N. 68 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 ottobre 2014
Ordinanza del 20 ottobre 2014 del Consiglio di Stato sui ricorsi riuniti proposti da Gestore dei servizi energetici - GSE S.p.a. contro Eco Power II S.r.l., Soleil II S.r.l. e Girasole II S.r.l.. Energia - Attuazione della Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili - Previsione che quando sia accertato che i lavori di installazione dell'impianto fotovoltaico non sono stati conclusi entro il 31 dicembre 2010, a seguito dell'esame della richiesta di incentivi, il GSE rigetta la richiesta e dispone l'esclusione dagli incentivi degli impianti che utilizzano anche in altri siti le componenti dell'impianto non ammesso all'incentivazione - Previsione che il GSE dispone la esclusione dalla concessione degli incentivi per la produzione di energia elettrica di sua competenza per un periodo di dieci anni dei soggetti che avevano presentato la richiesta di incentivi - Lesione del principio di uguaglianza per irragionevolezza - Violazione del principio di irretroattivita' delle sanzioni amministrative - Eccesso di delega - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU e dal diritto comunitario. - Decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, art. 43. - Costituzione, artt. 3, 25, comma secondo, 76 e 117, primo comma; legge 4 giugno 2010, n. 96, art. 2, comma 1, lett. c); Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, artt. 6 e 7.(GU n.18 del 6-5-2015 )
IL CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 6383 del 2013, proposto da: Gestore dei servizi energetici - Gse s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Crisci e Andrea Panzarola, elettivamente domiciliato presso Sergio Fidanzia in Roma, viale Bruno Buozzi, 109; Contro Eco Power II s.r.l. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandra Sandulli ed Emilio Paolo Sandulli, presso la prima elettivamente domiciliata in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349; Sul ricorso numero di registro generale 6389 del 2013, proposto da: Gestore dei servizi energetici - Gse s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Segato, presso lo stesso elettivamente domiciliato in Roma, via Bradano, 26; Contro Soleil II s.r.l. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandra Sandulli ed Emilio Paolo Sandulli, presso la prima elettivamente domiciliata in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349; Sul ricorso numero di registro generale 6394 del 2013, proposto da: Gestore dei servizi energetici - Gse s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Segato, presso lo stesso elettivamente domiciliato in Roma, via Bradano, 26; Contro Girasole II s.r.l. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandra Sandulli ed Emilio Paolo Sandulli, presso la prima elettivamente domiciliata in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349; Quanto al ricorso n. 6383 del 2013: della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione III Ter n. 3623/2013, resa tra le parti, concernente decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti per impianto fotovoltaico; Quanto al ricorso n. 6389 del 2013: della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione III Ter n. 3616/2013, resa tra le parti, concernente decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti per impianto fotovoltaico; Quanto al ricorso n. 6394 del 2013: della sentenza del T.a.r. Lazio Roma: Sezione III Ter n. 3622/2013, resa tra le parti, concernente decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti per impianto fotovoltaico; Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle societa' intimate; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti delle cause; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 aprile 2014 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Crisci, Alessandra Sandulli e Segato; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: Il Gestore dei servizi energetici (d'ora in poi: Gse, o Gestore) chiede la riforma delle sentenze, in epigrafe indicate, con le quali il Tribunale amministrativo del Lazio ha accolto altrettanti ricorsi proposti dalle societa' Eco Power II, Soleil II e Girasole II avverso i provvedimenti di diniego dei benefici previsti dal decreto ministeriale 19 febbraio 2007 per l'installazione di impianti fotovoltaici, con