di
adeguatezza  della  misura  cautelare  della  custodia  in   carcere,
l'applicazione della misura cautelare  alternativa  della  detenzione
domiciliare alla madre di prole di eta' inferiore a sei anni, con lei
convivente, ponendo quale condizione negativa l'assenza  di  esigenze
cautelari  di  eccezionale  rilevanza,  e   indipendentemente   dalla
presenza di altri familiari idonei a dare assistenza alla prole. 
    Secondo  l'orientamento  maggioritario  della  Suprema  Corte  di
cassazione in ratio  della  limitazione  al  potere  del  giudice  di
scegliere la misura cautelare personale,  introdotta  dalla  legge  8
agosto 1995, n. 332, art. 5, che ha  modificato  l'art.  275  c.p.p.,
comma 4 va individuata nell'avvertita esigenza di garantire ai  figli
l'assistenza familiare in un momento particolarmente significativo  e
qualificante della loro formazione fisica e,  soprattutto,  psichica,
qual e' quello fino ai sei anni; con il superamento di tale limite di
eta' puo', infatti, considerarsi concluso il primo e piu'  importante
ciclo formativo ed aperto uno nuovo,  nei  quale  le  esigenze  della
prole possono essere soddisfatte da, un qualsiasi altro congiunto  e,
all'occorrenza, dai pubblici istituti a cio' deputati (cfr.,  tra  le
tanti, Cass. Sez. 1, sentenza n. 12459 del  3  marzo  2009;  Sez.  4,
sentenza n. 42679 del 29 aprile 2003; Sez. 2, sentenza n. 795 del  14
febbraio 1996). 
    Se tale fosse  la  ratio  esclusiva  della  previsione  normativa
allora sarebbe ragionevole la scelta  del  legislatore  di  escludere
dalla previsione normativa stessa l'ipotesi della cautelata madre  di
un figlio ultraseienne totalmente e permanentemente invalido, perche'
oltre  il  limite  dei  sei  anni,  discrezionalmente   fissato   dal
legislatore nella norma in esame,  non  vi  sarebbe  piu'  necessita'
della presenza della madre, dovendosi considerare  gia'  compiuta  la
fase iniziale dello sviluppo psico-fisico del minore e  possibile  il
ricorso - anche in via esclusiva  -  a  strutture  a  sostegno  della
genitorialita'. 
    Tuttavia, ritiene questo  giudice  che  la  specifica  previsione
normativa oggetto di analisi debba essere letta e valutata  nel  piu'
generale contesto  in  cui  e'  inserita  e,  di  conseguenza,  nella
valutazione della ratio sottesa alla scelta legislativa non  si  puo'
prescindere, da un lato dalla finalita'  di  assicurare  puramente  e
semplicemente il ricongiungimento tra  madre  e  figlio  incapace  e,
dall'altro, da quello che e' il  comune  denominatore  delle  ipotesi
previste dai commi 4 e 4-bis dell'art. 275 c.p.p., ossia la tutela  e
protezione di determinate categorie «deboli». 
    Che tale ratio  sia  comune  anche  alla  previsione  in  oggetto
(indagata madre di prole di eta' inferiore  a  tre  anni)  si  desume
anche dalla evoluzione normativa delle ipotesi  derogatorie  previste
dall'art. 275, comma 4 c.p.p. 
