N. 46 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 aprile 2015

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 2  aprile  2015  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Definizione di governo
  del territorio - Ricorso del Governo - Denunciata  introduzione  di
  una nuova definizione di governo del  territorio  e  delle  materie
  correlate  esorbitante  i  limiti  della   competenza   concorrente
  attribuita alle Regioni nella materia del governo del territorio  -
  Invasione dell'ambito  dei  principi  fondamentali  riservato  alla
  competenza legislativa statale. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 1, commi 2 e 3,  in  correlazione
  con art. 2, commi 5 e 6, della medesima legge. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Definizioni in materia
  edilizia   -   Definizioni   di   "interventi    di    manutenzione
  straordinaria", "interventi di ristrutturazione  edilizia",  "opere
  interne", "edificio" e "isolato edilizio" - Ricorso del  Governo  -
  Denunciata incidenza sulle modalita' di  applicazione  delle  norme
  poste dal legislatore statale  a  tutela  di  interessi  unitari  -
  Esorbitanza dai limiti della competenza concorrente attribuita alle
  Regioni nella materia del governo del territorio. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 7, comma 1, lett. b), d), g),  m)
  e n). 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,
  art. 3. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Definizioni in materia
  edilizia   -   Definizione   di   "interventi    di    manutenzione
  straordinaria" - Ricorso del Governo -  Denunciata  inclusione  nel
  novero della ristrutturazione edilizia di interventi  da  ascrivere
  alla manutenzione straordinaria, con incidenza  sull'individuazione
  del titolo abilitativo necessario per realizzare tali interventi  -
  Lamentata attribuzione  alla  materia  edilizia  dell'esercizio  di
  un'attivita'  consistente  nella  gestione  di  rifiuti   o   nella
  realizzazione  di  interventi  di  bonifica  -  Compromissione  del
  rispetto della normativa  ambientale  in  materia  di  gestione  di
  rifiuti  -  Violazione  dei  principi  fondamentali   dettati   dal
  legislatore statale in  materia  di  legislazione  concorrente  del
  governo del territorio - Lesione della potesta' legislativa statale
  nella materia di tutela dell'ambiente. 
- Legge 21 gennaio 2015,  n.  1,  art.  7,  comma  1,  lett.  b),  in
  correlazione con art. 118, commi 2, 3 e 5, della medesima legge. 
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s);  d.P.R.  6  giugno
  2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. b); d.lgs. 3 aprile  2006,  n.
  152, artt. 177, comma 4, 179, commi 1 e 2, e 181, commi 1 e 4. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Definizioni in materia
  edilizia  -  Definizione   di   "interventi   di   ristrutturazione
  straordinaria" - Ricorso del Governo - Denunciata inclusione  nella
  definizione dell'aumento delle superfici utili interne in contrasto
  con quanto previsto dalla normativa statale di principio in materia
  di legislazione concorrente del governo del territorio - Violazione
  dei principi a tutela del patrimonio culturale. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 7, comma 1, lett. d). 
- Costituzione, artt. 9 e 117, commi  secondo,  lett.  s),  e  terzo;
  d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. b). 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Definizioni in materia
  edilizia - Definizione di "opere interne" - Ricorso del  Governo  -
  Denunciata sovrapposizione della definizione  regionale  con  altre
  categorie  individuate   dal   legislatore   statale   determinante
  incertezza  applicativa  e  incidente   sul   regime   dei   titoli
  abilitativi all'esercizio dell'attivita' edilizia - Violazione  dei
  principi fondamentali nella materia di legislazione concorrente del
  governo del territorio. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, artt. 7, comma 1,  lett.  g),  e  118,
  comma 1, lett. e). 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. s), e terzo; d.P.R.  6
  giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. b). 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Definizioni in materia
  edilizia - Definizione di "edificio"  e  di  "isolato  edilizio"  -
  Ricorso del Governo - Denunciata interferenza  sulle  modalita'  di
  applicazione delle norme poste dal legislatore statale a tutela  di
  esigenze  unitarie  di   tutela   dell'incolumita'   pubblica,   in
  particolare delle norme relative alle costruzioni in zone  sismiche
  -  Violazione  dei  principi  fondamentali  posti  dal  legislatore
  statale nelle materie di legislazione concorrente del  governo  del
  territorio e della protezione civile. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 7, comma 1, lett. m) e n). 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,
  artt. 83 e ss. 
Ambiente - Norme della Regione Umbria - Testo unico del  governo  del
  territorio e materie  correlate  -  Programmazione  territoriale  -
  Finalita' e contenuti del Programma Strategico Territoriale (PST) -
  Procedimento di formazione,  adozione  e  approvazione  del  PST  -
  Finalita' e obiettivi del Piano  Paesaggistico  Regionale  (PPR)  -
  Procedimento di formazione,  adozione  e  approvazione  del  PPR  -
  Ricorso  del  Governo  -  Violazione  della  potesta'   legislativa
  esclusiva statale in materia di tutela del paesaggio  -  Denunciata
  sovrapposizione alle previsioni e prescrizioni  proprie  del  piano
  paesaggistico, comportante alterazione della corretta gerarchia tra
  i diversi strumenti di pianificazione previsti dal codice dei  beni
  culturali e del paesaggio - Violazione  dei  principi  fondamentali
  statali nelle materie di legislazione concorrente del  governo  del
  territorio e della valorizzazione  dei  beni  culturali  -  Lesione
  della tutela dell'ambiente e del paesaggio. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, artt. 8, 9, comma 4, 10,  comma  1,  e
  13, comma 1. 
- Costituzione, artt. 9 e 117, commi  secondo,  lett.  s),  e  terzo;
  d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 135, 143 e 145, commi 3 e 4. 
Ambiente - Norme della Regione Umbria - Testo unico del  governo  del
  territorio e materie  correlate  -  Programmazione  territoriale  -
  Contenuti del Piano Paesaggistico Regionale  (PPR)  -  Ricorso  del
  Governo - Denunciata inclusione  tra  i  contenuti  del  PPR  della
  individuazione dei beni paesaggistici di cui agli artt. 134  e  142
  del d.lgs. n. 42 del 2004, con la definizione delle  discipline  di
  tutela e  valorizzazione,  in  contrasto  con  il  significato  dei
  termini "individuazione" e "ricognizione" adottato dal  codice  dei
  beni culturali e del paesaggio - Lesione della tutela dell'ambiente
  e del paesaggio. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 11, comma 1, lett. d). 
- Costituzione, artt. 9 e 117, comma secondo,  lett.  s);  d.lgs.  22
  gennaio 2004, n. 42, art. 143, comma 1. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo  del  territorio  e  materie  correlate  -   Programmazione
  territoriale - Procedimento di approvazione del Piano Paesaggistico
  Regionale  (PPR)  -  Ricorso  del  Governo  -  Denunciata   mancata
  previsione  della  necessaria  compartecipazione   paritetica   del
  Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo  nella
  approvazione   sostanziale   dei   contenuti   del   nuovo    piano
  paesaggistico - Lesione della tutela dell'ambiente e del paesaggio. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 13, commi 4 e 5. 
- Costituzione, artt. 9, comma secondo, e 117, comma  secondo,  lett.
  s); d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 143, comma 2. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo  del  territorio  e  materie  correlate  -   Programmazione
  territoriale - Adeguamento degli  strumenti  di  pianificazione  al
  Piano  Paesaggistico  Regionale  (PPR)  -  Ricorso  del  Governo  -
  Denunciata mancata previsione della  partecipazione  del  Ministero
  dei beni e delle attivita' culturali e del turismo al  procedimento
  per l'adeguamento degli strumenti urbanistici al PPR, in  contrasto
  con le disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio -
  Violazione della potesta' legislativa esclusiva statale in  materia
  di tutela dell'ambiente. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 15, commi 1 e 5. 
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s); d.lgs. 22  gennaio
  2004, n. 42, artt. 145, comma 5, e 146, comma 5. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Pianificazione  d'area
  vasta - Piano Territoriale di Coordinamento  Provinciale  (PTCP)  -
  Disciplina - Adeguamento del Piano Regolatore Generale  al  PTCP  -
  Ricorso del Governo -  Denunciato  contrasto  con  le  disposizioni
  statali di  cui  al  testo  unico  degli  enti  locali  recanti  il
  contenuto del piano territoriale di coordinamento - Contrasto con i
  principi fondamentali  in  materia  di  governo  del  territorio  -
  Incidenza sulla disciplina di una funzione fondamentale  attribuita
  dallo Stato alla competenza delle Province. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, artt. 16, commi 4 e 5, 17, 19 e 21. 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. p), e terzo; d.lgs. 18
  agosto 2000, n. 267, art. 20, comma 2; legge 7 aprile 2014, n.  56,
  art. 1, comma 85. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Pianificazione  d'area
  vasta - Copianificazione,  formazione  e  approvazione,  efficacia,
  durata  e  varianti  del  Piano   Territoriale   di   Coordinamento
  Provinciale (PTCP) -  Ricorso  del  Governo  -  Denunciata  mancata
  previsione   della   partecipazione   di   qualsivoglia   organismo
  ministeriale nei procedimenti di verifica di  compatibilita'  degli
  strumenti di pianificazione delle amministrazioni locali  al  piano
  regionale paesistico -  Contrasto  con  la  normativa  statale  che
  impone la partecipazione dello Stato -  Violazione  della  potesta'
  legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 18, commi 4, 5, 6, 7, 8 e 9. 
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s); d.lgs. 22  gennaio
  2004, n. 42, art. 145, comma 5. 
Ambiente - Norme della Regione Umbria - Testo unico del  governo  del
  territorio e materie correlate - Norme  generali  e  contenuto  del
  piano regolatore generale (PRG) - Adozione della parte  strutturale
  del PRG - Adozione e approvazione del piano attuativo - Ricorso del
  Governo - Denunciata attribuzione agli uffici comunali del  compito
  di esprimere i pareri sugli strumenti urbanistici  compreso  quello
  in materia sismica, idraulica e idrogeologica, in contrasto con  la
  norma statale di principio di cui al testo unico dell'edilizia  che
  attribuisce agli uffici regionali le funzioni relative al  rilascio
  di detti pareri - Violazione  della  potesta'  legislativa  statale
  nelle  materie  di  legislazione  concorrente   del   governo   del
  territorio e della protezione civile. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, artt. 28, comma 10, e 56, comma 3. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,
  art. 89. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio  e  materie  correlate  -  Piano  regolatore
  generale  (PRG)  -  Copianificazione  e  approvazione  del  PRG   -
  Premialita' per gli interventi  nei  centri  storici  -  Limiti  di
  utilizzo  della   quantita'   premiale   -   Determinazione   della
  premialita' per interventi in materia di sostenibilita'  ambientale
  degli edifici - Condizioni  per  gli  interventi  finalizzati  alla
  riqualificazione  urbanistica,   architettonica,   strutturale   ed
  ambientale  degli  edifici  esistenti  -  Ricorso  del  Governo   -
  Denunciata introduzione di varianti e deroghe alle altezze  massime
  previste dagli strumenti urbanistici senza rispettare le condizioni
  stabilite dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968 -  Inosservanza
  dei principi fondamentali posti dal legislatore statale in  materia
  del  governo  del  territorio   -   Violazione   della   competenza
  legislativa statale in materia di ordinamento civile. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, artt. 32, comma 4, 49, comma 2,  lett.
  a), 51, comma 6, e 79, comma 3. 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. l), e  terzo;  d.m.  2
  aprile 1968, n. 1444, art. 8. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo  del  territorio  e  materie   correlate   -   Adozione   e
  approvazione del piano attuativo - Ricorso del Governo - Denunciata
  mancata previsione del  procedimento  di  conformazione/adeguamento
  dello   strumento   urbanistico   (piano   attuativo)   al    Piano
  Paesaggistico Regionale (PPR) e quindi della partecipazione a  tale
  procedimento  degli  organi  ministeriali,  in  contrasto  con   le
  disposizioni del codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio  -
  Violazione della potesta' legislativa esclusiva statale in  materia
  di tutela dell'ambiente. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 56, comma 14. 
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s);  legge  17  agosto
  1942, n. 1150, artt. 16 e 28. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate  -  Piano  attuativo  di
  iniziativa  privata  e  mista  -  Applicabilita'  ai   fini   della
  realizzazione degli interventi finalizzati all'attuazione dei piani
  attuativi delle modalita' espropriative previste all'art. 27, comma
  5, della legge n. 166 del 2002 - Ricorso del Governo  -  Denunciata
  decurtazione dell'indennita' di  espropriazione  -  Violazione  dei
  principi  costituzionali  a  tutela  della  giusta   determinazione
  dell'indennita' di esproprio. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, artt. 54, comma 4, e 215, comma 5. 
- Costituzione, artt. 42 e 117, comma secondo, lett. l). 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Decadenza  di  vincoli
  preordinati   all'esproprio   e   assenza   del   piano   attuativo
  obbligatorio - Interventi nei centri storici - Ricorso del  Governo
  - Denunciata previsione di una  serie  di  interventi  edilizi  che
  possono  essere  realizzati  in  assenza  di  piano  attuativo   in
  contrasto  con  i  limiti  all'attivita'  edilizia  in  assenza  di
  pianificazione di cui al testo unico dell'edilizia. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, artt. 59, comma 3, e 64, comma 1. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,
  art. 9. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate -  Criteri  e  normative
  per  gli  ambiti  urbani  e  per  gli  insediamenti   residenziali,
  produttivi e per servizi - Localizzazione  dei  nuovi  insediamenti
  residenziali - Previsione di  una  distanza  minima  di  600  metri
  lineari dalle attivita' a rischio di incidente rilevante -  Ricorso
  del  Governo  -  Denunciata  violazione  degli  standard   uniformi
  stabiliti a livello nazionale dal d.lgs. n. 334  del  1999  recante
  attuazione della  direttiva  96/82/CE  relativa  al  controllo  dei
  rischi di incidenti rilevanti  connessi  con  determinate  sostanze
  pericolose  -  Violazione  della  potesta'  legislativa   esclusiva
  statale in materia di tutela dell'ambiente. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 95, comma 4. 
- Costituzione, art. 117, commi primo e secondo, lett. s);  direttiva
  96/82/CE del 9 dicembre 1996, art. 12; d.lgs. 17  agosto  1999,  n.
  334, art. 14. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie  correlate  -  Attivita'  edilizia
  senza titolo abilitativo - Previsione dell'esecuzione senza  titolo
  abilitativo di determinate opere interne alle unita' immobiliari  -
  Ricorso del Governo - Denunciato contrasto con la normativa statale
  di principio sul regime dei titoli abilitativi  che,  nel  caso  di
  specie, prevede la previa comunicazione - Violazione della potesta'
  legislativa statale  nella  materia  concorrente  del  governo  del
  territorio. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 118 comma 1, lett. e). 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,
  art. 6, comma 2, lett. a), e comma 4. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie  correlate  -  Attivita'  edilizia
  senza titolo abilitativo - Previsione dell'esecuzione senza  titolo
  abilitativo  degli   interventi   relativi   all'installazione   di
  determinati  impianti  solari  termici  -  Ricorso  del  Governo  -
  Denunciato contrasto con la  normativa  statale  di  principio  sul
  regime dei titoli abilitativi che, nel caso di specie,  prevede  la
  previa   comunicazione   di   inizio   lavori    con    particolari
  caratteristiche - Violazione  della  potesta'  legislativa  statale
  nelle  materie  di  legislazione  concorrente   del   governo   del
  territorio e della produzione dell'energia 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 118, comma 1, lett. i). 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,
  art. 6, comma 2; d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, art. 7. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie  correlate  -  Attivita'  edilizia
  senza titolo abilitativo - Previsione dell'esecuzione senza  titolo
  abilitativo,  previa  comunicazione  al   Comune   competente,   di
  determinate modifiche interne di carattere edilizio -  Ricorso  del
  Governo  -  Denunciato  contrasto  con  la  normativa  statale   di
  principio sul regime dei titoli abilitativi che prevede nel caso di
  specie il titolo abilitativo della SCIA - Violazione della potesta'
  legislativa statale nella materia di legislazione  concorrente  del
  governo del territorio. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 118, comma 2, lett. e). 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,
  art. 6, comma 2, lett. e)-bis, e comma 4. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie  correlate  -  Attivita'  edilizia
  senza titolo abilitativo - Previsione dell'esecuzione, senza titolo
  abilitativo,  previa  comunicazione  al   Comune   competente,   di
  determinate modifiche interne di carattere  edilizio  -  Previsione
  che  alla  comunicazione  e'  allegata  una  determinata  relazione
  tecnica - Previsione di sanzioni in caso di inosservanza -  Ricorso
  del Governo - Denunciato contrasto  con  la  normativa  statale  di
  principio che non prevede  l'obbligo  di  presentare  la  relazione
  tecnica e prevede un  diverso  regime  sanzionatorio  -  Violazione
  della potesta' legislativa  statale  esclusiva  in  riferimento  ai
  livelli  essenziali  delle  prestazioni  cui  vanno  ricondotte  le
  disposizioni   in   materia   di   semplificazione   degli    oneri
  amministrativi - Violazione dei principi di uguaglianza e  di  buon
  andamento  della  pubblica  amministrazione  -   Violazione   della
  potesta'  legislativa  statale  nella   materia   di   legislazione
  concorrente del governo del territorio. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, artt. 118, comma 3, lett. e),  e  140,
  comma 12. 
- Costituzione, artt. 3, 97 e 117, comma terzo; d.P.R. 6 giugno 2001,
  n. 380, art. 6, comma 7. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Interventi subordinati
  alla SCIA - Ricorso  del  Governo  -  Denunciato  contrasto  con  i
  principi  fondamentali  in  materia  di  governo   del   territorio
  contenuti nel testo unico dell'edilizia. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 124. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,
  art. 22. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Interventi subordinati
  alla SCIA - Assoggettamento a Scia  della  realizzazione  di  pozzi
  adibiti ad uso non domestico - Ricorso  del  Governo  -  Denunciato
  contrasto con la disciplina vigente in materia di realizzazione  di
  progetti  concernenti  opere  idrauliche,  nonche'  in  materia  di
  derivazione e utilizzazione delle acque pubbliche che fanno salvi i
  comprensori sottoposti a tutela - Illegittima esclusione dal  campo
  di applicazione della disciplina in materia  di  VIA  -  Violazione
  delle competenze statali in materia di tutela e salvaguardia  delle
  risorse idriche - Invasione della  potesta'  legislativa  esclusiva
  statale in materia di tutela dell'ambiente. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 124, comma 1, lett. g). 
