N. 14 SENTENZA 9 - 13 febbraio 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale -  Giudizio  conseguente  all'opposizione  a  decreto
  penale  di  condanna  -  Richiesta  di   ammissione   all'oblazione
  contestuale all'opposizione - Ritenuta preclusione per  il  giudice
  di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi  dell'art.  129
  cod. proc. pen. 
- Codice di procedura penale, art. 464, comma 2. 
-   
(GU n.7 del 18-2-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici  :Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,
  Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,  Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 464,  comma
2, del codice di  procedura  penale,  promosso  dal  Giudice  per  le
indagini preliminari del Tribunale di Tivoli nel procedimento  penale
a carico di D.F.A. ed altri  con  ordinanza  del  10  febbraio  2014,
iscritta al n. 146 del registro ordinanze  2014  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  39,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 28 gennaio  2015  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza  del  10  febbraio  2014,  il  Giudice  per  le
indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Tivoli  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 della Costituzione,  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 464, comma 2, del codice  di
procedura penale, nella parte in cui, «secondo il  diritto  vivente»,
non consente al giudice di pronunciare sentenza di proscioglimento ai
sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., ove l'imputato abbia  presentato
domanda di oblazione contestualmente all'opposizione a decreto penale
di condanna. 
    Il giudice a quo premette di  essere  investito  dell'opposizione
avverso il decreto penale di condanna alla  pena  di  euro  2.500  di
ammenda, emesso nei confronti di tre persone  imputate,  in  concorso
tra loro, di una contravvenzione in materia ambientale. Con l'atto di
opposizione,   corredato   da   memoria   difensiva   con    allegata
documentazione, gli imputati avevano chiesto  il  proscioglimento  ai
sensi dell'art. 129 cod.  proc.  pen.  e,  in  subordine,  di  essere
ammessi all'oblazione a norma dell'art. 162-bis del codice penale. 
    Ad avviso  del  rimettente,  sussisterebbero  i  presupposti  per
l'immediato proscioglimento  degli  imputati  perche'  il  fatto  non
costituisce reato: la documentazione prodotta fornirebbe, infatti, la
prova   evidente   che   essi   avevano   operato    nell'incolpevole
convincimento della piena legittimita' dell'attivita' di abbandono di
rifiuti loro contestata, con conseguente insussistenza  dell'elemento
soggettivo del reato. 
    Secondo il giudice  a  quo,  tuttavia,  alla  luce  del  «diritto
vivente», tale pronuncia non sarebbe consentita. 
    Con sentenza 25 marzo - 4 giugno 2010, n. 21243, le sezioni unite
della Corte di cassazione -  componendo  un  pregresso  contrasto  di
giurisprudenza  -  hanno  infatti  affermato  che  la   sentenza   di
proscioglimento, emessa ai sensi dell'art. 129 cod.  proc.  pen.  dal
giudice per le indagini  preliminari  dopo  l'opposizione  a  decreto
penale, deve considerarsi abnorme. A sostegno della  conclusione,  le
sezioni unite hanno rilevato che il citato art. 129  non  attribuisce
al giudice un potere di giudizio ulteriore,  inteso  quale  occasione
"atipica" di decidere la res iudicanda, ma si limita ad enunciare una
regola di giudizio che deve trovare attuazione con l'osservanza della
disciplina relativa alla fase e al grado in cui il processo si  trova
e nel rispetto del principio del contraddittorio. Nella  specie,  una
volta  emesso  il  decreto  penale,  il  giudice  per   le   indagini
preliminari e' spogliato di poteri decisori di merito, incombendo  su
di  esso  solo  i  poteri-doveri  di  impulso  processuale   previsti
dall'art. 464 cod. proc. pen., vincolati nell'an e nel  quomodo,  con
la  sola  eccezione  della  decisione  sulla  eventuale  domanda   di
oblazione (art. 464, comma 2, cod. proc. pen.). 
    A parere del  giudice  a  quo,  tuttavia,  proprio  in  relazione
all'ipotesi in cui sia presentata domanda di oblazione, la  soluzione
ermeneutica accolta dal «diritto  vivente»  condurrebbe  a  risultati
contrastanti con la Costituzione. 
