N. 248 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 2014

Ordinanza del 10 marzo 2014 della Corte d'appello  di  Catanzaro  nel
procedimento  civile  promosso  da  C.N.   contro   Ministero   della
giustizia. 
 
Processo penale - Equa riparazione per violazione  della  ragionevole
  durata  del  processo  -  Computo  della  durata  del  processo   -
  Previsione  che  il  processo  penale  si  considera  iniziato  con
  l'assunzione della qualita' di imputato ovvero quando l'indagato ha
  avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari -
  Lamentata esclusione della  fase  delle  indagini  preliminari  dal
  computo della durata del processo - Lesione del diritto a  un  equo
  processo sancito dall'art.  6  della  Convenzione  europea  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU), come interpretato  dalla
  Corte europea dei  diritti  dell'uomo  -  Inosservanza  di  vincoli
  derivanti dagli obblighi internazionali. 
- Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2-bis, aggiunto dall'art.
  55, comma 1, lett. a), n. 2), del decreto-legge 22 giugno 2012,  n.
  83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7  agosto  2012,  n.
  134. 
- Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all'art. 6  della
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali. 
(GU n.3 del 21-1-2015 )
 
                    CORTE D'APPELLO DI CATANZARO 
                         Sezione II^ Civile 
 
    Composta dai seguenti magistrati: 
      Dott.ssa Rita Majore, Presidente; 
      Dott.ssa Francesca Romano, Consigliere; 
      Dott. Vincenzo Di Pede; Consigliere relatore ed estensore. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al
n. 280/2013 ruolo generale volontaria giurisdizione intrapreso da: 
      C. N. rappresentato e difeso dagli avv.ti  Amalia  De  Paola  e
Tommaso Ricci, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo,
in Catanzaro - opponente; 
 
                               Contro 
 
    Ministero  della  Giustizia,  in  persona  del   Ministro   p.t.,
elettivamente   domiciliato   in   Catanzaro,   presso   l'Avvocatura
Distrettuale dello Stato, che lo rappresenta e difende - opposta. 
    Oggetto: opposizione ex art. 5  ter,  legge  n.  89/2001  -  equa
riparazione per irragionevole durata del processo - causa assunta  in
decisione all'udienza camerale del 25 settembre 2013. 
 
                          Premesso in fatto 
 
    Con ricorso depositato  il  15  marzo  2013,  C.  N.  ha  chiesto
l'indennizzo ex lege 89/2001 a ristoro  del  danno  non  patrimoniale
derivante dall'irragionevole durata del procedimento penale  iscritto
a carico suo e di altri al n. 4607/2003 registro generale notizie  di
reato presso la Procura  della  Repubblica  di  Reggio  Calabria.  Ha
dedotto di essere stato attinto da misura coercitiva il  15  febbraio
2005; che il PM ha chiesto il rinvio a giudizio nei suoi confronti in
data 16 gennaio 2007; di essere stato rinviato a giudizio in data  24
gennaio 2008; che il Tribunale di Reggio Calabria,  con  sentenza  n.
1369/2013, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per
intervenuta prescrizione dei reati contestati;  che  la  sentenza  e'
passata in giudicato nei suoi confronti il 24 gennaio 2013. 
    Il consigliere designato, con decreto del 10/16 aprile  2013,  ha
rigettato la domanda di equa riparazione del ricorrente  sul  rilievo
che  il  procedimento  presupposto  dovesse  reputarsi  iniziato  nel
gennaio 2007 (tempo della richiesta di rinvio a giudizio del C. - ) e
che fosse cessata ogni sofferenza connessa alla pendenza del processo
nel giugno 2011 (tempo in cui i reati contestati si erano estinti per
prescrizione). Ha quindi reputato che la durata di 4 anni  e  5  mesi
non avesse concretato alcun pregiudizio indennizzabile a  carico  del
C. in quanto, sulla premessa che la durata ragionevole  concretamente
ravvisabile nel procedimento in questione fosse di quattro  anni,  il
ritardo   di   5   mesi   non   sarebbe   significativo    ai    fini
dell'indennizzabilita', data l'irrilevanza dei ritardi  inferiori  al
semestre (art. 2 bis, legge n. 89/2001). 
    Il C. ha proposto rituale  opposizione  al  decreto  di  rigetto,
lamentando che esso sarebbe errato per due ragioni: 
      1) l'inizio del procedimento andrebbe individuato nella data di
applicazione nei suoi confronti della misura cautelare  (15  febbraio
2005) e non in quella del rinvio a giudizio; 
      2) quand'anche si volesse ritenere che il procedimento, ai fini
della legge Pinto, sia  iniziato  al  tempo  del  rinvio  a  giudizio
(gennaio 2007), in ogni  caso  la  sua  durata  ragionevole  andrebbe
contenuta nel triennio previsto dalla legge e non  nei  quattro  anni
ravvisati dal giudice. 
    Il  Ministero  ha  resistito  all'opposizione,   chiedendone   il
rigetto. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    L'art. 2, legge n. 89/2001, nel testo riformato dal decreto legge
n. 83/2012 e  legge  conversione  134/2012,  applicabile  ai  ricorsi
depositati a partire  dall'11  settembre  2012,  stabilisce  che  "il
processo penale si considera iniziato con l'assunzione della qualita'
di imputato ... ovvero quando l'indagato ha avuto  legale  conoscenza
della chiusura delle indagini preliminari" (comma 2  bis).  Il  primo
giudice,  nell'attenersi  alla  norma  ora  menzionata,  ha   fissato
l'inizio del procedimento presupposto alla data  della  richiesta  di
rinvio a giudizio - che  e'  l'atto  con  cui  l'indagato  assume  la
qualita' di imputato - non emergendo dagli atti prodotti  l'anteriore
conoscenza legale della chiusura delle indagini. 
    L'assunto posto dall'opponente a base del primo motivo di censura
e' che, nella specie, l'inizio del procedimento andava retrodatato al
tempo (15 febbraio 2005) in cui, nel corso delle  indagini  a  carico
del C. e  di  altri,  al  medesimo  era  stata  applicata  la  misura
cautelare giusta ordinanza  g.i.p.  del  4  febbraio  2005:  all'uopo
l'opponente richiama la giurisprudenza CEDU che colloca l'inizio  del
procedimento penale al tempo in cui l'indagato ha avuto notizia della
pendenza  del  procedimento  a  suo  carico  e  invita  questa  Corte
d'appello a valutare «l'opportunita'» di investire il  Giudice  delle
Leggi della questione di costituzionalita'  della  norma  di  cui  al
menzionato comma 2 bis, dell'art. 2, legge n. 89/2001. 
    Questa  Corte  d'appello  rileva  che   eccepita   questione   di
illegittimita' costituzionale sia rilevante e non sia  manifestamente
infondata. 
 
                           Sulla rilevanza 
 
    Va premesso che il procedimento presupposto e' stato definito con
sentenza di primo  grado  del  27  novembre  2012.  Ciononostante  il
giudice autore del provvedimento opposto ha  reputato  che,  ai  fini
della valutazione della sua ragionevole durata, il  processo  dovesse
ritenersi concluso gia' nel  giugno  2011,  in  quanto  a  tale  data
l'imputato aveva avuto consapevolezza della sopravvenuta prescrizione
dei reati a lui contestati e quindi non aveva sofferto alcun  paterna
d'animo per ulteriore protrazione del processo. 
    Tale assunto non e'  stato  oggetto  di  contestazione  da  parte
opponente e quindi questa Corte valutera' quale  termine  finale  del
processo presupposto la data di giugno. 2011. 
    Orbene, il presente  giudizio  di  opposizione  non  puo'  essere
definito  indipendentemente   dalla   risoluzione   della   sollevata
questione  di  legittimita'  costituzionale,  in  quanto   supponendo
l'inizio del procedimento presupposto alla  data  del  febbraio  2005
(data di applicazione della misura cautelare coercitiva a carico  del
C.), la durata del procedimento (dal febbraio 2005 al giugno 2011) e'
pari a 6 anni e 4 mesi e, quindi, ad un lasso temporale di gran lunga
superiore al  triennio  previsto  dalla  legge  n.  89/2001  e  dalla
giurisprudenza della Corte  Europea  dei  Diritti  dell'Uomo  per  la
definizione del procedimento di primo grado. E, pur considerando  che
la complessita' del caso possa giustificare  l'impiego  di  un  lasso
temporale superiore al detto  triennio  -  e  al  riguardo  non  c'e'
ragione di disattendere la giurisprudenza del Giudice di Legittimita'
formatasi anteriormente alla riforma  di  cui  al  decreto  legge  n.
83/2012 e legge conversione 134/2012: vedi Cass.  8385/2005  e  Cass.
16599/2003, gli aspetti di complessita' connotanti il caso  in  esame
(che ha visto dieci indagati ai quali sono stati contestati i delitti
di associazione a delinquere e truffa) non giustificavano affatto una
durata del procedimento di 6 anni e 4 mesi. L'esorbitanza  del  detto
lasso  temporale  e'  apprezzabile  ancor  piu'   alla   luce   della
considerazione che al tempo dell'applicazione della misura  cautelare
buona parte dell'attivita' d'indagine era stata gia'  presumibilmente
compiuta. 
Sulla non manifesta infondatezza della questione 
    La giurisprudenza della Corte di cassazione, resa  sulle  domande
di equa riparazione formulate nella vigenza  della  legge  Pinto  nel
testo antecedente alla riforma del 2012, ha sempre reputato  che,  ai
fini del computo della ragionevole durata del procedimento penale con
riferimento alla persona dell'indagato, si dovesse considerare  quale
dies a quo quello in cui la persona  ha  avuto  effettiva  conoscenza
della pendenza delle indagini a suo carico, posto che (gia' e solo) a
partire da tale momento il procedimento  ha  incidenza  sulla  psiche
dell'indagato (Cass. 15131/2013; Cass. 10507/2013;  Cass.  2148/2003;
Cass. 1740/2003; Cass. 1405/2003). 
    L'art. 2, legge n. 89/2001, nel testo riformato dal decreto legge
n. 83/2012 e legge conversione 134/2012, ora prevede che "il processo
penale si considera  iniziato  con  l'assunzione  della  qualita'  di
imputato ... ovvero quando  l'indagato  ha  avuto  legale  conoscenza
della  chiusura  delle   indagini   preliminari"   (comma   2   bis).
L'innovazione normativa, quindi, sposta necessariamente in avanti  il
termine iniziale dei  computo  della  durata  del  processo,  negando
rilevanza all'intera fase delle indagini preliminari e sancendo cosi'
l'indifferenza dell'ordinamento sia per le lungaggini  ingiustificate
connotanti la specifica fase delle indagini sia per  l'incidenza  che