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s); regio  decreto  11
  dicembre 1933, n. 1775, artt. 93, primo comma, e 95,  primo  comma;
  d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 162. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Controlli sui titoli e
  sulle  opere  eseguite  -  Elenco  delle  imprese  inadempienti   -
  Esclusione dalla partecipazione a gare  a  seguito  dell'iscrizione
  dell'impresa nell'elenco per un periodo determinato -  Ricorso  del
  Governo - Denunciata incompatibilita' con la tipicita' delle  cause
  di esclusione di cui al codice degli appalti  (d.lgs.  n.  163  del
  2006) - Violazione della  potesta'  legislativa  esclusiva  statale
  nella materia della tutela della concorrenza. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 140, comma 11. 
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. e); d.lgs.  12  aprile
  2006, n. 163, art. 46. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo  del   territorio   e   materie   correlate   -   Vigilanza
  sull'attivita'  urbanistico-edilizia  -  Presupposti  dell'adozione
  delle misure  -  Ricorso  del  Governo  -  Denunciata  compressione
  dell'ambito della vigilanza individuato dalle diposizioni statali a
  tutela di strumenti urbanistici in corso di formazione -  Contrasto
  con il  testo  unico  dell'edilizia  -  Violazione  della  potesta'
  legislativa statale  nella  materia  concorrente  del  governo  del
  territorio. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 141, comma 2. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,
  art. 27, comma 2. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo  del   territorio   e   materie   correlate   -   Vigilanza
  sull'attivita' urbanistico- edilizia -  Responsabilita'  -  Ricorso
  del  Governo  -  Denunciato  inserimento  del  proprietario  tra  i
  soggetti responsabili diversamente da  quanto  previsto  dal  testo
  unico dell'edilizia - Violazione della potesta' legislativa statale
  nella materia  concorrente  del  governo  del  territorio  e  della
  potesta'    legislativa    esclusiva    statale    nella    materia
  dell'ordinamento penale. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 142, comma 1. 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. l), e terzo; d.P.R.  6
  giugno 2001, n. 380, art. 29. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo  del  territorio  e  materie  correlate  -   Mutamenti   di
  destinazione d'uso - Regime sanzionatorio - Ricorso del  Governo  -
  Denunciato contrasto con la  normativa  statale  di  riferimento  -
  Contrasto con i principi fondamentali di governo del  territorio  -
  Incidenza sull'ambito di applicazione delle sanzioni amministrative
  civili e penali previste dal testo unico dell'edilizia - Violazione
  della potesta' legislativa statale in materia di ordinamento civile
  e penale - Contrasto con il principio di uguaglianza. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, artt. 147, 155 e 118, comma  2,  lett.
  h). 
- Costituzione, artt. 3 e 117,  commi  secondo,  lett.  l)  e  terzo;
  d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 33, 36, 37 e 44. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Demolizione  di  opere
  abusive  -  Procedure  di  affidamento  -  Ricorso  del  Governo  -
  Denunciato contrasto con il codice degli  appalti  che  prevede  il
  ricorso a procedure negoziali aperte come  regola  generale  e  non
  residuale  come  nella  normativa  regionale  -  Violazione   della
  potesta' legislativa  statale  nella  materia  della  tutela  della
  concorrenza. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 151, commi 2 e 4. 
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. e); d.lgs.  12  aprile
  2006 n. 163, artt. 56 e 57. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del  territorio  e  materie  correlate  -  Accertamento  di
  conformita' - Ricorso del Governo -  Denunciato  contrasto  con  la
  normativa  statale  di  riferimento  sul  rilascio  del  titolo  in
  sanatoria - Violazione dei principi fondamentali statali in materia
  del governo del territorio - Violazione della potesta'  legislativa
  esclusiva nella materia ordinamento penale. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 154, commi 1 e 3. 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. l), e terzo; d.P.R.  6
  giugno 2001, n. 380, artt. 36 e 37, comma 4. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo  del  territorio  e  materie  correlate  -  Certificato  di
  rispondenza e asseverazione -  Ricorso  del  Governo  -  Denunciata
  introduzione di misure  di  semplificazione  in  contrasto  con  la
  normativa  statale  di  riferimento  -  Violazione  della  potesta'
  legislativa statale nelle materie di legislazione  concorrente  del
  governo del territorio e della protezione civile. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 206, comma 1. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,
  art. 62. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Competenze in  materia
  di espropriazioni - Ricorso del Governo -  Denunciata  possibilita'
  di avvalersi per  il  procedimento  espropriativo  di  societa'  di
  servizi  laddove   la   legislazione   statale   prevede   societa'
  controllate - Violazione di un principio fondamentale in materia di
  governo del territorio. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 215, comma 12. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; d.P.R. 8 giugno 2001, n.  327,
  art. 6, comma 8. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Ambito di applicazione
  - Previsione che la disciplina  ivi  prevista,  in  particolare  in
  materia di distanze, sostituisce quella del decreto ministeriale n.
  1444 del 1968 - Ricorso del Governo  -  Denunciata  disapplicazione
  delle disposizioni del sopradetto  d.m.  -  Mancato  richiamo  alle
  norme del codice civile - Violazione della  competenza  legislativa
  esclusiva dello Stato in materia di ordinamento  civile  -  Lesione
  della potesta' legislativa statale nella  materia  di  legislazione
  concorrente del governo del territorio. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 243, comma 1, 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. l), e  terzo;  decreto
  ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e materie correlate - Atti di  indirizzo  in
  materia sismica - Prevista  competenza  della  Giunta  regionale  -
  Ricorso del Governo - Denunciata attribuzione alla Giunta regionale
  del  potere  di   sottrarre   tipologie   di   interventi   edilizi
  dall'applicazione della  normativa  sismica  e  dell'autorizzazione
  sismica, di cui al testo unico dell'edilizia - Lesione dei principi
  fondamentali in materia di protezione civile. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 250, comma 1, lett. a), b) e  c),
  in combinato disposto con gli artt. 201, 202 e 208  della  medesima
  legge. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,
  artt. 62, 63, 65, 82, 83 e 88. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo   del   territorio   e   materie   correlate   -   Recupero
  urbanistico-edilizio  -  Disciplina  -  Ricorso   del   Governo   -
  Denunciata  introduzione  di   un'ipotesi   di   condono   edilizio
  straordinario non previsto dalla legge statale -  Contrasto  con  i
  principi  fondamentali  in  materia  di  governo   del   territorio
  contenuti nel testo unico dell'edilizia - Violazione della potesta'
  legislativa esclusiva statale in materia di  ordinamento  civile  e
  penale. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, artt. 258 e 264, comma 13. 
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. l);  d.P.R.  6  giugno
  2001, n. 380, art. 36. 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Umbria - Testo unico del
  governo del territorio e  materie  correlate  -  Norme  transitorie
  generali e finali in materia edilizia, urbanistica e finanziaria  -
  Ricorso del  Governo  -  Denunciata  configurazione  di  una  nuova
  ipotesi, non consentita, di condono edilizio  in  contrasto  con  i
  principi  fondamentali  in  materia  di  governo   del   territorio
  contenuti nel testo unico  dell'edilizia  -  Denunciata  estensione
  dell'istituto  del  silenzio  assenso  alle  concessioni  di  acque
  pubbliche  in  contrasto  con  la  potesta'  legislativa  esclusiva
  statale in materia di tutela dell'ambiente. 
- Legge 21 gennaio 2015, n. 1, art. 264, commi 14 e 16. 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. s), e terzo; d.P.R.  6
  giugno 2001, n. 380, artt. 36 e 37, comma 4. 
(GU n.19 del 13-5-2015 )
    Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  (codice   fiscale
80224030587), presso i cui uffici domicilia in  Roma,  alla  via  dei
Portoghesi n. 12, per il ricevimento degli atti,  fax  06.96514000  e
PEC ags_rm@mailcert.avvocaturastato.it; 
    Nei confronti della regione Umbria,  in  persona  del  presidente
della giunta regionale pro tempore, con  sede  in  Perugia  al  corso
Vannucci n. 96; 
    Per la dichiarazione della  illegittimita'  costituzionale  della
legge della regione Umbria del 21 gennaio 2015, n. 1, recante: «Testo
unico governo del territorio e  materie  correlate»,  pubblicata  nel
B.U.R. Umbria 28 gennaio 2015, n.  6,  supplemento  ordinario  n.  1,
limitatamente agli articoli 1, commi 2 e 3; art. 7, comma 1,  lettere
b), d), g), m), n); art. 8; art. 9, comma 4; art. 10, comma  1;  art.
11, comma 1, lettera d); art. 13; art. 15, commi  1  e  5;  art.  16,
commi 4 e 5; art. 17; art. 19; art. 21; art. 18, commi 4, 5, 6, 7,  8
e 9; art. 28, comma 10; art. 56, comma 3; art. 32, comma 4; art.  49,
comma 2, lettera a); art. 51, comma 6; art. 79,  comma  3;  art.  56,
comma 14; art. 54; art. 59, comma 3; art. 64, comma 1; art. 95, comma
4; art. 118, comma 1, lettere e) ed i), e comma 3; art. 118, comma 2,
lettera e); art. 118, comma 3, lettera e); art. 140, comma  12;  art.
124; art. 124, comma 1, lettera g); art. 140,  comma  11;  art.  141,
comma 2; art. 142, comma 1; art. 147; art. 155; art.  118,  comma  2,
lettera h); art. 151, comma 2 e comma 4; art. 154, comma 1 e comma 3;
art. 206, comma 1; art. 215, comma 5 e comma 12; art. 243,  comma  1;
art. 250, comma 1, lettere a), b) e c), in combinato disposto con gli
articoli 201, 202 e 208; art. 258; art. 264, commi 13, 14 e 16. 
    La legge della regione Umbria n.  1/2015,  con  riferimento  alle
disposizioni  sopra  indicate,  presenta  profili  di  illegittimita'
costituzionale e viene quindi impugnata per i seguenti, 
 
                               Motivi 
 
1) L'art. 1, commi 2 e 3, in correlazione con l'art. 2, commi 5 e  6,
per violazione dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 1, al comma 2, della legge regionale umbra n. 1  del  2015
definisce il «governo del  territorio»  come  «complesso  coordinato,
organico  e  sinergico,  delle  attivita'  conoscitive,   regolative,
valutative,  attuative,  di  vigilanza  e   controllo,   nonche'   di
programmazione, anche della  spesa,  riguardanti  gli  interventi  di
tutela, valorizzazione ed uso del territorio ai fini  dello  sviluppo
sostenibile  nelle  materie  attinenti  l'urbanistica  e  l'edilizia,
compresa la disciplina antisismica». Il comma 3 precisa che «ai  fini
del presente testo unico sono materie correlate,  limitatamente  agli
strumenti urbanistici e ai titoli abilitativi edilizi,  le  norme  in
materia di  Valutazione  ambientale  strategica  (VAS)  e  di  tutela
dell'ambiente e  della  salute  pubblica  dall'inquinamento  acustico
prodotto dalle attivita' antropiche». 
    Tali previsioni, nell'introduzione di una  nuova  definizione  di
«governo  del  territorio»,  non  prevista   dalla   legge   statale,
travalicano i limiti della  competenza  concorrente  attribuita  alle
regioni dall'art. 117, comma 3, della  Costituzione,  in  riferimento
alla materia del «governo del territorio». E' riservata  allo  Stato,
infatti,  l'enunciazione  dei  principi  fondamentali  (tra  i  quali
rientra  evidentemente  la  definizione  stessa  della   materia   in
questione) atti a garantire  una  disciplina  uniforme  su  tutto  il
territorio nazionale. In altri termini,  deve  escludersi  che  nelle
materie di legislazione concorrente le regioni possano rivendicare il
potere di definire autonomamente la  materia  stessa,  invadendo  con
cio' l'ambito dei principi fondamentali che l'art. 117, terzo  comma,
Cost. riserva alla competenza legislativa dello Stato (sent.  n.  343
del 2005).  Del  resto,  rientrano  nell'ambito  della  normativa  di
principio in  materia  di  governo  del  territorio  le  disposizioni
legislative riguardanti  i  titoli  abilitativi  per  gli  interventi
edilizi (sent. 309 del 2011), cui si riferisce  appunto  il  comma  3
dell'art. 1 della legge regionale denunciata. 
    Dalla  definizione  della  materia   «governo   del   territorio»
contenuta  nella  legge  regionale  sospettata  discendono,  infatti,
conseguenze  lesive  delle  prerogative  attribuite  alla   normativa
statale. 
    Ad esempio, l'art. 2, comma 5, della legge  regionale  in  parola
prevede che la regione e gli enti locali «negli atti normativi e  nei
procedimenti amministrativi in materia di governo  del  territorio  e
materie correlate  di  cui  al  presente  testo  unico,  non  possono
introdurre   ulteriori   adempimenti   regolatori,   informativi    o
amministrativi senza contestualmente ridurne o eliminarne  altri  con
riferimento  al  medesimo  arco  temporale  e  comunque  senza  costi
aggiuntivi». E' evidente  che  la  regione  e  gli  enti  locali  non
potrebbero   sopprimere   adempimenti   regolatori,   informativi   o
amministrativi previsti dalla legge statale in ambiti  di  competenza
legislativa esclusiva (come la tutela dell'ambiente o della salute, o
i livelli essenziali della prestazioni), o nella  determinazione  dei
principi fondamentali di materie di legislazione  concorrente  (quale
il governo  del  territorio).  La  formulazione  dell'art.  1,  letto
congiuntamente  all'art.  2,  invece,   si   presta   alla   suddetta
interpretazione e appare, pertanto,  in  contrasto  con  l'art.  117,
comma 3, della Cost. 
    Analogamente, al comma 6 dell'art. 2 il legislatore regionale  ha
previsto che «Le pubbliche amministrazioni nell'esercizio dei  poteri
amministrativi concernenti la materia di  governo  del  territorio  e
materie correlate, di cui al presente testo unico, adottano gli  atti
e provvedimenti amministrativi di propria  competenza  scegliendo  la
soluzione meno afflittiva per le imprese ed i  cittadini».  Anche  in
questo caso, dal combinato disposto delle due  norme  sembra  che  la
discrezionalita' delle pubbliche amministrazioni «nell'esercizio  dei
poteri  amministrativi  concernenti  la  materia   di   governo   del
territorio e materie correlate» possa essere sempre indirizzata  alla
scelta  della  soluzione  meno  «affittiva»  per  le  imprese  ed   i
cittadini, mentre, specialmente in alcuni  settori  (come  la  tutela
dell'ambiente, della salute,  della  pubblica  incolumita'),  che  la
definizione di cui all'art. 1 riconduce al «governo del territorio  e
materie correlate», sono altri  gli  interessi  pubblici  che  devono
prevalere. 
    In altri termini, l'impropria estensione del significato e  della
portata della materia «governo del territorio» attraverso il richiamo
alle  «materie  correlate»  si  traduce  in  una  palese   violazione
dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione perche' consente  alla
legge regionale, di  introdurre  inammissibili  deroghe  ai  principi
fondamentali dettati in materie di legislazione  concorrente  se  non
addirittura una compressione della competenza  esclusiva  statale  in
materia di ambiente. 
    Alla luce  delle  considerazioni  formulate,  la  definizione  di
«governo del territorio» contenuta all'art. 1, commi 2 e 3, contrasta
con l'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
2) L'art. 7, comma 1, lettere b), d),  g),  m),  n),  per  violazione
dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 7, comma 1, lettere b), d), g),  m)  ed  n),  della  legge
regionale censurata presenta profili di illegittimita' costituzionale
per contrasto con  l'art.  117,  comma  3,  della  Costituzione  (con
riferimento alla materia del «governo del territorio»). 
    Le disposizioni censurate dettano alcune definizioni  in  materia
edilizia  che,  in  parte,  contrastano  con   quelle   espressamente
individuate dalla normativa  statale  [ad  esempio,  nel  caso  della
«manutenzione straordinaria»  e  della  «ristrutturazione  edilizia»,
rispettivamente indicate alle di cui lettere b) e d) dell'art.  7]  e
in  parte  non  sono   contenute   nella   normativa   statale,   che
deliberatamente - in un'ottica di  semplificazione  -  ha  scelto  di
accorpare le categorie gli interventi edilizi, riducendole  a  quelle
individuate nell'art. 3 del decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 380/2001 [come nel caso delle «opere interne» indicate di cui alla
lettera g) dell'art. 7], oppure  deliberatamente  ha  scelto  di  non
definire determinate  categorie  concettuali,  rimettendole,  quindi,
all'elaborazione giurisprudenziale e all'interpretazione [e' il  caso
della nozione di «edificio» e di «isolato edilizio»,  rispettivamente
indicate alle di cui alle lettere m) e n) dell'art. 7]. 
    In particolare, l'art. 3 del testo unico  dell'edilizia  adottato
con il decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, definisce
la «manutenzione straordinaria» e la «ristrutturazione  edilizia»  in
modo diverso dall'art. 7 della legge regionale dell'Umbria n.  1  del
2015, mentre non disciplina affatto le nozioni  di  «edificio»  e  di
«isolato edilizio» (pur riferendosi ripetutamente a queste  categorie
concettuali nella Parte II - Normativa tecnica  per  l'edilizia).  La
formulazione letterale di tali disposizioni  regionali,  specialmente
delle ultime due [lettere m) e n)  dell'art.  7,  comma  1]  consente
astrattamente  di  darne  un'applicazione  generale,  e   quindi   e'
suscettibile di avere effetti sulle modalita' di  applicazione  delle
norme poste dal legislatore statale a tutela di interessi unitari. 
    Al riguardo, codesta Ecc.ma Corte costituzionale, con la sentenza
n. 309/2011, ha chiarito che le definizioni degli interventi  edilizi
contenute all'art. 3  del  testo  unico  costituiscono  un  principio
fondamentale della legislazione statale nella  materia  del  «governo
del territorio». E, in particolare, ha osservato che  «sono  principi
fondamentali  della  materia  le  disposizioni  che  definiscono   le
categorie di interventi, perche' e' in conformita'  a  queste  ultime
che e' disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al
procedimento e  agli  oneri,  nonche'  agli  abusi  e  alle  relative
sanzioni, anche  penali»  e  che  quindi  «rientra  nella  competenza
legislativa statale stabilire la linea di distinzione tra le  ipotesi
di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi». 
    Inoltre, codesta Ecc.ma Corte - da  ultimo  con  la  sentenza  n.