conseguente esclusione dalla concessione degli incentivi per un periodo di dieci anni, in ragione della mancata conclusione dei lavori di installazione entro il 31 dicembre 2010 (circostanza, questa, accertata e non contestata in giudizio dalle societa' ricorrenti in primo grado). Le sentenze impugnate hanno ritenuto che, non avendo tali societa' presentato domanda per ottenere gli incentivi di cui trattasi, pur avendo comunicato la fine dei lavori, illegittimamente il Gestore abbia applicato la sanzione dell'interdizione decennale dai benefici, a cio' occorrendo non solo la non contestata mancata ultimazione dei lavori entro il termine stabilito, ma anche la richiesta esplicita di beneficiare degli incentivi, che le interessate non hanno inoltrato, avendo abbandonato la pratica. Il Gestore contesta le sentenze, evidenziando che la comunicazione di fine lavori, presentata dalle societa' richiedenti, costituiva gia' la domanda di incentivi con conseguente attivazione del potere di controllo, domanda rispetto alla quale la successiva entrata in esercizio dell'impianto entro il 30 giugno 2011 (alla quale e' collegata la richiesta) costituisce mera condizione di efficacia. Gli appelli possono essere riuniti, prospettando questioni analoghe, ai fini di una stessa decisione. 1) Le questioni poste all'esame della Sezione attengono a vicende relative a procedimenti di concessione di incentivi economici nel settore degli impianti di produzione di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili. In via preliminare e' necessario ricostruire il quadro normativo rilevante. L'art. 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita') ha demandato al Ministro delle attivita' produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con la Conferenza unificata, di adottare decreti volti a definire, tra l'altro, i criteri per l'incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica dalla fonte solare. In particolare, devono essere stabilite le modalita' per la determinazione dell'entita' dell'incentivazione, costituita da una specifica tariffa, di importo decrescente e di durata tale da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio. In attuazione di quanto disposto dalla riportata disposizione sono stati adottati i decreti ministeriali 28 luglio 2006, 19 febbraio 2007, 6 agosto 2010 e 5 maggio 2011 (che hanno introdotto, rispettivamente, i cosiddetti primo, secondo, terzo e quarto conto energia). In particolare, gli articoli 5 e 6 del decreto ministeriale 19 febbraio 2007 hanno previsto che i soggetti che hanno realizzato impianti fotovoltaici, entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2008, hanno diritto a una tariffa incentivante avente un valore parametrato alla potenza nominale e alla tipologia dell'impianto. Detti soggetti, a questo fine, devono inoltrare al «gestore di rete» il progetto preliminare dell'impianto, chiedere la connessione alla rete ed «entro sessanta giorni dalla data di entrata in esercizio dell'impianto» fare pervenire «al soggetto attuatore» la «richiesta di concessione della pertinente tariffa incentivante». L'art. 11 dello stesso decreto prevede che l'eventuale falsa dichiarazione, comporta la decadenza dal diritto alla tariffa «sull'intera produzione per l'intero periodo di diritto alla stessa tariffa». L'art. 2-sexies del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3 (Misure urgenti per garantire la sicurezza, di approvvigionamento di energia elettrica nelle isole maggiori), inserito dalla legge di conversione 22 marzo 2010, n. 41, in vigore dal 19 agosto 2010, modificando parzialmente le modalita' procedimentali, ha disposto, al primo comma, che le tariffe incentivanti di cui al decreto ministeriale 19 febbraio 2007 «sono riconosciute a tutti i soggetti che, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 5 del medesimo decreto ministeriale, abbiano concluso, entro il 31 dicembre 2010, l'installazione dell'impianto fotovoltaico, abbiano comunicato all'amministrazione competente «al rilascio dell'autorizzazione, al gestore di rete e al Gestore dei servizi elettrici-GSE s.p.a., entro la medesima data, la fine lavori ed entrino in esercizio entro il 30 giugno 2011» (tale comma e' stato cosi' sostituito dall'art. 1-septies, comma 1, del decreto-legge 8 luglio 2010, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 