    Al riguardo, il rimettente rileva preliminarmente come non  possa
condividersi l'assunto delle sezioni unite, posto  anch'esso  a  base
della ricordata opzione interpretativa, stando al  quale  il  giudice
per le indagini  preliminari  non  potrebbe  pronunciare  sul  merito
dell'azione  penale  dopo  l'opposizione  senza  incorrere   in   una
violazione delle regole sulla incompatibilita', posto che l'art.  34,
comma 2, cod. proc. pen. inibisce al  giudice  che  abbia  emesso  il
decreto penale di condanna di «partecipare al  giudizio»  concernente
lo stesso imputato. Sarebbe, infatti, lo stesso  art.  141,  comma  3
[recte: comma 4], disp. att. cod. proc. pen. a  prevedere  che  detto
giudice, dopo il versamento della somma dovuta a titolo di oblazione,
dichiari estinto il reato con sentenza: cio', «a dimostrazione di una
valenza del tutto attenuata della clausola di incompatibilita' di cui
all'art. 34, comma 2, c.p.p.». 
    Tanto puntualizzato, il rimettente osserva  come,  in  forza  del
censurato art. 464, comma  2,  cod.  proc.  pen.,  il  giudice  debba
decidere sulla domanda di oblazione prima di emettere i provvedimenti
propulsivi finalizzati  all'instaurazione  del  giudizio  conseguente
all'opposizione:  con   il   risultato   che   l'opzione   esercitata
impedirebbe all'imputato di accedere ad una pronuncia di  merito  che
ne accerti l'innocenza. 
    Cio' comporterebbe, anzitutto, la violazione  del  «principio  di
ragionevolezza,  quale  particolare  accezione   del   principio   di
uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.». L'art. 459, comma 3, cod. proc.
pen. consente, infatti, al giudice  di  prosciogliere  l'imputato  ai
sensi dell'art. 129 cod.  proc.  pen.  in  sede  di  decisione  sulla
richiesta  di  emissione  del  decreto  di  condanna  presentata  dal
pubblico ministero. Di contro, nella  fase  successiva  all'emissione
del  decreto,  l'imputato,  per  il  solo  fatto  di  aver  richiesto
l'oblazione, verrebbe a trovarsi in una situazione  irragionevolmente
deteriore:  giacche',  quando  pure  -  alla  luce  delle   deduzioni
contenute nell'atto di opposizione  -  emergesse  la  prova  evidente
della sua innocenza,  il  giudice  dovrebbe  comunque  "imporgli"  il
versamento di una  somma  di  denaro  a  titolo  di  oblazione.  Tale
risultato non potrebbe essere  evitato  neppure  tramite  un  rigetto
della  domanda  di  oblazione  volto  «obliquamente»   a   consentire
all'imputato «di rimettere in discussione la res iudicanda», giacche'
le  cause  di  rigetto  dell'istanza  di  oblazione  «sono  tutte  da
interpretare contra reum». 
    La   possibilita',   per   l'imputato,   di    beneficiare    del
proscioglimento immediato  nella  fase  anteriore  all'emissione  del
decreto, in applicazione dell'art. 459, comma  3,  cod.  proc.  pen.,
verrebbe, d'altra parte, a dipendere dalla completezza o  meno  delle
indagini svolte fino a quel momento dal pubblico ministero, senza che
rilevino i successivi  apporti  probatori  della  difesa:  donde  una
irragionevole compressione anche del diritto di difesa  dell'imputato
(art. 24 Cost.). 
    La norma censurata, nella lettura datane dal  «diritto  vivente»,
si porrebbe altresi' in contrasto con l'art. 27 Cost., perche' lesiva
del diritto dell'imputato a conseguire in  ogni  stato  e  grado  del
giudizio  l'assoluzione  dall'accusa   mossagli,   allorche'   emerga
univocamente la sua innocenza. 
    Risulterebbe violato, infine, l'art. 111 Cost., sia «nella  parte
in cui prevede il  diritto  dell'imputato  di  allegare  prove  della
propria innocenza» (nella specie, mediante  l'atto  di  opposizione);
sia nella parte in cui - enunciando il  principio  della  ragionevole
durata del processo - esclude che l'imputato possa essere costretto a
richiedere il giudizio al fine di conseguire un'assoluzione che  gia'
emerge come esito evidente dagli atti. 