49/2014 - ha precisato che qualora  una  materia  sia  di  competenza
esclusiva dello Stato (e cio' deve ritenersi, quindi, nel caso  della
definizione di un principio fondamentale in una materia di competenza
concorrente), sono «inibiti alle regioni interventi normativi diretti
ad incidere sulla disciplina dettata dallo Stato,  finanche  in  modo
meramente riproduttivo della stessa (sentenza n. 245  del  2013,  che
richiama le sentenze n. 18 del 2013, n. 271 del 2009, n. 153 e n.  29
del 2006)». Di qui il  contrasto  delle  disposizioni  censurate  con
l'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
    Anche se deve ritenersi che il presente  motivo  abbia  carattere
assorbente, si rileva che  le  disposizioni  censurate  sono  affette
anche da ulteriori profili di incostituzionalita' e, come  si  vedra'
di seguito, contrastano anche con l'art. 117, comma 2, lettera s)  e,
limitatamente alla lettera d), con l'art. 9  nonche',  per  ulteriori
profili, con l'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
    2.1) L'art. 7, comma 1, lettera b)  in  correlazione  con  l'art.
118, commi 2, 3 e 5, per violazione dell'art. 117, comma  2,  lettera
s) della Costituzione. 
    L'art. 7, comma  1,  lettera  b),  definisce  gli  interventi  di
manutenzione straordinaria come «le opere e le  modifiche  necessarie
per rinnovare e sostituire parti anche strutturali  degli  edifici  e
delle loro  pertinenze,  sempre  che  non  alterino  i  volumi  e  la
superficie utile coperta complessiva delle unita' immobiliari  e  non
comportino modifica della destinazione d'uso, e inoltre le opere e le
modifiche necessarie a sostituire o eliminare  materiali  inquinanti.
Sono altresi'  classificabili  come  manutenzione  straordinaria  gli
interventi consistenti nel frazionamento o accorpamento delle  unita'
immobiliari, anche con esecuzione  di  opere,  senza  modifica  della
destinazione d'uso». 
    Tale previsione contrasta con l'art. 3, comma 1, lettera b),  del
testo unico dell'edilizia di cui  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n.  380/2001,  come  modificato  dall'art.  17,  comma  1,
lettera a), n. 1 e 2 del  decreto-legge  n.  133/2014  convertito  in
legge n. 164/2014, nella parte in cui non prevede che gli  interventi
di frazionamento e  accorpamento  delle  unita'  immobiliari  possono
comportare  «la  variazione  delle  superfici  delle  singole  unita'
immobiliari nonche' del carico urbanistico purche' non sia modificata
la volumetria complessiva degli edifici e  si  mantenga  l'originaria
destinazione di uso». 
    Di conseguenza, la  disposizione  regionale  ascrive  nel  novero
della ristrutturazione  edilizia  interventi  che  invece  andrebbero
ricondotti   alla   manutenzione   straordinaria,   incidendo   cosi'
sull'individuazione del titolo abilitativo necessario per  realizzare
tali interventi. 
    L'art.  7,  comma  1,  lettera  b),  inoltre,  include  tra   gli
interventi  di  manutenzione  straordinaria:  «...  le  opere  e   le
modifiche necessarie a sostituire o eliminare materiali  inquinanti».
L'art. 118, comma 2, lettera a), della legge  regionale  in  commento
prevede poi  che  questi  interventi  siano  di  «attivita'  edilizia
libera», realizzabili previa comunicazione al comune. 
    Pertanto, la previsione contenuta all'art. 7,  comma  1,  lettera
b), oltre a contrastare con l'art. 3, comma 1, lettera b) del decreto
del Presidente della Repubblica n. 380/2001, che non annovera  queste
opere nell'ambito della manutenzione  straordinaria,  riconduce  alla
materia «edilizia»  l'esercizio  di  un'attivita'  consistente  nella
gestione di rifiuti o addirittura nella realizzazione  di  interventi
di bonifica (cui la sostituzione o l'eliminazione di detti  materiali
puo'  sostanzialmente  ricondursi)  e  invade,  cosi',  la   potesta'
legislativa statale nella materia di  tutela  dell'ambiente,  cui  va
ricondotta la disciplina dei rifiuti e della bonifica. 
    Per effetto del combinato  disposto  delle  due  norme  regionali
sopra richiamate, non e' assicurato il rispetto  di  quanto  previsto
dal decreto  legislativo  n.  152/2006  in  materia  di  rifiuti  (in
particolare agli articoli 177, comma 4; 179, commi 1 e 2; 181,  commi
1 e 4). 
    L'art. 118, comma 3, infatti, nell'individuare il contenuto della
comunicazione prevista al comma 2 del medesimo articolo, infatti,  fa
genericamente  riferimento  a  «le   autorizzazioni   previste   come
obbligatorie dalla normativa di settore, fatti salvi i  casi  in  cui
queste possono essere sostituite da autocertificazione».  Altrettanto
generica e' la clausola di salvaguardia contenuta al  comma  5  dello
stesso art. 118, che non contiene  alcun  espresso  riferimento  alle
norme in  materia  ambientale  contenute  nel  codice  dell'ambiente,
mentre richiama il necessario rispetto «in particolare,  delle  norme
antisismiche, come previsto all'art. 114,  comma  11,  di  sicurezza,
antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative  alla  efficienza
energetica,  nonche'  delle  disposizioni   contenute   nel   decreto
legislativo n. 42/2004 e nell'atto di indirizzo di cui all'art.  248,
comma 1, lettere b) e g), nonche' gli eventuali adempimenti fiscali e
tributari, compresi gli atti di aggiornamento catastale  nei  termini
di legge». 
    Alla luce delle suesposte considerazioni, le norme censurate sono
idonee a far sorgere nell'interessato  il  ragionevole  convincimento
che non ci siano normative specifiche da seguire sulla eliminazione e
sostituzione dei materiali inquinanti,  non  garantendo,  dunque,  il
rispetto  della  normativa  ambientale  in  materia  di  gestione  di
rifiuti. 
    Posto che la normativa  dei  rifiuti  e  della  bonifica  rientra
nell'ambito della potesta' legislativa esclusiva statale  in  materia
di ambiente, le disposizioni censurate contrastano, oltre che con  un
principio fondamentale in materia di governo  del  territorio,  anche
con l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
    2.2) L'art. 7, comma 1, lettera d) per violazione dell'art.  9  e
dell'art. 117, comma 2, lettera s) e comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 7, comma  1,  lettera  d)  definisce  gli  «interventi  di
ristrutturazione edilizia» includendovi  «l'aumento  delle  superfici
utili interne». 
    Tale previsione contrasta con l'art. 3, comma 1, lettera  b)  del
testo unico dell'edilizia n. 380/2001, come modificato dall'art.  17,
comma 1, lettera a), n. 1 e 2  del  decreto-legge  n.  133/2014,  che
riconduce  alla  manutenzione   straordinaria   gli   interventi   di
frazionamento e accorpamento delle unita' immobiliari che  comportano
«la variazione  delle  superfici  delle  singole  unita'  immobiliari
nonche'  del  carico  urbanistico  purche'  non  sia  modificata   la
volumetria complessiva  degli  edifici  e  si  mantenga  l'originaria
destinazione di uso». 
    Inoltre,  lo  stesso  art.  7,  comma  1,  lettera   d)   include
nell'ambito   della   ristrutturazione   edilizia   gli    interventi
«consistenti nella demolizione e ricostruzione  anche  con  modifiche
della  superficie  utile  coperta,  di  sagoma  ed  area  di   sedime
preesistenti, nell'inserimento di strutture  in  aggetto  e  balconi,
senza  comunque  incremento  del  volume  complessivo   dell'edificio
originario, fatte salve le innovazioni necessarie  per  l'adeguamento
alla normativa antisismica, per gli interventi di prevenzione sismica
e per l'installazione di impianti tecnologici». 
    Tale previsione contrasta con l'art. 3, comma 1, lettera d),  del
decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001,  come
modificato dall'art. 30, comma 1, lettera a),  del  decreto-legge  21
giugno 2013, n. 69, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  9
agosto 2013, n. 98, in quanto, a differenza  di  quella  statale,  la
norma regionale non prevede che «Rimane fermo  che,  con  riferimento
agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del  decreto  legislativo
22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi  di
demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici
crollati o  demoliti  costituiscono  interventi  di  ristrutturazione
edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio
preesistente». 
    Orbene, l'art. 3 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
380 del 2001, mantenendo per gli immobili vincolati il principio  del
rispetto della sagoma ai fini della  classificazione  dell'intervento
come «ristrutturazione edilizia»,  costituisce,  non  solo  norma  di
principio  in  materia  di  governo  del  territorio,   ma   altresi'
disposizione in materia di tutela del patrimonio culturale  (sentenza
n. 309/2011). Ne consegue, allora, che l'art. 7, comma 1, lettera  d)
viola anche l'art. 9 e l'art. 117, comma 2, lettera  s)  e  comma  3,
della Costituzione. 
    2.3) L'art. 7, comma 1, lettera g) e 118, comma  1,  lettera  e),
per violazione dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 7, comma 1, lettera g)  della  legge  regionale  impugnata
definisce le «opere interne» come «quelle da  realizzare  all'interno
delle unita' immobiliari concernenti l'eliminazione, lo spostamento e
la realizzazione di aperture  e  pareti  divisorie  interne  che  non
costituiscano elementi strutturali, sempre che non comportino aumento
del numero delle unita' immobiliari  o  implichino  incremento  degli
standard  urbanistici,  nonche'  concernenti  la   realizzazione   ed
integrazione  dei  servizi   igienicosanitari   e   tecnologici,   da
realizzare nel rispetto delle norme di sicurezza, di quelle  igienico
sanitarie,   sul   dimensionamento   dei   vani   e   sui    rapporti
aeroilluminanti». 
    Si tratta di una definizione  non  contemplata  dal  decreto  del
Presidente della Repubblica  n.  380/2001,  ma  che  in  buona  parte
coincide con quella di «manutenzione straordinaria» (art. 3, comma 1,
lettera b), che include «le  opere  e  le  modifiche  necessarie  per
rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonche'
per  realizzare  ed   integrare   i   servizi   igienico-sanitari   e
tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva  degli
edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso». 
    Invero, quella delle «opere interne» era una definizione prevista
dall'art.  28  della  legge  n.  47/1985   che,   in   un'ottica   di
semplificazione dell'individuazione  delle  tipologie  di  interventi
edilizi e dei  rispettivi  titoli  abilitativi,  il  legislatore  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001  ha  ritenuto  di
non  riprodurre.  La  definizione  regionale,  pertanto,  presentando
margini di sovrapposizione  con  altre  categorie  individuate  dalla
legge statale, e' foriera di incertezze applicative e ha riflessi sul
regime dei titoli abilitativi all'esercizio dell'attivita'  edilizia.
Il legislatore  nazionale,  infatti,  ha  assoggettato  queste  opere
(inizialmente soggette  a  DIA)  a  comunicazione  di  inizio  lavori
asseverata [art. 6, comma 2, lettera a) e comma 4], perche'  la  loro
rilevanza  richiede  quantomeno  il  coinvolgimento  di  un   tecnico
abilitato. Il legislatore regionale, invece, all'art. 118,  comma  1,
lettera e), annovera questi interventi edilizi tra quelli  totalmente
liberi. 
    Le due disposizioni regionali citate, dunque, contrastano  con  i
principi fondamentali in materia di governo del territorio  contenuti
nella legislazione statale e quindi violano, per i  cennati  profili,
l'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
    2.4) L'art.  7,  comma  1,  lettere  m)  ed  n),  per  violazione
dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 7, comma 1, lettere m) ed  n)  della  legge  regionale  in
commento, introduce, rispettivamente, la  definizione  di  «edificio»
(«insieme  di  strutture   portanti   ed   elementi   costruttivi   e
architettonici  reciprocamente  connessi  in  modo  da  formare   con
continuita' da cielo a terra una entita'  strutturale  autonoma,  sia
isolata o collegata ad altri edifici adiacenti,  composta  da  una  o
piu'  unita'  immobiliari,   indipendentemente   dal   regime   della
proprieta'») e di  «isolato  edilizio»  («costruzione  delimitata  da
spazi aperti su ogni lato e la costruzione stessa si considera divisa
in  piu'  isolati  edilizi  per   le   parti   rese   strutturalmente
indipendenti da giunti sismici di adeguata ampiezza»). Tali  nozioni,
non previste  nella  normativa  statale  contenuta  nel  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380/2001, interferiscono  specialmente
sull'ambito di applicazione della normativa  tecnica  per  l'edilizia
contenuta nella parte II del testo unico. 
    Le  definizioni  «edificio»  e  di  «isolato  edilizio»,  la  cui
formulazione letterale, tra altro, consente  astrattamente  di  darne
un'applicazione   generale,   costituiscono   il   presupposto    per
l'applicazione di norme poste dal legislatore  statale  a  tutela  di
interessi unitari. Tra queste rientrano,  in  particolare,  le  norme
relative alle costruzioni in zone sismiche, contenute  agli  articoli
83 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001
e nelle specifiche norme tecniche emanate con  decreti  del  Ministro
per le infrastrutture e i trasporti, di concerto con il Ministro  per
l'interno, sentiti il Consiglio superiore  dei  lavori  pubblici,  il
Consiglio  nazionale  delle  ricerche  e  la   Conferenza   unificata
Stato-regioni-enti locali. 
    Codesta Ecc. Corte ha  chiarito  che  la  competenza  statale  in
materia di vigilanza sulle costruzioni riguardo al rischio sismico si
giustifica «attesa la rilevanza  del  bene  protetto,  che  trascende
anche l'ambito della  disciplina  del  territorio,  per  attingere  a
valori di  tutela  dell'incolumita'  pubblica  che  fanno  capo  alla
materia della protezione civile, in  cui,  ugualmente,  compete  allo
Stato la determinazione dei principi fondamentali» (sent. n. 182  del
2006; si veda anche sent. n. 64 del 2013 e sent. 300 del 2013). 
    L'uniforme applicazione delle norme per le  costruzioni  in  zone
sismiche  presuppone,  evidentemente,  una  definizione   altrettanto
uniforme di «edificio» e alla luce di questa  considerazione  risulta
esorbitante,  rispetto  alla  sfera  di  competenza   regionale,   la
previsione  censurata  che  intende  dare  una  propria   definizione
generale, a maggior ragione se essa comporta  poi  l'applicazione  di
norme con fini di  protezione  civile  e  di  riduzione  del  rischio
rilevante in relazione  alle  azioni  sismiche.  Gli  articoli  83  e
seguenti del testo unico dell'edilizia, infatti, si applicano a tutte
le  costruzioni  la  cui  sicurezza  possa  interessare  la  pubblica
incolumita', da realizzarsi nelle  zone  dichiarate  sismiche,  senza
alcuna distinzione tra nuove costruzioni e  opere  realizzate  previa
demolizione di manufatti preesistenti (Cons. St., sez. IV,  sent.  n.
3703 del 2009) e senza che  sia  rilevante  il  carattere  stabile  o
precario della costruzione (Cass. pen., sez. III, sent. n. 17623  del
2006). 
    Tale definizione appare piu' ampia di  quella  data  dall'art.  7
della legge regionale in esame che,  nel  riferirsi  all'«insieme  di
strutture  portanti  ed   elementi   costruttivi   e   architettonici
reciprocamente connessi in modo da formare con continuita' da cielo a
terra una entita' strutturale autonoma, sia isolata  o  collegata  ad
altri edifici adiacenti, composta da una o piu'  unita'  immobiliari,
indipendentemente dal regime della proprieta'» presuppone un grado di
completezza dell'edificio (che deve essere dotato di una copertura  e
soprattutto «strutturalmente autonomo») non richiesta dalla normativa
statale. 
    La norma regionale, dunque, viola l'art. 117, comma 3, Cost. (con
riferimento  alle  materie  del  «governo  del  territorio»  e  della
«protezione civile»),  per  contrasto  con  i  principi  fondamentali
dettati dalle norme sopra indicate  del  testo  unico  dell'edilizia.
Infatti, se alla nozione di «edificio» la legge regionale da' portata
generale, seppure «ai fini del presente testo unico»,  posto  che  in
quest'ultimo sono contenute anche le norme  tecniche  in  materia  di
costruzioni in zone sismiche, e' evidente che si viene a  determinare
una  restrizione  dell'ambito  di  applicazione  di  una   disciplina
statale,  dettata  alla  luce  di   esigenze   unitarie   di   tutela
dell'incolumita' pubblica, con conseguente violazione dell'art.  117,
comma 3, Cost. 
3) Gli articoli 8, 9, comma 4, e 10, comma 1,  e  13,  comma  1,  per
violazione  dell'art.  9,  dell'art.  117,  comma  2,  lettera  s)  e
dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
    Gli articoli 8, 9, comma 4, e 10, comma 1, della legge  regionale
umbra n. 1  del  2015  nel  disciplinare  i  rapporti  tra  Programma
strategico territoriale - PST e il Piano  paesaggistico  regionale  -
PPR, invadono la potesta' legislativa esclusiva statale in materia di
tutela del paesaggio e quindi violano l'art. 9 e l'art. 117, comma 2,
lettera s) della Costituzione;  inoltre,  le  disposizioni  impugnate
violano anche l'art. 117, comma 3, con riferimento alle  materie  del
«governo del territorio» e della «valorizzazione dei beni culturali». 
    Le norme censurate,  nel  disciplinare  il  Programma  strategico
territoriale -  PST,  che  l'art.  4  della  legge  regionale  stessa
definisce «strumento di livello  e  scala  regionale,  di  dimensione
strategica  e  programmatica»,  duplicano  in  alcuni   casi   e   si
sovrappongono in altri casi alle previsioni  e  prescrizioni  proprie
del piano  paesaggistico,  alterando  la  corretta  gerarchia  tra  i
diversi strumenti di pianificazione. Ancorche' l'art. 14 della  legge
regionale stabilisca comunque la prevalenza del PPR (Piano paesistico
regionale), ai sensi dell'art. 145, comma 3, del decreto  legislativo
22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e  del  paesaggio),
le duplicazioni e sovrapposizioni, che  si  vanno  a  illustrare  nel
dettaglio, costituiscono in ogni caso una violazione della  sfera  di
attribuzioni  normative   statali   e   una   causa   di   incertezza
interpretativa  e  applicativa  foriera  di  un  indebolimento  della
tutela. 
    L'art.  8  (Finalita'  e  contenuti  del   Programma   strategico
territoriale (PST)), 
    comma  1,  lettera  b)  della  legge   regionale   in   commento,
nell'affermare che il PST «b) e' [...] strumento per la costruzione e
la condivisione delle scelte di sviluppo sostenibile  del  territorio
comprensive della valorizzazione del paesaggio»,  viola  l'art.  117,
comma 2, lettera s), Cost. 