    In merito si osserva, infatti, che ad  un  ampliamento  dei  casi
oggettivi di accessibilita' alla  detenzione  domiciliare  in  deroga
alla presunzione di adeguatezza del comma 3, reso  piu'  ampio  dalle
modifiche apportate dalle leggi n. 332 del 1995 e  n.  231  del  1999
[che  hanno  modificato  l'originaria  formulazione   normativa   che
prevedeva la possibilita' di  applicare  la  misura  cautelare  degli
arresti domiciliari nei casi di persona  incinta  o  che  allatta  la
prole; persona che si trova in condizioni di  salute  particolarmente
gravi:  ultra  sessanta  cinquenni;  imputato   tossicodipendente   o
alcoldipendente che abbia  in  corso  un  programma  terapeutico  di'
recupero   nell'ambito   di   una   struttura   autorizzata    quando
l'interruzione del programma possa pregiudicare la  disintossicazione
dell'imputato stesso], ha corrisposto  -  quanto  alla  tutela  della
genitorialita'  -  l'inserimento  di  un  parametro   (convenzionale)
relativo all'eta' della prole,  sostituendo  l'originaria  previsione
(donna che allatta la prole) con  l'attuale  previsione  ancorata  al
limite dei sei anni, secondo una tendenza sicuramente  alimentata  da
spirito di favore verso le esigenze  di  sviluppo  e  formazione  del
bambino   il   cui   soddisfacimento   potrebbe   essere   gravemente
pregiudicato  dall'assenza  della  figura   genitoriale,   ma   anche
alimentata dalla esigenza, da un  lato,  di  assicurare  puramente  e
semplicemente il ricongiungimento tra madre e  figlio  (infraseienne)
incapace e, dall'altro, in una prospettiva ancora piu'  generale,  di
tutelare un soggetto debole (minore) assolutamente  dipendente  dalla
figura genitoriale non sostituibile e non surrogabile nel  compimento
anche delle piu'  elementari  esigenze  di  vita  (dall'alimentazione
personale alla cura dell'igiene). 
    Proprio al fine di soddisfare entrambe  le  esigenze  del  minore
l'art. 275,  comma  4  c.p.p.  prevede  percio'  la  possibilita'  di
applicare - nel novero dei poteri  discrezionali  del  giudice  -  la
misura cautelare della detenzione domiciliare in luogo di  quella  ci
massimo rigore, limitandola pero' all'ipotesi del genitore del minore
di eta' inferiore ad  anni  sei  (limite  convenzionale  fissato  dal
legislatore). 
    Letta ed interpretata in questi termini la norma realizza in nodo
ingiustificato e irragionevole un trattamento peggiore nei  confronti
della indagata madre di figli minori conviventi che, pur  essendo  di
eta' superiore al limite dei sei  anni,  siano  affetti  da  handicap
invalidanti che gli impediscano di  adempiere  alle  piu'  elementari
esigenze di vita, al pari del minore di anni sei. 
    Come detto, infatti, la norma in questione non prende minimamente
ho  considerazione  la  condizione  del  figlio   minore   gravemente
invalido, rispetto  alla  quale  il  riferimento  all'eta'  non  puo'
assumere un rilievo dirimente, in  considerazione  delle  particolari
esigenze di fatela psico-fisica  il  cui  soddisfacimento  si  rivela
strumentale  nel  processo  rivolto  a  favorire  lo  sviluppo  della
personalita' del soggetto. 
    La  salute  psico-fisica  di  questi  puo'  essere   infatti,   e
notevolmente, pregiudicata dall'assenza  della  madre,  ristretta  in
regime cautelare carcerario, e dalla mancanza di  cure  da  parte  di
questa, non essendo indifferente per il disabile grave,  a  qualsiasi
eta', che le cure e l'assistenza siano prestate  da  persone  diverse
dal genitore. 
    In questa prospettiva, la possibilita' di concedere  la  custodia
cautelare domiciliare al genitore indagato, convivente con un  figlio
minore totalmente/gravemente handicappato ovvero affetto da patologia
gravemente   invalidante,   appare   funzionale   all'impegno   della
Repubblica, sancito nel secondo comma dell'art. 3 della Costituzione,
di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il  piene
sviluppo della personalita' oltre che  funzionale  all'impegno  della
Repubblica di tutelare, anche nel contesto della  famiglia  nucleare,
la salute, come fondamentale diritto dell'uomo. 
    Sul punto viene quindi in rilievo: 
        1) l'esigenza, di favorire la  socializzazione  del  soggetto
disabile, presa in particolare  considerazione  dal  legislatore  sin
dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro  per  l'assistenza,
l'integrazione sociale  e  i  diritti  delle  persone  portatrici  di
handicap), che ha predisposto strumenti rivolti ad agevolare  il  suo
pieno inserimento nella famiglia, nella scuola  e  nel  garantire  il
diritto alla salute del minore disabile consentendo adeguate cure  in
un contesto protetto, quale e' quello familiare. 