    La questione sarebbe, altresi', rilevante  nel  giudizio  a  quo,
apparendo  incontestabile  l'interesse  degli  imputati   ad   essere
prosciolti,  anziche'  per  estinzione  del  reato   in   conseguenza
dell'oblazione, con formula ampiamente liberatoria ai sensi dell'art.
129 cod. proc. pen. 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, per difetto
di  rilevanza  e  perche'   fondata   su   un   erroneo   presupposto
interpretativo, o comunque infondata. 
    La difesa dello Stato osserva che le sezioni unite della Corte di
cassazione, nella sentenza citata del rimettente, hanno affermato che
il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta  di
giudizio immediato da parte dell'opponente a decreto penale, non puo'
adottare de plano una sentenza di proscioglimento ai sensi  dell'art.
129 cod. proc. pen., in  quanto  «l'esigenza  di  immediatezza  nella
declaratoria di una causa di non punibilita' deve pur sempre  trovare
attuazione nelle forme ordinarie e nel rispetto del contraddittorio e
dei diritti delle parti». 
    Nell'ambito del procedimento monitorio, la facolta'  del  giudice
per   le   indagini   preliminari   di   pronunciare   sentenza    di
proscioglimento a norma dell'art. 129 cod.  proc.  pen.  e'  prevista
dall'art. 459, comma 3, cod. proc.  pen.:  disposizione  che  -  come
rilevato dalle sezioni unite - rappresenta una «eccezione al sistema,
giustificata dalla particolare tipologia  del  rito  che  governa  il
procedimento   per   decreto,    contrassegnato    dall'assenza    di
contraddittorio». Per converso  -  sempre  secondo  quanto  affermato
dalle sezioni unite - dopo che  il  decreto  di  condanna  sia  stato
emesso, il giudice per le indagini preliminari e' spogliato di poteri
decisori sul merito dell'azione penale, incombendo su  di  esso,  ove
sia stata presentata  opposizione,  esclusivamente  poteri-doveri  di
propulsione processuale, vincolati nei contenuti. 
    Tale lettura del sistema  apparirebbe  del  tutto  ragionevole  e
pienamente rispettosa del principio del contraddittorio e dei diritti
di difesa delle parti. Essa terrebbe conto della natura dell'atto  di
opposizione, il quale,  per  opinione  generale,  si  configura  come
gravame puro, traducendosi in una  mera  richiesta  di  giudizio  nel
contraddittorio, secondo le peculiarita' dei vari riti previsti dalla
legge processuale in relazione all'opzione esercitata. 
    Le stesse sezioni unite, peraltro, hanno  espressamente  indicato
come eccezione - rispetto alla regola che assegna al giudice  per  le
indagini preliminari, dopo la  presentazione  dell'opposizione,  solo
poteri di impulso processuale  -  l'ipotesi  della  «decisione  sulla
eventuale domanda di oblazione», alla luce di quanto  previsto  dalla
norma censurata. Il necessario rispetto del principio del favor  rei,
imporrebbe,  in  effetti,  al  giudice  investito  della  domanda  di
oblazione un «giudizio» allo  stato  degli  atti,  se  pure  adeguato
all'economia  e  alla  natura  del  procedimento  monitorio:  con  la
conseguenza che - contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente  -
prima di pronunciarsi sull'oblazione, il  giudice  sarebbe  tenuto  a
verificare, secondo il canone prefigurato dall'art.  129  cod.  proc.
pen.,  che  non  vi  siano  evidenze  probatorie  che  impongano  una
pronuncia di proscioglimento piu' favorevole all'imputato. 
    Del resto, nel procedimento di oblazione, disciplinato  dall'art.
141 disp.  att.  cod.  proc.  pen.,  le  scansioni  costituite  dalla
verifica  dei  presupposti  per  l'ammissione  all'oblazione,   dalla
fissazione della somma da versare e dalla concessione di  un  termine
per il pagamento, offrirebbero  al  giudice  ampie  possibilita'  per
valutare se esistano le condizioni per una pronuncia nel merito  piu'
vantaggiosa per l'imputato, rispetto alla dichiarazione di estinzione
del reato conseguente al versamento della somma. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Giudice per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di
Tivoli dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 464,  comma
2, del codice di procedura penale, nella parte in  cui,  «secondo  il
diritto  vivente»,  non  consentirebbe  al  giudice  di   pronunciare
sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129  cod.  proc.  pen.
allorche',  contestualmente  all'opposizione  a  decreto  penale   di
condanna, l'imputato abbia presentato domanda di oblazione. 