    Tale disposizione sottrae contenuti al piano paesaggistico - come
configurato dal decreto legislativo n. 42/2004 (articoli 135 e 143) -
per trasferirli al Programma strategico territoriale, che e' un piano
non di salvaguardia, ma di  sviluppo  territoriale.  Infatti,  l'art.
143, comma 1, lettera g), decreto legislativo n. 42/2004 prevede  che
la valorizzazione dei beni  paesaggistici  sia  contenuta  nel  piano
paesaggistico. 
    Analoga censura deve essere rivolta avverso il comma 3  dell'art.
8, a tenore del quale  il  PST  «indica  le  azioni  necessarie  alla
mitigazione del rischio territoriale ed  ambientale,  al  risanamento
delle singole componenti dell'ecosistema ed alla valorizzazione delle
specificita' paesaggistiche,  architettoniche  e  storico-tipologiche
dell'Umbria». L'art. 143, comma 1, lettera f), decreto legislativo n.
42/2004, infatti, annovera tra i contenuti  del  piano  paesaggistico
l'«analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio  ai  fini
dell'individuazione dei  fattori  di  rischio  e  degli  elementi  di
vulnerabilita' del paesaggio, nonche' comparazione con gli altri atti
di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo». 
    Appare cosi' integrata la  violazione  dell'art.  117,  comma  2,
lettera s), e dell'art. 9 Cost. 
    Alla stessa stregua la previsione dell'art. 9, comma 4,  per  cui
«L'attivita'  di  pianificazione  degli  enti  locali  e'  svolta  in
coerenza con il PST», non riferendosi al piano  paesaggistico,  viola
l'art. 117, comma 2, lettera s), Cost. 
    La norma regionale, infatti, contrasta con il principio  generale
dettato   dall'art.   145   (Coordinamento    della    pianificazione
paesaggistica con altri strumenti di pianificazione), commi  3  e  4,
del decreto legislativo n. 42 del  2004  in  base  al  quale  «3.  Le
previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non
sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti  nazionali  o
regionali di sviluppo  economico,  sono  cogenti  per  gli  strumenti
urbanistici dei comuni, delle citta' metropolitane e delle  province,
sono   immediatamente   prevalenti   sulle   disposizioni    difformi
eventualmente contenute  negli  strumenti  urbanistici,  stabiliscono
norme di salvaguardia applicabili in  attesa  dell'adeguamento  degli
strumenti urbanistici e sono altresi' vincolanti per  gli  interventi
settoriali.  Per  quanto  attiene  alla  tutela  del  paesaggio,   le
disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque  prevalenti  sulle
disposizioni contenute negli  atti  di  pianificazione  ad  incidenza
territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli
degli enti gestori delle aree naturali  protette.  4.  I  comuni,  le
citta' metropolitane, le province  e  gli  enti  gestori  delle  aree
naturali  protette   conformano   o   adeguano   gli   strumenti   di
pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni  dei  piani
paesaggistici, secondo le procedure previste dalla  legge  regionale,
entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due
anni dalla loro approvazione. I limiti alla proprieta'  derivanti  da
tali previsioni non sono oggetto di indennizzo». 
    L'art. 9, imponendo ai comuni la conformazione al PST, li obbliga
indirettamente  a  disattendere   il   piano   paesaggistico   quando
contrastante, il che e' una conferma  dell'indebita  sovraordinazione
del PST al PPR,  evincibile  peraltro  anche  dalle  ulteriori  norme
regionali che si esaminano qui di seguito. 
    L'art. 10, comma 1, secondo cui il Piano paesaggistico  regionale
(PPR) deve essere «in correlazione a quanto previsto dal PST», vale a
dire deve essere coerente con il  Programma  strategico  territoriale
(PST), il quale e' un piano territoriale di sviluppo economico,  vale
a  dire  un  piano  urbanistico,  contraddice  il  «principio   della
«gerarchia» degli strumenti di  pianificazione  dei  diversi  livelli
territoriali» (Corte  cost.,  30  maggio  2008,  n.  180),  che  deve
considerarsi un principio fondamentale rilevante ex art.  117,  terzo
comma, Cost. ed espresso dal  sopra  riportato  art.  145,  comma  3,
decreto legislativo n. 42/2004. 
    Codesta Ecc.ma Corte, infatti,  ha  chiarito  che:  «L'art.  145,
comma  3,  contempla  il   principio   di   «prevalenza   dei   piani
paesaggistici»  sugli  altri   strumenti   urbanistici,   precisando,
segnatamente, che: «Per quanto attiene alla tutela del paesaggio,  le
disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque  prevalenti  sulle
disposizioni contenute negli atti di pianificazione  ad  territoriale
previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli  degli  enti
gestori delle aree naturali protette» (sent. n. 180 del 2008 v. anche
sentenze n. 193/2010, n. 272/2009 e n. 182/2006). 
    E' dunque evidente che la prevalenza gerarchica voluta dal codice
dei beni culturali e del paesaggio [e dunque dall'art.  117,  secondo
comma, lettera s), e terzo comma, Cost.], e'  inconciliabile  con  la
predetta «correlazione» prevista dall'art. 10, comma 1,  della  legge
regionale dell'Umbria n. 1 del 2015. La «correlazione» sta  piuttosto
a significare una relazione gerarchica inversa, cioe' (potenzialmente
anche) una relazione di subordinazione del  PPR  al  PST,  visto  che
l'ordine di queste disposizioni normative regionali antepone  il  PST
al PPR [sotto il comune capo I - Programmazione territoriale - il PST
(art.  8)  precede  il  PPR  (art.  10)].  D'altra  parte   se   tale
correlazione fosse anche di equiordinazione tra i due  strumenti,  il
ricordato  principio  gerarchico  dell'art.  145  sarebbe  egualmente
sovvertito,  perche'  l'equiordinazione   e'   il   contrario   della
gerarchia.  Tale  ambigua  correlazione  rischia  di  subordinare  la
salvaguardia del paesaggio, dal punto di vista  pianificatorio,  allo
«sviluppo» del territorio (che e' l'obiettivo fondamentale del  PST),
con evidente indebolimento della funzione  conservativa  propria  del
piano paesaggistico. 
    La  complessiva  dequotazione  del  PPR  rispetto  al  PST,   con
l'annessa accentuazione del solo profilo dello sviluppo  territoriale
e la conseguente minusvalenza dei profili conservativi e  di  tutela,
risulta  peraltro  accentuata  dalla  scelta  regionale,   consacrata
nell'art. 13, comma 1, di limitare la copianificazione  paesaggistica
con il Ministero «ai beni paesaggistici di cui all'art. 143, comma 1,
lettere b), e) e d) del decreto legislativo n. 42/2004». 
    Tale scelta, ancorche' formalmente legittima (atteso  che  l'art.
135 del codice impone la copianificazione solo per i beni vincolati e
lascia  alla  scelta   discre-zionale   regionale   la   possibilita'
alternativa),  si  pone  in  contrasto  con  le   migliori   pratiche
amministrative finora  seguite  da  alcune  regioni  (vedi  Sardegna,
Puglia, Toscana), che hanno preferito, con l'accordo  del  Ministero,
la copianificazione estesa all'intero territorio  regionale,  essendo
tale scelta piu' coerente con i  dettami  della  Convenzione  europea
fatta a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata con legge n. 14 del 9
gennaio  2006.  L'attenzione  per  la  dimensione  paesaggistica  con
riferimento  all'intero  territorio,  rappresenta  uno  dei  principi
fondamentali della Convenzione che, all'art. 2, dispone che essa  «si
applica a tutto il  territorio  delle  parti  e  riguarda  gli  spazi
naturali, rurali, urbani e  periurbani.  Essa  comprende  i  paesaggi
terrestri, le acque interne e marine. Concerne  sia  i  paesaggi  che
possono essere considerati eccezionali, che  i  paesaggi  della  vita
quotidiana e i paesaggi degradati». 
    E' evidente che la  copianificazione  limitata  alla  trattazione
delle sole  aree  territoriali  coperte  da  vincolo  indebolisce  la
visione strategica del PPR  e  rende  tale  strumento  oggettivamente
dipendente dalle scelte strategiche  orientate  prevalentemente  allo
sviluppo contenute nel PST, che invece riguarda  l'intero  territorio
regionale. In questa ottica il PST rischia di  diventare  la  cornice
generale  delle  linee   ispiratrici   dello   sviluppo   dell'intero
territorio  regionale,  all'interno  del  quale  il  PPR  assume  una
dimensione solo  consequenziale  e  inevitabilmente  subordinata.  La
disposizione in commento, quindi, si rivela frutto di una scelta  del
legislatore umbro che viola l'art. 117, comma 2, lettera s)  Cost.  e
contrasta con il principio prevalenza gerarchica degli  strumenti  di
pianificazione, rilevante ex art. 117, comma 3, Cost. 
    In conclusione, le norme  regionali  sospettate,  per  i  profili
sopra descritti,  si  rivelano  invasive  della  sfera  competenziale
affidata alla legislazione statale esclusiva e  lesive  dei  principi
fondamentali  riservati  alla  Stato   in   punto   di   legislazione
concorrente  nonche'  dei  valori  paesaggistici   costituzionalmente
protetti. 
4) L'art. 11, comma 1,  lettera  d)  per  violazione  dell'art.  9  e
dell'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
    L'art. 11, comma 1, lettera d), nel prevedere tra i contenuti del
PPR «la individuazione dei beni paesaggistici di  cui  agli  articoli
134 e 142 del decreto legislativo  n.  42/2004,  con  la  definizione
delle discipline di tutela e valorizzazione»,  contrasta  con  l'art.
143, comma 1, decreto legislativo  n.  42/2004,  che  stabilisce  che
l'elaborazione del piano paesaggistico comprende «la ricognizione»  e
non «l'individuazione» di tali aree e immobili. Il  codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, infatti, usa distintamente, all'art.  143,
i termini «individuazione» e «ricognizione», attribuendo ad  essi  un
significato diverso. 
    In particolare, il codice dei  beni  culturali  e  del  paesaggio
adopera  il  termine  «ricognizione»  in  quanto  la   pianificazione
paesaggistica  si  limita   ad   accertare   l'esistenza   dei   beni
paesaggistici, gia' individuati  con  vincolo  provvedimentale  o  ex
lege. L'uso del termine «individuazione», invece, e' utilizzato dallo
stesso articolo del codice in relazione a ulteriori  beni  sottoposti
ex novo dai piani paesaggistici a  tutela  o  comunque  a  specifiche
misure di salvaguardia e di utilizzazione. 
    Orbene, l'uso indistinto del termine  «individuazione»  da  parte
del  legislatore  regionale  puo'  significare  l'attribuzione   alla
pianificazione paesaggistica di una funzione non solo ricognitiva, ma
anche  tacitamente  abrogativa  dei  vincoli  esistenti,  in   palese
contrasto con  l'art.  143  del  codice,  che  non  attribuisce  tale
funzione alla pianificazione paesaggistica.  E'  dunque  evidente  il
contrasto della disposizione  regionale  censurata  con  l'art.  9  e
l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
5) L'art. 13, commi 4 e 5, per violazione  dell'art.  117,  comma  2,
lettera s) e dell'art. 9, comma 2, della Costituzione. 
    L'art. 13 della legge regionale censurata,  nel  disciplinare  il
procedimento di approvazione regionale del PPR, ai commi 4 e  5,  non
assicura la necessaria compartecipazione paritetica del Ministero dei
beni e delle attivita' culturali e del turismo  nella  «approvazione»
sostanziale dei contenuti del nuovo piano paesaggistico. 
    Va  ricordato,  a  riguardo,  che   l'impronta   unitaria   della
pianificazione paesaggistica e' assunta a valore imprescindibile, non
derogabile dal legislatore regionale  in  quanto  espressione  di  un
intervento teso a stabilire una  metodologia  uniforme  nel  rispetto
della legislazione di  tutela  dei  beni  culturali  e  paesaggistici
sull'intero territorio nazionale (sent. 197 del 2014). 
    In tale prospettiva, l'art. 143, comma 2,  del  codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, pur  rinviando  alle  leggi  regionali  la
disciplina delle modalita' di approvazione  del  piano,  postula  che
l'approvazione regionale  debba  rispecchiare  e  recepire  l'accordo
definito con il predetto Ministero avente ad oggetto il  nuovo  piano
redatto congiuntamente. Per quanto le disposizioni  codicistiche  non
individuino il momento in cui l'accordo conclusivo avente ad  oggetto
il nuovo piano redatto congiuntamente debba esattamente  intervenire,
e' logico ed evidente che si  porrebbe  in  contrasto  con  la  norma
statale di tutela la disciplina regionale che collochi l'accordo  con
il Ministero in una fase anteriore agli ulteriori sviluppi  dell'iter
approvativo  regionale   -   scaglionato   in   successivi   passaggi
deliberativi dell'organo di governo o di quello  consiliare  -  senza
farsi carico di stabilire garanzie chiare e certe di conformita'  del
testo  finale  del  piano,  per  come  esitato  dai   vari   passaggi
consiliari, a quello sancito nell'accordo con il Ministero. 
    La sequenza procedimentale individuata all'art. 13  non  assicura
dunque che l'elaborazione del PPR sia realmente congiunta tra Stato e
regione. Nonostante il richiamo all'elaborazione congiunta  contenuto
nel comma 1, infatti, l'elaborato appare modificabile unilateralmente
dalla  regione,  a  seguito  delle  osservazioni  e  audizioni  varie
descritte nell'art. 13. Non  si  rinvengono  disposizioni  idonee  ad
assicurare che quanto emerge da dette osservazioni e audizioni sia da
sottoporre all'esame del Ministero al fine di verificare la  fedelta'
e la corrispondenza del nuovo testo a quello oggetto di accordo (o al
fine di rinegoziare con il Ministero l'accordo sui punti che  fossero
risultati modificati per  effetto  del  successivo  iter  approvativo
regionale). 
    Dalla sequenza procedurale proposta dall'art. 13, comma 4, sembra
che l'accordo con il  Ministero  debba  avere  ad  oggetto  il  piano
paesaggistico adottato dalla giunta regionale (previa espressione del
parere del consiglio delle autonomie  locali  e  previa  acquisizione
delle proposte e delle osservazioni dei soggetti interessati e  delle
associazioni portatrici di interessi diffusi, e una  volta  acquisito
il «parere preliminare alla  sottoscrizione  degli  accordi  previsti
dall'art. 143, comma 2 del decreto legislativo n.  42/2004»  espresso
dall'assemblea legislativa «esaminate  le  proposte  ed  osservazioni
pervenute e formulate le valutazioni sulle  stesse»,  «unitamente  al
parere del CAL). Sennonche', in base al  comma  5  dell'art.  13,  il
consiglio regionale «decide in merito alle proposte ed osservazioni e
approva il PPR nel rispetto di quanto previsto dagli articoli  135  e
143 del decreto legislativo n. 42/2004», senza che sia previsto alcun
momento di confronto successivo con il Ministero  atto  a  verificare
che il piano approvato  dal  consiglio  regionale  corrisponda  o  si
discosti rispetto a quello adottato dalla giunta e portato in sede di
accordo con il Ministero sulla base del solo parere  preliminare  del
consiglio. 
    Sotto il medesimo profilo, appare criticabile anche la scelta  di
non coinvolgere gli  organi  tecnici  ministeriali  nell'esame  delle
osservazioni prima della finale decisione del consiglio.  Una  logica
negoziale autentica imporrebbe che prima di passare alla  valutazione
politica del consiglio regionale  (vale  a  dire,  all'ultima  parola
della  regione),  sulle  osservazioni  in  questione,  essenzialmente
tecniche, si esprimessero simmetricamente i tecnici del Ministero. 
    Con la disposizione di legge regionale in esame, quindi, si rende
asimmetrico lo sviluppo procedimentale e  si  vanifica  il  principio
dell'elaborazione congiunta.  In  altri  termini,  la  pur  affermata
elaborazione «congiunta» rischia di restare  circoscritta  da  questa
asimmetria  a  un  mero  momento  istruttorio  e  preliminare  e  non
rappresenta  piu'  quel  momento  autenticamente  e   consapevolmente
codecisorio del procedimento cui il disegno del codice  la  preordina
perche' possa avere quegli effetti  di  semplificazione  (parere  del
soprintendente non piu' vincolante, ma solo obbligatorio)  che  tanto
incidono sulle prerogative statali  di  tutela.  Consegue  da  quanto
sopra la lesione delle attribuzioni statali di legislazione esclusiva
ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,  stante  il  contrasto
delle disposizioni regionali denunciate con il dettato dell'art. 143,
comma 2, del codice. 
    Da  tale  contrasto  scaturisce  la   consequenziale   violazione
dell'art. 9, secondo  comma,  Cost.  poiche'  la  descritta  sequenza
procedimentale, nel consentire unilaterali  modifiche  del  piano  in
sede di consiglio regionale, senza  prevedere  successive  verifiche,
comporta la possibilita' di trasformare nei fatti quella che dovrebbe
essere  una  manifestazione  di  discrezionalita'  tecnica   in   una
manifestazione di (unilaterale)  volonta'  politica  consiliare,  con
cio' tradendo il significato di  tutela  di  cui  all'art.  9  Cost.,
significato che e' di discrezionalita' tecnica e  -  proprio  perche'
inserito in una Costituzione - di limite alla scelta politica. 
6) L'art. 15, commi 1 e 5, per violazione  dell'art.  117,  comma  2,
lettera s) della Costituzione. 
    L'art. 15, commi 1 e 5,  della  legge  regionale  censurata,  nel
disciplinare l'adeguamento degli strumenti di pianificazione al  PPR,
prevede che «Le province e i soggetti  gestori  delle  aree  naturali
protette conformano i rispettivi piani e programmi al PPR nei termini
ivi  stabiliti  che  non  devono  essere   superiori   ad   un   anno
dall'approvazione del medesimo PPR» (comma 1) e che «Le procedure  di
adeguamento e conformazione degli strumenti urbanistici  comunali  al
PPR sono quelle previste all'art. 32, comma 4, lettera j) e comma 10»
(comma 5). 
    Tali disposizioni non prevedono la partecipazione  del  Ministero
dei beni e delle attivita' culturali e del  turismo  al  procedimento
per l'adeguamento degli strumenti urbanistici al  PPR,  in  contrasto
con quanto dispone l'art. 145, comma 5, del codice dei beni culturali
e del paesaggio, secondo cui «La regione disciplina  il  procedimento
di conformazione ed  adeguamento  degli  strumenti  urbanistici  alle
previsioni  della  pianificazione   paesaggistica,   assicurando   la
partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo». 
