N. 58 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 gennaio 2015

Ordinanza  del  12  gennaio  2015  del  Tribunale  di  Grosseto   nel
procedimento penale a carico di F.A.. 
 
Processo  penale  -  Misure  cautelari   personali   -   Procedimento
  applicativo - Previsione che le misure sono disposte  su  richiesta
  del pubblico ministero  che  presenta  al  giudice  competente  gli
  elementi su cui la richiesta si fonda - Interpretazione della Corte
  di cassazione consolidatasi come diritto vivente - Possibilita' per
  il pubblico ministero di presentare a  fondamento  della  richiesta
  cautelare elementi diversi da quelli utilizzabili dal  giudice  che
  procede secondo le disposizioni regolative del procedimento o della
  fase del procedimento penale di cognizione in corso di  svolgimento
  - Possibilita' per il giudice del  dibattimento  di  utilizzare  in
  funzione decisoria sulla richiesta cautelare  elementi  diversi  da
  quelli legittimamente acquisiti nel dibattimento - Contrasto con  i
  principi del giusto processo e della imparzialita'  del  giudice  -
  Violazione del principio di non colpevolezza  e  del  principio  di
  uguaglianza,  proporzionalita'  e  ragionevolezza  dei  trattamenti
  giuridici. 
- Codice di procedura penale, art. 291. 
- Costituzione, artt. 3, 27 e 111, comma secondo. 
(GU n.16 del 22-4-2015 )
 
                 IL TRIBUNALE ORDINARIO DI GROSSETO 
              Ufficio Penale Dibattimentale Monocratico 
 
    Insediato in funzione  di  giudice  della  cautela  accessiva  al
giudizio ordinario di cognizione in  corso  con  rito  dibattimentale
ordinario nel procedimento iscritto al n. 16/2014/1153  del  registro
generale degli affari penali di questo Tribunale; 
    Visti gli atti relativi  alla  richiesta  depositata  in  data  9
dicembre 2014  con  cui  il  pubblico  ministero  chiede  applicarsi,
mediante emissione di mandato di arresto europeo, la misura cautelare
personale   coercitiva   custodiale   domiciliare    nei    confronti
dell'imputata F.A. (n.  20.09.1968  in  Austria  ed  ivi  attualmente
residente e dimorante) sulla base della contestazione del delitto  di
cui all'art. 574-bis c.p. ascrittole per avere condotto e  trattenuto
in Austria, a partire dal  settembre  dell'anno  2012,  i  due  figli
minori N. E. (n.) e N. D. (n.) contro la volonta'  del  padre  N.  R.
impedendo  totalmente  a  quest'ultimo  l'esercizio  della   potesta'
genitoriale; peraltro commettendo  il  fatto  (donde  la  concorrente
contestazione del delitto continuato di cui  agli  artt.  81  e  388,
comma 2 c.p.) in violazione dei provvedimenti  del  Tribunale  per  i
minorenni di Firenze in  data  7  aprile  2011  (che  aveva  disposto
l'affidamento condiviso dei figli con collocamento presso la madre ed
obbligo di "garantire l'attuale ambiente di vita" in  Roccastrada)  e
in data 28 febbraio 2012 (che aveva disposto l'affidamento  condiviso
dei figli con loro collocamento presso il padre); 
 
                          Ritenuto in Fatto 
 
I. - Nel presente procedimento penale, iscritto  in  data  17  maggio
2012 al n. 21/2012/1890 del  registro  delle  notizie  di  reato  del
locale ufficio del pubblico ministero, dopo la proroga delle indagini
preliminari e la chiusura  delle  medesime  con  relativo  avviso  di
conclusione emesso in data 10 gennaio 2014 veniva esercitata l'azione
penale formalizzata nel decreto emesso  in  data  14  marzo  2014  in
funzione di citazione diretta  dell'imputata  al  giudizio  ordinario
dibattimentale. 
    Nelle more  della  celebrazione  della  udienza  di  comparizione
dinanzi al giudice del dibattimento, veniva emessa dal giudice per le
indagini preliminari ordinanza cautelare personale  prescrittiva  del
divieto di espatrio  in  data  1°  settembre  2014,  tuttavia  oramai
ineseguibile poiche' l'espatrio dell'imputata era gia' avvenuto. 
    In data 3 ottobre 2014 veniva tenuta l'udienza  introduttiva  del
dibattimento  (riservata  alla   costituzione   delle   parti,   alla
trattazione delle questioni preliminari e dei riti speciali  ed  alla
introduzione probatoria) con rinvio della trattazione istruttoria, da
eseguirsi  mediante  assunzione  probatoria  di  rito  dibattimentale
ordinario, alla successiva udienza la cui data di celebrazione, sulle
insistenze della persona offesa dal reato, veniva poi anticipata  dal
giudice al giorno 21 luglio 2015 con apposito provvedimento. 
II. - In seguito ad ulteriori  postulazioni  presentate  in  data  20
novembre 2014 dalla suddetta persona offesa  al  pubblico  ministero,
quest'ultimo in data 9 dicembre 2014 depositava presso questo ufficio
richiesta cautelare personale coercitiva  detentiva  domiciliare  con
cui,  in  relazione  al   contestato   delitto   di   sottrazione   e
trattenimento di minori all'estero punito a norma  dell'art.  574-bis
c.p. con pena della  reclusione  da  uno  a  quattro  anni,  chiedeva
applicarsi all'imputata la misura degli arresti domiciliari: 
      sulla base del fumus delicti che veniva prospettato al  giudice
dibattimentale - non esistendo, in ragione dello  stadio  processuale
in atto, alcun elemento di prova a carico di qualsivoglia  natura  od
importanza  che  risultasse  ancora   legittimamente   acquisito   al
fascicolo per il dibattimento in funzione  dimostrativa  dell'ipotesi
accusatoria - alla  stregua  delle  sole  risultanze  degli  atti  di
indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero,  consistente
in un faldone di incartamenti composto da circa 400 fogli che  veniva
appositamente trasmesso in allegato alla richiesta cautelare; 
      sulla base del periculum in  mora  riferibile  al  pericolo  di
recidivanza specifica ed anzi alla esigenza di interrompere la stessa
protrazione temporale della condotta criminosa attualmente  in  corso
di consumazione in permanenza, che dovrebbero desumersi alla  stregua
della valutazione delle risultanze degli atti di  indagine  contenuti
nel fascicolo del pubblico ministero appositamente trasmesso; 
      postulandosi la adeguatezza  della  misura  in  funzione  della
soddisfazione della esigenza specialpreventiva -  referenziata  nella
inidoneita' del  pregresso  provvedimento  di  divieto  cautelare  di
espatrio tardivamente adottato  quando  l'imputata  gia'  si  trovava
all'estero   nonche'   nella   indisponibilita'   da   costei    gia'
ripetutamente manifestata alla spontanea osservanza ai  provvedimenti
giudiziari dell'autorita' italiana - che  dovrebbe  desumersi  sempre
alla  stregua  della  valutazione  delle  risultanze  degli  atti  di
indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero appositamente
trasmesso; 
      postulandosi la proporzionalita' della misura alla entita'  del
fatto ed  alle  sanzioni  penali  irrogabili  nel  caso  di  condanna
dibattimentale - in considerazione della particolare  intensita'  del
dolo e della gravita' delle conseguenze dell'impedimento del  normale
rapporto filiale della persona  offesa  con  i  propri  figli,  donde
scaturirebbe la prognosi di una condanna (ad una  pena  superiore  ai
due anni di reclusione o altrimenti non sospendibile) tale da rendere
inoperante il divieto di custodia cautelare dell'imputato al quale il
giudice ritenga che all'esito del giudizio possa essere applicata  la
sospensione condizionale della pena (art. 275, comma 2 bis c.p.p.)  -
come dovrebbe desumersi, ancora un volta,  proprio  e  soltanto  alla
stregua della valutazione delle risultanze  degli  atti  di  indagine
contenuti nello stesso fascicolo del pubblico ministero. 
III. - In funzione giustificativa della  utilizzabilita'  degli  atti
delle indagini preliminari presentati al giudice del  dibattimento  a
sostegno della richiesta cautelare, il pubblico ministero richiedente
riportava l'orientamento espresso nel contesto di una sentenza  della
Corte suprema di cassazione (Cass. II^ sent. n.  9395/2001)  e  sulla
scorta del principio di diritto ivi consacrato sosteneva  che  "debba
quindi darsi risposta  affermativa  al  quesito  se  il  giudice  del
dibattimento, investito della richiesta di applicazione di una misura
cautelare, possa conoscere e utilizzare elementi indiziari  contenuti
nel fascicolo del pubblico ministero". 
 