    In tale lettura, la norma censurata violerebbe  l'art.  3  Cost.,
determinando   una   irragionevole    disparita'    di    trattamento
dell'imputato  nella  fase  che  precede  e  in  quella   che   segue
l'emissione del decreto di condanna. L'art. 459, comma 3, cod.  proc.
pen. prevede, infatti, che il giudice possa prosciogliere  l'imputato
ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen. in  sede  di  decisione  sulla
richiesta  di  emissione  del  decreto  di  condanna  presentata  dal
pubblico ministero. Di  contro,  una  volta  emesso  il  decreto,  il
giudice - ove sia proposta opposizione  con  contestuale  domanda  di
oblazione - si troverebbe  vincolato  ad  "imporre"  all'imputato  il
pagamento di una somma di denaro a tale titolo,  anche  quando  dalle
deduzioni contenute nell'atto di opposizione emerga in modo  evidente
la sua innocenza. 
    Sarebbe  violato,  altresi',  l'art.  24  Cost.,  in  quanto   la
possibilita', per l'imputato, di fruire del proscioglimento immediato
nella fase anteriore all'emissione del decreto penale di condanna, ai
sensi dell'art. 459, comma 3, cod. proc. pen., verrebbe  a  dipendere
dalla completezza o meno delle indagini svolte dal pubblico ministero
sino  a  quel  momento,  senza  che  rilevino  i  successivi  apporti
probatori della difesa. 
    La norma censurata violerebbe, ancora, l'art. 27  Cost.,  ledendo
il diritto dell'imputato a conseguire  in  ogni  stato  e  grado  del
giudizio  l'assoluzione  dall'accusa   mossagli,   allorche'   emerga
univocamente l'insussistenza della sua responsabilita' penale. 
    Risulterebbe violato, infine, l'art. 111 Cost., sia «nella  parte
in cui prevede il  diritto  dell'imputato  di  allegare  prove  della
propria innocenza» (nella specie, mediante  l'atto  di  opposizione);
sia nella parte in cui - enunciando il  principio  della  ragionevole
durata del processo - esclude che l'imputato possa essere costretto a
richiedere, e quindi ad attendere, il giudizio al fine di  conseguire
un'assoluzione che appare gia' scontata sulla base degli atti. 
    2.-  In  via  preliminare,  va  rilevato   che   l'eccezione   di
inammissibilita' formulata dall'Avvocatura dello Stato,  tesa  a  far
valere l'inesattezza della  premessa  ermeneutica  da  cui  muove  il
rimettente (ritenuta foriera  anche  di  un  difetto  di  rilevanza),
attiene, in realta', al merito della questione. 
    3.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    L'art. 129 cod. proc. pen. -  sotto  la  rubrica  «Obbligo  della
immediata declaratoria di determinate cause  di  non  punibilita'»  -
prevede che, «In ogni stato e grado del processo», il  giudice  debba
dichiarare  d'ufficio  con  sentenza   determinate   cause   di   non
punibilita'  di  cui  riconosca  l'esistenza  (comma  1),  dando   la
prevalenza  alle  formule   di   proscioglimento   per   carenza   di
responsabilita' penale, allorche' questa risulti gia' evidente  dagli
atti (il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso, il  fatto
non costituisce reato o non e'  previsto  dalla  legge  come  reato),
rispetto alla declaratoria di estinzione del reato (comma 2). 
    Dirimendo un pregresso contrasto di  giurisprudenza,  le  sezioni
unite della Corte di cassazione, con la sentenza 25 marzo - 4  giugno
2010, n.  21243,  hanno  escluso  che  il  giudice  per  le  indagini
preliminari, investito dell'opposizione a decreto penale di condanna,
sia abilitato  a  prosciogliere  l'imputato  ai  sensi  della  citata
disposizione (e cio'  diversamente  da  quanto  avviene  in  sede  di
decisione  sulla  richiesta  di  emissione  del  decreto,  in   forza
dell'espressa previsione dell'art. 459, comma 3, cod. proc. pen.). 