    Il decreto  legislativo  n.  42/2004  richiede  che  la  verifica
dell'intervenuto  adeguamento  (o  conformazione)   degli   strumenti
urbanistici si concreti in una espressa e specifica pronuncia propria
del Ministero sul  punto.  Cio'  si  evince  dal  combinato  disposto
dell'art. 145, comma 5, con l'art. 146,  comma  5,  secondo  periodo,
che, al fine di definire il momento temporale e giuridico  a  partire
dal quale opera la dequotazione del parere statale  da  vincolante  a
solo  obbligatorio,  opera  un  preciso  riferimento  alla  «positiva
verifica  da  parte  del  Ministero,  su  richiesta   della   regione
interessata, dell'avvenuto adeguamento degli strumenti  urbanistici».
Sul punto, codesta Ecc.ma Corte, con la sentenza n. 211 del 2013,  ha
stabilito che l'esclusione di qualsiasi partecipazione  degli  organi
ministeriali nei procedimenti di  verifica  di  compatibilita'  degli
strumenti di pianificazione delle  amministrazioni  locali  al  piano
regionale paesistico si pone «in evidente contrasto con la  normativa
statale interposta e, in particolare, con il citato art.  145,  comma
5, del decreto legislativo n. 42 del 2004, il quale - in linea con le
prerogative riservate allo Stato  dalla  disposizione  costituzionale
evocata  a   parametro,   come   anche   riconosciute   da   costante
giurisprudenza di questa Corte (tra le molte,  sentenza  n.  235  del
2011) - specificamente  impone  che  la  regione  adotti  la  propria
disciplina "assicurando la partecipazione degli  organi  ministeriali
al procedimento medesimo"». Analogamente, con la sentenza n. 197  del
2014, ha poi dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.  34
della legge della regione Piemonte 25 marzo 2013, n. 3,  nella  parte
in cui non prevedeva la partecipazione degli organi del Ministero per
i beni e le attivita' culturali al procedimento di conformazione agli
strumenti  di  pianificazione  territoriale  e  paesaggistica   delle
varianti al piano regolatore generale comunale e intercomunale. 
    In particolare,  codesta  Ecc.ma  Corte,  dopo  aver  ribadito  i
principi enunciati, con la sentenza n. 211 del 2013, ha osservato che
«Costituisce, infatti, affermazione costante - su  cui  si  fonda  il
principio della  gerarchia  degli  strumenti  di  pianificazione  dei
diversi livelli territoriali, dettato dall'evocato art. 145, comma 5,
del decreto legislativo n. 42 del 2004 (sentenze n. 193 del 2010 e n.
272  del  2009)  -  quella  secondo  cui  l'impronta  unitaria  della
pianificazione paesaggistica «e' assunta  a  valore  imprescindibile,
non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di  un
intervento teso a stabilire una  metodologia  uniforme  nel  rispetto
della legislazione di  tutela  dei  beni  culturali  e  paesaggistici
sull'intero territorio nazionale» (sentenza  n.  182  del  2006).  Al
contrario, nella specie, la generale esclusione della  partecipazione
degli  organi  ministeriali  nei  procedimenti  di   adozione   delle
varianti, nella sostanza, veniva a degradare la tutela  paesaggistica
da  valore  unitario  prevalente  e  a  concertazione   rigorosamente
necessaria, in mera esigenza urbanistica (sentenza n. 437 del 2008)».
Consegue   da   quanto   sopra   l'illegittima   compressione   delle
attribuzioni statali di legislazione esclusiva ex art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., mediante violazione dell'art. 145, comma 5,
decreto legislativo n. 42/2004. 
7) Gli articoli 16, commi  4  e  5,  17,  19  e  21,  per  violazione
dell'art. 117, comma 2, lettera p) e comma 3, della Costituzione. 
    Gli articoli 16, commi 4 e 5; 17 e 19 e 21  che  disciplinano  il
contenuto del Piano territoriale di coordinamento provinciale -  PTCP
e i rapporti di questo strumento urbanistico con il piano  regolatore
generale, si pongono in contrasto con l'art.  20,  comma  2,  decreto
legislativo n. 267/2000 e all'art. 1, comma 85, legge n.  56/2014,  e
pertanto violano l'art. 117, comma 2, lettera p)  e  comma  3,  della
Costituzione, con riferimento ai principi fondamentali in materia  di
governo del territorio. 
    In particolare, si osserva che l'art. 1, comma 85, della legge n.
56 del 2014 annovera la pianificazione territoriale di  coordinamento
tra le funzioni fondamentali delle province, quali enti con  funzioni
di area vasta. Il comma 87  della  legge  statale  da  ultimo  citata
specifica che dette funzioni «sono esercitate nei limiti e secondo le
modalita'  stabilite  dalla  legislazione  statale  e  regionale   di
settore,  secondo  la  rispettiva  competenza  per   materia»,   come
individuata all'art. 117 della Costituzione. 
    Al riguardo, si osserva che il contenuto del  piano  territoriale
di coordinamento e' previsto all'art. 20, comma 2,  del  testo  unico
sugli enti locali (decreto legislativo  n.  267/2000).  Secondo  tale
norma il piano territoriale di coordinamento «determina gli indirizzi
generali di assetto del territorio e, in particolare, indica: 
    a) le diverse  destinazioni  del  territorio  in  relazione  alla
prevalente vocazione delle sue parti; 
    b) la localizzazione di massima delle maggiori  infrastrutture  e
delle principali linee di comunicazione; 
    c)  le  linee  di  intervento   per   la   sistemazione   idrica,
idrogeologica  ed   idraulico-forestale   ed   in   genere   per   il
consolidamento del suolo e la regimazione delle acque; 
    d) le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi  o  riserve
naturali». Il comma 5 dell'art. 20, inoltre, prevede che «Ai fini del
coordinamento e dell'approvazione degli strumenti  di  pianificazione
territoriale  predisposti  dai  comuni,  la  provincia  esercita   le
funzioni ad essa attribuite dalla regione ed ha,  in  ogni  caso,  il
compito di accertare la compatibilita'  di  detti  strumenti  con  le
previsioni del piano territoriale  di  coordinamento».  In  generale,
infine, il comma 6 dispone che «6.  Gli  enti  e  le  amministrazioni
pubbliche, nell'esercizio delle rispettive competenze, si  conformano
ai piani territoriali di coordinamento delle province e tengono conto
dei loro programmi pluriennali». 
    Appare chiaro, quindi, che la  normativa  statale  concepisce  il
PTCP come strumento di pianificazione di  area  vasta,  sovraordinato
rispetto al piano urbanistico comunale. 
    Cio' posto, le  disposizioni  regionali  censurate,  nel  ridurre
drasticamente il contenuto del PTCP e nel modificare  i  rapporti  di
questo  strumento  urbanistico  con  i  piani  regolatori   generali,
contraddicono l'essenza della pianificazione di area vasta e  dunque,
oltre a contrastare con i principi fondamentali in materia di governo
del territorio sopra richiamati, incidono  sulla  disciplina  di  una
funzione fondamentale attribuita dallo Stato  alla  competenza  delle
province. La pianificazione territoriale provinciale di coordinamento
rappresenta, infatti, una delle funzioni fondamentali [art. 1,  comma
85, lettera a) della legge n.  56  del  2014]  che  consentira'  alla
provincia di continuare ad  esistere  quale  ente  territoriale  «con
funzioni di area vasta» nel  nuovo  assetto  voluto  dal  legislatore
statale, la cui legittimita'  costituzionale  e'  stata  recentemente
affermata dal codesta Ecc.ma Corte (sent. 50 del 2015). 
    Orbene, l'art. 16 della legge regionale umbra n. 1 del  2015,  al
comma 4, prevede che «le province con il PTCP (...): a) raccordano  e
coordinano i diversi piani  sovracomunali  nei  limiti  dagli  stessi
previsti; b) forniscono ai comuni le basi conoscitive  utili  per  le
azioni pianificatorie;  c)  promuovono  azioni  di  raccordo  tra  le
pianificazioni dei comuni con particolare riferimento a quelli i  cui
territori presentano un'elevata continuita' morfologica o funzionale,
in cui le scelte di pianificazione comportano  significativi  effetti
di livello sovracomunale; d) esercitano le funzioni  per  attuare  la
perequazione  territoriale  e  la  compartecipazione  tra  i   comuni
interessati ai  proventi  e  costi  conseguenti  a  trasformazioni  o
interventi di rilevanza intercomunale». Il comma 5,  invece,  dispone
che «le province, attraverso il PTCP, promuovono il coordinamento con
le province ed i comuni contermini ai  fini  dell'integrazione  delle
rispettive politiche territoriali». 
    Gia' da queste disposizioni risulta evidente che i PTCP non hanno
la funzione essenziale, prevista dalla testo unico degli enti locali,
di «determinare gli indirizzi generali di assetto del territorio».  I
PTCP si limitano a un mero «raccordo  e  coordinamento»  degli  altri
piani sovracomunali, peraltro «nei limiti dagli stessi  previsti»,  a
«fornire ai comuni ... basi conoscitive»,  a  «promuovere  azioni  di
raccordo della pianificazione comunale», ad «attuare la  perequazione
territoriale e la  compartecipazione  tra  i  comuni  interessati  ai
proventi  e  costi  conseguenti  a  trasformazioni  o  interventi  di
rilevanza intercomunale». 
    Per quanto riguarda i contenuti dei PTCP,  l'art.  17,  comma  1,
prevede alla lettera b), «... 2) la rete delle  infrastrutture  della
mobilita', esistenti e di  progetto,  che  rientra  nelle  competenze
provinciali, nel rispetto degli strumenti sovraordinati, (...) 3)  la
localizzazione   delle   attrezzature,    degli    impianti,    delle
infrastrutture e dei servizi di interesse provinciale esistenti e  di
progetto; 4) la definizione degli adempimenti previsti al titolo  IV»
e, alla lettera c) «2) le linee di intervento in  materia  di  difesa
del suolo, di tutela delle acque, sulla  base  delle  caratteristiche
ambientali, geologiche, idrogeologiche e sismiche del territorio, per
quanto non regolato dai piani di cui al decreto legislativo 3  aprile
2006,  n.  152  (Norme  in  materia  ambientale)  o   da   specifiche
disposizioni regionali; 3) i criteri per gli insediamenti  produttivi
a rischio di incidente rilevante di cui  alle  normative  statali  di
settore; 4) la disciplina di specifica competenza del  PTCP  prevista
al titolo IV». Infine, il comma 2  prevede  che  «il  PTCP  detta  la
metodologia  e  coordina  la  individuazione  delle   aree   per   le
attrezzature e  per  gli  insediamenti  di  interesse  intercomunale,
stabilendo   anche   concreti   riferimenti   territoriali,   nonche'
definisce, previa intesa istituzionale con i comuni  interessati,  le
aree destinate ad attrezzature e servizi di rilievo provinciale». 
    Risulta evidente che la normativa regionale censurata  omette  di
attribuire al PTCP: il compito di «indicare le  diverse  destinazioni
del territorio in relazione alla prevalente  vocazione  di  ogni  sua
parte»  (art.  20,  comma  2,  lettera  a),  decreto  legislativo  n.
267/2000); il compito di «localizzazione di  massima  delle  maggiori
infrastrutture e delle principali comunicazioni» (la norma regionale,
infatti, parla solo di  infrastrutture  e  di  servizi  di  interesse
provinciale esistenti e di progetto), ne' vi  e'  riferimento  alcuno
alle linee di intervento in materia di  consolidamento  del  suolo  e
tutela delle acque o alla individuazione delle aree nelle  quali  sia
opportuno istituire parchi  o  riserve  naturali.  Anche  per  quanto
riguarda la  definizione  delle  aree  destinate  ad  attrezzature  e
servizi di interesse provinciale, la funzione del PTCP e' subordinata
alla «previa intesa istituzionale con i comuni interessati» (art. 17,
comma 2). 
    La  disposizione  regionale  in  commento  integra,  dunque,   la
violazione dell'art. 117, comma 2, lettera p) e comma 3,  Cost.,  con
riferimento ai  principi  fondamentali  in  materia  di  governo  del
territorio. 
    Identica violazione si ravvisa nel disposto  dell'art.  19  della
legge umbra. La norma infatti prevede che «i comuni adeguano i propri
strumenti urbanistici al PTCP»  (comma  1),  e  che  «dalla  data  di
efficacia del PTCP approvato, il comune non  puo'  rilasciare  titoli
abilitativi o approvare piani attuativi che siano in contrasto con le
norme immediatamente prevalenti del PTCP medesimo di cui all'art. 17,
comma 1, lettera c), punto 1)» (comma 2). 
    Da un lato,  dunque,  non  viene  attribuito  alla  provincia  il
compito di accertare la compatibilita'  degli  strumenti  urbanistici
comunali con il PTCP (come previsto, invece, all'art.  20,  comma  5,
del testo unico degli enti locali),  dall'altro,  la  prevalenza  del
PTCP viene di fatto limitata ai soli contenuti  individuati  all'art.
17, comma 1, lettera c), punto 1) della legge regionale in  commento,
con la conseguenza  che  non  ci  sono  rimedi  in  caso  di  mancato
adeguamento dei piani comuni al PTCP. 
    Va rilevato, infine, che quelli che la  legge  statale  individua
come contenuti fondamentali del PTCP sono attribuiti,  di  fatto,  ai
piani regolatori comunali, che pero' sono  inidonei  a  svolgere  una
funzione di pianificazione di area vasta. 
    L'art. 21, comma 1, della legge regionale n. 1 del 2015  infatti,
attribuisce al PRG - parte strutturale, il compito di individuare  le
diverse destinazioni del territorio (in particolare: gli elementi che
costituiscono il sistema delle componenti naturali - lettera a) -; le
aree instabili o a rischio - lettera b) -; le aree agricole - lettera
c) -; gli elementi del  territorio  di  valore  storico  culturale  -
lettera e) -), nonche' di individuare «le  infrastrutture  lineari  e
nodali per la mobilita' ed  in  particolare  la  rete  ferroviaria  e
viaria di interesse regionale, provinciale e  comunale,  nonche'  gli
elettrodotti  di  alta  tensione»  (lettera  f)  e   «le   principali
infrastrutture lineari e nodali per la  mobilita',  nonche'  la  rete
escursionistica di interesse interregionale e  regionale»  (comma  2,
lettera e). 
    Si tratta di attribuzioni che dovrebbero essere di competenza del
PTCP,  per  la  rilevanza  di  interesse  regionale  e,  addirittura,
interregionale. La sovrapposizione tra i due piani emerge  anche  per
il fatto che l'art. 21, comma 2,  lettera  l),  prevede  che  il  PRG
«definisce gli adempimenti previsti  al  titolo  IV»,  ma  la  stessa
funzione e' attribuita anche al PTCP dall'art. 17, comma  1,  lettera
b), n. 4. Di  conseguenza,  si  estendono  alle  citate  disposizioni
dell'art. 21 i  medesimi  profili  di  illegittimita'  costituzionale
sopra evidenziati con riferimento agli articoli 16, commi 4 e 5; 17 e
19 della legge regionale sospettata. 
8) L'art. 18, commi 4, 5, 6 e 7, 8 e 9, per violazione dell'art. 117,
comma 2, lettera s), della Costituzione. 
    L'art. 18, commi 4, 5,  6  e  7,  8  e  9,  nel  disciplinare  il
procedimento di valutazione della  conformita'  e  adeguamento  delle
previsioni del PTCP, nonche' delle relative varianti, al PPR, prevede
la  convocazione  da  parte   della   regione   di   una   conferenza
istituzionale di copianificazione alla quale partecipano le province,
ma non contempla la partecipazione al procedimento di conformazione e
adeguamento al PPR degli organi ministeriali. 
    L'esclusione  della  partecipazione  di  qualsivoglia   organismo
ministeriale dai procedimenti di  verifica  di  compatibilita'  degli
strumenti di pianificazione delle  amministrazioni  locali  al  piano
regionale paesistico si pone in evidente contrasto con  la  normativa
statale (art. 145, comma 5, del decreto legislativo n. 42  del  2004)
che impone la partecipazione dello Stato, in linea con le prerogative
ad esso riservate dall'art. 117, secondo comma,  lettera  s),  Cost.,
riconosciute dalla costante giurisprudenza costituzionale  (sent.  n.
211 del 2013 n. 235 del 2011 e n. 197 del 2014). 
    Pertanto, si estendono alle disposizioni censurate i  profili  di
incostituzionalita'  gia'  rilevati  in  relazione  all'art.  15   e,
conseguentemente, si rileva, anche  in  questo  caso,  la  violazione
delle attribuzioni statali di legislazione  esclusiva  ex  art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., mediante violazione dell'art.  145,
comma 5, decreto legislativo n. 42/2004. 
9) L'art. 28,  comma  10,  e  l'art.  56,  comma  3,  per  violazione
dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 28,  comma  10  della  legge  regionale  n.  1  del  2015,
attribuisce al comune, in sede di adozione del  PRG,  il  compito  di
esprimere il parere di cui all'art. 89  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380/2001, previa determinazione della commissione
comunale per la  qualita'  architettonica  ed  il  paesaggio  di  cui
all'art. 2, comma 4, della stessa legge regionale. L'art.  56,  comma
3, inoltre, stabilisce che il SUAPE (sportello unico delle  attivita'
produttive ed edilizie) «acquisisce direttamente  ...  i  pareri  che
debbono  essere  resi  dagli  uffici  comunali  necessari   ai   fini
dell'approvazione del piano attuativo compreso il parere  in  materia
sismica, idraulica ed idrogeologica, da esprimere con le modalita' di
cui all'art. 112, comma 4, lettera d)». 
    Tali norme contrastano con l'art. 89 del decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380/2001, secondo cui il parere  sugli  strumenti
urbanistici generali dei comuni siti in zone sismiche o in abitati da
consolidare va richiesto «al  competente  ufficio  tecnico  regionale
sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima  della
delibera di adozione nonche' sulle lottizzazioni convenzionate  prima
della delibera di approvazione, e loro varianti affini della verifica
della compatibilita' delle rispettive previsioni  con  le  condizioni
geomorfologiche del territorio» (comma 1). I commi 2 e 3 del medesimo
art. 89 prevedono che il  competente  ufficio  tecnico  regionale  si
pronunci  entro  sessanta  giorni  dal  ricevimento  della  richiesta
dell'amministrazione comunale e che, in caso di mancato riscontro, il
parere deve intendersi reso in senso negativo. 
