N. 6 SENTENZA 20 - 27 gennaio 2015

Giudizio sull'ammissibilita' dei referendum. 
 
Richiesta di abrogazione referendaria di disposizioni in  materia  di
  trattamenti pensionistici di cui all'art. 24 del  decreto-legge  n.
  201 del 2011 (convertito dalla legge n. 214 del 2011). 
- Art. 24 del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni
  urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento  dei  conti
  pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1,
  comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214. 
(GU n.4 del 28-1-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
  ZANON, 
  
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  ammissibilita',  ai  sensi  dell'art.  2,  primo
comma,  della  legge  costituzionale  11  marzo  1953,  n.  1  (Norme
integrative della Costituzione concernenti la Corte  costituzionale),
della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 24
(Disposizioni  in   materia   di   trattamenti   pensionistici)   del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 22 dicembre 2011, n. 214,  giudizio  iscritto  al  n.  162  del
registro referendum. 
    Vista l'ordinanza dell'11 dicembre 2014, con la  quale  l'Ufficio
centrale  per  il  referendum  presso  la  Corte  di  cassazione   ha
dichiarato conforme a legge la richiesta; 
    udito nella camera di consiglio del 20 gennaio  2015  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    uditi gli avvocati Andrea Manzi e  Luca  Antonini  per  Calderoli
Roberto, Candiani Stefano, Centinaio Gian Marco e  Munerato  Emanuela
nella qualita' di rappresentanti del Comitato promotore Lega  Nord  e
l'avvocato dello Stato Massimo Massella Ducci Teri per il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 dicembre 2014, l'Ufficio  centrale  per
il referendum, costituito presso la Corte  di  cassazione,  ai  sensi
dell'art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum
previsti  dalla  Costituzione  e  sulla  iniziativa  legislativa  del
popolo) e  successive  modificazioni,  ha  dichiarato  conforme  alle
disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare abrogativo,
promossa da quindici  cittadini  italiani  (con  annuncio  pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale del 25 febbraio  2014,  serie  generale,  n.
46), sul quesito cosi' inizialmente formulato: «Volete  Voi  che  sia
abrogato: il decreto-legge n. 201 recante "Disposizioni  urgenti  per
la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti  pubblici",
convertito in legge con modificazioni dall'art. 1, comma 1, legge  22
dicembre  2011,  n.  214,  nel  testo  risultante  per   effetto   di
modificazioni e integrazioni successive,  limitatamente  all'articolo
24?». 
    2.- L'Ufficio  centrale,  con  la  stessa  ordinanza  -  ritenuto
«opportuno [...] provvedere all'integrazione del quesito per inserire
[...]  la  rubrica  della  disposizione   oggetto   della   richiesta
referendaria  suddetta»  -  ne  ha  cosi'  ridenominato  il   titolo:
«Abrogazione   delle   disposizioni   in   materia   di   trattamenti
pensionistici di cui all'art. 24 del decreto-legge n.  201  del  2011
(convertito dalla legge n. 214 del 2011)». 
    3.-  Il   Presidente   della   Corte   costituzionale,   ricevuta
comunicazione  dell'ordinanza,  ha  fissato,   per   la   conseguente
deliberazione, la camera di consiglio del 14 gennaio 2015, disponendo
che ne fosse data comunicazione ai sensi dell'art. 33 della legge  n.
352 del 1970. 
    4.- In prossimita' della camera di consiglio del 14 gennaio 2015,
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha depositato una  memoria  con
la quale chiede  che  la  richiesta  di  referendum  abrogativo,  del
predetto art. 24 del decreto-legge n. 201 del  2011,  sia  dichiarata
inammissibile. 
    A  tal  fine,  la  difesa  erariale  deduce  che   la   richiesta
referendaria non sarebbe tale da soddisfare, anzitutto, il  requisito
dell'omogeneita' del quesito, coinvolgendo esso tutte le disposizioni
in materia di trattamenti pensionistici, sia  pubblici  che  privati,
oltre  a  norme  in  materia  di  perequazione  delle  pensioni,   di