    Al riguardo, le sezioni unite hanno ribadito quanto affermato  in
una precedente decisione (sentenza 25 gennaio -  30  marzo  2005,  n.
12283): e, cioe', che l'art. 129 cod. proc. pen.  non  conferisce  al
giudice un potere  di  giudizio  ulteriore,  inteso  quale  occasione
"atipica" di decidere la res iudicanda, ma si limita ad enunciare una
regola di condotta e di giudizio  -  quella  della  precedenza  della
declaratoria delle cause  di  non  punibilita'  considerate,  ove  ne
ricorrano le condizioni, su altri eventuali provvedimenti decisionali
adottabili  dal  giudice  -  destinata  a  trovare   attuazione   con
l'osservanza della disciplina relativa alla fase e al grado in cui il
processo si trova e nel rispetto del principio di contraddittorio. 
    Nella  fase  successiva  all'opposizione  a  decreto  penale,  il
giudice per le indagini preliminari non avrebbe, di  conseguenza,  la
possibilita' di applicare la regola in questione. In  tale  fase,  il
giudice per le indagini preliminari e', infatti, spogliato di  poteri
decisori sul merito dell'azione penale, incombendo  su  di  esso,  ai
sensi  dell'art.  464  cod.  proc.  pen.,   solo   poteri-doveri   di
«propulsione  processuale»  a  contenuto  vincolato,  correlati  alle
opzioni dell'opponente riguardo al rito  (emissione  del  decreto  di
giudizio  immediato,  fissazione   dell'udienza   per   il   giudizio
abbreviato, adempimenti connessi alla richiesta di applicazione della
pena), «con la sola eccezione  rappresentata  dalla  decisione  sulla
eventuale domanda di oblazione (v. art. 464 comma 2 c.p.p.)». 
    Il giudice per le indagini preliminari - come hanno ulteriormente
osservato le sezioni unite - non potrebbe, d'altra parte, revocare il
decreto di condanna fuori  dei  casi  tassativamente  previsti  dalla
legge, ne' pronunciare sul merito dell'azione penale senza  incorrere
in una  violazione  delle  regole  sull'incompatibilita',  posto  che
l'art. 34, comma 2, cod. proc. pen. inibisce al giudice che ha emesso
il decreto di condanna di «partecipare al  giudizio»  concernente  lo
stesso imputato. 
    4.- Nel sollevare la questione, il rimettente  da'  per  scontato
che la soluzione ermeneutica ora ricordata  -  qualificabile,  a  suo
avviso, come  «diritto  vivente»  -  sia  destinata  a  valere  anche
nell'ipotesi in cui, contestualmente all'opposizione, sia  presentata
domanda di oblazione (ipotesi che  non  ricorreva  nella  fattispecie
concreta sottoposta al vaglio delle sezioni unite). 
    Cio' darebbe luogo ad una irragionevole preclusione. In  base  al
censurato art. 464, comma 2, cod. proc. pen., infatti,  la  decisione
sull'istanza di oblazione e' pregiudiziale rispetto all'adozione  dei
provvedimenti propulsivi finalizzati all'instaurazione  del  giudizio
(«Il giudice, se  e'  presentata  domanda  di  oblazione  contestuale
all'opposizione, decide sulla domanda  stessa  prima  di  emettere  i
provvedimenti a norma del comma  1»).  Di  conseguenza,  quando  pure
emergesse in modo  evidente  dagli  atti  -  e,  segnatamente,  dalle
deduzioni  svolte  nell'atto  di  opposizione   -   la   carenza   di
responsabilita'  penale  dell'imputato,  non  vi  sarebbe   modo   di
dichiararla:  il  giudice  investito  dell'opposizione  -   ove   non
sussistano ragioni di  rigetto  della  domanda  di  oblazione  -  non
potrebbe far altro che "imporre" all'opponente il versamento  di  una
somma di denaro a  tale  titolo,  somma  che  pure  non  risulterebbe
dovuta. 