    Alla luce di tali considerazioni  a  parere  di  questo  Giudice,
pertanto, la norma  in  esame  (art.  275,  comma  4  c.p.p.)  e'  in
contrasto con il principio di ragionevolezza in  quanto  prevede  uni
sistema rigido che preclude al giudice,  ai  fini  della  concessione
della misura cautelare  della  detenzione  domiciliare,  di  valutare
l'esistenza delle condizioni necessarie per  un'effettiva  assistenza
psico-fisica da parte della madre indagata nei confronti  del  figlio
minore portatore di  handicap  accertato  come  totalmente/gravemente
invalidante.  Cio'  determina  un  trattamento  difforme  rispetto  a
situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra  loro,  quali  sono
quella della madre di un figlio incapace perche'  minore  degli  anni
sei e quella  della  madre  di  un  figlio  disabile  e  incapace  di
provvedere da solo anche alle sue piu' elementari esigenze, il quale,
a qualsiasi  eta',  ha  maggiore  e  continua  necessita'  di  essere
assistito dalla madre al pari di un bambino di  eta'  inferiore  agli
anni sei. 
    Sulla base di tali  argomentazioni  emerge,  pertanto,  a  parere
dello scrivente, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 275, comma
4 c.p.p. per violazione degli articoli 3  e  32  della  Costituzione,
nella parte in cui non  prevede  che  non  puo'  essere  disposta  la
custodia cautelare in carcere quando imputata sia madre di un  figlio
minore totalmente o gravemente invalido con difficolta' persistenti a
svolgere i compiti e le funzioni proprie  della  sua  eta',  con  lei
convivente,  che  necessiti  della  costante  presenza  della  madre,
prevedendola invece nell'analoga situazione della madre di  prole  di
eta' inferiore ad anni sei. 
    Attesa la non manifesta infondatezza e la rilevanza ai fini della
decisione dell'interposta istanza, ritiene,  pertanto  lo  scrivente,
che vada sollevata e proposta  innanzi  la  Corte  costituzionale  la
rappresentata questione di  legittimita'  costituzionale;  dovendosi,
per   l'effetto,   sospendere   il    presente    procedimento    per
pregiudizialita' costituzionale sino alla decisione del Giudice delle
leggi sulla questione medesima, ordinare la trasmissione  degli  atti
alla  stessa  Corte  costituzionale,   nonche'   disporre,   a   cura
dell'ufficio  di   cancelleria,   la   notificazione   del   presente
provvedimento al pubblico ministero, all'imputato, al  difensore,  al
Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente della Camera dei
deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Solleva e propone d'ufficio la  rilevante  e  non  manifestamente
infondata questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  275,
comma  4  c.p.p.,  per  violazione  degli  articoli  3  e  32   della
Costituzione, nella parte in cui non  prevede  che  non  puo'  essere
disposta la custodia cautelare in carcere quando imputata  sia  madre
di un  figlio  minore  totalmente  o  gravemente  invalido,  con  lei
convivente e che, per le difficolta' persistenti a svolgere i compiti
e le funzioni  proprie  della  sua  eta',  necessiti  della  costante
presenza della madre. 
    Sospende,   per   l'effetto,   il   presente   procedimento   per
pregiudizialita' costituzionale sino alla decisione del Giudice delle
leggi sulla questione sollevata e proposta. 
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte  costituzionale  con
sede presso il palazzo della Consulta in Roma. 
    Dispone la notificazione del presente provvedimento  al  pubblico
ministero, all'imputato, al difensore, al  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente
del Senato della Repubblica. 
    Manda alla cancelleria per l'esecuzione di tali adempimenti e  di
ogni altro di competenza. 
      Cosi' deciso in Catanzaro il 24 giugno 2014. 
 
                         Il G.I.P.: Scuteri