riequilibrio della previdenza per i liberi professionisti e un  Fondo
per  il  finanziamento  di  interventi  a   favore   dell'occupazione
giovanile e delle donne. 
    Inoltre, la norma di cui si  chiede  l'abrogazione,  introducendo
nuovi principi in tema di  trattamenti  previdenziali,  costituirebbe
"una disposizione della manovra finanziaria del 2011,  produttiva  di
effetti collegati in via diretta ed immediata alla legge di bilancio"
e, dunque, non sottoponibile, di  per  se',  a  referendum  ai  sensi
dell'art. 75 Cost. 
    5.- La trattazione del giudizio di ammissibilita' della  suddetta
richiesta di referendum - gia' fissata per la  data  del  14  gennaio
2015 - e' stata, con ordinanza in  pari  data,  rinviata  all'udienza
camerale del 20 gennaio successivo, in adesione alla richiesta in tal
senso formulata dai cittadini suoi presentatori, non  risultando  nei
loro confronti ritualmente perfezionata la notifica del provvedimento
di fissazione della data della precedente udienza,  della  quale  gli
stessi dichiaravano di essere  venuti  solo  tardivamente  aliunde  a
conoscenza. 
    6.- Nel termine di cui all'art. 33 della legge n. 352  del  1970,
la difesa dei predetti presentatori ha, quindi,  depositato  memoria,
nella quale si sostiene che la norma oggetto della presente richiesta
di referendum - diversamente dalle «Norme per il riordino del sistema
previdenziale  dei   lavoratori   privati   e   pubblici,   a   norma
dell'articolo 3 della L. 23 ottobre 1992, n. 421», di cui al  decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (strutturate nell'ambito di  una
legge di delega  e  preannunciate  nei  documenti  di  programmazione
finanziaria), oggetto  della  declaratoria  di  inammissibilita'  del
referendum di cui alla sentenza n. 2 del 1994  -  si  risolva  in  un
«intervento   straordinario,   annunciato   e   adottato   quasi   in
contemporanea, in alcun modo riconducibile alla legge di  stabilita'»
e, quindi, alla categoria delle leggi di bilancio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte e' chiamata a pronunciarsi sull'ammissibilita' della
richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art.  24  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 22 dicembre 2011, n. 214 (da ora, piu'  semplicemente  d.l.  n.
201 del 2011): richiesta dichiarata legittima, con ordinanza  dell'11
dicembre 2014, dall'Ufficio centrale per  il  referendum,  costituito
presso la Corte di  cassazione,  che  ha  modificato  il  correlativo
quesito, con attribuzione del  seguente  titolo:  «Abrogazione  delle
disposizioni in materia di trattamenti pensionistici di cui  all'art.
24 del decreto-legge n. 201 del 2011 (convertito dalla legge  n.  214
del 2011)». 
    2.- Il citato art. 24 aggrega, nei commi da 1 a 31-bis, di cui si
compone,  una  variegata  serie  di  «disposizioni  in   materia   di
trattamenti  pensionistici»  relativa  ai  settori  del  lavoro   sia
pubblico che privato, sia  subordinato  che  autonomo  e  dei  liberi
professionisti;  e  che  attengono  sia  alla  "nuova"  pensione   di
vecchiaia che a quella  "anticipata"  (sostitutiva  della  precedente
pensione  di   anzianita');   contemplano   misure   concernenti   la
contribuzione  di  solidarieta'  e  il  blocco   della   perequazione
automatica delle pensioni; prevedono anche l'istituzione di un «Fondo
per il  finanziamento  di  interventi  a  favore  dell'incremento  in
termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione giovanile e delle
donne» (comma 27) e disciplinano la tassazione  delle  indennita'  di
fine rapporto e di quelle in favore di amministratori di societa'  di
capitali (comma 31). 
    3.- La  richiesta  in  esame  e'  inammissibile  per  motivi  che
attengono sia alla natura della normativa che  si  intende  abrogare,
sia alla struttura del quesito. 
    3.1.- In relazione al primo profilo - anche a  prescindere  dalla
natura tributaria, ostativa alla  sottoponibilita'  a  referendum  ex
art. 75 Cost., della su citata disposizione,  di  cui  al  comma  31,
inserita  all'interno  dell'art.  24  del  d.l.  n.  201  del   2011,
considerato  come  aggregato  unitario  e  indiviso  dalla  richiesta
abrogativa - rileva  il  divieto  di  ammissibilita'  del  referendum
abrogativo  di  leggi  di  bilancio,  di  cui  al  medesimo  precetto
costituzionale, riferibile al complessivo  contenuto  disciplinatorio
del predetto art. 24. 
    3.1.1.- Al  riguardo,  questa  Corte  -  sulla  premessa  che  la
interpretazione   letterale   delle   cause    di    inammissibilita'
testualmente descritte nell'art. 75 Cost. deve essere  integrata  «da
una interpretazione logico-sistematica, per cui  vanno  sottratte  al
referendum disposizioni produttive di effetti collegati in modo cosi'
stretto all'ambito di operativita' delle leggi espressamente indicate
dall'art.  75,  che  la  preclusione  debba   ritenersi   sottintesa»
(sentenza n. 16 del 1978) - ha gia'  avuto  modo  di  precisare,  con
riguardo alla categoria, in particolare, delle «leggi  di  bilancio»,
che - se non possono, agli effetti del divieto sub art. 75  Cost.,  a
questa equipararsi «le innumerevoli leggi di spesa» (sentenza  n.  16
del 1978), ancorche' (e per il solo fatto che)  perseguano  obiettivi
di «contenimento della spesa pubblica» (sentenza n. 12  del  2014)  -
sono, viceversa, a detta categoria  riconducibili  quelle  leggi  che
«presentino "effetti collegati in modo cosi'  stretto  all'ambito  di
operativita'"  delle  leggi  di  bilancio,  da  essere  sottratte   a
referendum, diversamente dalle altre innumerevoli  leggi  di  spesa».
Con l'ulteriore puntualizzazione che un tale «stretto collegamento si
puo'  ritenere  sussista  se  il  legame  genetico,   strutturale   e
funzionale con le leggi di bilancio sia tale che le norme sostanziali
collegate   incidano   direttamente   sul   quadro   delle   coerenze
macroeconomiche e siano essenziali  per  realizzare  l'indispensabile
equilibrio  finanziario»  (sentenza  n.  2  del  1994),  in  modo  da
rientrare nella «manovra di bilancio» (sentenza n. 35 del 1985). 
    3.1.2.-  In  applicazione  di  tali  principi,  sono  gia'  state
ritenute  inammissibili  due  richieste  di  referendum  relative  al
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, recante «Norme  per  il
riordino del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici,
a norma dell'articolo 3  della  L.  23  ottobre  1992,  n.  421»,  in
ragione, appunto, del ravvisato stretto  collegamento,  «nel  tempo»,
degli  effetti  del  suddetto   atto   legislativo   «all'ambito   di
operativita' delle leggi di bilancio», anche in correlazione alla sua
specifica  finalita'  di  «stabilizzazione  del  sistema   per   dare
sicurezza ai pensionati attuali e futuri sulla tenuta finanziaria del
sistema stesso» (sentenza n. 2 del 1994). 
    La difesa dei promotori ha, a  tal  riguardo,  sostenuto  che  lo
«stretto collegamento» con l'ambito di operativita'  della  legge  di
bilancio - ravvisato dalla ricordata sentenza n. 2 del 1994  rispetto
alla disciplina pensionistica di cui al decreto  legislativo  n.  503
del 1992 - non possa essere, pero',  analogamente  individuato  nella
norma oggetto dell'attuale richiesta referendaria. E cio' perche'  si
tratterebbe,  in  questo  caso,  di  «un  intervento   straordinario,
annunciato ed adottato quasi in contemporanea», con un decreto-legge,
«e non di un intervento  strutturato  nell'ambito  di  una  legge  di
delega e preannunciato nei documenti di programmazione  finanziaria»,
«come invece era accaduto per il d.lgs. n. 503 del 1992». 
    La stessa difesa - dopo  aver  sottolineato  «come  la  legge  di
stabilita' per il 2012 (legge 12 novembre 2011,  n.  183)  sia  stata
promulgata oltre venti giorni prima dell'adozione  (6  dicembre)  del
decreto-legge n. 201 del 2011» - ha poi ancora sostenuto che cio' sia
«dirimente» al fine di «escludere che il suddetto decreto-legge possa
ritenersi collegato in modo genetico e funzionale con quelle leggi di
bilancio per  le  quali  l'art.  75  della  Costituzione  esclude  il
referendum». 
    3.1.3. - L'argomento non e' fondato. 
    Il «collegamento» alla legge  di  bilancio,  agli  effetti  della
inammissibilita' del referendum, ben puo', infatti, riferirsi anche a
provvedimenti  a  detta   legge   successivi,   ove   formalmente   e
sostanzialmente correttivi o integrativi della stessa, che si rendano
necessari per l'equilibrio della manovra finanziaria. 
    Questa evenienza e' espressamente prevista e  disciplinata  dalla
disposizione di cui al  comma  6  dell'art.  10-bis  della  legge  di
contabilita' e finanza pubblica (legge 31  dicembre  2009,  n.  196),
come introdotta dall'art. 2, comma 3, della legge 7 aprile  2011,  n.
39 (Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196,  conseguenti  alle
nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento
delle politiche economiche degli Stati  membri),  in  vigore  dal  13
aprile successivo, la quale prevede che, in  tal  caso,  «il  Governo
[...] trasmette una relazione al Parlamento nella quale indica  [...]
gli interventi correttivi che si prevede di adottare». 
    Come noto, la riferita procedura e' stata applicata, per la prima
volta, proprio con riguardo al d.l. n. 201 del 2011. 
    Nella Relazione al Parlamento, presentata il 4 dicembre 2011,  il
Governo evidenziava come - in  ragione  delle  recenti  tensioni  sui
mercati finanziari - «per  mantenere  gli  impegni  assunti  in  sede
europea» si rendesse,  appunto,  necessaria  una  manovra  correttiva
[della precedente legge n. 183 del 12 novembre  2011]  equivalente  a
circa l'1,3 per cento del Prodotto interno lordo - incidente, per una
parte  rilevante  sul  settore  previdenziale  -   ed   espressamente
qualificava tale intervento come "collegato" alla manovra di  finanza
pubblica per il triennio 2012-2014. 
    Ed e'  in  ragione  di  cio'  che,  in  sede  di  esame  (per  la
conversione in legge) del d.l. n. 201 del 2011, e' stata applicata la
disposizione di cui all'art. 123-bis, comma  3-bis,  del  Regolamento
della Camera, relativa al regime  di  ammissibilita'  delle  proposte
emendative  di  provvedimenti  collegati  alla  manovra  di   finanza
pubblica (Intervento del Presidente Giorgetti, in Commissioni Riunite
V e VI, seduta dell'8 dicembre  2011  -  Atti  Camera  n.  4829,  XVI
Legislatura). E, anche in  sede  di  discussione  e  approvazione  in
Senato (651ª Seduta, 22 dicembre 2011), il disegno di legge n.  3066,
di conversione del d.l. n.  201  del  2011,  e'  stato  espressamente
qualificato come «Collegato alla manovra finanziaria». 
    Il  collegamento  della  norma  che  si  intende   sottoporre   a
referendum  con  la  legge   di   bilancio   e'   ulteriormente,   ed
inequivocabilmente,  del  resto,  dimostrato   dal   fatto   che   la
disposizione di cui all'art. 5  della  legge  n.  183  del  2011  (in
materia di trattamenti pensionistici e, segnatamente, sull'elevazione
del requisito anagrafico ad anni 67 per  chi  matura  il  diritto  al
pensionamento dall'anno 2026), e' stata abrogata proprio dal comma  9
dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, che, pertanto,  e'  venuto  ad
incidere su un aggregato, importante, della manovra di bilancio,  con
evidenti prospettive di  ampliare  l'orizzonte  della  sostenibilita'
finanziaria  stessa  (anticipando  la  progressione  in  avanti   del
requisito anagrafico). 
    In definitiva, proprio gli evidenziati  profili  di  contenuto  e
procedurali, che sostanziano la  portata  dell'art.  24  e  ne  hanno
caratterizzato  l'origine,  rendono  immediatamente  percepibile   la
differenza di piani sui quali si collocano  l'anzidetta  disposizione
oggetto  del  quesito  referendario  ed  una  «qualunque  legge»  che
«persegua obiettivi o produca effetti  di  contenimento  della  spesa
pubblica in vista del riequilibrio del bilancio statale» (sentenza n.
12 del 2014); una distanza, dunque, che, anche  nel  caso  in  esame,
mantiene intatta l'esigenza di non ampliare  eccessivamente  l'orbita
del divieto di cui all'art. 75, secondo comma, Cost. 
    3.2.- Ulteriore, a sua volta decisivo, motivo di inammissibilita'
della odierna richiesta di  referendum  e'  costituito  dalla  palese
carenza di omogeneita' del quesito. Cio' che, nella loro  memoria,  i
promotori  neppure  hanno   contestato,   insistendo,   invece,   sui
molteplici aspetti di criticita' che paleserebbe la disciplina recata
dall'art. 24 e, tra questi, in particolare quello della sua incidenza
pregiudizievole su una estesa platea di destinatari; censure, queste,
che, come tali, non possono pero' radicare alcun scrutinio in  questa
sede, giacche' estranee all'ambito oggettivo del presente giudizio di
ammissibilita' ai sensi della legge costituzionale n. 1 del 1953. 
    La richiesta in esame - proponendosi di sottoporre ad abrogazione
in modo indistinto l'intero art. 24  del  d.l.  n.  201  del  2011  -
investe, infatti, all'interno della  stessa  (di  per  se')  ampia  e
variegata materia dei «trattamenti pensionistici», una pluralita'  di
fattispecie differenziate, sia in relazione alle  forme  di  pensione
(stante l'autonomia disciplinatoria della  «pensione  di  anzianita'»
rispetto a quella, cosiddetta ora, «anticipata»),  sia  con  riguardo
alla pluralita' delle categorie di soggetti  interessati  (lavoratori
pubblici, privati, subordinati, autonomi, liberi professionisti), cui
corrispondono  non  uniformi  regimi  previdenziali;   e   coinvolge,
altresi',  disposizioni  normative  che   attengono   alle   aliquote
contributive  dei  soli  lavoratori   autonomi,   alla   perequazione
automatica, alla contribuzione di solidarieta' ed alla istituzione di
un Fondo per favorire l'occupazione giovanile e delle donne, oltre ad
una disposizione eccentrica ed estranea  alla  materia  previdenziale
come quella di natura tributaria sulla tassazione anche dei  compensi
degli amministratori di societa' di capitali. 
    Si tratta, dunque, nella specie di un "aggregato indivisibile  di
norme", tale che «l'elettore si troverebbe a dover esprimere un  voto
bloccato su una pluralita' di atti e disposizioni diverse»  (sentenza
n. 12 del 2014), con conseguente compressione della propria  liberta'
di convincimento e di scelta, a presidio  della  quale,  appunto,  e'
posto  il  requisito  della  omogeneita'  del  quesito,  al  fine  di
garantire l'autenticita' della espressione  della  volonta'  popolare
(sentenze n. 47 del 1991, n. 65 e n. 64 del 1990, n. 27 del 1981,  ex
plurimis). 
    4.- L'art. 1 della successiva legge 23  dicembre  2014,  n.  190,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2015», nei  suoi  commi
113, 117,  707,  708  e  709,  ha,  a  sua  volta,  inciso  in  senso
modificativo su disposizioni (in particolare  su  quelle  di  cui  al
comma 10 e al comma 2) dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011. 
    Tale modifiche sono evidentemente prive di rilievo  agli  effetti
dell'odierno giudizio  di  (esclusa)  ammissibilita'  del  referendum
abrogativo del citato art.  24,  anche  se,  ex  post,  ulteriormente
confermano il collegamento della disciplina, che  ne  forma  oggetto,
con gli obiettivi e i contenuti,  di  lungo  periodo,  della  manovra
finanziaria. 
      
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile la richiesta di  referendum  popolare  per
l'abrogazione dell'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei  conti  pubblici),  convertito  in  legge,   con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, richiesta
dichiarata  legittima,   con   ordinanza   dell'11   dicembre   2014,
dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso  la  Corte
di cassazione. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                  Mario Rosario MORELLI, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI 
 
 
                                                            Allegato: 
         Ordinanza letta alla camera di consiglio del 14 gennaio 2015 
 
                              ORDINANZA 
 
    Vista l'istanza di rinvio della trattazione  della  richiesta  di
referendum abrogativo n. 162; 
    rilevato che la notifica  della  data  dell'odierna  udienza  non
risulta legalmente perfezionata nei confronti del Comitato promotore. 
 
                          PER QUESTI MOTIVI 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    rinvia la trattazione del procedimento referendario alla  udienza
camerale del 20 gennaio 2015, ore 9,30. 
 
               F.to: Alessandro Criscuolo, Presidente