    Di qui, dunque, la denunciata violazione degli artt. 3, 24, 27  e
111 Cost. 
    5.- In realta', deve escludersi che il «diritto vivente»  evocato
dal giudice a quo sia riferibile all'ipotesi che interessa. 
    Come rimarcato anche  dalla  difesa  dello  Stato,  la  ricordata
pronuncia delle sezioni unite della  Corte  di  cassazione  individua
proprio nella decisione sulla  eventuale  domanda  di  oblazione,  ai
sensi  dell'art.  464,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,  una  eccezione
all'affermata carenza  di  poteri  decisori  sul  merito  dell'azione
penale da parte del giudice per le  indagini  preliminari,  investito
dell'opposizione a decreto. 
    Ove abbinata ad  una  domanda  di  oblazione,  l'opposizione  non
determina, in effetti - se non all'esito del rigetto di detta domanda
- l'instaurazione di un giudizio a carattere lato sensu  impugnatorio
(al giudice del quale, nella ricostruzione delle  sezioni  unite,  e'
logico che resti affidata la verifica  dell'applicabilita'  dell'art.
129 cod.  proc.  pen.).  Determina,  invece,  l'instaurazione  di  un
sub-procedimento  davanti  allo  stesso  giudice  per   le   indagini
preliminari, regolato dall'art. 141 disp. att. cod. proc. pen. e  che
prevede anche l'interlocuzione del pubblico ministero (del quale deve
essere acquisito il parere, ai sensi del  comma  4  del  citato  art.
141). 
    In  esito  ad  esso,  il  giudice  e'  chiamato  ad  adottare  un
provvedimento   decisorio   che   implica   un   esame   del   merito
dell'imputazione: e cio' tanto piu' quando - come nella specie  -  si
discuta di una domanda di oblazione cosiddetta discrezionale, il  cui
accoglimento presuppone una valutazione in ordine alla  gravita'  del
fatto, oltre che la verifica dell'assenza di  conseguenze  dannose  o
pericolose del reato eliminabili da parte  del  contravventore  (art.
162-bis, terzo e quarto comma, del codice penale). 
    D'altro canto, ove l'imputato sia ammesso all'oblazione  e  versi
la somma dovuta, il  giudice  -  essendosi  in  una  fase  successiva
all'esercizio   dell'azione   penale   -   pronuncia   sentenza    di
proscioglimento per estinzione del reato (art. 141,  comma  4,  disp.
att. cod. proc. pen.), con correlata revoca del decreto di condanna. 
    Risulta, percio', evidente come  le  affermazioni  delle  sezioni
unite  -  circa  il  carattere  vincolato  e  di  mera   «propulsione
processuale» dei poteri esercitabili  dal  giudice  per  le  indagini
preliminari dopo l'opposizione al decreto, e  circa  l'impossibilita'
che egli revochi il decreto di condanna fuori dei casi tassativamente
previsti dalla legge - non risultino pertinenti all'ipotesi avuta  di
mira dal giudice a quo. Lo stesso  rimettente,  d'altra  parte,  nega
espressamente che valga in  rapporto  ad  essa  l'argomento  ricavato
dalla disciplina delle incompatibilita', stante quanto  disposto  dal
citato art. 141 disp. att. cod. proc. pen. 
    Non sussistono, percio', nel caso  considerato,  le  ragioni  che
hanno indotto le sezioni unite a  negare  l'applicabilita'  dell'art.
129 cod. proc. pen. Al contrario, il  sub-procedimento  di  oblazione
rappresenta  una  sedes  nella  quale  -  sempre  alla   luce   della
ricostruzione delle sezioni unite - puo' bene innestarsi  la  regola,
enunciata dalla citata disposizione, di precedenza della declaratoria
delle cause di non  punibilita'  rispetto  agli  altri  provvedimenti
decisionali adottabili dal giudice, anche  per  quanto  attiene  alla
gerarchia tra le formule di proscioglimento delineata dal comma 2. 
    6.- La questione va dichiarata, pertanto, non fondata, in  quanto
basata su  un  erroneo  presupposto  interpretativo,  sub  specie  di
inesatta identificazione dell'ambito  di  operativita'  dell'asserito
«diritto vivente». 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 464, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in
riferimento agli artt. 3,  24,  27  e  111  della  Costituzione,  dal
Giudice per le indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Tivoli  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI