N. 245 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 giugno 2014
Ordinanza del 24 giugno 2014 del G.I.P. del Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di G. M.. Processo penale - Misure cautelari - Criteri di scelta delle misure - Mancata previsione del divieto della custodia cautelare in carcere nel caso di imputata (nella specie, del delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen.) madre di un figlio minore totalmente o gravemente invalido, con lei convivente e che, per le difficolta' persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua eta', necessiti della costante presenza della madre - Violazione del principio di ragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto alla madre di prole di eta' inferiore ad anni sei in analoga situazione - Lesione del diritto alla salute del minore disabile. - Codice di procedura penale, art. 275, comma 4. - Costituzione, artt. 3 e 32.(GU n.2 del 14-1-2015 )
TRIBUNALE DI CATANZARO Sezione del Giudice per le indagini preliminari Il G.I.P., dott. Pietro Scuteri nel procedimento sopra rubricato a carico, tra gli altri, di G. M, nata a ///, attualmente detenuta presso la casa circondariale di Reggio Calabria, difesa dall'avv. Lucio Canzoniere del foro di Lamezia Terme, imputata del delitto p. e p. dall'art. 416-bis del c.p. (capo 1 dell'ordinanza di custodia cautelare dell'8 maggio 2014, emessa nell'ambito del procedimento penale in epigrafe indicato convenzionalmente denominato «C. »). Rilevato che con istanza ex art. 299 c.p.p., depositata in data 6 giugno 2014, la difesa dell'indagata ha chiesto la revoca della massima misura cautelare di rigore o in subordine la sostituzione con quella degli arresti domiciliari. Rilevato che a fondamento dell'istanza, corredata da documentazione (segnatamente: lettera di dimissione del Policlinico San Donato Milanese, centro di cardiologia pediatrica del 19 maggio 2014 relativa alla figlia R. F. - certificato di stato di famiglia; copia del certificato di pensione INPS relativo alla figlia R. F. - decreto di computo di custodia cautelare e delle pene espiate per altro reato relativo al marito R. G.), l'istante deduce che la figlia dell'indagata, R. F. e' soggetto invalido bisognoso di assistenza materna e che il prossimo 17 luglio 2014 la minore dovra' essere sottoposta ad intervento cardiochirurgico. Acquisito l'articolato parere del P.M. in data 6 giugno 2014. Acquisita la documentazione integrativa depositata dalla difesa in data 20 giugno 2014 in ottemperanza all'ordinanza interlocutoria del 9 giugno 2014. Rilevato che il titolo del reato per il quale l'istante e' cautelata, articoli 110, 416-bis del c.p., ai sensi dell'art. 275, comma 3 del c.p.p. non consente l'applicazione di misura diversa rispetto alla custodia cautelate in carcere. Rilevato che il titolo del reato per il quale l'istante e' cautelata, articoli 110, 416-bis del c.p., ai sensi dell'art. 275, comma 3 del c.p.p. non consente l'applicazione di misura diversa rispetto alla custodia cautelare in carcere. Ritenuto che, nel caso di specie, in cui, peraltro, l'istante chiede la revoca o la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, la presunzione legislativa di sussistenza delle esigenze cautelari non puo' ritenersi superata con riferimento all'art. 274, lettera c) c.p.p. essendo, a parere dello scrivente, ancora attuali le esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. (come recentemente ravvisate in sede di applicazione della misura cautelare) le quali possono essere correttamente dedotte: 1) dalle modalita' dei fatti e dalla personalita' dell'agente che in esse si manifesta, con particolare riferimento al reato di cui all'art. 416-bis c.p. (elemento di per se' idoneo a determinare un apprezzamento parimenti utile per ritenere la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, alla luce delle modalita' del fatto); 2) dalla condotta criminosa sintomatica di uno stile di vita che di per se' impone una prognosi infausta concretante le esigenze di prevenzione. Ritenuto altresi' che nel caso in esame si evidenzia, con particolare rilevanza, la illegittimita' costituzionale della norma citata (art. 275, comma 2 c.p.p.) con riferimento non alla presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, bensi' al divieto di applicazione di diverse misure che possano garantire le esigenze. Osserva e rileva 1. Non appare manifestamente infondata - con riferimento agli articoli 3 e 32 della Costituzione - la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 4 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che non puo' essere disposta la custodia cautelare in carcere quando imputata sia madre di un figlio maggiore degli anni sei, con lei convivente, che per le gravi condizioni di salute in cui versa necessiti della costante presenza ed assistenza della madre. In particolare ritiene lo scrivente che trattasi di questione - oltre che non manifestamente infondata per le ragioni che meglio si esporranno infra - rilevante nel caso di specie. In merito si osserva, infatti, che: 1) l'indagata G. M., madre convivente, della misura R. F., di anni sei e mesi nove, e' detenuta in regime di custodia cautelare in carcere perche' gravemente indiziata del delitto di cui all'art. 416-bis c.p.; 2) la minore R. F. e' soggetto affetto da gravi patologie sin dalla tenerissima eta', in condizione di invalidita', tanto da beneficiare di pensione di invalidita' INPS [cfr. copia del certificato di pensione e lettera di dimissione del Policlinico San Donato Milanese, centro di cardiologia pediatrica del 19 maggio 2014, nonche' verbale di verifica di invalidita' civile dell'INPS di Lamezia Terme del 5 novembre 2013 nel quale sotto la voce «invalidita' accertata» si legge «minore invalido con difficolta' persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua eta-indennita' di frequenza»]; 3) R. G. marito della G., nonche' padre della minore, e' anch'esso ristretto in regime di custodia cautelare in carcere, in espiazione pena, con scadenza 15 aprile 2024 (cfr. certificazione prodotta dalla difesa). 2. Come detto, G. M. e' cautelata per il reato di cui all'art. 416-bis c.p., ossia per una fattispecie delittuosa ricompresa tra quelle previste dall'art. 275, comma 3 c.p.p. per le quali, in presenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p., il legislatore ha previsto - in deroga all'ordinario potere discrezionale del giudice di valutare e scegliere quale sia la misura cautelare proporzionata ai fatti concreti ed adeguata a tutelare le esigenze cautelati - una presunzione di adeguatezza della massima misura di rigore. Tale presunzione - salvo l'essere superata dalla valutazione circa l'assenza di esigenze cautelali - e' derogabile solo in ipotesi tassative previste dallo stesso art. 275 c.p.p. L'art. 275 ai commi 4 e 4-bis c.p.p. prevede, infatti, alcune specifiche (tassative) ipotesi in presenza delle quali non puo' essere disposta la misura della custodia in carcere, se non in caso di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, ed in presenza della quali puo' essere applicata una misura cautelare diversa tra cui la misura cautelare detta detenzione domiciliare. Tali ipotesi sono: 1) quella in cui imputata siano donna incinta o madre di prole di eta' inferiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; 2) quella in cui imputata sia persona che ha superato l'eta' di settanta anni; 3) quella in cui imputata e' persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'art. 286-bis, comma 2; 4) quella in cui imputata e' persona affetta da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere. Con le norme in questione, in sostanza, il legislatore codifica il principio di attenuazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di persone le quali si trovino in particolari condizioni soggettive che di per se' sconsiglierebbero la restrizione in carcere. Le quattro ipotesi, seppur differenti nella loro peculiarita' l'una dall'altra, presentano un comune denominatore ravvisabile nella necessita' di garantire la protezione di «soggetti deboli» peraltro non necessariamente coincidenti con il soggetto destinatario esclusivo della misura cautelare. In particolare infatti, nel primo caso - a differenza degli altri in cui il soggetto debole e', per lo suo stesse condizioni di salute, il cautelato - il beneficiario mediato della previsione, normativa e' il minore infraseienne convivente, per assicurare la tutela del quale il legislatore prescrive il divieto di custodia cautelare in carcere della madre ovvero del padre qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a prestargli assistenza. Tali ipotesi, corno detto, sono tassative e non suscettibili di interpretazione analogica. Intervenendo in ordine a tale questione, infatti, la Suprema corte ha chiarito che «in tema di provvedimenti coercitivi, il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere, previsto dall'art. 275, comma quarto cod. proc. pen., costituendo norma eccezionale, non e' applicabile estensivamente ad altre ipotesi non espressamente contemplate» [cfr. Cass. Sez. 4, sentenza n. 42516 del 16 luglio 2009; si veda anche Cass. Sez. sentenza n. 32400/10 che ha ribadito che «la norma (art. 275, comma 4 c.p.p.) ha carattere eccezionale e ne e' preclusa l'applicazione a casi analoghi»]. Tale orientamento interpretativo che impedisce l'interpretazione analogica della norma in oggetto deve ritenersi assolutamente pacifico. Al fine evidenziare la legittimita' di tale orientamento i Giudici supremi hanno, infatti, evidenziato - occupandosi di un caso analogo a quello in oggetto e relativo ad impugnazione avverso un provvedimento con il quale era stata respinta la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con arresti domiciliari, avanzata sul presupposto della necessita', da parte dell'indagato, di assistere un figlio portatore di handicap e