                       Considerato in Diritto 
 
IV. - Risulta che la  materia  del  quesito  suddetto  abbia  formato
oggetto specifico  di  due  pronunciamenti  della  Corte  suprema  di
cassazione, i quali hanno entrambi in effetti  espressamente  risolto
la questione nel senso come sopra propugnato dal requirente. 
    La  massima  della  prima  sentenza,  richiamata   dal   pubblico
ministero procedente nella richiesta in epigrafe, recita che «Ai fini
dell'applicazione di una misura cautelare  nel  corso  del  giudizio,
atteso che nel procedimento incidentale non  opera  il  principio  di
separazione delle  fasi,  e'  consentito  al  giudice  procedente  di
utilizzare tutti gli elementi raccolti  dal  pubblico  ministero  nel
corso  delle  indagini  preliminari  o   dell'attivita'   integrativa
d'indagine,  anche  se  non  ancora  acquisiti   al   fascicolo   del
dibattimento» [Cass. II^ sent. n. 9395/2001 in data 14 febbraio 2001]
(1) 
    La  seconda  e  piu'  recente  pronuncia,  resa  sulla  specifica
questione della utilizzabilita' degli atti di indagine integrativa di
cui all'art.  430  c.p.p.,  risulta  massimata  con  la  enunciazione
secondo cui « E' legittima  l'emissione  da  parte  del  giudice  del
dibattimento di una misura cautelare reale fondata sull'utilizzazione
di atti di indagine compiuti dal PM dopo l'emissione del decreto  che
dispone il giudizio e non inseriti nel fascicolo per il dibattimento»
[Cass. II^ sent. n. 1179/2008 in data 26 novembre 2008] (2) 
    L'esame delle pronunce suddette  comporta  il  riconoscimento  di
come  appaia  solidamente  accreditato  nella  giurisprudenza   della
Suprema corte il principio di diritto secondo cui  i  dati  cognitivi
utilizzabili dal giudice penale ai fini della decisione  cautelare  -
quali che siano il rito, lo stato, la fase ed il grado di trattazione
del procedimento principale di cognizione cui accede il  procedimento
incidentale di  cautela  -  sarebbero  in  ogni  caso  sempre  quelli
risultanti  dagli  atti  delle  indagini  preliminari  del   pubblico
ministero; salvo  che  nel  frattempo  -  come  si  desume  da  altri
pronunciamenti della Corte medesima - le fonti  di  prova  risultanti
dagli atti del fascicolo  delle  indagini  preliminari  abbiano  gia'
formato oggetto di escussione dibattimentale in contraddittorio,  nel
qual caso, per effetto della "trasformazione processuale delle  fonti
investigative",  ai  suddetti  fini  sarebbero  invece   utilizzabili
soltanto gli elementi risultanti da tale escussione [Cass.  I^  sent.
n. 10923/2011 in data 20 dicembre 2011]. 
    Ed infatti,  sotto  quest'ultimo  profilo,  la  stessa  Corte  ha
precisato che "quando un atto di indagine abbia  gia'  condotto  alla
formazione in  contraddittorio  della  prova  con  esso  individuata,
l'elemento da assumere nel giudizio cautelare puo' essere solo quello
assurto a dignita' di prova, poiche' il dato investigativo  e'  ormai
definitivamente  soppiantato  da  quello  processuale"   (cosi',   in
motivazione, la sentenza da ultimo citata, riguardante un caso in cui
il giudice del dibattimento aveva pronunciato in  materia  cautelare,
quale giudice procedente al tempo  dell'adozione  del  provvedimento,
utilizzando  ai  fini  della  suddetta  decisione  sia  gli  elementi
risultanti dagli atti delle  indagini  originariamente  presentati  a
fondamento della richiesta del pubblico ministero, sia  gli  elementi
risultanti dai verbali delle prove assunte nel corso della  attivita'
dibattimentale che nel frattempo aveva avuto luogo). 
    Per queste ragioni, il richiamo del pubblico ministero procedente
all'orientamento della Corte di cassazione in ordine al "problema  se
il  giudice  del   dibattimento,   investito   della   richiesta   di
applicazione di una misura cautelare, possa  conoscere  e  utilizzare
elementi indiziari contenuti nel fascicolo  del  pubblico  ministero"
risulta  corretto;  dimodoche',   in   definitiva,   la   presupposta
interpretazione dell'art. 291 c.p.p. propugnata  dal  requirente  nel
caso di specie - secondo cui gli "elementi" che il pubblico ministero
puo' presentare e  che  il  giudice  dibattimentale  procedente  deve
utilizzare  ai  fini  della  decisione  cautelare  sarebbero   quelli
risultanti dagli atti delle indagini preliminari -  gode  dell'avallo
del supremo organo  nomofilattico  e  corrisponde  effettivamente  al
cosiddetto diritto vivente. 
    Tale  orientamento  ermeneutico,  cosi'  come  propugnato   dalle
pronunce della Corte suprema di cassazione note per avere trattato la
questione, riguarda - ad avviso di questo remittente -  il  contenuto
precettivo  dell'art,  291  c.p.p.  nella  parte  in  cui  definisce,
mediante il mero  riferimento  linguistico  agli  "elementi"  che  il
pubblico ministero "presenta" a sostegno della  richiesta  cautelare,
il materiale  cognitivo  utilizzabile  dal  giudice  competente  alla
relativa decisione; e tuttavia esso - nella misura in cui  identifica
tali  elementi  con  quelli  desumibili  dagli  atti  delle  indagini
preliminari, siccome postulati utilizzabili ai fini  della  decisione
cautelare indipendentemente dal regime probatorio della procedura  di
cognizione in atto innanzi al giudice  adito  in  sede  di  incidente
cautelare - pone dubbi di congruenza sia con il  vigente  ordinamento
legale della funzione giurisdizionale cautelare, sia con  il  vigente
ordinamento  costituzionale   della   funzione   giurisdizionale   di
cognizione. 
V. - Infatti, gli assunti posti a fondamento del principio di diritto
secondo cui "ai fini della applicazione di una misura  cautelare  nel
corso del giudizio [...]  e'  consentito  al  giudice  procedente  di
utilizzare tutti gli elementi raccolti  dal  pubblico  ministero  nel
corso  delle  indagini  preliminari  o   dell'attivita'   integrativa
d'indagine,  anche  se  non  ancora  acquisiti   al   fascicolo   del
dibattimento" non possono essere condivisi gia' per  la  loro  dubbia
congruenza logica e sistematica rispetto al  vigente  assetto  legale
della funzione giurisdizionale cautelare. 
    Al riguardo, si osserva in primo luogo che i diffusi  riferimenti
argomentativi a contrario (enunciati in Cass. II^ sent. n.  9395/2001
e ripresi in Cass. II^ sent. n. 1179/2008)  alle  regole  della  c.d.
separazione funzionale delle fasi e del  c.d.  doppio  fascicolo  (le
quali definirebbero i regimi di utilizzabilita' degli  atti  ma  che,
siccome tipiche del processo accusatorio, sarebbero inapplicabili  ai
procedimenti incidentali cautelari ancorche'  accessivi  al  giudizio
dibattimentale) appaiono piuttosto equivoci per il fatto  stesso  che
le relative concettuologie sono ignote alla esplicazione  procedurale
della giurisdizione penale di cautela; la  quale,  analogamente  alla
giurisdizione penale di esecuzione e diversamente dalla giurisdizione
penale  di  cognizione,  non   conosce   affatto   alcuna   scansione
strutturale per fasi  in  relazione  alle  quali  possa  parlarsi  di
sdoppiamento dei fascicoli  in  funzione  discriminatoria  di  regimi
rispettivamente differenziati di utilizzabilita' degli atti. In altri
termini,  le  regole  della  separazione  delle  fasi  e  del  doppio
fascicolo  rimangono  estranee  alle  procedure  penali   incidentali
(cautelari ed esecutive) non perche' la disciplina positiva di queste
ultime costituisca espressione di ritualita'  inquisitorie  piuttosto
che accusatorie, bensi' semplicemente in quanto le suddette procedure
non contemplano affatto alcuna suddivisione  per  fasi  in  relazione
alla quale le regole suddette possano applicarsi (3) 
    In secondo luogo,  l'affermazione  secondo  cui  al  giudice  del
dibattimento sarebbe consentita la  utilizzazione  degli  atti  delle
indagini preliminari per  emettere  misure  cautelari  perche'  "alle
norme proprie di tale sub-procedimento incidentale  che  occorre  far
riferimento" dimodoche' ai fini della applicazione incidentale  della
misura  cautelare  "troveranno  per  contro  applicazione  le   norme
previste nella sede loro propria" (Cass.  II^  sent.  1179/2008)  da'
luogo ad un ragionamento che,  sia  pure  radicato  su  una  premessa
incondizionatamente  condivisibile  (quella  secondo   cui   i   dati
cognitivi   legittimamente    utilizzabili    nell'esercizio    della
giurisdizione cautelare devono individuarsi alla stregua delle  norme
positive che definiscono le procedure proprie di tale giurisdizione),
appare fallace poiche' la medesima premessa e' costruita  in  maniera
da racchiudere apoditticamente la conclusione  del  ragionamento,  il
quale pertanto si risolve in  una  petizione  di  principio;  laddove
infatti, per ragioni che non vengono  spiegate  ed  alla  stregua  di
referenti logici e  normativi  che  non  vengono  indicati,  siffatto
riferimento alle "norme proprie" della procedura  cautelare  da'  per
scontato cio' che si vuole dimostrare, ossia che esista  una  qualche
disposizione  secondo  cui  gli  atti   utilizzabili   in   sede   di
giurisdizione  cautelare  sarebbero  necessariamente   quelli   delle
indagini preliminari. In terzo luogo, non pare conduca a piu' congrui
risultati anche il "punto di vista strettamente formale" alla stregua
del quale si afferma che la utilizzazione degli atti  delle  indagini
ai fini della decisione cautelare del giudice dibattimentale  sarebbe
consentita dall'art. 291 c.p.p. in quanto tale  disposizione  prevede
che la misura e' disposta sulla base degli elementi "presentati"  dal
pubblico ministero  "al  giudice  competente"  (Cass.  II^  sent.  n.
9395/2001). Ed infatti anche in tale prospettiva argomentativa -  che
in effetti, lungi dal fornire un mero "punto di  vista"  e  tantomeno
"strettamente formale", dovrebbe rappresentare il punto  di  partenza
di ogni considerazione strumentale alla soluzione del problema, visto
che e' l'unica a radicare una  analisi  ermeneutica  del  presupposto
referente normativo positivo - viene poi sviluppato  un  ragionamento
che conduce anch'esso ad una conclusione (quella secondo cui gli atti
delle indagini preliminari sono utilizzabili a fini  della  decisione
cautelare  anche  dal  giudice  del  dibattimento)  gia'  interamente
contenuta  nella  premessa,  siccome  ancora   una   volta   radicata
sull'assioma  secondo  cui,  ai  sensi  dell'art.  291  c.p.p.,   gli
"elementi" che il pubblico ministero "presenta" al giudice competente
debbano necessariamente identificarsi  con  quelli  risultanti  dagli
atti delle indagini  preliminari,  anziche'  con  quelli  assunti  od
acquisibili  dal  "giudice  che  procede"  alla  stregua  dei  regimi
normativi di formazione degli elementi di prova e di  utilizzabilita'
degli atti che sono propri della procedura di cognizione in corso  di
svolgimento alla momento della decisione sull'incidente cautelare. 
    In quarto luogo, anche la "ulteriore considerazione che  suffraga
definitivamente   l'interpretazione   prescelta   anche   sul   piano
sistematico" - ossia quella racchiusa nell'enunciato secondo cui  "se
al p.m.  non  fosse  consentito  di  presentare  (e  al  giudice  del
dibattimento di utilizzare) gli elementi  a  carico  scaturiti  dalle
indagini preliminari, la stessa applicazione della misura sarebbe  di
fatto impossibile prima dell'inizio  dell'istruzione  dibattimentale"
(Cass. II^ sent. n. 9395/2001) - pare dare  luogo  ad  una  ulteriore
fallacia  induttiva.  Infatti,   tale   ragionamento   apparentemente
inferisce  la   (conclusione   della)   validita'   della   soluzione
interpretativa   prescelta   dalla   (premessa   consistente   nella)
constatazione di null'altro che la stessa  configurabilita'  empirica
del problema in vista del quale la soluzione risulta postulata; ed in
tal modo trascura di  considerare  che,  mentre  la  configurabilita'
ontologica  delle  esigenze  pratiche  (comprese  quelle   cautelari)
suscettibili  di  trattamento  giuridico  dipende  dalle   indefinite
possibilita' della casistica concreta, la applicabilita'  dei  rimedi
giudiziari dipende dalle  circoscritte  possibilita'  semantiche  dei
presupposti referenti  normativi  positivi  astratti,  donde  l'ovvia
conclusione che la applicabilita' dello strumento  cautelare  dipende
non  soltanto  dalla  predicabilita'  fattuale  di  una   correlativa
esigenza ma anche dalla ricorrenza delle altre condizioni di  rito  e
di  merito  alle  quali  il  legislatore,  in  sede  di   definizione
discrezionale del sistema normativo di riferimento e subordinatamente
alle  esigenze  di  carenza   del   medesimo,   abbia   ritenuto   di
condizionarne la tutela giudiziaria (4) 
    In quinto luogo, il temperamento apportato  (al  principio  della
utilizzabilita' degli atti delle indagini preliminari nella decisione
dibattimentale in materia cautelare) alla stregua del criterio  della
"trasformazione processuale delle fonti investigative" (come in Cass.
I^ sent. n. 10923/2011) non soltanto fornisce la regola  di  chiusura
di  un  disegno  interpretativo  ab  origine  provvisto   di   dubbia
fondazione normativa, ma appare  di  per  se'  foriero  di  ulteriori
aporie e complicazioni: comportando la necessita' di definire - sulla
base, ancora una volta, di non si sa quali referenti  positivi  -  le
esatte condizioni alle quali gli elementi desumibili dalle  fonti  di
prova  risultanti  dagli  atti  delle  indagini  preliminari  debbano
intendersi  «soppiantati»  da  quelli  desumibili  dalla   escussione
dibattimentale delle stesse fonti. 
    In questa prospettiva occorrerebbe infatti ancora  stabilire,  ad
esempio, se ed a quali condizioni risultino utilizzabili nel giudizio
cautelare  del  giudice  dibattimentale  di  primo  grado  anche  gli
elementi desumibili dalle indagini preliminari la  cui  utilizzazione
ai fini del giudizio di cognizione sul merito  risulti  invece  ormai
compromessa o  preclusa  dalla  loro  omessa,  parziale  o  maldestra
assunzione in sede di istruzione dibattimentale  (si  pensi  al  caso
tutt'altro che accademico in cui elementi di prova decisivi risultino
tuttora soltanto dai verbali di informazioni testimoniali rese da una
persona informata sui fatti che le parti abbiano omesso  di  indicare
quale  testimone  nel  dibattimento  oppure  alla  quale,  nel  corso
dell'esame testimoniale gia' eseguito, abbiano omesso di rivolgere le
domande occorrenti alla emersione dei  relativi  dati  cognitivi  che
pertanto, nonostante l'avvenuta  assunzione  in  contraddittorio  del
corrispettivo mezzo di prova, attualmente risultino ancora e soltanto
dai verbali degli atti investigativi); ovvero occorrerebbe  stabilire
se ed a quali  condizioni  gli  elementi  desumibili  dalle  indagini
preliminari  risultino   utilizzabili   ai   fini   della   pronuncia
sull'incidente cautelare incardinato  in  costanza  del  giudizio  di
impugnazione di secondo o magari addirittura di terzo grado avente ad
oggetto la contestazione del merito o del  rito  della  utilizzazione
e/o della assunzione proprio dei corrispondenti elementi di prova  da
parte del giudice dibattimentale che abbia  emesso  il  provvedimento
impugnato. 
VI.  -  Le  piu'  gravi  perplessita'   riferibili   all'orientamento
ermeneutico in parola, per quel che maggiormente interessa in  questa
sede, attengono  tuttavia  alla  dubbia  legittimita'  costituzionale
della relativa interpretazione della legge. 
    Al riguardo va anzitutto  osservato  che,  come  e'  noto,  negli
ultimi venticinque anni decine di pronunce della Corte costituzionale
hanno stabilito che tra i parametri di costituzionalita' delle  leggi
processuali penali deve includersi, quale espressione  del  principio
del  cosiddetto  giusto  processo  e  segnatamente  di  quello  della
imparzialita' del giudice, "l'esigenza di evitare che la  valutazione
di merito del giudice  possa  essere  (o  possa  ritenersi  che  sia)
condizionata  dallo  svolgimento  di  determinate   attivita'   nelle
precedenti fasi  del  procedimento  o  della  previa  conoscenza  dei
relativi  atti  processuali"  nei  casi  in  cui  tale  attivita'   e
conoscenza abbiano dato luogo ad "una valutazione non formale, ma  di
contenuto, dei risultati delle  indagini  preliminari"  (sentenza  n.
496/1990); ossia nei casi in cui "il magistrato chiamato a  giudicare
ha gia' compiuto, sulla base della  piena  conoscenza  dei  risultati
delle   indagini   preliminari,   una    valutazione    sul    merito
dell'imputazione  formulata  dal   pubblico   ministero",   come   in
particolare avviene quando "il giudice abbia gia'  risolto  in  senso
positivo le questioni logicamente precedenti a quella  relativa  alla
misura della pena" (sentenza n. 186/1992). 
    Al riguardo e' stato quindi ripetutamente sancito che, qualora il
giudice abbia compiuto "una valutazione di merito  circa  l'idoneita'
delle risultanze delle indagini preliminari a fondare un giudizio  di
responsabilita'   dell'imputato",   allora    "devono    riconoscersi
sussistenti i medesimi effetti che l'art.  34  mira  ad  impedire,  e
cioe'   che   la   valutazione   conclusiva   sulla   responsabilita'
dell'imputato sia, o possa apparire,  condizionata  dalla  cosiddetta
forza della prevenzione,  e  cioe'  da  quella  naturale  tendenza  a
mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento  gia'  assunto
in altri momenti decisionali dello stesso procedimento" (sentenza  n.
432/1995); pertanto, in siffatte situazioni deve affermarsi lo  stato
di  incompatibilita'  del  giudicante  alla  susseguente  trattazione
poiche' "necessario evitare il rischio che la valutazione del giudice
sia,  o  possa  apparire,  condizionata  dalla  sua   propensione   a
confermare una propria precedente decisione,  basata  sugli  elementi
probatori raccolti nelle indagini preliminari,  con  la  possibilita'
quindi di incidere sulla garanzia di  un  giudizio  che  deve  essere
basato  sugli  elementi  di  valutazione  e  di  prova   assunti   in
contraddittorio nel dibattimento" (sentenza n. 448/1995). 
    Nella   stessa   prospettiva,   ribadendo   inaccettabile    "che
condizionamenti,  o  apparenze  di  condizionamenti,   derivanti   da
precedenti valutazioni cui il giudice sia stato chiamato  nell'ambito
del  medesimo  procedimento,  possano  pregiudicare  o  far  apparire
pregiudicata l'attivita' di giudizio",  la  Corte  costituzionale  ha
precisato  che  la  configurabilita'  del  pregiudizio  rilevante  in
termini di incompatibilita' al  giudizio  di  cognizione  sul  merito
presuppone la quadruplice condizione che l'attivita'  giurisdizionale
antecedente: 
      (1) abbia avuto ad oggetto la medesima res iudicanda; 
      (2) sia consistita  in  una  valutazione  delle  risultanze  di
pregressi atti del procedimento compiuta a  fini  decisori  (restando
dunque irrilevante la mera presa di conoscenza degli  atti  suddetti,
anche  quando   questi   ultimi   fossero   quelli   delle   indagini
preliminari); 
      (3) abbia avuto esito in una pronuncia  recante  determinazioni
riguardanti il merito del  procedimento  e  non  anche  il  rito  del
medesimo (restando  dunque  irrilevanti  le  determinazioni  assunte,
anche sulla base della valutazione delle risultanze di pregressi atti
del procedimento, soltanto in ordine allo svolgimento del processo); 
      (4) sia  intercorsa  in  una  diversa  fase  del  procedimento,
concretandosi in valutazioni contenutistiche e  decisioni  di  merito
estranee allo svolgimento della fase procedimentale  in  atto  intesa
quale ordinata sequenza di atti ciascuno dei quali legittima, prepara
e condiziona quello successivo. 
    Ricorrendo  le  menzionate  condizioni,  la  lesione  del  valore
costituzionale  della  imparzialita'  del  giudice   conseguentemente
configurabile    rende    inevitabile    la    affermazione     della
incompatibilita' al giudizio siccome  fondata  "sulla  necessita'  di
evitare la duplicazione di giudizi della medesima  natura  presso  lo
stesso giudice e quindi sulla  suddetta  esigenza  di  proteggere  il
giudizio del merito  della  causa  dal  rischio  di  un  pregiudizio,
effettivo o  anche  solo  potenziale,  derivante  da  valutazioni  di
sostanza sulla ipotesi accusatoria, espresse  in  occasione  di  atti
compiuti in precedenti  fasi  processuali".  E  cio'  in  particolare
avviene giustappunto nella materia che interessa in questa  sede,  in
quanto "le valutazioni compiute dal giudice in relazione all'adozione
di una misura  cautelare  personale  comportano  un  pregiudizio  sul
merito  dell'accusa:  tali  valutazioni  infatti,  secondo  le  norme
vigenti, detono indurre il giudice  a  ritenere  l'esistenza  di  una
ragionevole e consistente probabilita' di colpevolezza  e  quindi  di
condanna dell'imputato  e,  addirittura,  di  condanna  ad  una  pena
superiore a quella che  consente  la  concessione  della  sospensione
condizionale della pena" (Corte Cost., sentenza n. 131/1996). 
    Sulla base di queste premesse, questo remittente ritiene  che  la
interpretazione  dell'art.  291  c.p.p.  sostenuta  dalla  Corte   di
cassazione ed invocata dal pubblico ministero procedente  a  sostegno
della richiesta indicata in epigrafe -  secondo  cui  gli  "elementi"
presentati dal pubblico ministero ed utilizzabili dal giudice ai fini
della decisione cautelare da  assumere  nel  corso  del  dibattimento
sarebbero per definizione "tutti gli elementi raccolti  dal  pubblico
ministero nel  corso  delle  indagini  preliminari  o  dell'attivita'
integrativa d'indagine, anche se non ancora  acquisiti  al  fascicolo
del dibattimento" - debba ritenersi  incostituzionale  per  contrasto
con i principi del giusto processo e della imparzialita' del giudice,
oltre che con il principio di non  colpevolezza  dell'imputato  prima
della  sentenza  definitiva  e  con  il  principio  di   eguaglianza,
proporzionalita' e ragionevolezza dei trattamenti giuridici. 
VI.1. - Al riguardo si osserva che  la  fattispecie  della  decisione
cautelare assunta dal giudice del dibattimento sulla base degli  atti
delle indagini preliminari indubitabilmente contiene in  re  ipsa  le
prime tre condizioni alle quali, secondo la menzionata giurisprudenza
della  Corte  costituzionale,  si  ricollega  il   pregiudizio   alla
imparzialita' del giudice (medesimezza della  regiudicanda;  funzione
decisoria della pregressa disamina valutativa di  atti  di  indagine;
natura di merito della decisione in tal  modo  adottata).  Si  tratta
infatti di attivita' giurisdizionale che,  per  l'appunto,  in  primo
luogo si riferisce alla medesima imputazione che  forma  oggetto  del
giudizio dibattimentale di cognizione ancora da compiersi o in  corso
di compimento; che in secondo luogo implica la  profonda  conoscenza,
acquisita in funzione  di  pregnante  valutazione  sul  merito  dello
stesso oggetto sostanziale del processo, delle risultanze degli  atti
delle   indagini   preliminari,   come   tali    strutturalmente    e
funzionalmente estranei alla procedura dibattimentale  di  cognizione
in atto; e che in terzo luogo risulta formulata allo stato degli atti
suddetti in termini di anticipazione  del  giudizio  di  colpevolezza
dell'imputato  sia  sotto  il  profilo  della  prognosi  di  condanna
all'esito del  processo  di  cognizione,  sia  addirittura  sotto  il
profilo della entita'  del  trattamento  sanzionatorio  in  tal  caso
applicabile. 
    Qualche dubbio potrebbe invece porsi prima facie in  ordine  alla
ricorrenza della  quarta  condizione,  ossia  quella  concernente  la
estraneita' del pregresso giudizio di  merito  sul  medesimo  oggetto
rispetto alla fase procedimentale attualmente  in  atto;  e  tuttavia
tale dubbio pare dissolversi alla  stregua  delle  precisazioni  gia'
fornite proprio dalla stessa  Corte  costituzionale  in  ordine  alla
presupposta nozione di "fase del procedimento", da  intendersi  quale
"ordinata sequenza di atti ciascuno dei quali  legittima,  prepara  e
condiziona quello successivo"  (cfr.  in  particolare:  Corte  cost.,
ordinanza n. 232/1999) nell'ambito della quale ogni pregiudizio  alla
imparzialita' del giudice  resta  inconfigurabile,  indipendentemente
dalla natura di merito della pregressa attivita' decisionale, poiche'
l'ordinamento  processuale  non  potrebbe   tollerare   la   "assurda
frammentazione del procedimento mediante  l'attribuzione  di  ciascun
segmento  di   esso   ad   un   giudice   diverso"   che   altrimenti
inevitabilmente  ne  conseguirebbe  (sul  punto  cfr.:  Corte   cost.
sentenza n. 131/1996, ordinanza n. 232/1999,  ordinanza  n.  24/1996,
sentenza n. 448/1995)  (5) 
    Orbene, una volta stabiliti siffatti principi non si ravvede  con
quale coerenza sia possibile negare che  l'attivita'  giurisdizionale
cautelare del giudice del dibattimento,  qualora  resa  mediante  una
decisione  di  merito   adottata   sulla   base   della   valutazione
contenutistica  degli  atti  delle  indagini   preliminari,   apporti
pregiudizio  alla  imparzialita'  di  tale  giudice  nel  susseguente
giudizio di cognizione sul medesimo oggetto sostanziale. 
    Infatti, tale attivita' giurisdizionale  cautelare  non  soltanto
pacificamente racchiude i primi tre elementi  dai  quali  tipicamente
discende il pregiudizio rilevante ai fini della incompatibilita'  del
giudice (medesimezza della regiudicanda; funzione decisoria di merito
della disamina  degli  atti  di  indagine;  natura  di  merito  della
decisione cosi' adottata), ma risulta anche indubitabilmente estranea
alla fase processuale di cognizione in corso, intesa nella  accezione
sopra precisata di "ordinata sequenza di  atti,  ciascuno  dei  quali
legittima, prepara  e  condiziona  quello  successivo";  laddove  per
definizione la pregressa decisione cautelare appartiene (non  solo  e
non tanto ad altra e diversa fase, quanto  addirittura)  ad  altra  e
diversa entita' procedimentale, a sua volta costituente modalita'  di
esplicazione  di  altra  e   diversa   forma   di   esercizio   della
giurisdizione  penale.  In  altri  termini,  la  decisione  cautelare
costituisce espressione di  una  sequenza  procedurale  ulteriore  ed
accessoria  che  soltanto  accidentalmente  si  sovrappone  a  quella
principale in corso di esplicazione; cosicche' l'incidente  cautelare
- ben lungi dal dare luogo ad alcuna evenienza endoprocedimentale che
si inserisca nella scansione del processo di cognizione  quale  parte
integrante di  questo,  "legittimando,  preparando  o  condizionando"
alcuno degli atti di tale processo e della susseguente  deliberazione
sul merito della imputazione -  integra  una  vicenda  procedimentale
collaterale  rispetto  alla  quale  l'attivita'  giurisdizionale   di
cognizione resta del  tutto  differenziata  ed  autonoma,  come  alla
stregua della tricotomia dogmatica della teoria generale del processo
(che distingue la giurisdizione di cognizione, quella di esecuzione e
quella di cautela) sarebbe ovvio gia' per la  considerazione  che  si
tratta di due distinte strutture procedurali giudiziarie  strumentali
alla esplicazione di altrettante diverse forme di giurisdizione. 
    Percio' in definitiva, una volta richiamata la accezione di "fase
del procedimento" precisata dalla stessa Corte costituzionale siccome
rilevante al fine che interessa, non si ravvede come possa negarsi la
incoerenza della interpretazione della legge avversata in questa sede
rispetto ai precetti dell'art. 111,  comma  2  Cost.  considerato  in
rapporto ai parametri  della  dogmatica  costituzionale  in  tema  di
imparzialita' del giudice. 
VI.2. - Inoltre, l'avversata  interpretazione  dell'art.  291  c.p.p.
appare in contrasto con il principio di presunzione di non [ovvero di
non considerazione di] colpevolezza stabilito dall'art. 27,  comma  2
Cost., nella  misura  in  cui  da  questo  si  inferisca  il  diritto
dell'imputato  alla  immunita'  da  pregiudiziali  convincimenti   di
colpevolezza incidenti nel procedimento di cognizione celebrato a suo
carico. 
    Infatti, l'osservanza di tale principio  parrebbe  revocabile  in
dubbio laddove  si  ammetta  che,  proprio  nel  corso  dello  stesso
procedimento di cognizione, il giudizio di colpevolezza possa o debba
essere anticipato dal giudice  dibattimentale  procedente  non  sulla
base degli elementi cognitivi risultanti dagli  atti  da  lui  stesso
assunti alla stregua della disciplina istruttoria della procedura  in
atto - ossia in costanza e nei limiti  del  fisiologico  percorso  di
formazione del convincimento di tale giudice  in  ordine  all'oggetto
sostanziale  del  processo,  maturato  nella   sequenza   processuale
celebrata nel contraddittorio delle parti  -  bensi'  sulla  base  di
elementi  risultanti  da  atti  pregressi  ed  altrui,  geneticamente
estranei alla sua attivita' poiche' assunti in  una  precedente  fase
del  procedimento  e  compiuti  da  organi  inquirenti  (il  pubblico
ministero e la  polizia  giudiziaria)  operanti  sotto  il  controllo
meramente eventuale e/o episodico di altra autorita' giudiziaria  (il
giudice per le indagini preliminari)  a  sua  volta  procedente  alla
stregua  di  tutt'altri  criteri  di  formazione  e  valutazione  dei
materiali cognitivi strumentali all'accertamento dei fatti penalmente
rilevanti. 
VI.3. - Ancora, alla avversata interpretazione dell'art.  291  c.p.p.
pare riconducibile una  lesione  del  principio  del  contraddittorio
processuale di cui  all'art.  111,  comma  2  Cost.,  evidente  nella
compromissione della funzione euristica del contraddittorio suddetto. 
    Infatti,   in   considerazione   delle   peculiarita'   e   della
complessita'   della   scansione   processuale   dibattimentale,   il
pregiudizio  ivi  arrecato  alla  imparzialita'  del  giudice  ed  al
fisiologico sviluppo del percorso  formativo  del  suo  convincimento
sulla  colpevolezza  dell'imputato  (sia  in  termini  di   possibile
condizionamento effettivo sia in termini di  possibile  apparenza  di
tale condizionamento,  inteso  quale  rischio  che  la  deliberazione
definitoria  del  giudizio  di   cognizione   risulti   asservita   o
condizionata agli esiti decisionali del pregresso giudizio  cautelare
fondato sulla valutazione  di  atti  geneticamente  e  funzionalmente
estranei al giudizio di cognizione) appare addirittura il piu'  grave
ed insidioso tra tutti  quelli  possibili,  poiche'  suscettibile  di
riverberarsi, con effetti perturbatori dell'ordinario  o  fisiologico
svolgimento di ogni attivita' decisoria,  non  soltanto  in  sede  di
deliberazione sul merito dell'accusa ma, ancor prima, sulla attivita'
ordinatoria del processo e preparatoria di tale deliberazione. 
    Sotto  questo   profilo,   pare   innegabile   che   il   giudice
dibattimentale il quale  abbia  adottato  una  decisione  incidentale
cautelare sulla base degli atti delle indagini preliminari, assumendo
di questi ultimi la perfetta ed analitica conoscenza strumentale alle
valutazioni anticipatorie  del  giudizio  di  colpevolezza  contenute
nella  decisione  cautelare,  versi  indubitabilmente,  rispetto   al