agosto 2010, n. 129, che ha sostituito l'originario comma 1 con gli attuali commi 1 e 1-bis). Il comma 1-bis dello stesso articolo, aggiunto dal citato art. 1-septies, comma 1, del d.l. n. 105 del 2010, ha stabilito che «la comunicazione di cui al comma 1 e' accompagnata da asseverazione, redatta da tecnico abilitato, di effettiva conclusione dei lavori di cui al comma 1 e di esecuzione degli stessi nel rispetto delle pertinenti normative. Il gestore di rete e il GSE s.p.a., ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, possono effettuare controlli a campione per la verifica delle comunicazioni di cui al presente comma, ferma restando la medesima facolta' per le amministrazioni competenti al rilascio dell'autorizzazione». Il GSE, al fine di chiarire le modalita' di presentazione delle domande, ha dettato le linee guida relative alla «procedura operativa per la gestione delle comunicazioni al GSE di fine lavori degli impianti fotovoltaici». In particolare, le linee guida distinguono due fasi. Nella prima fase, relativa all'«inserimento richiesta incentivi al GSE», il soggetto responsabile deve allegare, tra l'altro: I) «da richiesta di accesso ai benefici previsti dalla legge n. 129 del 13 agosto 2010» (recte: art. 1-speties, comma 1, del decreto-legge n. 105 del 2010, che ha modificato l'art. 2-sexies del decreto-legge n. 3 del 2010); II) «l'asseverazione, redatta e sottoscritta in originale da un tecnico abilitato, di effettiva conclusione dei lavori»; III) «la copia della richiesta di connessione elettrica al gestore di rete territorialmente competente». Nella seconda fase, relativa al «completamento richiesta di incentivi al GSE», il «soggetto responsabile potra' inviare, nel rispetto della tempistica dei sessanta giorni dalla data di entrata in esercizio, la richiesta di incentivo secondo regole del decreto ministeriale 19 febbraio 2007». La legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee - Legge comunitaria 2009) ha: I) con gli artt. 2 e 3 delegato il Governo ad introdurre una disciplina sanzionatoria «di violazione di disposizioni comunitarie»; II) con l'art. 17 stabilito principi e criteri direttivi per l'attuazione, tra l'altro, della direttiva 2009/28/CE. Il d.lgs. n. 28 del 2011 ha attuato la predetta delega, definendo «gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi fino al 2020 in materia di quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e di quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti». Il Titolo V del predetto decreto ha previsto, tra l'altro, agli articoli 23 e seguenti, i nuovi «Regimi di sostegno», per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. In particolare, l'art. 24 ha disposto che la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili entrate in esercizio dopo il 31 dicembre 2012 e' incentivata sulla base di nuovi criteri specificamente previsti. Il Titolo V, Capo II, dello stesso decreto ha previsto il sistema di «Controlli e sanzioni», stabilendo, all'art. 42, comma 1, che: l'erogazione di incentivi nel settore elettrico e termico, di competenza del GSE, e' subordinata alla verifica dei dati forniti dai soggetti responsabili che presentano istanza; la verifica, che puo' essere affidata anche agli enti controllati dal GSE, e' effettuata attraverso il controllo della documentazione trasmessa, nonche' con controlli a campione sugli impianti; i controlli sugli impianti, per i quali i soggetti preposti dal GSE rivestono la qualifica di pubblico ufficiale, sono svolti anche senza preavviso ed hanno ad oggetto la documentazione relativa all'impianto, la sua configurazione impiantistica e le modalita' di connessione alla rete elettrica. L'art. 42, comma 2, ha disposto che, «restano ferme le competenze in tema di controlli e verifiche spettanti alle amministrazioni statali, regionali, agli enti locali nonche' ai gestori di rete». L'art. 42, comma 3, ha previsto che, «nel caso in cui le violazioni riscontrate nell'ambito dei controlli di cui ai commi 1 e 2 siano rilevanti ai fini dell'erogazione degli incentivi, il GSE dispone il rigetto dell'istanza ovvero la decadenza dagli incentivi, nonche' il recupero delle somme gia' erogate, e trasmette all'Autorita' l'esito degli accertamenti effettuati per l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 2, comma 20, lettera c), della legge 14 novembre 1995, n. 481». Sul punto, deve aggiungersi che l'art. 23, comma 3, ha previsto, pur nell'ambito del diverso Titolo V, che non hanno diritto «a percepire gli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, da qualsiasi fonte normativa previsti, i soggetti per i quali le autorita' e gli enti competenti abbiano accertato che, in relazione alla richiesta di qualifica degli impianti o di erogazione degli incentivi, hanno fornito dati o documenti non veritieri, ovvero hanno reso dichiarazioni false o mendaci». La stessa norma ha aggiunto che, «fermo restando il recupero delle somme indebitamente percepite, la condizione ostativa alla percezione degli incentivi ha durata di dieci anni dalla data dell'accertamento e si applica alla persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta», nonche' ai soggetti, specificamente indicati, che rivestono ruoli di responsabilita' nell'ambito della societa'. L'art. 43 dello stesso decreto, che rileva in questa sede, ha stabilito, con norma applicabile al vecchio regime, che: «Fatte salve le norme penali, qualora sia stato accertato che i lavori di installazione dell'impianto fotovoltaico non sono stati conclusi entro il 31 dicembre 2010, a seguito dell'esame della richiesta di incentivazione ai sensi del comma 1 dell'art. 2-sexies del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3 (...), il GSE rigetta l'istanza di incentivo e dispone contestualmente l'esclusione dagli incentivi degli impianti che utilizzano anche in altri siti le componenti dell'impianto non ammesso all'incentivazione». La medesima norma ha previsto che, «con lo stesso provvedimento, il GSE dispone l'esclusione dalla concessione di incentivi per la produzione di energia elettrica di sua competenza, per un periodo di dieci anni dalla data dell'accertamento, della persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta», nonche' dei soggetti responsabili specificamente indicati. Il secondo comma ha disposto che «fatte salve piu' gravi ipotesi di reato, il proprietario dell'impianto di produzione e il soggetto responsabile dell'impianto che con dolo impiegano pannelli fotovoltaici le cui matricole sono alterate o contraffatte sono puniti con la reclusione da due a tre anni e con l'esclusione da qualsiasi incentivazione, sovvenzione o agevolazione pubblica per le fonti rinnovabili». 2) Chiarito cio', ai fini della risoluzione della controversia in esame e' pregiudiziale sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 43 del d.lgs. n. 28 del 2011. 3) Il giudizio di rilevanza impone di interpretare la suddetta disposizione anche al fine di valutare la possibilita' di fornirne una interpretazione di essa costituzionalmente orientata (da ultimo, Corte cost. n. 21 e n. 10 del 2013). Il Tribunale amministrativo regionale, con le sentenze impugnate, ha ritenuto che tale disposizione debba essere intesa nel senso che la stessa contempli un fatto illecito che si perfeziona all'esito del completamento di due fasi temporalmente separate: la prima, costituita dalla comunicazione di fine lavori, deve concludersi entro il 31 dicembre 2010; la seconda fase, successiva all'entrata in esercizio che deve avvenire entro il 30 giugno 2011, costituita dalla richiesta di incentivi da presentare al GSE entro il successivo termine di sessanta giorni. Si sarebbe, pertanto, in presenza di un fatto illecito a formazione progressiva. Questa Sezione ritiene, invece, che il fatto illecito si perfeziona in un unico contesto temporale nel momento in cui l'impresa presenta la comunicazione di fine lavori (incompleta o falsa) unitamente alla richiesta di incentivi. Tale esito interpretativo e' l'unico possibile per le seguenti ragioni. In primo luogo, dall'esame complessivo della normativa rilevante e, in particolare, dalle linee guida predisposte dal GSE, risulta che sussistono due richieste di incentivi: la prima da presentare unitamente alla comunicazione di fine lavori; la seconda da presentare successivamente all'entrata in esercizio dell'impianto. L'art. 43, codificando tale prassi operativa, prevede che debbano essere presenti, per il perfezionamento del fatto illecito, i requisiti costituiti dalla comunicazione di fine lavori e dalla richiesta di incentivi. Tale richiesta, genericamente indicata, e', anche in ragione di quanto si dira' oltre, quella che deve essere presentata, entro il 31 dicembre 2010, unitamente alla comunicazione fine lavori. Nelle fattispecie oggetto del presente giudizio risulta dagli atti che la societa' Cirio Agricola ha depositato nel procedimento, unitamente all'attestazione di fine lavori, anche la suddetta richiesta nel termine sopra indicato. In secondo luogo, il significato assegnato alla disposizione e' l'unico coerente con il potere di controllo dell'amministrazione. Il legislatore, infatti, ha previsto che tale potere e' esercitabile alla scadenza del predetto termine del 31 dicembre 2010. Se il perfezionamento del fatto illecito fosse ricollegabile alla richiesta di incentivi successiva all'entrata in esercizio dell'impianto sarebbe stato questo il momento che avrebbe consentito l'esercizio della funzione di verifica da parte del GSE. La stretta correlazione tra fatto illecito, potere di controllo e potere interdittivo induce, pertanto, a ritenere che il comportamento che giustifica l'applicazione della misura in esame sia posto in essere entro il suddetto termine del 31 dicembre 2010. Si tenga conto, inoltre, che l'esito negativo dei controlli per l'impresa determina di fatto un arresto del procedimento con conseguente normale mancata presentazione della seconda richiesta. Ne consegue che l'interpretazione seguita dal Tar condurrebbe di fatto ad una sostanziale inapplicabilita' della norma. Infine, il sistema a regime, contemplato dal riportato art. 23 del d.lgs. n. 28 del 2011, prevede, quale unico presupposto per l'applicazione della suddetta misura, l'avere fornito ai soggetti competenti dati o documenti non veritieri, ovvero avere reso dichiarazioni false. Non sarebbe, pertanto, conforme al canone della ragionevolezza diversificare i requisiti a seconda che il rimedio trovi applicazione a fattispecie soggette alla pregressa o alla nuova forma di regolazione. L'interpretazione fornita, che conduce, per le ragioni indicate nel successivo punto, a ritenere la norma contraria a Costituzione, non e' superabile attraverso la ricerca di un diverso significato conforme a Costituzione. La scissione temporale del comportamento sanzionato porta, infatti, ad esiti anch'essi contrari a Costituzione. Se, infatti, si ritiene che il completamento della illecita si realizza nel momento della presentazione della seconda richiesta di incentivi successiva all'entrata in esercizio dell'impianto si verrebbe a determinare una irragionevole discriminazione, consentita dalla norma, tra operatori economici a seconda che la funzione di controllo sia esercitata prima o dopo la scadenza del predetto termine. Solo nel primo caso, infatti, l'impresa sarebbe indotta a non presentare l'istanza proprio, allo scopo di non subire il divieto decennale di percezione degli incentivi. Alla luce di quanto sin qui esposto, l'amministrazione, contrariamente da quanto affermato dal Tar, ha fatto una corretta applicazione alla fattispecie concreta di quanto stabilito dall'art. 43, inibendo, sostanzialmente, per un periodo decennale, l'attivita' ai soggetti che avevano presentato una incompleta o falsa comunicazione di fine lavori con contestuale richiesta di incentivi. Gli appelli dovrebbero, pertanto, trovare accoglimento qualora non venga dichiarata costituzionalmente illegittima la predetta disposizione. In definitiva, il Collegio ritiene che non sia possibile dare alla norma in esame una interpretazione costituzionale e che l'unica interpretazione possibile, rendendo tale norma applicabile alle fattispecie oggetto del presente giudizio, assegna rilevanza, ai fini della risoluzione della presente controversia, alla questione di costituzionalita'. 4) Il giudizio di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale risulta dal ritenuto contrasto dell'art. 43 del d.lgs. n. 28 del 2011 con gli art. 3, 25, secondo comma, 76 e 117, primo comma, della Costituzione. 5) In via preliminare, deve accertarsi se il rimedio in esame possa essere inquadrato nell'ambito della categoria dei provvedimenti sanzionatori, individuandone natura, tipologia ed effetti. Le sanzioni, irrogate dalla pubblica amministrazione nell'esercizio di funzioni amministrative, rappresentano la reazione dell'ordinamento alla violazione di un precetto. La dottrina, valorizzando i profilo funzionale, distingue le sanzioni in senso lato e le sanzioni in senso stretto: le prime hanno una finalita' ripristinatoria, in forma specifica o per equivalente, dell'interesse pubblico leso dal comportamento antigiuridico; le seconde hanno una finalita' afflittiva, essendo indirizzate a punire il responsabile dell'illecito allo scopo di assicurare obiettivi di prevenzione generale e speciale. Le principali tipologie di sanzioni in senso stretto sono pecuniarie, quando consistono nel pagamento di una somma di denaro, ovvero interdittive, quando impediscono l'esercizio di diritti o facolta' da parte del soggetto inadempiente. La disciplina generale delle sanzioni pecuniarie, modellata alla luce dei principi di matrice penalistica, e' contenuta nella legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale). La disciplina delle altre sanzioni e' contenuta nelle singole discipline idi settore, cui si applicano, ove compatibili, i principi generali sanciti dalla predetta legge. Il d.lgs. n. 28 del 2001 ha previsto uno specifico sistema sanzionatorio nel settore delle fonti di energia rinnovabili. L'art. 43 dello stesso decreto contempla una sanzione afflittiva, non pecuniaria, di tipo interdittivo, con effetti retroattivi. La natura afflittiva e' conseguenza del fatto che l'effetto di ripristinazione dell'interesse pubblico leso e' assicurato dal divieto di concessione di incentivi in relazione a quello specifico impianto cui si riferisce la comunicazione di fine lavori, nonche' agli impianti che utilizzano in altri siti le componenti dell'impianto non ammesso all'incentivazione. L'estensione del divieto anche in relazione ad incentivi previsti da fonti regolatrici diverse per una durata di dieci anni non puo' che perseguire uno scopo di punizione del soggetto che ha violato il precetto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 148). L'appartenenza al tipo di sanzioni interdittive risulta chiaramente dalla descrizione normativa della fattispecie: il rimedio, infatti, vietando la concessione di benefici economici per un periodo di dieci anni, si risolve in un sostanziale impedimento allo svolgimento dell'attivita' di impresa. La produzione retroattiva degli effetti e' desumibile dalla circostanza che la sanzione e' applicabile per illeciti commessi prima della sua entrata in vigore, in quanto, come sottolineato, la disciplina di legge vigente al momento della avvenuta comunicazione di fine di lavori e richiesta di incentivi non contemplava tale misura. Gli operatori economici del settore non sapevano, pertanto, che l'eventuale accertata incompletezza o falsita' della comunicazione di fine lavori avrebbe determinato l'applicazione di una sanzione consistente nel divieto di concessione di incentivi per un cosi' lungo periodo temporale. La norma, pertanto, incide negativamente sulle prevedibilita' delle conseguenze derivanti da azioni o omissioni di coloro che esercitano liberamente la propria iniziativa economica. 6) L'art. 76 Cost. prevede che la delega al Governo della funzione legislativa non puo' avvenire «se non con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetto de finiti». La giurisprudenza costituzionale e' costante nel ritenere che il sindacato di legittimita' costituzionale sulla delega legislativa si esplichi attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli. Il primo riguarda le disposizioni che determinano l'oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione, tenuto conto del contesto normativo in cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalita' relative. Il secondo riguarda le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi e i criteri direttivi della delega (da ultimo, sentenza n. 50 del 2014). Nella fattispecie in esame la legge n. 96 del 2010 ha, agli artt. 2 e 3, delegato il Governo ad adottare disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per violazione di obblighi contenuti nella normativa europea da attuare. In particolare, l'art. 2, comma 1, lettera c), prevede, quali principi e criteri direttivi per le sanzioni amministrative, che esse: I) devono consistere nel «pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro»; II) nell'ambito di detti limiti devono essere determinate nella loro entita' «tenendo conto della diversa potenzialita' lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualita' personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonche' del vantaggio patrimoniale che l'infrazione puo' recare al colpevole ovvero alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce». L'art. 43 del d.lgs. n. 23 del 2011, nella parte in cui ha introdotto una sanzione interdittiva e non pecuniaria senza, peraltro, graduarne l'applicazione nel rispetto delle modalita' predeterminate dalla suddetta legge, ha disciplinato un oggetto privo di copertura da parte della legge di delegazione e comunque in contrasto con i principi e criteri stabiliti dalla legge delega, con conseguente violazione dell'art. 76 Cost. 7) L'art. 25, secondo comma, Cost. dispone che «nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». La Corte costituzionale ha piu' volte affermato, su un piano generale, che la legge puo' introdurre norme che modifichino in senso sfavorevole per gli interessati la disciplina di determinati rapporti, anche quando l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, purche' tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella «certezza dell'ordinamento giuridico», da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (sentenze n. 69 del 2014, n. 310 e n. 83 del 2013, n. 166 del 2012, n. 202 del 2010, n. 206 del 2009). Sul piano specifico delle sanzioni, la Corte costituzionale ha ritenuto che l'art. 25, secondo comma, Cost. ponga un divieto assoluto di retroattivita' nella materia penale (da ultimo sentenza n. 5 del 2014). La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 196 del 2010, ha innovativamente ritenuto che il citato art. 25, secondo comma, in ragione dell'ampiezza della sua formulazione, ricompre nel suo ambito di applicazione anche le sanzioni amministrative, con la conseguenza che «ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (...) e' applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia' vigente al momento della commissione del fatto sanzionato» (si vedano anche sentenze n. 447 del 1988 e n. 78 del 1967, che hanno ritenuto le sanzioni amministrative soggette al rispetto del principio di tassativita'). In questa prospettiva l'art. 1 della legge n. 689 del 1981 - nella parte in cui dispone che «nessuno puo' essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione» - costituisce espressione di regole costituzionali. In definitiva, per le sanzioni amministrative di tipo afflittivo opera il principio di legalita' nella connotazione che esso ha nel settore penale, con conseguente necessita' di rispettare i principi di riserva di legge, tassativita' e irretroattivita'. L'art. 43 del d.lgs. n. 28 del 2011, prevedendo una misure afflittiva finalizzata a sanzionare comportamenti posti in essere prima della entrata in vigore del decreto stesso, si pone, pertanto, in contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost. 8) L'art. 117, primo comma, Cost., stabilisce che la potesta' legislativa deve essere esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto «degli obblighi internazionali». La giurisprudenza costituzionale ritiene che la CEDU contenga norme interposte, oggetto di bilanciamento, nel giudizio di costituzionalita' al fine di assicurare la integrazione delle tutele (da ultimo, sentenza n. 264 del 2012). L'art. 6 della CEDU stabilisce quali sono le condizioni che devono essere rispettate perche' si abbia un «equo processo». L'art. 7 della stessa CEDU prevede che «non puo' essere inflitta una pena piu' grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il reato e' stato consumato». La Corte di Strasburgo ha elaborato propri e autonomi criteri al fine di stabilire la natura penale o meno di un illecito e della relativa sanzione. In particolare, sono stati individuati tre criteri, costituiti: I) dalla qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, con la puntualizzazione che la stessa non e' vincolante quando si accerta la valenza «intrinsecamente penale» della misura; II) dalla natura dell'illecito, desunta dall'ambito di applicazione della norma che lo prevede e dallo scopo perseguito; III) dal grado di severita' della sanzione (sentenze 4 marzo 2014, r. n. 18640/10, resa nella causa Grande Stevens e altri c. Italia; 10 febbraio 2009, ric. n. 1439/03, resa nella causa Zolotoukhine c. Russia; si v. anche Corte di giustizia UE, grande sezione, 5 giugno 2012, n. 489, nella causa C-489/10). L'assegnazione alla «materia penale» di un significato ampio conduce a ritenere che anche il potere amministrativo sanzionatorio deve essere esercitato nel rispetto, non solo delle garanzie dell'equo processo, ma anche dai principi sanciti dal citato art. 7. L'art. 43 del d.lgs. n. 28 del 2011, nella parte in cui introduce una sanzione afflittiva con effetti retroattivi, si pone, pertanto, in contrasto non soltanto con l'art. 25, secondo comma, Cost., ma anche con la suddetta norma convenzionale e, conseguentemente, con l'art. 117, primo Cost. 9) L'art. 3 della Cost., nell'applicazione che di esso ha fatto la giurisprudenza costituzionale, pone il vincolo del rispetto del principio di ragionevolezza nell'esercizio della discrezionalita' legislativa. Nello specifico settore delle sanzioni amministrative deve essere osservato, nella fase applicativa, il principio di proporzionalita', il quale impone che la misura sia idonea, necessaria e proporzionata in senso stretto rispetto allo scopo perseguito. Il rispetto di tale principio, nelle sue declinazioni, impone, in concreto, l'attribuzione all'autorita' amministrativa di un potere discrezionale in grado di individualizzare la sanzione modulandone l'entita' alla luce della tipologia e gravita' della violazione, nonche' della intensita' dell'elemento soggettivo (si veda Corte cost. n. 299 del 1992, con riferimento all'entita' delle sanzioni penali; si veda anche art. 11 della legge n. 689 del 1981, con riferimento all'esigenza di una commisurazione discrezionale della sanzione amministrativa pecuniaria), elemento, quest'ultimo, che assume particolare rilevanza laddove, come nella fattispecie in esame, ad essere colpito e' il legale rappresentante della societa' sanzionata. La proiezione di tale principio a livello costituzionale ne comporta la sua collocazione nell'ambito della regola della ragionevolezza. Non e', infatti, conforme a tale regola una misura sanzionatoria che, risolvendosi in una applicazione generalizzata non aderente alla specificita' delle singole condotte, determina una ingiustificata discriminazione tra operatori economici. L'art. 43 del d.lgs. n.. 28 del 2011, contemplando un sistema sanzionatorio rigido applicabile indistintamente a tutte le fattispecie senza che l'autorita' amministrativa competente possa modulare l'irrogazione della sanzione a seconda della valenza degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie stessa, si pone, pertanto, in contrasto con l'indicato parametro costituzionale. 10) L'art. 117, primo comma, Cost., stabilisce che la potesta' legislativa deve essere esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto «dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario». La Corte di giustizia dell'Unione europea ritiene che le autorita' preposte all'irrogazione delle sanzioni, in materie di rilevanza europea, quale quella in esame, debbano rispettare il principio di proporzionalita' (si veda Corte di giustizia UE, sez. I, 9 febbraio 2012, n. 210, causa C-210/10; cfr. anche Corte cost. n. 313 del 1990). L'art. 43 del d.lgs. n. 23 del 2011, non assicurando il rispetto del principio di proporzionalita', si pone, pertanto, in contrasto anche con il parametro costituzionale sopra indicato. 11) Il giudizio di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 43 del d.lgs. n. 23 del 2011 impone la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del giudizio di costituzionalita'.
P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), riunisce gli appelli in epigrafe indicati e, non definitivamente pronunciando: a) solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 43 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), in riferimento agli articoli 3, 25, 76 e 117, primo comma (in relazione, quest'ultimo, anche all'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo) della Costituzione; b) sospende il giudizio e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; c) dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio di ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Spese al definitivo. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati: Luciano Barra Caracciolo, Presidente; Gabriella De Michele, Consigliere; Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere; Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore; Bernhard Lageder, Consigliere. Il Presidente: Barra Caracciolo L'estensore: Vigotti