la detta fase comunque  spiega  sulla  persona  indagata  nell'ambito
dell'intera vicenda procedimentale che la concerne. 
    Senonche', l'interpretazione della Suprema Corte sul dies  a  qua
del procedimento penale era  fondata  sull'Osservanza  non  del  solo
diritto  di  derivazione  nazionale  ma  anche  dell'art.   6   della
Convezione Europea dei Diritti dell'Uomo nell'interpretazione fornita
dalla Corte di Strasburgo. Quest'ultima, nel computare  i  tempi  del
processo penale al fine di vagliarne la  ragionevole  durata  sancita
dall'art. 6 della  Convenzione,  prende  a  riferimento  iniziale  il
momento in cui il soggetto ha avuto la notifica ufficiale,  da  parte
dell'autorita' competente, della contestazione dell'infrazione penale
perche' e' in tale  momento  che  la  persona  indagata  subisce  una
"ripercussione importante" (sentenza 31.3.1998 nei casi  Reinhardt  e
Slimane-Kaid c. Francia, ricorsi 23043/93 e 22921/93). In un  ricorso
proposto  nei  confronti  del  nostro  Stato,   la   Corte   EDU   ha
espressamente statuito che il termine ragionevole  dell'art.  6  §  1
della Convenzione abbia inizio "nell'istante in cui  una  persona  si
trova ad essere «accusata». Si puo' trattare di una data anteriore al
rinvio  a  giudizio,   [potendo   essere]   in   particolare   quella
dell'arresto  ...  [o]  dell'inizio   delle   indagini   preliminari"
(sentenza 16.5.2002,  §  19,  nel  caso  Nuvoli  c.  Italia,  ricorso
41424/98). 
    A  questo  punto,  il  ravvisato  contrasto  tra  la   previsione
dell'art. 2, comma 2 bis, della legge n. 89/2001 e  l'interpretazione
dell'art. 6 § 1 Convenzione EDU fornita  dalla  Corte  di  Strasburgo
solleva  serio  dubbio  sulla  conformita'   a   Costituzione   della
menzionata norma,  atteso  che  "l'art.  117,  comma  1  Costituzione
condiziona l'esercizio della  potesta'  legislativa  delle  Stato  al
rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali rientrano  quelli
derivanti dalla Convenzione Europea dei  Diritti  dell'Uomo,  le  cui
norme pertanto, cosi'  come  interpretate  dalla  Corte  Europea  dei
Diritti dell'Uomo, costituiscono fonte integratrice del parametro  di
costituzionalita' introdotto dall'art. 117 com-ma 1 Costituzione e la
loro violazione da parte di una legge statale o  regionale  com-porta
che  tale  legge  deve  essere  dichiarata  illegittima  dalla  Cotte
costituzionale" (sentenze Corte costituzionale n. 348 e  349  del  24
ottobre 2007). 
    Quanto esposto giustifica la rimessione ai  Giudice  delle  Leggi
della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2
bis, della legge n. 89/2001. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte d'Appello, Sezione II^ Civile, 
    Visti gli articoli 134 e 137 Costituzione, 1 legge costituzionale
9 febbraio 1948 n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2 bis, della legge  24
marzo  2001  n.  89  (Previsione  di  equa  riparazione  in  caso  di
violazione del termine ragionevole del processo), per  contrasto  con
l'art. 117, comma 1 Costituzione, nella parte in cui prevede  che  il
processo penale si considera iniziato con l'assunzione della qualita'
di imputato ovvero quando l'indagato ha avuto legale conoscenza della
chiusura delle indagini preliminari; 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
    Dispone la sospensione del presente procedimento  sino  all'esito
del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; 
    Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata alle parti e al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  e
che sia comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento. 
      Catanzaro, Camera di consiglio del 17 febbraio 2014 
 
                        Il Presidente: Majore