giudice dibattimentale  immune  da  tali  conoscenze  e  valutazioni,
addirittura  in  uno  stato  psicologico  naturalisticamente  diverso
poiche' radicalmente trasformato dalla interferenza del  bagaglio  di
informazioni risultanti dal fascicolo del pubblico ministero all'uopo
esaminato. Ed un tale giudice dibattimentale, oramai dominus assoluto
del processo in forza della prerogativa di rapportare l'esercizio dei
suoi poteri di governo del medesimo alla cognizione delle  risultanze
investigative in tal modo acquisita, non si vede come possa evitare -
per quanto consapevolmente vi si sforzi - di tenere  conto  in  varia
misura  di  tali  informazioni  nell'esercizio  della  sua  attivita'
ordinatoria del processo e preparatoria della decisione  sul  merito;
laddove, d'altro  lato,  la  medesima  conoscenza  degli  atti  delle
indagini preliminari gli consentirebbe in ogni caso  di  orientare  e
conformare lo svolgimento del dibattimento - sia in sede di esercizio
dei suoi poteri istruttori  officiosi,  sia  in  sede  anticipazione,
condizionamento o reiezione delle iniziative o istanze istruttorie di
parte - alle esigenze delle  attivita'  processuali  occorrenti  alla
convalida della precognizione e/o  precomprensione,  acquisite  sulla
base  della  valutazione  delle   risultanze   investigative,   della
verosimile efficacia dimostrativa delle corrispettive fonti di  prova
in rapporto all'oggetto del giudizio. 
    Di fatto,  un  giudice  investito  di  cotale  assoluta  signoria
cognitiva del materiale probatorio utile e rilevante  ai  fini  della
celebrazione del dibattimento,  siccome  messo  nella  condizione  di
prevedere  in  anticipo  con  la  migliore  approssimazione   l'esito
dell'esperimento di ogni  singolo  mezzo  di  prova  richiesto  dalle
parti, potrebbe ancora svolgere il proprio ruolo di accertamento  dei
fatti correttamente (ed talora anzi forse ancora piu'  efficacemente,
visto che risulta in grado di scansare le perdite di tempo riferibili
sia alle eventuali iniziative  istruttorie  incongrue  o  inutilmente
prolisse della parte pubblica, sia alle eventuali istanze istruttorie
meramente dilatorie o defatigatorie della  parte  privata);  ma  pare
altrettanto indubitabile che una siffatta situazione, comportando una
alterazione tendenzialmente radicale ed irreversibile degli equilibri
del contraddittorio dibattimentale predefiniti dal codice ed recepiti
dall'art. 111, comma 2 Cost., non possa ritenersi compatibile con  il
vigente assetto normativo legislativo e costituzionale  del  processo
ordinario di cognizione. 
VI.4. - La incostituzionalita' della  interpretazione  dell'art.  291
c.p.p. avversata in questa sede, nella misura in cui pretende che  al
giudice  della  cognizione  investito  dell'incidente  cautelare  sia
sostanzialmente conferito l'esercizio  oggettivo  delle  funzioni  di
giudice per le indagini  preliminari  (autorita'  giudicante  la  cui
caratterizzazione peculiare risiede nella titolarita'  di  competenze
decisionali  ad  acta  disimpegnate   in   occasione   di   decisioni
incidentali assunte alla stregua dei  dati  investigativi  risultanti
dagli atti di indagine, mediante la conoscenza e la  valutazione  dei
quali tale  giudice  matura  le  incompatibilita'  alla  funzione  di
giudizio cosi' come dichiarate da innumerevoli pronunce  della  Corte
Costituzionale)  appare  inoltre  rilevabile  sotto  il  profilo  del
contrasto  con  il  principio  di  eguaglianza,  proporzionalita'   e
ragionevolezza dei trattamenti giuridici stabilito dall'art. 3  della
Costituzione; infatti, tale interpretazione comporta una evidente  ed
ingiustificabile sperequazione rispetto alla ben  diversa  disciplina
di fattispecie analoghe che  risulta  applicabile  sia  alla  stregua
della legge sia alla stregua  delle  numerose  pronunce  della  Corte
costituzionale intervenute a regolare la materia del giusto  processo
e della incompatibilita' del giudice. 
    Tale sperequazione risulta evidente anzitutto alla stregua  della
disciplina  della  disciplina  delle  incompatibilita'  prevista  dal
codice di procedura penale, la quale - particolarmente per  cio'  che
concerne la  incompatibilita'  al  giudizio  derivante  da  pregresso
esercizio delle funzioni di giudice per le  indagini  preliminari  ai
sensi dell'art. 34, comma 2-bis c.p.p. - e' ispirata ad un formalismo
accentuato che, sia pure al costo di un pesantissimo  condizionamento
dell'organizzazione degli uffici giudiziari, stabilisce la ricorrenza
di tale  incompatibilita'  anche  in  ipotesi  in  cui  il  paventato
pregiudizio rappresenta di fatto una  eventualita'  lontanissima,  in
quanto l'atto adottato possiede pur sempre contenuti e  finalita'  di
stampo meramente ordinatorio del procedimento (come  nel  caso  della
proroga delle indagini preliminari) o comunque ancora sostanzialmente
neutrali in  confronto  della  anticipazione  di  alcun  giudizio  di
colpevolezza (come nel caso della proroga delle intercettazioni),  di
regola  esaurendo  la  propria  rilevanza  nella  affermazione  della
necessita' (della prosecuzione degli accertamenti investigativi utili
ai fini) della applicazione della legge. 
    Analoga considerazione si deve poi  compiere  in  relazione  alle
ipotesi di incompatibilita'  ritenute  ed  affermate  dalle  pronunce
della Corte costituzionale in  relazione  a  fattispecie  in  cui  il
pregiudizio in parola, apportato dalla  pregressa  valutazione  degli
atti delle indagini preliminari in funzione decisoria sul  merito  ed
implicante l'incompatibilita' alla giurisdizione  di  cognizione,  ad
avviso di questo remittente appare analogo o addirittura ancora  meno
significativo di quello riferibile alla fattispecie in trattazione. 
    Sotto questo profilo, limitando  i  richiami  esemplificativi  ai
casi  piu'  eclatanti,  pare  sufficiente   osservare   che   risulta
inspiegabile come il giudice dibattimentale  che,  sulla  base  della
valutazione degli atti delle indagini preliminari, abbia  pronunciato
in  materia  cautelare  (con  cio'   anticipando   un   giudizio   di
colpevolezza  a  cognizione  strutturalmente  sommaria  di  per   se'
estraneo alla fase processuale  in  atto,  nonche'  fondato  su  dati
cognitivi  geneticamente  e  funzionalmente  avulsi  dalla  procedura
dibattimentale  in   trattazione)   possa   affermarsi   immune   dal
pregiudizio e dalla incompatibilita' da cui invece lo stesso  giudice
e'  certamente  colpito  (come  statuito  da  Corte  cost.  sent.  n.
399/1992)  allorquando,  pur  sempre  operando  nell'esercizio  della
stessa funzione (nonche' addirittura nel contesto della medesima fase
processuale, di cui infatti la  trattazione  delle  istanze  di  riti
speciali svolta nello stadio introduttivo del dibattimento  e'  parte
integrante), abbia soltanto respinto una richiesta di  patteggiamento
in  considerazione  della  ritenuta  inconfigurabilita'  dell'ipotesi
attenuata del reato contestato; ne' si  comprende  in  che  cosa,  in
termini di maturazione del descritto pregiudizio,  la  condizione  di
tale giudice possa distinguersi da quella che  invece  attinge  (come
statuito da Corte cost. sent. n. 439/1993) il giudice per le indagini
preliminari  ed  il  giudice  per  l'udienza  preliminare   i   quali
(anch'essi, peraltro, pur sempre operando  addirittura  nel  contesto
della medesima fase processuale) maturano  la  incompatibilita'  alla
celebrazione del susseguente giudizio abbreviato per  avere  respinto
una richiesta di patteggiamento; ne' risulta comprensibile, una volta
affermata la incompatibilita' del giudice che abbia esperito funzioni
giurisdizionali  cautelari  personali  di  secondo  grado   assumendo
valutazioni e decisioni di carattere non  esclusivamente  formale  in
ordine al provvedimento cautelare impugnato (come statuito  da  Corte
cost. sent. n. 131/1996),  come  possa  coerentemente  predicarsi  la
immunita' da ogni analogo  ma  ancor  piu'  cospicuo  pregiudizio  in
confronto del giudice che invece, sulla base  degli  stessi  atti  di
indagine,   abbia   esperito   addirittura   le    stesse    funzioni
giurisdizionali  cautelari  di  primo  grado  e  che,  pertanto,   il
provvedimento cautelare in questione abbia egli  stesso  direttamente
adottato. 
VII. - Peraltro, l'interpretazione dell'art.  291  c.p.p.  propugnata
dalla Corte suprema di cassazione e della  cui  costituzionalita'  in
questa sede si  -  dubita  appare  tutt'altro  che  necessitata  alla
stregua dei presupposti referenti normativi, ossia quelli  risultanti
dall'enunciato legislativo secondo cui "le misure  sono  disposte  su
richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice  competente
gli  elementi  su  cui   la   richiesta   si   fonda";   infatti   le
caratteristiche di tali  referenti  positivi,  ad  avviso  di  questo
remittente,   consentono   una   interpretazione   costituzionalmente
orientata di tale disposizione di legge. 
    Al riguardo si osserva che le espressioni linguistiche "presenta"
ed "elementi", utilizzate nella suddetta disposizione  di  legge  per
indicare il materiale cognitivo adducibile dal pubblico ministero  ed
utilizzabile dal giudice ai  fini  della  decisione  cautelare,  sono
caratterizzate  da  un  sommo  grado  di  vaghezza  (imprecisione  di
significato)  e  genericita'  (attitudine  del  segno  linguistico  a
riferirsi  disgiuntamente  ed  indifferentemente  a  ciascuno   degli
oggetti di una data classe di significati),  pienamente  suscettibili
di  specificazione  ragionevolmente  e  logicamente  differenziata  a
seconda  del  contesto  procedimentale  di  riferimento.  Percio'  le
suddette espressioni, per la loro natura  largamente  polisensa,  non
valgono affatto a giustificare l'assioma  che  identifica  proprio  e
necessariamente  nelle  risultanze  delle  indagini  preliminari   il
materiale adducibile  dal  pubblico  ministero  ed  utilizzabile  dal
giudice  ai  fini  della  decisione   cautelare;   bensi'   risultano
egualmente ed indifferentemente riferibili  ad  ogni  dato  cognitivo
rilevante ai fini della decisione giurisdizionale,  indipendentemente
dalla natura e dallo stato di trattazione della procedura giudiziaria
di riferimento e dalla  natura  e  dal  regime  di  assunzione  delle
informazioni probatorie ivi utilizzabili (6) 
    Tale osservazione induce intuitivamente a  concludere  che,  onde
scansare ognuno dei profili  di  incostituzionalita'  gia'  enumerati
tutelando la coerenza  assiologica  costituzionale  del  sistema,  il
regime di adduzione ed assunzione dei dati  cognitivi  e  degli  atti
procedimentali  utilizzabili  ai  fini  della  decisione   cautelare,
lasciato letteralmente imprecisato dall'art. 291  c.p.p.,  non  possa
che definirsi in confronto e per mezzo del combinato  riferimento  al
"giudice  che  procede"  contenuto  nell'art.   279   c.p.p.,   ossia
intendendosi   quest'ultima   locuzione   utilizzata   in    funzione
definitoria non soltanto della competenza funzionale del giudice,  ma
anche delle modalita' procedurali dell'esercizio di tale  competenza;
nel senso che tale locuzione, salvo specifiche disposizioni di legge,
deve intendersi inclusiva della indicazione  della  disciplina  degli
elementi di prova utilizzabili  per  la  decisione,  da  individuarsi
giustappunto in quelli  propri  della  procedura  giurisdizionale  di
cognizione in corso innanzi allo stesso giudice che procede. 
    Percio'  in  definitiva,  ad   avviso   di   questo   remittente,
l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art.  291  c.p.p.
deve radicarsi sul riconoscimento che gli "elementi" che il  pubblico
ministero "presenta" a fondamento della richiesta  cautelare  rivolta
al  "giudice  che  procede"  sono  soltanto  quelli  fisiologicamente
utilizzabili ai fini  della  formazione  del  convincimento  di  tale
giudice secondo le disposizioni di legge regolative del  giudizio  di
cognizione che forma  oggetto  del  procedimento  o  della  fase  del
procedimento  attualmente  in  corso  di  svolgimento;  e   che,   di
conseguenza, gli atti  e  gli  elementi  di  prova  utilizzabili  dal
giudice  del  dibattimento  in  funzione  decisoria  sulla  richiesta
suddetta sono solo quelli legittimamente  gia'  acquisiti  nel  corso
della istruzione dibattimentale da lui condotta. 
VIII. - In ordine alla rilevanza della questione di costituzionalita'
sollevata con la presente  ordinanza,  si  evidenzia  la  decisivita'
della medesima ai fini  della  pronuncia  sulla  richiesta  cautelare
detentiva domiciliare formulata dal pubblico ministero  nel  presente
procedimento  penale  come  in  epigrafe;  ed  infatti,  qualora   le
risultanze  investigative  contenute  nel  fascicolo  delle  indagini
preliminari  trasmesso  dal  pubblico  ministero  a  sostegno   della
richiesta  rivolta  al  giudice  dibattimentale   debbano   ritenersi
inutilizzabili, tale richiesta  dovrebbe  essere  respinta  a  vista,
poiche' allo stato sprovvista di qualsivoglia fondamento. 
    In  punto  di  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
costituzionalita'  occorre  invece  sottolineare  che  questo  stesso
remittente ritiene che, sul piano concettuologico, la solidita' della
relativa  quaestio  legitimitatis  risulti  compromessa  dalla  ampia
possibilita' di interpretazione costituzionalmente orientata offerta,
nei termini poc'anzi illustrati, dal dato linguistico legislativo  di
riferimento. Nondimeno, la non manifesta infondatezza della questione
di costituzionalita' sollevata in questa sede si evince dallo  stesso
insegnamento della Corte costituzionale secondo cui  allorquando  "il
dubbio di compatibilita' con i principi costituzionali  cada  su  una
norma  ricavata  per  interpretazione  da  un  testo  di   legge   e'
indispensabile  che  il  giudice  a  quo  prospetti  a  questa  Corte
l'impossibilita' di una lettura adeguata ai  detti  principi,  oppure
che lamenti l'esistenza di una costante  lettura  della  disposizione
denunziata in senso contrario  alla  Costituzione  (cosidetta  'norma
vivente')" (Corte cost. sentenza n. 456/1989) (7) 
    Ebbene, questo pare giustappunto il  caso  della  interpretazione
dell'art. 291 c.p.p. avversata in questa sede, visto che essa risulta
inequivocabilmente e ripetutamente accreditata nel contesto di  tutte
le pronunce della Corte suprema di cassazione note  per  avere  preso
posizione al riguardo. Pertanto, alla stregua del cosiddetto  diritto
vivente, la interpretazione costituzionalmente  orientata  ipotizzata
da questo stesso remittente deve ritenersi inapplicabile e  priva  di
fondamento;  dimodoche',  qualora  questo  giudice  si  limitasse   a
definire la questione in sede di pronuncia resa nel  giudizio  a  quo
sulla  presupposta  richiesta  formulata  dal  pubblico  ministero  -
formalizzando, in contrasto con la funzione nomofilattica  attribuita
dall'art. 65 ord. giud.  alla  Corte  di  cassazione,  l'orientamento
ermeneutico costituente espressione della sua propria indipendenza ed
autonomia interpretativa - assumerebbe con cio'  una  decisione  che,
siccome suscettibile di immediata impugnazione con conseguente  somma
probabilita'  di  riforma  nei  susseguenti  gradi  di  giurisdizione
cautelare, risulterebbe  fallimentare  in  relazione  al  prioritario
scopo   di   scongiurare   la   perpetuazione   della    applicazione
incostituzionale della  legge  costituente  espressione  della  norma
interpretativa di diritto  vivente  della  cui  costituzionalita'  si
dubita. 

(1) Nel contesto della motivazione, affrontandosi il "problema se  il
    giudice  del   dibattimento,   investito   della   richiesta   di
    applicazione  di  una  misura  cautelare,   possa   conoscere   e
    utilizzare  elementi  indiziari  contenuti  nel   fascicolo   del
    pubblico  ministero",  tale  principio  di  diritto  e'  spiegato
    assumendosi che "Non vi e' dubbio  che  il  sistema  del  'doppio
    fascicolo' costituisce un riflesso  immediato  del  principio  di
    separazione  delle  fasi,  tipico  del  processo  accusatorio,  e
    contribuisce a definire i rispettivi  regimi  di  utilizzabilita'
    degli atti. Tuttavia esso non ha  e  non  potrebbe  avere  valore
    assoluto.  La  sua  stessa  matrice   ne   delimita   l'area   di
    applicazione, considerato che esso e' connaturato  e  funzionale,
    come detto, alla sequenza procedimentale di tipo accusatorio,  ma
    non trova spazio nei riti speciali, nei quali si realizza la c.d.
    alternativa  inquisitoria,  ne'  -  secondo  alcuni  autori   (in
    giurisprudenza  vedasi,  in  senso  conforme,   Cass.   Sez.   1^
    14.3.1990,   Bartolomeo)   -   nell'ambito    dei    procedimenti
    incidentali. Cio' premesso, il collegio ritiene che il  principio
    di separazione funzionale  delle  fasi  non  sia  applicabile  in
    materia   cautelare,   ancorche'   collegata    alla    scansione
    dibattimentale, e che, pertanto, al predetto quesito debba  darsi
    risposta affermativa. In tal senso depone,  dal  punto  di  vista
    strettamente formale, l'art. 291 c.p.p. il quale prevede  che  la
    misura e' disposta sulla base  degli  elementi  'presentati'  dal
    P.M. 'al giudice competente' senza alcuna  distinzione  tra  fasi
    del  procedimento.  E,  se  e'  indubitabile  che   -   in   sede
    dibattimentale - il P.M. puo' riferirsi, anche tacitamente,  alle
    fonti di prova gia' formatevisi (cfr. Cass. Sez.  1^,  5.11.1994,
    Pesce ed altro), cio' non esclude che  possa  altresi'  avvalersi
    degli elementi  indiziari  acquisiti  nel  corso  delle  indagini
    preliminari  o  dell'attivita'  integrativa  compiuta  ai   sensi
    dell'art. 430 c.p.p. Anzi, il porsi concretamente in tale  ottica
    suggerisce  un'ulteriore  considerazione  che,  ad   avviso   del
    collegio, suffraga  definitivamente  l'interpretazione  prescelta
    anche sul piano sistematico. Se al P.M. non fosse  consentito  di
    presentare (e al giudice  del  dibattimento  di  utilizzare)  gli
    elementi a carico scaturiti dalle indagini preliminari, la stessa
    applicazione della misura  sarebbe  di  fatto  impossibile  prima
    dell'inizio dell'istruzione  dibattimentale  (o  comunque  in  un
    momento in cui  la  prova  non  sia  stata  ancora  compiutamente
    acquisita), naturalmente fuori dell'ipotesi  (meramente  teorica)
    che i soli atti includibili - ove esistenti - nel  fascicolo  del
    dibattimento confezionato ai sensi dell'art. 431 c.p.p. siano  da
    soli sufficienti ad integrare un quadro indiziano grave". 

(2) Nella relativa motivazione,  la  Suprema  corte  ripete  che  "il
    sistema del 'doppio fascicolo' costituisce un riflesso  immediato
    del principio di separazione  delle  fasi,  tipico  del  processo
    accusatorio, e contribuisce a definire  i  rispettivi  regimi  di
    utilizzabilita' degli atti. Tuttavia esso non ha e  non  potrebbe
    avere valore assoluto. La sua stessa matrice ne  delimita  l'area
    di applicazione, considerato che esso e' connaturato e funzionale
    alla sequenza procedimentale  di  tipo  accusatorio:  ed  invero,
    essendo  finalizzato  alla  corretta  applicazione  dello  schema
    proprio del dibattimento accusatorio, si riferisce esclusivamente
    agli atti destinati ad avere  efficacia  probatoria  diretta  nel
    dibattimento, in base al principio secondo cui la prova si  forma
    in dibattimento. Per contro ritiene il  Collegio  che  la  regola
    della separazione funzionale delle fasi  non  trovi  applicazione
    nell'ambito dei procedimenti incidentali  in  materia  cautelare,
    ancorche' collegata alla scansione dibattimentale, e che pertanto
    in tale sede ben  sia  consentito  al  giudice  del  dibattimento
    utilizzare atti  di  indagine  compiuti  dal  Pubblico  Ministero
    successivamente  alle  emissione  del  decreto  che  dispone   il
    giudizio e non inseriti nel fascicolo del dibattimento. [...] Ne'
    appare conducente il rilievo che il sistema processuale delineato
    nel codice di rito e' improntato, nella fase  dibattimentale,  ai
    principi della parita' assoluta delle parti dinanzi al giudice  e
    della formazione della prova penale nel  contraddittorio,  atteso
    che la richiesta di applicazione di  misura  cautelare  determina
    l'istaurarsi di un  sub-procedimento  di  carattere  incidentale,
    solo  accidentalmente  inserito  nella  scansione  temporale  del
    dibattimento,  ed  e'  pertanto  alle  norme  proprie   di   tale
    sub-procedimento incidentale che occorre far riferimento al  fine
    della   valutazione   della   ritualita'   della   richiesta   di
    applicazione  della  misura  cautelare,  dovendo  per  contro  la
    disposizione di cui all'art.  430  c.p.p.  ritenersi  applicabile
    solo agli atti destinati ad avere  efficacia  probatoria  diretta
    nel dibattimento: ed invero la  ratio  della  norma  suddetta  va
    ravvisata nell'esigenza di garantire la  assoluta  parita'  delle
    parti in relazione alla formazione della prova in dibattimento  e
    non in relazione alla applicazione di una  misura  cautelare  per
    cui troveranno per contro applicazione le  norme  previste  nella
    sede loro propria". 

(3) Pertanto, non avendo senso discutere (sia per ammetterla, sia per
    escluderla) della interferenza  di  queste  ultime  regole  nella
    disciplina   istruttoria   dei    procedimenti    giurisdizionali
    cautelari, quest'ultima disciplina deve essere ricavata dal  dato
    normativo positivo, come d'altronde affermato nelle stesse citate
    sentenze della Suprema corte; le quali tuttavia, nel  momento  in
    cui  concretizzano  l'applicazione  di  tale  assunto,  riportano
    enunciati che apparentemente invertono  i  termini  argomentativi
    della questione nella misura in cui ne esauriscono la trattazione
    con il tentativo  di  confutare  l'esistenza  di  ogni  possibile
    ostacolo normativo  alla  applicazione  di  un  assioma  (appunto
    quello secondo cui gli elementi cognitivi  utilizzabili  ai  fini
    della  decisione  cautelare  sarebbero  quelli   delle   indagini
    preliminari, indipendentemente dal regime istruttorio applicabile
    decisoria di cognizione del giudice  precedente)  trascurando  la
    prioritaria esigenza ermeneutica che, difatti, consiste anzitutto
    proprio nel reperire ab origine un qualche  fondamento  normativo
    positivo che consenta di affermare la regola cosi' propugnata. 

(4) In altri termini, l'ipotesi che l'esigenza pratica  (cautelare  o
    di qualsiasi altra natura) insorga  oppure  si  manifesti  oppure
    persista in uno stadio processuale in  cui  ne  sia  limitata  od
    impossibile la  soddisfazione,  in  quanto  l'applicazione  della
    misura (cautelare o  di  qualsiasi  altra  natura)  eventualmente
    occorrente sia non ancora  o  non  piu'  consentita,  costituisce
    conseguenza naturale del fatto stesso che i rimedi giuridici sono
    applicabili alle condizioni e con le limitazioni  previste  dalla
    legge; cosicche', sul piano della valutazione della coerenza  del
    sistema normativo, l'inconveniente che  allora  si  verifica  non
    risulta tecnicamente dissimile da quelli riferibili  al  caso  in
    cui una esigenza cautelare persista oltre il  termine  di  durata
    massima della misura previsto dal codice, oppure al caso  in  cui
    la prova della colpevolezza dell'imputato pervenga  all'autorita'
    giudiziaria nel giorno  successivo  a  quello  del  passaggio  in
    giudicato  della  decisione  assolutoria.  D'altronde,  l'ipotesi
    della configurabilita'  di  esigenze  cautelari  attualmente  non
    ancora o non piu' tutelabili  siccome  .  insorte  o  persistenti
    proprio in uno stadio processuale in cui  il  giudice  competente
    non disponga degli atti occorrenti a prenderne cognizione  (quale
    potrebbe essere appunto quello intercorrente tra la  trasmissione
    degli  atti  al  giudice  del  dibattimento  ed  il   susseguente
    espletamento  della  istruzione  dibattimentale)  nella   pratica
    giudiziaria  rappresenta  una  eventualita'  rarissima   il   cui
    accadimento,  peraltro,  verosimilmente   presuppone   situazioni
    disfunzionali o di inerzia (nella tempestiva ricerca  e  raccolta
    degli elementi occorrenti, e/o nella presentazione della relativa
    richiesta, e/o nella corretta valutazione di  questa)  riferibili
    agli  organi  giudiziari  operanti  nella  fase  delle   indagini
    preliminari; la quale, nel  disegno  legislativo,  appare  quella
    tipicamente  e   precipuamente   deputata   alle   attivita'   di
    definizione e di tutela delle esigenze  in  questione.  Pertanto,
    allorquando esigenze siffatte si  manifestino  soltanto  dopo  la
    conclusione di tale fase, altrettanto verosimilmente ricorre  una
    patologia che  attiene  non  al  sistema  normativo  o  alla  sua
    interpretazione, bensi' alla attivita' dei soggetti preposti alla
    sua applicazione; senza  che,  di  conseguenza,  il  rilievo  dei
    margini di  concreta  accadibilita'  di  siffatte  accidentalita'
    possa  assurgere  alla  dignita'  di  plausibile   argomento   di
    interpretazione della legge. 

(5) Peraltro,   proprio   quest'ultima   precisazione   consente   di
    comprendere agevolmente come giammai  il  pregiudizio  in  parola
    possa predicarsi, in relazione alle  pregresse  pronunce  da  lui
    stesso  adottate  in  materia  di   convalida   dell'arresto   ed
    applicazione di misure  cautelari  personali,  in  confronto  del
    giudice  della  cognizione  dibattimentale  attivata   con   rito
    direttissimo; infatti, proprio alla stregua della  scansione  del
    procedimento cosi' come positivamente definita dalla legge,  tali
    pronunce costituiscono parte integrante della fase processuale in
    atto   siccome   indefettibilmente   legittimano,   preparano   e
    condizionano la stessa investitura del giudice  nella  cognizione
    sul merito della  imputazione  (cfr.  Corte  cost.  ordinanza  n.
    316/1996). 

(6) Infatti il termine "presenta", a seconda delle circostanze e  dei
    contesti di applicazione, puo' essere alternativamente inteso sia
    nella accezione  di  "produrre,  allegare,  introdurre,  esibire,
    trasmettere, comunicare" (ossia nel senso di  apportare  elementi
    informativi  e  dati  cognitivi  precedentemente  estranei   alla
    cognizione del  giudice,  come  appunto  avviene  allorquando  il
    pubblico ministero trasmette gli atti delle indagini  preliminari
    allegati  alla  richiesta  cautelare)  sia  nella  accezione   di
    "esporre, articolare, sostenere, dedurre, esplicare, relazionare,
    illustrare, argomentare" (ossia nel senso di  apportare  elementi
    argomentativi e criteri valutativi del materiale probatorio  gia'
    noto al giudice, come appunto  avviene  allorquando  Il  pubblico
    ministero, nella motivazione della richiesta cautelare, spiega le
    ragioni in fatto e in diritto  da  lui  ipotizzate  a  fondamento
    della misura alla  stregua  delle  prove  gia'  note  a  tutti  i
    soggetti processuali). Analoga considerazione riguarda il termine
    "elementi"  che,  per  il  suo  valore  semantico   ancora   piu'
    marcatamente polisenso, si  presta  ad  indicare  qualunque  dato
    cognitivo  di  qualsivoglia  natura  emergente  e  valutabile   a
    qualsiasi fine in ogni situazione procedimentale. 

(7) Infatti, siccome il controllo di  costituzionalita'  delle  leggi
    riguarda  la  compatibilita'  di  queste  con  i  principi  della
    Costituzione - non potendo sic et simpliciter sostanziarsi in una
    revisione, in grado  ulteriore,  delle  relative  interpretazioni
    della Corte di Cassazione - "solo allorquando il giudice  ritenga
    [...] che nella giurisprudenza si sia consolidata una  reiterata,
    prevalente e costante lettura della disposizione,  e'  consentito
    richiedere l'intervento [della  Corte  costituzionale]  affinche'
    controlli la  compatibilita'  dell'indirizzo  consolidato  con  i
    principi costituzionali" (Corte cost. sentenza n. 456/1989). 
 
                              P. Q. M. 
 
 
                 Il Tribunale Ordinario di Grosseto 
              Ufficio Penale Dibattimentale Monocratico 
 
    Visti gli artt. 1, della legge cost. n. 1/1948 e 23  della  legge
n. 87/1953; 
    Dichiara la rilevanza in relazione alla decisione sulla richiesta
cautelare  presentata  nel  presente  procedimento  penale  come   in
epigrafe, e la non manifesta infondatezza in relazione agli artt.  3,
27  e  111  della  Costituzione,  della  questione  di   legittimita'
costituzionale della disposizione di cui all'art.  291  c.p.p.  nella
parte  in  cui  consente  al  pubblico  ministero  di  presentare   a
fondamento della  richiesta  cautelare  elementi  diversi  da  quelli
utilizzabili  dal  giudice  che  procede  secondo   le   disposizioni
regolative del procedimento o della fase del procedimento  penale  di
cognizione in corso di svolgimento, e comunque  nella  parte  in  cui
consente  al  giudice  dibattimentale  di  utilizzare   in   funzione
decisoria  sulla  richiesta  cautelare  elementi  diversi  da  quelli
legittimamente acquisiti nel dibattimento; 
    Ordina la sospensione del presente procedimento penale nei limiti
del giudizio incidentale concernente la pronuncia sulla richiesta  di
applicazione  della  misura  cautelare  degli   arresti   domiciliari
presentata dal pubblico ministero come in epigrafe; 
    Ordina la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale
previa notificazione della presente  ordinanza  alla  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, alla Presidenza del Senato,  alla  Presidenza
della Camera dei deputati ed alle parti del procedimento. 
 
      Grosseto, 12 gennaio 2015 
 
                       Il Giudice: Muscogiuri