percio' bisognevole di cure continue - che «in tema di provvedimenti coercitivi, la "ratio" della limitazione al parere del giudice di scegliere la misura cautelare personale, introdotta dall'art. 5, legge 8 agosto 1995, n. 332, che ha modificato l'art. 275, quarto comma, cod. proc. pen., secondo cui non puo' essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo casi eccezionali, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di eta' inferiore ai tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, va individuata nell'avvertita esigenza di garantire ai figli l'assistenza familiare in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro formazione fisica e, soprattutto, psichica, qual'e' quello fino ai tre anni; con il superamento di tale limite di eta' puo', infatti, considerarsi concluso il primo e piu' importante ciclo formativo ed aperto uno nuovo, nel quale le esigenze della prole possono essere soddisfatte da un qualsiasi altro congiunto ed, all'occorrenza, dai pubblici istituti a cio' deputati. Non e' pertanto consentito interpretare estensivamente la norma fino a ricomprendere nel divieto ivi previsto ulteriori ipotesi, non espressamente contemplate, in cui si deduca la necessita', da parte dell'indagato, di prestare assistenza a familiari diversi da quelli indicati nella disposizione predetta» (cfr. Cass. Sez. 2, sentenza. n. 795 del 14 febbraio 1996). La scelta legislativa di ancorare la possibilita' di concedere gli arresti domiciliari, al limite temporale (convenzionale) dei sei anni di eta' del figlio minore ed al presupposto della convivenza, impedisce, quindi, di fatto, anche un'interpretazione estensiva tale da ricomprendervi il caso di specie, con la conseguenza che, superato tale limite di eta', in considerazione del fatto che lo Stato offre (rectius dovrebbe offrire) le provvidenze legislative a favore ed a sostegno della genitorialita' [anche attraverso il ricorso ad istituti sostitutivi ed economici, quali scuole primarie pubbliche e private convenzionate con il sistema pubblico], non e' invocatile l'applicazione della norma in esame anche nell'ipotesi in cui il minore sia, per il suo stato di portatore di handicap totalmente invalidante, incapace di provvedere da solo anche alle piu' elementari esigenze quotidiane ed anche se, da un punto di vista fisico o mentale (ma non anagrafico) si possa equiparare ad un minore di anni sei. Tirando le fila di quanto sin qui detto, puo', pertanto, affermarsi che, secondo le norme vigenti ed i pacifici orientamenti giurisprudenziali richiamati: le ipotesi previste dall'art. 275, comma 4 e 4-bis, c.p.p. sono tassative; le ipotesi suddette non sono suscettibili di interpretazione analogica, in quanto si tratta di una norma che introduce una deroga rispetto alla previsione del terzo comma relativa alla presunzione di adeguatezza della misura cautelare in carcere peri soggetti gravemente indiziati di delitti ivi indicati; con specifico riferimento alla ipotesi di indagata «madre di prole di eta' inferiore a sei anni», presupposti per poter disporre l'applicazione della misura detentiva domiciliare sono: 1) l'assenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; 2) la convivenza tra l'indagata detenuta e il minore; 3) un'eta' del minore inferiore a sei anni; non e' possibile operare una «interpretazione estensiva» della norma in oggetto in tutti i casi in cui sia superato il limite convenzionale dei sei anni, a prescindere dalle condizioni psicofisiche del minore convivente. Cio' posto, ritiene lo scrivente che la disciplina appena esposta; in guarito finalizzata alla tutela e protezione di determinate categorie di soggetti «deboli», contrasti con i principi costituzionali di eguaglianza e di ragionevolezza per la previsione di un trattamento difforme in ordine a situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra loro, quali sono quelle della madre di un figlio minore degli anni sei e della madre di un figlio disabile e/o affetto da patologia invalidante che lo renda incapace di provvedere da solo anche alle piu' elementari esigenze, il quale, ancorche' maggiore degli anni sei, ha necessita' di essere assistito dalla madre allo stesso modo di un bambino di eta' inferiore, agli anni sei. Il legislatore, come visto, ha previsto nell'art. 275, comma 4 c.p.p., la possibilita' di concedere, in deroga alla presunzione di adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere, l'applicazione della misura cautelare alternativa della detenzione domiciliare alla madre di prole di eta' inferiore a sei anni, con lei convivente, ponendo quale condizione negativa l'assenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, e indipendentemente dalla presenza di altri familiari idonei a dare assistenza alla prole. Secondo l'orientamento maggioritario della Suprema Corte di cassazione in ratio della limitazione al potere del giudice di scegliere la misura cautelare personale, introdotta dalla legge 8 agosto 1995, n. 332, art. 5, che ha modificato l'art. 275 c.p.p., comma 4 va individuata nell'avvertita esigenza di garantire ai figli l'assistenza familiare in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro formazione fisica e, soprattutto, psichica, qual e' quello fino ai sei anni; con il superamento di tale limite di eta' puo', infatti, considerarsi concluso il primo e piu' importante ciclo formativo ed aperto uno nuovo, nei quale le esigenze della prole possono essere soddisfatte da, un qualsiasi altro congiunto e, all'occorrenza, dai pubblici istituti a cio' deputati (cfr., tra le tanti, Cass. Sez. 1, sentenza n. 12459 del 3 marzo 2009; Sez. 4, sentenza n. 42679 del 29 aprile 2003; Sez. 2, sentenza n. 795 del 14 febbraio 1996). Se tale fosse la ratio esclusiva della previsione normativa allora sarebbe ragionevole la scelta del legislatore di escludere dalla previsione normativa stessa l'ipotesi della cautelata madre di un figlio ultraseienne totalmente e permanentemente invalido, perche' oltre il limite dei sei anni, discrezionalmente fissato dal legislatore nella norma in esame, non vi sarebbe piu' necessita' della presenza della madre, dovendosi considerare gia' compiuta la fase iniziale dello sviluppo psico-fisico del minore e possibile il ricorso - anche in via esclusiva - a strutture a sostegno della genitorialita'. Tuttavia, ritiene questo giudice che la specifica previsione normativa oggetto di analisi debba essere letta e valutata nel piu' generale contesto in cui e' inserita e, di conseguenza, nella valutazione della ratio sottesa alla scelta legislativa non si puo' prescindere, da un lato dalla finalita' di assicurare puramente e semplicemente il ricongiungimento tra madre e figlio incapace e, dall'altro, da quello che e' il comune denominatore delle ipotesi previste dai commi 4 e 4-bis dell'art. 275 c.p.p., ossia la tutela e protezione di determinate categorie «deboli». Che tale ratio sia comune anche alla previsione in oggetto (indagata madre di prole di eta' inferiore a tre anni) si desume anche dalla evoluzione normativa delle ipotesi derogatorie previste dall'art. 275, comma 4 c.p.p. In merito si osserva, infatti, che ad un ampliamento dei casi oggettivi di accessibilita' alla detenzione domiciliare in deroga alla presunzione di adeguatezza del comma 3, reso piu' ampio dalle modifiche apportate dalle leggi n. 332 del 1995 e n. 231 del 1999 [che hanno modificato l'originaria formulazione normativa che prevedeva la possibilita' di applicare la misura cautelare degli arresti domiciliari nei casi di persona incinta o che allatta la prole; persona che si trova in condizioni di salute particolarmente gravi: ultra sessanta cinquenni; imputato tossicodipendente o alcoldipendente che abbia in corso un programma terapeutico di' recupero nell'ambito di una struttura autorizzata quando l'interruzione del programma possa pregiudicare la disintossicazione dell'imputato stesso], ha corrisposto - quanto alla tutela della genitorialita' - l'inserimento di un parametro (convenzionale) relativo all'eta' della prole, sostituendo l'originaria previsione (donna che allatta la prole) con l'attuale previsione ancorata al limite dei sei anni, secondo una tendenza sicuramente alimentata da spirito di favore verso le esigenze di sviluppo e formazione del bambino il cui soddisfacimento potrebbe essere gravemente pregiudicato dall'assenza della figura genitoriale, ma anche alimentata dalla esigenza, da un lato, di assicurare puramente e semplicemente il ricongiungimento tra madre e figlio (infraseienne) incapace e, dall'altro, in una prospettiva ancora piu' generale, di tutelare un soggetto debole (minore) assolutamente dipendente dalla figura genitoriale non sostituibile e non surrogabile nel compimento anche delle piu' elementari esigenze di vita (dall'alimentazione personale alla cura dell'igiene). Proprio al fine di soddisfare entrambe le esigenze del minore l'art. 275, comma 4 c.p.p. prevede percio' la possibilita' di applicare - nel novero dei poteri discrezionali del giudice - la misura cautelare della detenzione domiciliare in luogo di quella ci massimo rigore, limitandola pero' all'ipotesi del genitore del minore di eta' inferiore ad anni sei (limite convenzionale fissato dal legislatore). Letta ed interpretata in questi termini la norma realizza in nodo ingiustificato e irragionevole un trattamento peggiore nei confronti della indagata madre di figli minori conviventi che, pur essendo di eta' superiore al limite dei sei anni, siano affetti da handicap invalidanti che gli impediscano di adempiere alle piu' elementari esigenze di vita, al pari del minore di anni sei. Come detto, infatti, la norma in questione non prende minimamente ho considerazione la condizione del figlio minore gravemente invalido, rispetto alla quale il riferimento all'eta' non puo' assumere un rilievo dirimente, in considerazione delle particolari esigenze di fatela psico-fisica il cui soddisfacimento si rivela strumentale nel processo rivolto a favorire lo sviluppo della personalita' del soggetto. La salute psico-fisica di questi puo' essere infatti, e notevolmente, pregiudicata dall'assenza della madre, ristretta in regime cautelare carcerario, e dalla mancanza di cure da parte di questa, non essendo indifferente per il disabile grave, a qualsiasi eta', che le cure e l'assistenza siano prestate da persone diverse dal genitore. In questa prospettiva, la possibilita' di concedere la custodia cautelare domiciliare al genitore indagato, convivente con un figlio minore totalmente/gravemente handicappato ovvero affetto da patologia gravemente invalidante, appare funzionale all'impegno della Repubblica, sancito nel secondo comma dell'art. 3 della Costituzione, di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il piene sviluppo della personalita' oltre che funzionale all'impegno della Repubblica di tutelare, anche nel contesto della famiglia nucleare, la salute, come fondamentale diritto dell'uomo. Sul punto viene quindi in rilievo: 1) l'esigenza, di favorire la socializzazione del soggetto disabile, presa in particolare considerazione dal legislatore sin dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone portatrici di handicap), che ha predisposto strumenti rivolti ad agevolare il suo pieno inserimento nella famiglia, nella scuola e nel garantire il diritto alla salute del minore disabile consentendo adeguate cure in un contesto protetto, quale e' quello familiare. Alla luce di tali considerazioni a parere di questo Giudice, pertanto, la norma in esame (art. 275, comma 4 c.p.p.) e' in contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto prevede uni sistema rigido che preclude al giudice, ai fini della concessione della misura cautelare della detenzione domiciliare, di valutare l'esistenza delle condizioni necessarie per un'effettiva assistenza psico-fisica da parte della madre indagata nei confronti del figlio minore portatore di handicap accertato come totalmente/gravemente invalidante. Cio' determina un trattamento difforme rispetto a situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra loro, quali sono quella della madre di un figlio incapace perche' minore degli anni sei e quella della madre di un figlio disabile e incapace di provvedere da solo anche alle sue piu' elementari esigenze, il quale, a qualsiasi eta', ha maggiore e continua necessita' di essere assistito dalla madre al pari di un bambino di eta' inferiore agli anni sei. Sulla base di tali argomentazioni emerge, pertanto, a parere dello scrivente, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 4 c.p.p. per violazione degli articoli 3 e 32 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che non puo' essere disposta la custodia cautelare in carcere quando imputata sia madre di un figlio minore totalmente o gravemente invalido con difficolta' persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua eta', con lei convivente, che necessiti della costante presenza della madre, prevedendola invece nell'analoga situazione della madre di prole di eta' inferiore ad anni sei. Attesa la non manifesta infondatezza e la rilevanza ai fini della decisione dell'interposta istanza, ritiene, pertanto lo scrivente, che vada sollevata e proposta innanzi la Corte costituzionale la rappresentata questione di legittimita' costituzionale; dovendosi, per l'effetto, sospendere il presente procedimento per pregiudizialita' costituzionale sino alla decisione del Giudice delle leggi sulla questione medesima, ordinare la trasmissione degli atti alla stessa Corte costituzionale, nonche' disporre, a cura dell'ufficio di cancelleria, la notificazione del presente provvedimento al pubblico ministero, all'imputato, al difensore, al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.
P.Q.M. Solleva e propone d'ufficio la rilevante e non manifestamente infondata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 4 c.p.p., per violazione degli articoli 3 e 32 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che non puo' essere disposta la custodia cautelare in carcere quando imputata sia madre di un figlio minore totalmente o gravemente invalido, con lei convivente e che, per le difficolta' persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua eta', necessiti della costante presenza della madre. Sospende, per l'effetto, il presente procedimento per pregiudizialita' costituzionale sino alla decisione del Giudice delle leggi sulla questione sollevata e proposta. Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con sede presso il palazzo della Consulta in Roma. Dispone la notificazione del presente provvedimento al pubblico ministero, all'imputato, al difensore, al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Manda alla cancelleria per l'esecuzione di tali adempimenti e di ogni altro di competenza. Cosi' deciso in Catanzaro il 24 giugno 2014. Il G.I.P.: Scuteri