    Per consolidata giurisprudenza di codesta Ecc.ma  Corte  (tra  le
tante, sentenze n. 167 del 2014, n. 300 e n. 101 del 2013, n. 201 del
2012, n. 254 del 2010,  n.  248  del  2009,  n.  182  del  2006),  la
disciplina degli interventi edilizi in zone sismiche e' riconducibile
all'ambito materiale del «governo del territorio», nonche'  a  quello
relativo alla «protezione civile»,  per  i  profili  concernenti  «la
tutela dell'incolumita' pubblica» (sentenza n. 254 del 2010). 
    In entrambe le  materie,  di  potesta'  legislativa  concorrente,
spetta allo Stato fissare i principi fondamentali ai sensi  dell'art.
117, comma 3, della Costituzione. Come  chiarito,  da  ultimo,  nella
sentenza  n.  167/2014,  l'art.  89  del  testo  unico  dell'edilizia
costituisce principio fondamentale in materia di «protezione civile»,
in quanto «appare funzionale  ad  assicurare  l'"intento  unificatore
della  legislazione  statale",  palesemente  orientato  a  soddisfare
quelle imprescindibili garanzie  valevoli  per  tutti  gli  strumenti
urbanistici generali e particolareggiati con riguardo al  rischio  di
calamita' naturali» (ex plurimis, sentenze n. 254 del 2010 e  n.  182
del 2006). L'art. 89 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
380 del 2001 ha come suo  oggetto  gli  strumenti  urbanistici  e  le
costruzioni nelle zone ad alto rischio sismico e come  sua  ratio  la
tutela dell'interesse generale alla sicurezza delle persone. 
    Cio'  posto,  deve  ritenersi  che  l'attribuzione  agli   uffici
regionali delle funzioni relative al rilascio di detto parere  (e  la
previsione del silenzio rifiuto in caso di mancata risposta entro  il
termine),  sia  funzionale   alle   suddette   esigenze   di   tutela
dell'incolumita' pubblica. Il  comune,  infatti,  avendo  redatto  il
piano  urbanistico,  non  e'  soggetto  terzo  e  quindi  non   offre
sufficienti garanzie di imparzialita' nel rilascio di questo  parere.
Inoltre, il comune potrebbe essere esposto a  interessi  configgenti,
che rendono piu' opportuno attribuire il  compito  del  rilascio  del
parere da un  organo  diverso.  Ne'  offre  sufficienti  garanzie  la
previsione del previo parere (obbligatorio e non  vincolante),  della
commissione comunale per la qualita' architettonica  e  il  paesaggio
contemplata dall'art. 112 della legge regionale in commento. 
    Per questi motivi, l'art. 28, comma 10, e, di conseguenza, l'art.
56, comma 3, della legge regionale impugnata contrastano  con  l'art.
89 del testo unico dell'edilizia e quindi violano l'art.  117,  comma
3,  della  Costituzione  con  riferimento  alla  materia  «protezione
civile», oltre che alla materia «governo del territorio». 
10) L'art. 32, comma 4; l'art. 49, comma 2, lettera  a);  l'art.  51,
comma 6; l'art. 79, comma 3, per violazione dell'art. 117,  comma  2,
lettera l) e comma 3, della Costituzione. 
    Gli articoli 32, comma 4, lettera c); 49, comma  2,  lettera  a);
51, comma 6; 79,  comma  3,  della  legge  regionale  censurata,  nel
consentire varianti e deroghe alle  altezze  massime  previste  dagli
strumenti urbanistici senza prevedere il  necessario  rispetto  degli
standard previsti dall'art. 8 del decreto ministeriale n.  1444/1968,
violano l'art. 117, comma 3 (con riferimento ai principi fondamentali
in materia di «governo del territorio»), nonche' comma 2, lettera  l)
(con   riferimento   alla   materia   «ordinamento   civile»)   della
Costituzione. 
    Le predette norme regionali consentono espressamente ai comuni di
derogare alle altezze massime fissate  nel  decreto  ministeriale  n.
1444 del 1968, senza rispettare le condizioni stabilite dal  medesimo
decreto ministeriale. Le deroghe introdotte dal legislatore regionale
agli standard imposti dal legislatore  statale  non  garantiscono  il
perseguimento  dell'interesse  pubblico  relativo  al   governo   del
territorio e appaiono  irrispettose  delle  prerogative  riconosciute
allo Stato. 
    Il mancato rispetto di dette condizioni,  da  parte  delle  norme
regionali  denunciate,  comporta   pertanto   la   violazione   della
competenza  legislativa  statale  in  materia  «ordinamento   civile»
stabilita dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.  (sent.  n.
114 del 2012 e sent. n. 6 del  2013)  oltre  che  l'inosservanza  dei
principi fondamentali in materia di «governo del territorio» ai sensi
dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
11) L'art. 56, comma 14,  per  violazione  dell'art.  117,  comma  2,
lettera s), della Costituzione. 
    L'art.  56,  comma  14,  della  legge  regionale  censurata,  nel
disciplinare l'adozione e l'approvazione del piano attuativo, prevede
che «il piano attuativo relativo ad interventi nelle zone  sottoposte
al vincolo di cui al decreto legislativo n. 42/2004 e  nelle  aree  o
immobili di cui all'art. 112, comma  1,  e'  adottato  previo  parere
della commissione comunale  per  la  qualita'  architettonica  ed  il
paesaggio. Il comune trasmette alla Soprintendenza  il  parere  della
commissione unitamente agli elaborati del piano  attuativo  adottato,
corredati   del   progetto   delle   opere   di   urbanizzazione    e
infrastrutturali previste, nonche' della  documentazione  di  cui  al
comma 3, dell'art. 146, del decreto legislativo n. 42/2004 relativa a
tali opere. La Soprintendenza esprime il parere di cui  all'art.  146
del decreto legislativo n.  42/2004  esclusivamente  sulle  opere  di
urbanizzazione  e  infrastrutturali,  ai  fini  di  quanto   previsto
all'art. 57, comma 6, fermo restando il parere  di  cui  allo  stesso
art.  146  del  decreto   legislativo   n.   42/2004   da   esprimere
successivamente  sul  progetto  definitivo  dei  singoli   interventi
edilizi. Nel caso di attuazione del procedimento di cui  al  presente
comma i termini relativi al procedimento di adozione  e  approvazione
del piano attuativo sono sospesi. 
    Il parere della Soprintendenza sul piano attuativo  e'  richiesto
«esclusivamente» per le opere di urbanizzazione  e  infrastrutturali,
ai fini dell'autorizzazione paesaggistica, poiche' ai sensi del comma
6 del citato art. 57 «La deliberazione comunale di  approvazione  del
piano  attuativo  costituisce  titolo  abilitativo  e  autorizzazione
paesaggistica per la realizzazione degli allacci  e  delle  opere  di
urbanizzazione previste». 
    La  disposizione  in  esame  esibisce  due  distinti  profili  di
incostituzionalita'. 
    Da un lato, come osservato per gli articoli 15  e  18,  la  norma
regionale non prevede il  procedimento  di  conformazione/adeguamento
dello strumento urbanistico (piano attuativo) al PPR  e,  quindi,  la
partecipazione a  tale  procedimento  degli  organi  ministeriali,  e
valgono al  riguardo  le  argomentazioni  esposte  a  sostegno  delle
censure mosse verso le norme regionali da ultimo citate. 
    Dall'altro lato, l'art. 56, comma 14, della  legge  regionale  in
commento, viola il disposto degli articoli 16 e  28  della  legge  n.
1150 del 1942 (legge  urbanistica),  perche'  di  fatto  abolisce  il
parere preventivo del soprintendente  ivi  previsto  sugli  strumenti
attuativi, confondendo tale istituto (autonomo e distinto nella legge
statale) con l'istituto  dell'autorizzazione  paesaggistica,  di  cui
all'art. 146 del codice dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,  che
riguarda il diverso  momento  provvedimentale,  relativo  al  singolo
intervento, e che si pone «a valle» della pianificazione attuativa. 
    Il parere reso dal soprintendente ex articoli 16 e 28 cit.  della
legge urbanistica n.  1150  del  1942  e'  cosa  diversa  e  autonoma
rispetto al parere vincolante espresso  dallo  stesso  soprintendente
sul   singolo   progetto,   a   livello   provvedimentale   (e    non
pianificatorio) ex art. 146 del  predetto  codice  (sulla  perdurante
vigenza di tali articoli 16 e 28 della legge urbanistica, pur dopo il
codice, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 gennaio 2012, n. 173;  Id.,  1°
ottobre 2008, n. 4726; 5 febbraio 2010,  n.  538,  nonche'  15  marzo
2010, n. 1491). 
    Anche  in  questo  caso,  dunque,  si  evidenzia  la   violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, poiche'
le norme interposte richiamate (articoli 16 e 28 della legge n.  1150
del 1942), pur se contenute nella  legge  urbanistica,  costituiscono
norme di tutela del paesaggio. 
12) L'art. 54, comma  4,  e  l'art.  215,  comma  5,  per  violazione
dell'art. 42 e dell'art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione. 
    L'art. 54 della legge  regionale  censurata,  che  disciplina  il
piano attuativo (del PRG) di iniziativa privata e mista, prevede,  al
comma 4, che per l'esproprio  si  applicano  «le  modalita'  previste
dall'art. 27, comma 5, della  legge  1°  agosto  2002,  n.  166»,  in
materia di Programmi di riabilitazione urbana. Detta norma stabilisce
che «l'indennita' espropriativa, posta a  carico  del  consorzio,  in
deroga all'art. 5-bis del  decreto-legge  11  luglio  1992,  n.  333,
convertito, con modificazioni, dalla legge 8  agosto  1992,  n.  359,
deve corrispondere al valore venale dei  beni  espropriati  diminuito
degli oneri di urbanizzazione stabiliti in convenzione.  L'indennita'
puo' essere corrisposta anche mediante permute  di  altre  proprieta'
immobiliari site nel comune». 
    La  disposizione  censurata,  nel   diminuire   l'indennita'   di
esproprio degli oneri di  urbanizzazione  stabiliti  in  convenzione,
contrasta con gli articoli 42  e  117,  comma  2,  lettera  l)  della
Costituzione. 
    Dopo la sentenza della Corte  costituzionale  n.  348  del  2007,
infatti, il legislatore, con l'art. 2  della  legge  finanziaria  del
2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244), ha previsto  che  l'indennita'
di espropriazione dei suoli edificabili deve  essere  commisurata  al
valore venale  del  bene,  salvi  i  correttivi  di  volta  in  volta
previsti. Per effetto  delle  nuove  disposizioni,  soltanto  qualora
«l'esproprio avvenga nell'ambito di iniziative di rilevante interesse
economico-sociale»,  l'indennita',   pur   restando   agganciata   al
parametro del valore venale del bene, puo' essere ridotta in funzione
del fine di utilita' sociale che la procedura  espropriativa  mira  a
realizzare. 
    In relazione ai  suesposti  principi,  si  espone  a  censura  di
incostituzionalita' la disposizione regionale che  prevede,  ai  fini
della  determinazione  dell'indennita'  di   esproprio   relativa   a
qualsiasi intervento  ablatorio  compiuto  in  esecuzione  dei  piani
attuativi, l'applicazione di una percentuale fissa  di  abbattimento,
richiamando una  disposizione  di  settore  operante  in  materia  di
infrastrutture  e  trasporti,  e  dunque  in  uno  specifico   ambito
coinvolgente  rilevanti  interessi  pubblicistici.  Non  sono  invero
ravvisabili, nell'ipotesi dei piani attuativi disciplinati  dall'art.
54 della legge regionale umbra n. 1 del 2015,  le  finalita'  sociali
che codesta Ecc.ma Corte ha ritenuto  necessarie  per  prevedere  una
decurtazione dell'indennita' di esproprio (sentenza n. 348 del 2007). 
    Analoghe censure sono formulabili con riferimento  all'art.  215,
comma 5, della legge regionale in commento. La norma inserita al capo
II del titolo VII della legge umbra n.  1  del  2015,  dedicato  alle
«Espropriazione per pubblica utilita'» dispone che «nel caso di piani
attuativi di iniziativa privata e mista di cui all'art. 54, commi 3 e
5, si procede a norma dell'art. 27, comma 5 della legge n. 166/2002». 
    In forza del citato art. 215,  comma  5,  in  presenza  di  piani
attuativi di iniziativa privata mista si procede  a  norma  dell'art.
27, comma 5, della legge n.  166/2002,  con  conseguente  riferimento
alla prevista  decurtazione  dell'indennita'  di  espropriazione.  La
previsione regionale, dunque, contrasta con gli articoli  42  e  117,
comma 2,  lettera  l)  della  Costituzione  per  le  ragioni  innanzi
esposte. 
13) Gli articoli 59, comma 3, e 64, comma 1, per violazione dell'art.
117, comma 3, della Costituzione. 
    Gli articoli 59, comma 3 e 64, comma  1,  della  legge  regionale
impugnata contrastano con il principio  fondamentale  in  materia  di
governo  del  territorio  contenuto  all'art.  9  del   decreto   del
Presidente della Repubblica n. 380/2001  e  pertanto  violano  l'art.
117, comma 3, della Costituzione. 
    In particolare, l'art. 59 consente nelle  aree  nelle  quali  non
siano attuate le previsioni  degli  strumenti  urbanistici  generali,
anche  a  mezzo  di  piano  attuativo,  gli  interventi  edilizi   di
manutenzione ordinaria e straordinaria,  di  restauro  e  risanamento
conservativo   nonche'   di   ristrutturazione   edilizia.   Inoltre,
stabilisce che detti interventi possono comportare anche la  modifica
della destinazione d'uso in atto in un edificio esistente, purche' la
nuova  destinazione  risulti  compatibile  con  le  previsioni  dello
strumento urbanistico generale. 
    L'art. 64, al comma 1, prevede una serie  di  interventi  edilizi
che possono essere realizzati nei centri storici in assenza di  piano
attuativo. Vi rientrano la manutenzione  ordinaria,  la  manutenzione
straordinaria,  il  restauro  e  il  risanamento   conservativo,   la
ristrutturazione  edilizia  [che  non  comporti  aumento  della   SUC
(superficie utile coperta) o modifiche della sagoma  e  dell'area  di
sedime  preesistenti],  i  cambiamenti  di  destinazione  d'uso,  gli
interventi relativi  alla  prevenzione  sismica,  gli  interventi  di
recupero dei sottotetti, con incremento dell'altezza dell'edificio  e
finanche l'apertura di finestre, lucernai, abbaini  e  terrazzi,  gli
interventi per le  infrastrutture  viarie,  tecnologiche,  a  rete  o
puntuali, nonche' per l'arredo urbano. 
    Dette disposizioni si pongono in contrasto con l'art. 9, comma 2,
del testo unico dell'edilizia che,  anche  al  fine  di  tutelare  il
territorio, ponendo  limiti  all'attivita'  edilizia  in  assenza  di
pianificazione, individua gli interventi consentiti nel caso  in  cui
non siano stati adottati  gli  strumenti  urbanistici  attuativi.  La
disposizione citata, che deve ritenersi un principio fondamentale  in
materia di «governo del territorio» (tanto che, nella prima parte del
comma 1, si specifica che  le  leggi  regionali  possono  individuare
limiti  piu'  restrittivi),  consente,  in   assenza   di   strumenti
urbanistici attuativi, gli interventi  di  manutenzione  ordinaria  e
straordinaria e di restauro e risanamento conservativo che riguardino
singole unita' immobiliari o parti di esse, nonche' gli interventi di
ristrutturazione edilizia «anche se riguardino globalmente uno o piu'
edifici e  modifichino  fino  al  25  per  cento  delle  destinazioni
preesistenti, purche' il titolare del permesso si impegni,  con  atto
trascritto a favore del comune e a cura e spese  dell'interessato,  a
praticare,  limitatamente   alla   percentuale   mantenuta   ad   uso
residenziale, prezzi di vendita e canoni di locazione concordati  con
il comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione di  cui  alla
sezione II del capo II del presente titolo». 
    Ne deriva, quindi, che la  normativa  statale,  a  differenza  di
quella regionale, limita la possibilita' di  mutare  la  destinazione
d'uso e, in ogni caso, non consente gli interventi  di  recupero  dei
sottotetti, con  incremento  dell'altezza  dell'edificio  e  finanche
l'apertura  di  finestre,  lucernai,  abbaini  e  terrazzi,  ne'  gli
interventi per le  infrastrutture  viarie,  tecnologiche,  a  rete  o
puntuali, nonche' per l'arredo urbano, non  essendo  tali  interventi
riconducibili alle categorie sopra individuate. Di qui la  violazione
dell'art. 117, comma 3,  della  Costituzione  integrata  dalle  norme
regionali censurate. 
14) L'art. 95, comma 4, per  violazione  dell'art.  117,  comma  1  e
dell'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
    L'art. 95, comma 4, prevede che «Gli insediamenti del  PRG  sulle
quali sono formulate nuove previsioni residenziali o l'ampliamento di
quelle esistenti non possono essere localizzate in avvicinamento agli
allevamenti  zootecnici  suinicoli,  avicoli  e  ittiogenici  di  cui
all'art. 93 o attivita' a rischio  di  incidente  rilevante,  situate
all'interno  del  territorio  comunale  di  riferimento  determinando
distanze inferiori a metri lineari 600. La suddetta distanza  non  si
applica per la realizzazione di singoli edifici residenziale». 
    Tale  formulazione,  nello  stabilire  in  modo  aprioristico   e
generalizzato  che   la   localizzazione   dei   nuovi   insediamenti
residenziali abbia una distanza minima di  600  metri  lineari  dalle
attivita' a rischio di incidente rilevante,  si  pone  in  violazione
degli standard uniformi stabiliti a  livello  nazionale  dal  decreto
legislativo  17  agosto  1999,  n.  334,  recante  attuazione   della
direttiva 96/82/CE (Seveso), relativa  al  controllo  dei  rischi  di
incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose. 
    In particolare, l'art. 14 del decreto  legislativo  n.  334/1999,
fissa i criteri in materia di  assetto  del  territorio  e  controllo
dell'urbanizzazione, specificati dal decreto  ministeriale  9  maggio
2001, che a sua volta stabilisce i requisiti minimi di  sicurezza  in
materia di pianificazione urbanistica  e  territoriale  per  le  zone
interessate  da  stabilimenti  a  rischio  di  incidente   rilevante.
All'art. 1, comma 1, il predetto decreto stabilisce infatti che  «per
le zone interessate da stabilimenti soggetti  agli  obblighi  di  cui
agli articoli 6, 7 ed 8 del decreto, siano stabiliti requisiti minimi
di  sicurezza  in  materia  di   pianificazione   territoriale,   con
riferimento alla destinazione ed alla  utilizzazione  dei  suoli,  al
fine di prevenire gli  incidenti  rilevanti  connessi  a  determinate
sostanze pericolose e a limitarne le conseguenze  per  l'uomo  e  per
l'ambiente e in relazione  alla  necessita'  di  mantenere  opportune
distanze di sicurezza tra gli stabilimenti  e  le  zone  residenziali
per: 
    a) insediamenti di stabilimenti nuovi; 
    b) modifiche degli stabilimenti di cui all'art. 10, comma  1  del
decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334  (modifiche  con  aggravio
del rischio); 
    c) nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli  stabilimenti
esistenti quali, ad esempio, vie di comunicazione, luoghi frequentati
dal   pubblico,   zone   residenziali,   qualora    l'ubicazione    o
l'insediamento o l'infrastruttura possano aggravare il rischio  o  le
conseguenze di un incidente rilevante». 
    Il comma 5-bis del medesimo art. 14  dispone  inoltre  che  nelle
zone interessate dagli stabilimenti a rischio di incidente  rilevante
«gli  enti  territoriali  tengono  conto,   nell'elaborazione   degli
strumenti  di  pianificazione  dell'assetto  del  territorio,   della
necessita' di  prevedere  e  mantenere  opportune  distanze  tra  gli
stabilimenti  e  le  zone  residenziali,  gli  edifici  e   le   zone
frequentate dal pubblico, le vie di  trasporto  principali,  le  aree
ricreative  e  le  aree   di   particolare   interesse   naturale   o
particolarmente sensibili dal punto di vista naturale (...)». 
    A tal fine il decreto ministeriale 9 maggio 2001  stabilisce  che
le autorita' responsabili della gestione del  territorio  recepiscono
negli strumenti di regolamentazione  territoriale  ed  urbanistica  e
negli  atti  autorizzativi  dell'attivita'   edilizia,   nelle   aree
interessate dagli effetti degli scenari incidentali  ipotizzabili  in
relazione alla  presenza  di  stabilimenti  a  rischio  di  incidente
rilevante, le informazioni fornite dai gestori sulle aree di danno  e
le   valutazioni   di   compatibilita'   degli   interventi   fornite
dall'autorita' tecnica competente. 
    In particolare, nei casi di cui al predetto art. 14, comma 1, del
decreto legislativo n. 334/1999, la valutazione della  compatibilita'
territoriale ed ambientale degli interventi  edilizi  e'  effettuata,
secondo i  criteri  di  cui  all'allegato  al  decreto  ministeriale,
tramite una zonizzazione delle aree circostanti  gli  stabilimenti  a
rischio di incidente rilevante, che indica le categorie  territoriali
compatibili con le aree di danno derivanti dalle analisi  di  rischio
effettuate (art. 6.1. dell'allegato del decreto ministeriale 9 maggio
2001). 
    Non appare, pertanto, costituzionalmente legittimo il riferimento
regionale ad una fascia minima di  rispetto  di  600  metri  lineari,
fissata in modo aprioristico e generalizzato. 
    Sull'argomento, codesta Ecc.ma Corte, con sentenza n. 248 del  16
luglio 2009, in materia di incidenti rilevanti, ha precisato  che  le
norme  regionali  devono  in  ogni   caso   collocarsi   «nell'ambito
delimitato  dalla  normativa  statale  e,  quindi,  dagli   specifici
requisiti adottati con il decreto ministeriale 9 maggio 2001, nonche'
dei  requisiti  minimi  di  sicurezza   fissati   nell'ambito   della
pianificazione dell'uso del territorio nei comuni ove  sono  presenti
stabilimenti pericolosi, soggetti agli obblighi di cui agli  articoli
6, 7 e 8 del decreto legislativo n. 334 del 1999». 
    Si tratta, come accennato,  di  normativa  che  trova  fondamento
nella disciplina comunitaria recata dalla direttiva 96/82/CE,  ed  in
particolare  nell'art.  12  che  stabilisce  misure  in  materia   di
controllo dell'urbanizzazione (cfr. ora art. 13, dir. 4 luglio  2012,
n. 2012/18/UE). 
    Ponendosi in contrasto con la normativa appena richiamata, l'art.
95, comma 4, della legge regionale  n.  1  del  2015  viola,  dunque,
l'art. 117, comma 1 e 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
15) L'art. 118, comma 1, lettera e), per  violazione  dell'art.  117,
comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 118, comma 1, lettera e) annovera tra  gli  interventi  di
attivita' edilizia libera, eseguibili senza alcun titolo  abilitativo
«le opere interne alle unita' immobiliari, di cui all'art.  7,  comma
1, lettera g)». Trattasi delle opere «concernenti l'eliminazione,  lo
spostamento e la realizzazione di aperture e pareti divisorie interne
che non costituiscano elementi strutturali, sempre che non comportino
aumento del numero delle unita' immobiliari o  implichino  incrementi
degli standard urbanistici, nonche' concernenti la  realizzazione  ed
integrazione di servizi igienicosanitari e tecnologici, da realizzare
nel rispetto delle norme di sicurezza, di quelle igienico  sanitarie,
sul dimensionamento dei vani e sui rapporti aeroilluminanti». 
    Tale previsione contrasta con l'art. 6, comma  2,  lettera  a)  e
comma 4 del testo unico dell'edilizia, che assoggetta a comunicazione
di inizio lavori c.d. «asseverata» «gli  interventi  di  manutenzione
straordinaria di cui all'art. 3, comma 1, lettera  b),  ivi  compresa
l'apertura di porte interne  o  lo  spostamento  di  pareti  interne,
sempre che non riguardino le  parti  strutturali  dell'edificio».  In
proposito, va  ribadito  che  a  giudizio  di  codesta  Ecc.ma  Corte
«rientrano nell'ambito della normativa di  principio  in  materia  di
governo del territorio  le  disposizioni  legislative  riguardanti  i
titoli abilitativi per gli interventi edilizi e, dunque,  a  fortiori
sono  principi  fondamentali  della  materia  le   disposizioni   che
definiscono le categorie di interventi, perche' e' in  conformita'  a
queste ultime che e' disciplinato il regime dei  titoli  abilitativi,
con riguardo al procedimento e agli oneri, nonche' agli abusi e  alle
relative sanzioni, anche penali. L'intero corpus normativo statale in
ambito edilizio e' costruito sulla definizione degli interventi,  con
particolare  riferimento  alla  distinzione   tra   le   ipotesi   di
ristrutturazione   urbanistica,   di   nuova   costruzione    e    di
ristrutturazione edilizia  cosiddetta  pesante,  da  un  lato,  e  le
ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri
interventi, dall'altro. La definizione  delle  diverse  categorie  di
interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato» (sent. n. 309 del 2011
v. anche sentenze  n.  259/2014,  n.  139/2013,  n.  102/2013,  e  n.
303/2003). La  disposizione  regionale  in  commento,  tuttavia,  nel
definire categorie di interventi  sottratte  al  rilascio  di  titoli
abilitativi, si discosta  dai  principi  fondamentali  dettati  dalla
legislazione statale in materia di «governo del territorio». 
    Pertanto, atteso che il regime dei titoli abilitativi costituisce
un principio generale in materia  di  «governo  del  territorio»,  la
disposizione censurata contrasta  con  l'art.  117,  comma  3,  della
Costituzione. 
16) L'art. 118, comma 1, lettera i), per  violazione  dell'art.  117,
comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 118, comma 1, lettera i) della legge  regionale  censurata
annovera tra gli interventi di attivita' edilizia libera,  eseguibili
senza   alcun   titolo   abilitativo   «gli    interventi    relativi
all'istallazione  di  impianti  solari  termici  senza  serbatoio  di
accumulo esterno e fotovoltaici realizzati sugli edifici o  collocati
a terra al servizio degli edifici per l'autoconsumo da realizzare  al
di  fuori  degli  insediamenti  di  cui  all'art.  92   delle   norme
regolamentari titolo II, capo I» ossia al  di  fuori  delle  aree  di
particolare interesse agricolo. La realizzazione di detti  interventi
non e'  subordinata  ad  alcuna  forma  di  comunicazione  preventiva
all'amministrazione comunale, posto che gli interventi assoggettati a
comunicazione sono elencati al successivo comma 2. 
    La disposizione si pone in contrasto con la normativa statale  di
riferimento.  L'art.  6,  comma  2,  del  testo  unico  dell'edilizia
(decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001),  infatti,
prevede che «nel rispetto dei medesimi presupposti di cui al comma 1,
previa comunicazione,  anche  per  via  telematica,  dell'inizio  dei
lavori  da  parte  dell'interessato   all'amministrazione   comunale»
possono essere istallati «i pannelli solari, fotovoltaici, a servizio
di edifici, da realizzare al di fuori della zona A» di cui al decreto
ministeriale n. 1444/1968. Occorre precisare che tale norma e'  stata
cosi' modificata dall'art. 7, comma 3,  del  decreto  legislativo  n.
28/2011  (attuativo  della  direttiva  2009/28/CE  sulla   promozione
dell'energia da fonti rinnovabili), che ha  espunto  dalla  norma  il
riferimento agli  impianti  «termici,  senza  serbatoio  di  accumulo
esterno». Il medesimo art. 7,  al  comma  2,  ha  previsto  che  sono
assoggettati  a  previa  comunicazione  [perche'  riconducibili  agli
interventi di manutenzione ordinaria di  cui  all'art.  6,  comma  2,
lettera a),  del  testo  unico  dell'edilizia],  «gli  interventi  di
istallazione degli impianti solari termici (...),  qualora  ricorrano
congiuntamente  le  seguenti  condizioni:  a)  gli   impianti   siano
realizzati su edifici esistenti o su loro pertinenze, ivi  inclusi  i
rivestimenti delle pareti verticali  esterni  agli  edifici;  b)  gli
impianti siano realizzati al di fuori della zona A» di cui al decreto
ministeriale n. 1444/1968. Anche per  l'istallazione  degli  impianti
solari termici indicati nel comma 1 del medesimo art. 7, si richiede,
attraverso il rinvio all'art. 11, comma  3,  decreto  legislativo  n.
115/2008, una comunicazione preventiva al comune. Inoltre, l'art.  6,
comma 11, del decreto legislativo n. 28/2011 consente alle regioni di
prevedere la comunicazione per  gli  impianti  a  fonte  rinnovabile,
indipendentemente dalla fonte rinnovabile di alimentazione e dal tipo
di energia che producono (elettrica o termica), a condizione che tali
impianti abbiano una potenza non superiore a 50 kw. Infine, l'art. 7,
comma 5, del decreto legislativo n. 28/2011 prevede che gli  impianti
di produzione di energia termica  da  fonti  rinnovabili  diversi  da
quelli indicati nei commi precedenti siano soggetti  a  comunicazione
secondo quanto previsto dall'art. 6 del decreto del Presidente  della
Repubblica n. 380/2001. 
    Con le linee guida per l'autorizzazione degli impianti  da  fonti
rinnovabili approvate con decreto  ministeriale  10  settembre  2010,
par. 11, e' stato specificato che  «La  locuzione  «installazione  di
pannelli solari  fotovoltaici  a  servizio  degli  edifici»,  di  cui
all'art. 6, comma 1, lettera d)  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380 del 2001, e' riferita a quegli  interventi  in  cui
gli  impianti  sono  realizzati  su  edifici  esistenti  o  su   loro
pertinenze ed hanno una capacita' di generazione compatibile  con  il
regime di scambio sul posto» (11.8.) e che  sono  stati  precisati  i
contenuti della comunicazione. In particolare, il par.  11.9  prevede
che «nel caso di interventi di installazione di  impianti  alimentati
da fonti rinnovabili di cui all'art. 6, comma 2, lettere a) e d), del
decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001,  alla
comunicazione ivi prevista si allegano: 
    a) le autorizzazioni eventualmente obbligatorie  ai  sensi  delle
normative di settore; 
    b) limitatamente agli interventi  di  cui  alla  lettera  a)  del
medesimo comma 2,  i  dati  identificativi  dell'impresa  alla  quale
intende affidare la realizzazione dei lavori e una relazione  tecnica
provvista  di  data  certa  e  corredata  degli  opportuni  elaborati
progettuali, a firma di un tecnico abilitato, il  quale  dichiari  di
non avere rapporti di dipendenza con l'impresa ne' con il committente
e che asseveri, sotto la propria responsabilita', che i  lavori  sono
conformi  agli  strumenti  urbanistici  approvati  e  ai  regolamenti
edilizi vigenti e che per essi la normativa statale e  regionale  non
prevede il rilascio di un  titolo  abilitativo  ...».  Infine,  preme
ricordare che in data 18 dicembre  2014,  e'  stato  sottoscritto  in
Conferenza unificata l'accordo  n.  157,  concernente  l'adozione  di
moduli  unificati  e  standardizzati  per  la   presentazione   della
Comunicazione di inizio lavori (CIL) e della Comunicazione di  inizio
lavori asseverata (CILA) per gli  interventi  di  attivita'  edilizia
libera. L'art. 1, comma 2, di detto accordo, peraltro, chiarisce  che
«i moduli unificati e standardizzati costituiscono livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali  che  devono
essere garantiti su tutto il territorio  nazionale  e  assicurano  il
coordinamento  informativo  statistico   e   informatico   dei   dati
dell'amministrazione statale, regionale  e  locale».  Alla  luce  del
quadro normativo statale appena descritto, la disposizione  censurata
appare  viziata  da  illegittimita'  costituzionale   sotto   diversi
profili. In primo luogo perche', non prevedendo la  comunicazione  di
inizio lavori in relazione ad interventi per i quali detto titolo  e'
previsto dalla disciplina  statale,  si  pone  in  contrasto  con  un
principio fondamentale in materia di governo del territorio (art.  6,
comma 2, decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001),  e
dunque viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
    In secondo luogo, la disposizione si pone in contrasto con l'art.
117,  comma  3,  della  Costituzione,  in  riferimento  alla  materia
concorrente «produzione di energia». Come chiarito da codesta  Ecc.ma
Corte, infatti «la normativa del decreto legislativo n.  28/2011  «e'
espressione della competenza statale in materia di  energia,  poiche'
detta  il  regime  abilitativo  per  gli  impianti  non  assoggettati
all'autorizzazione unica, regime da applicarsi su tutto il territorio
nazionale» (sentenza n. 272/2012)» (cosi' nella sentenza n.  11/2014,
punto 5.2 della parte «in diritto»). Le «linee guida» adottate il  10
settembre  2010,  inoltre,  assumono  carattere  vincolante  per   il
legislatore  regionale,  in  quanto  «costituiscono,  in  un   ambito
esclusivamente tecnico,  il  completamento  del  principio  contenuto
nella disposizione legislativa» (cfr. sent. n.  11/2014,  punto  6.1;
nonche' sent. n. 275/2011). 
    La regione, pertanto, non puo' estendere il regime  semplificato,
consistente nella totale  assenza  di  comunicazioni  al  comune,  ad
interventi  per  i  quali  la  legislazione  statale   richiede   una
comunicazione di inizio lavori con particolari caratteristiche. Anche
sotto profilo, dunque, la disposizione regionale censurata  ponendosi
in contrasto con i principi fondamentali della materia «produzione di
energia» viola l'art. 117, terzo comma, Cost. 
17) L'art. 118, comma 2, lettera e), per  violazione  dell'art.  117,
comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 118,  comma  2,  lettera  e)  della  regionale  impugnata,
assoggetta a comunicazione di inizio lavori «le modifiche interne  di
carattere edilizio, compatibili con  le  opere  di  cui  al  presente
articolo, dei fabbricati adibiti ad esercizio  d'impresa,  ovvero  la
modifica della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio  di
impresa, con l'esclusione della destinazione residenziale». 
    Tale disposizione si pone in contrasto con  l'art.  6,  comma  2,
lettera e)-bis e comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica
n. 380/2001, e dunque viola l'art. 117, comma 3,  della  Costituzione
(in riferimento alla materia del «governo del territorio»). 
    Le disposizioni statali appena richiamate, infatti, prevedono che
siano assoggettati a comunicazione di inizio  lavori  asseverata  «le
modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta  dei
fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa, sempre che non  riguardino
le parti strutturali, ovvero le modifiche  della  destinazione  d'uso
dei locali adibiti ad  esercizio  d'impresa».  Qualora  le  modifiche
riguardano  parti  strutturali,  dunque,  e'  necessario  il   titolo
abilitativo  della   SCIA   (Segnalazione   certificata   di   inizio
attivita'),  non  essendo  sufficiente  la  comunicazione  di  inizio
lavori, ancorche' asseverata. 
    Valgono al riguardo i rilievi sopra  esposti  con  riguardo  alla
riconducibilita' nell'ambito della normativa di principio in  materia
di governo del territorio delle disposizioni legislative  riguardanti
i titoli abilitativi per gli interventi edilizi,  nonche'  di  quelle
che definiscono le categorie di interventi (sent. n. 309 del 2011  v.
anche sentenze n. 259/2014, n. 139/2013, n. 102/2013, e n. 303/2003). 
    La  disposizione  regionale  in  esame,  nel  sottoporre   alcune
modifiche interne di carattere edilizio  dei  fabbricati  adibiti  ad
esercizio d'impresa nonche' la modifica della destinazione d'uso  dei
locali adibiti ad esercizio di impresa alla mera a  comunicazione  di
inizio lavori, si discosta dai principi  fondamentali  dettati  dalla
legislazione statale in materia di «governo del territorio»  violando
cosi' l'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
18) L'art. 118, comma 3, lettera e) e 140, comma 12,  per  violazione
dell'art. 117, comma 2, lettera m) nonche' degli articoli 3, 97 e 117
comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 118, comma 3, lettera e) della legge regionale per cui  e'
causa include tra i contenuti della comunicazione  di  inizio  lavori
«una  relazione   tecnica   corredata   degli   opportuni   elaborati
progettuali, a firma di un tecnico abilitato il quale assevera, sotto
la propria responsabilita', il rispetto delle norme di sicurezza,  di
quelle igienico-sanitarie sul dimensionamento dei vani e sui rapporti
aeroilluminanti, il rispetto delle  norme  in  materia  di  dotazioni
territoriali  e  funzionali  minime,  nonche'  per  gli  aspetti   di
compatibilita' previsti dall'art. 127». 
    Tale norma contrasta con l'art.  6,  comma  4,  del  testo  unico
dell'edilizia, come modificato dal decreto-legge  n.  133  del  2014,
secondo cui «... l'interessato trasmette all'amministrazione comunale
l'elaborato progettuale e  la  comunicazione  di  inizio  dei  lavori
asseverata da un  tecnico  abilitato,  il  quale  attesta,  sotto  la
propria responsabilita', che i lavori sono  conformi  agli  strumenti
urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti,  nonche'  che
sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul
rendimento energetico nell'edilizia e che non  vi  e'  interessamento
delle parti strutturali  dell'edificio;  la  comunicazione  contiene,
altresi', i dati identificativi dell'impresa alla  quale  si  intende
affidare la realizzazione dei lavori».  Le  modifiche  apportate  nel
2014  al  suddetto  art.  6  hanno  eliminato,   con   finalita'   di
semplificazione,  l'obbligo  di  presentare  la  relazione   tecnica,
limitando gli oneri amministrativi per il privato alla  presentazione
degli elaborati progettuali. 
    La norma  regionale,  dunque,  nella  parte  in  cui  continua  a
prevedere l'obbligo di presentare la relazione tecnica, viola  l'art.
117, comma 2, lettera m), in riferimento ai livelli essenziali  delle
prestazioni, cui vanno  ricondotte  le  disposizioni  in  materia  di
semplificazione  degli  oneri  amministrativi.   Questa   misura   di
semplificazione, infatti, e' finalizzata a ridurre gli oneri a carico
dell'interessato nella  presentazione  della  comunicazione  e,  deve
ritenersi, deve essere applicata uniformemente su tutto il territorio
nazionale (con specifico riferimento alla disciplina della SCIA  cfr.
sent. n. 164/2012, punti 8-9). 
    In via consequenziale, e' da ritenersi illegittimo  anche  l'art.
140, comma  12,  della  legge  umbra  n.  1  del  2015  che  sanziona
l'inosservanza dell'obbligo di presentare la  relazione  tecnica  con
una sanzione pecuniaria di mille euro. 
    Tale ultima disposizione e' da ritenersi illegittima anche  nella
parte in cui, ponendosi in contrasto  con  l'art.  6,  comma  7,  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, non prevede  che
la sanzione per omessa comunicazione di inizio lavori sia ridotta  di
due terzi quando presentata spontaneamente  prima  della  conclusione
dei lavori. La  decurtazione  della  sanzione  prevista  dalla  norma
statale  da  ultimo  richiamata   e'   finalizzata   ad   incentivare
l'adempimento spontaneo  dell'obbligo  di  comunicazione  al  comune,
anche se tardiva. L'aver soppresso questa misura  premiale,  oltre  a
contrastare con i principi di uguaglianza e  buon  andamento  di  cui
agli  articoli  3  e  97  della  Costituzione,  non   garantisce   il
raggiungimento degli obiettivi previsti dall'art. 6 del  testo  unico
dell'edilizia e quindi viola un principio fondamentale in materia  di
«governo del territorio» integrando  il  contrasto  con  l'art.  117,
comma 3, della Costituzione. 
19)  L'art.  124,  per  violazione  dell'art.  117,  comma  3,  della
Costituzione. 
    L'art. 124, della legge regionale  censurata  che  individua  gli
interventi realizzabili mediante «SCIA obbligatoria»,  contrasta  con
l'art. 22 del decreto del Presidente della Repubblica n.  380/2001  e
quindi viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
    La  norma  statale,  infatti,  al  comma  3,  prevede   che   «in
alternativa al  permesso  di  costruire,  possono  essere  realizzati
mediante  denuncia  di  inizio  attivita':  a)  gli   interventi   di
ristrutturazione di cui all'art. 10, comma  1,  lettera  c);  b)  gli
interventi di nuova costruzione  o  di  ristrutturazione  urbanistica
qualora siano disciplinati da piani  attuativi  comunque  denominati,
ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano  attuativo,
che contengano precise disposizioni plano-volumetriche,  tipologiche,
formali e costruttive, la cui sussistenza  sia  stata  esplicitamente
dichiarata dal competente organo comunale  in  sede  di  approvazione
degli stessi piani o di ricognizione di  quelli  vigenti;  qualora  i
piani attuativi  risultino  approvati  anteriormente  all'entrata  in
vigore della legge 21 dicembre 2001, n.  443,  il  relativo  atto  di
ricognizione deve avvenire entro trenta giorni dalla richiesta  degli
interessati; in mancanza  si  prescinde  dall'atto  di  ricognizione,
purche' il progetto di costruzione  venga  accompagnato  da  apposita
relazione tecnica nella quale venga asseverata l'esistenza  di  piani
attuativi con le caratteristiche sopra menzionate; c) gli  interventi
di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti
urbanistici      generali      recanti      precise      disposizioni
plano-volumetriche». Al comma  5  precisa  che  «le  regioni  possono
individuare con legge gli altri interventi  soggetti  a  denuncia  di
inizio attivita', diversi da quelli di cui al comma  3,  assoggettati
al contributo di costruzione definendo criteri  e  parametri  per  la
relativa determinazione» e, infine, al  comma  7  chiarisce  che  «e'
comunque salva la facolta' dell'interessato di chiedere  il  rilascio
di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi di cui
ai commi 1 e  2,  senza  obbligo  del  pagamento  del  contributo  di
costruzione di cui all'art. 16, salvo  quanto  previsto  dal  secondo
periodo del comma 5 ...». 
    La  norma  regionale   censurata   contrasta   con   i   principi
fondamentali in materia di «governo del territorio»  contenuti  nelle
disposizioni statali appena riportate sotto  diversi  profili,  anche
alla luce dei rilievi sopra illustrati  trattandosi  di  disposizioni
legislative riguardanti  i  titoli  abilitativi  per  gli  interventi
edilizi. 
    In  primo  luogo,  la  previsione  regionale  estende  il  modulo
procedimentale della SCIA ad interventi  che,  invece,  la  normativa
statale ha assoggettato a denuncia di inizio attivita', per  evidenti
finalita' di tutela del territorio (trattandosi  di  interventi  piu'
gravosi, infatti, non e' stato ritenuto opportuno consentire  l'avvio
dei  lavori  contestualmente  alla  presentazione  dell'istanza).  In
secondo luogo, perche' configura  questa  SCIA  come  «obbligatoria»,
mentre sia il comma 3 che il comma 7  dell'art.  22  fanno  salva  la
possibilita'  dell'interessato  di  optare   per   il   provvedimento
espresso, rinunciando al modulo procedimentale semplificato.  Di  qui
il contrasto dalla norma regionale in esame con l'art. 117, comma  3,
della Costituzione. 
    19.1) L'art. 124, comma 1, lettera g), per  violazione  dell'art.
117, comma 2, lettera s), della Costituzione. 
    L'art. 124, comma 1, lettera g), della legge regionale n.  1  del
2015 nella parte 
    in cui assoggetta a SCIA la realizzazione di pozzi adibiti ad uso
non domestico, contrasta con la  disciplina  vigente  in  materia  di
realizzazione di progetti concernenti opere  idrauliche,  nonche'  in
materia di derivazione e utilizzazione delle acque pubbliche. 
    Dal combinato disposto degli  articoli  93,  comma  1  (al  quale
rinvia l'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 152/2006),  e  95,
comma 1, regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 «testo  unico  delle
disposizioni di' legge sulle acque e impianti elettrici» infatti,  si
evince che, mentre per i pozzi ad uso domestico il proprietario di un
fondo puo' estrarre ed utilizzare liberamente - nei limiti e  con  le
cautele prescritte dalla legge - le acque  sotterranee  del  medesimo
fondo (l'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 152/2006  richiede
che «L'utilizzazione delle acque sotterranee per  gli  usi  domestici
... non comprometta l'equilibrio del bilancio idrico di cui  all'art.
145 del presente decreto»); lo scavo dei pozzi ad uso non  domestico,
nelle aree sottoposte a tutela, e' sottoposto ad  autorizzazione,  la
cui domanda va corredata con il piano di massima  dell'estrazione  ed
con l'indicazione dell'utilizzazione prevista. 
    L'art. 162, comma 2, decreto legislativo  n.  152/2006,  inoltre,
prevede che «il Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio
e del mare, le regioni e  le  province  autonome,  nell'ambito  delle
rispettive  competenze,  assicurano  la  pubblicita'   dei   progetti
concernenti opere idrauliche che comportano (...) la perforazione  di
pozzi.  A  tal  fine,  le  amministrazioni   competenti   curano   la
pubblicazione delle domande di concessione, contestualmente all'avvio
del procedimento, oltre che nelle  forme  previste  dall'art.  7  del
testo unico delle disposizioni di legge sulle  acque  sugli  impianti
elettrici, approvato con regio decreto  11  dicembre  1933,  n.  1775
(...)». 
    Pertanto, assoggettare la realizzazione di pozzi adibiti  ad  uso
non domestico al regime  di  SCIA,  senza  far  salvi  i  comprensori
sottoposti a tutela, costituisce violazione delle competenze  statali
in  materia  di  tutela  e  salvaguardia   delle   risorse   idriche,
riconducibili alla materia di cui all'art. 117, comma 2, lettera  s),
Cost. 
    Inoltre,  tale  disposizione  regionale,  prevedendo  che   siano
assoggettati a SCIA i pozzi non domestici in  via  generale  e  senza
altre specificazioni,  rappresenta  una  illegittima  esclusione  dal
campo di applicazione della disciplina in materia di VIA. 
    L'art. 20, decreto legislativo n. 152/2006, sottopone a  verifica
di assoggettabilita' a  VIA  i  progetti  di  «derivazione  di  acque
superficiali ed opere connesse che prevedano derivazioni superiori  a
200 litri al secondo o di acque sotterranee che prevedano derivazioni
superiori a 50 litri al secondo, nonche' le trivellazioni finalizzate
alla ricerca per derivazioni di  acque  sotterranee  superiori  a  50
litri al secondo;» (allegato  IV  alla  parte  seconda  del  medesimo
decreto, punto 7, lettera d). 
    Alla luce delle precedenti considerazioni, l'art. 124,  comma  1,
lettera g) della legge regionale in  discorso,  nella  parte  in  cui
estende illegittimamente alla procedura di SCIA  anche  i  pozzi  non
domestici,  invade  la  potesta'  legislativa  esclusiva  statale  in
materia   di   tutela   dell'ambiente,   presentando    profili    di
illegittimita'  costituzionale  in  relazione  all'art.  117,   comma
secondo, lettera s) della Costituzione, per  violazione  delle  norme
interposte di cui  agli  articoli  93  e  95  del  regio  decreto  n.
1775/1933 e  dell'art.  162  del  decreto  legislativo  n.  152/2006,
nonche' delle su richiamate norme statali in materia di VIA. 
20) L'art. 140, comma 11, per violazione  dell'art.  117,  comma  2),
lettera e) della Costituzione. 
    L'art. 140, comma  11,  della  legge  regionale  n.  1  del  2015
contrasta con l'art. 117, comma 2), lettera e) della Costituzione (in
riferimento alla materia della  «tutela  della  concorrenza»),  nella
parte  in  cui  prevede  una  causa  di  esclusione   rispetto   alla
partecipazione a gare, per  un  periodo  determinato  di  tempo  e  a
seguito dell'iscrizione  dell'impresa  inadempiente  in  un  apposito
elenco. 
    Tale  previsione,  non  contemplata  nell'art.  38  del   decreto
legislativo n. 163/2006, infatti, e' incompatibile con  la  tipicita'
delle  cause  di  esclusione,  ai  sensi  dell'art.  46  del  decreto
legislativo n. 163/2006. La giurisprudenza  amministrativa  ha  avuto
piu'  volte  modo  di  affermare  che  la  verifica  in  merito  alle
dichiarazioni sulla regolarita' contributiva rientra nei poteri della
stazione appaltante, riconosciuti come  compatibili  dalla  Corte  di
giustizia  europea,  e  non  ha  quindi   carattere   di   esclusione
automatica. Essa deve essere dunque effettuata con  riferimento  alla
singola gara, e a seguito di una verifica in concreto, che  non  puo'
estendersi a ulteriori gare in  un  periodo  di  tempo  astrattamente
determinato. 
    Va soggiunto,  al  riguardo,  che  la  disciplina  degli  appalti
pubblici, intesa in senso complessivo,  include  diversi  «ambiti  di
legislazione», con conseguente interferenza fra materie di competenza
statale  e  materie  di  competenza  regionale;   interferenza   che,
tuttavia,  si  atteggia  in   modo   peculiare,   non   realizzandosi
normalmente in un intreccio in senso stretto, ma  con  la  prevalenza
della disciplina statale su ogni altra fonte normativa  in  relazione
agli  oggetti  riconducibili  alla  competenza   esclusiva   statale,
esercitata con le norme recate dal decreto  legislativo  n.  163  del
2006 (sent. n. 411 del 2008). Le norme  relative  alle  procedure  di
gara (ivi incluse  che  prevedono  cause  di  esclusione  dalla  gara
stessa) ed all'esecuzione del  rapporto  contrattuale  costituiscono,
dunque, oggetto delle disposizioni del  codice  dei  contratti,  alle
quali il legislatore regionale deve adeguarsi. 
    La disposizione censurata, pertanto, lede la competenza esclusiva
dello Stato in  materia  di  tutela  della  concorrenza,  in  quanto,
esorbitando  dai  limiti  della   potesta'   legislativa   regionale,
introduce di ulteriori cause di esclusione dalle gare nell'ipotesi in
cui  risulti  iscritta  in  un  apposito  elenco  l'impresa  ritenuta
inadempiente ai sensi del comma 10 del citato art. 140. 
21) L'art. 141, comma 2, per violazione dell'art. 117, comma 3, della
Costituzione. 
    L'art. 141, comma 2, che disciplina la  vigilanza  sull'attivita'
urbanistico-edilizia, si pone in contrasto con l'art.  27,  comma  2,
del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001   (che
individua i poteri d'intervento del dirigente o del responsabile  del
competente ufficio comunale per l'adozione delle misure di  vigilanza
nella realizzazione di opere in assenza di titolo), e quindi  con  un
principio fondamentale in materia di governo del territorio ai  sensi
dell'art.  117,  comma  3,  della  Costituzione,  sotto  due  diversi
profili. 
    In primo luogo,  la  prima  parte  del  comma  2  dell'art.  141,
nell'individuare  il  presupposto  dell'adozione  delle   misure   di
vigilanza nella realizzazione di opere in assenza di titolo «su  aree
assoggettate,  da  leggi   statali,   regionali,   da   altre   norme
urbanistiche vigenti a  vincolo  di  inedificabilita',  o  a  vincoli
preordinati all'esproprio ...», omette di prevedere la vigilanza  sui
vincoli posti da norme urbanistiche adottate, ma non ancora  vigenti.
In questo modo, si comprime arbitrariamente l'ambito della  vigilanza
individuato  dalle  disposizioni  statali  a  tutela   di   strumenti
urbanistici che sono ancora in corso di formazione. 
    Sotto un diverso profilo, la disposizione regionale, a differenza
di  quella  statale,  subordina  l'adozione  del   provvedimento   di
demolizione  e  ripristino  dello  stato  dei  luoghi  in   caso   di
accertamento dell'abuso, ad un procedimento amministrativo  complesso
che viene avviato con  l'ordine  di  sospensione  dei  lavori  e  che
prevede   la   partecipazione   dell'interessato   e   delle    altre
amministrazioni eventualmente coinvolte. Soltanto  qualora  le  opere
interessino  beni  assoggettati  a  vincolo   il   provvedimento   di
demolizione viene subito disposto. Tale disposizione contrasta con un
principio  fondamentale  in  materia  di  «governo  del   territorio»
contenuto  nella  legislazione  statale,  al  citato   art.   27,   e
finalizzato  alla  massima  repressione  degli  abusi   edilizi.   Il
procedimento  amministrativo  contemplato   dalla   norma   regionale
sospettata frustra, per la sua complessita', le finalita'  perseguite
dal testo unico  dell'edilizia  e  finisce,  cosi',  per  violare  il
disposto dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
22) L'art. 142, comma 1,  per  violazione  dell'art.  117,  comma  2,
lettera l) dell'art. 117, comma 3 della Costituzione. 
    L'art.  142,  comma  1,  della  legge  regionale  impugnata,  nel
disciplinare  la  vigilanza  sulla  attivita'   urbanistico-edilizia,
individuando i soggetti responsabili, contrasta  con  l'art.  29  del
testo unico dell'edilizia di cui  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380/2001, e quindi viola l'art. 117, comma  2,  lettera
l) Cost. (con riferimento alla materia «ordinamento penale»), nonche'
l'art. 117, comma 3 Cost. (in riferimento alla materia  del  «governo
del territorio»), nei limiti e per i motivi di seguito indicati. 
    La norma censurata  inserisce  il  proprietario  tra  i  soggetti
responsabili, diversamente da quanto previsto dall'art. 29 del  testo
unico dell'edilizia, che non contempla il proprietario tra i soggetti
tenuti  a  garantire  la  conformita'  delle  opere  alla   normativa
urbanistica e alle previsioni di piano, sulla base del principio  per
cui il proprietario, non autore dell'abuso e  non  committente  delle
opere, puo' ritenersi corresponsabile  soltanto  ove  emerga  un  suo
coinvolgimento  doloso  o  colposo  nella  realizzazione   dell'abuso
edilizio stesso; sono invece soggetti responsabili  il  titolare  del
permesso di costruire, il committente e il  costruttore,  nonche'  il
direttore dei lavori, limitatamente al rispetto per le opere  da  lui
dirette delle prescrizioni e delle modalita'  esecutive  fissate  dal
permesso di costruire. 
    La norma regionale denunciata, nell'individuare  il  proprietario
tra i soggetti  responsabili  «della  conformita'  delle  opere  alla
normativa urbanistica ed edilizia ed alle previsioni degli  strumenti
urbanistici e dei piani di settore, nonche', unitamente al  direttore
dei  lavori,  a  quelle  del  titolo  abilitativo  e  alle  modalita'
esecutive  o  prescrizioni  stabilite   dal   medesimo»,   viola   le
disposizioni della Costituzione sopra indicate. 
23) Gli articoli 147 e 155 e 118, comma 2, lettera h), per violazione
dell'art. 117, comma 3, nonche' dell'art. 117, comma 2, lettera l)  e
dell'art. 3 della Costituzione. 
    Gli  articoli  147  e  155  della   legge   regionale   censurata
disciplinano i mutamenti di destinazione d'uso. 
    Il combinato disposto  dell'art.  118,  comma  2,  lettera  h)  e
dell'art. 155, comma 4, considera  il  mutamento  della  destinazione
d'uso nell'ambito delle tre categorie elencate al comma  3  dell'art.
155 [a) residenziale; b) produttiva (compresa  quella  agricola);  c)
attivita' di servizi come definita all'art. 7, 
    comma 1, lettera l)] come attivita' edilizia  libera  soggetta  a
comunicazione di inizio lavori asseverata.  Al  di  fuori  di  queste
ipotesi, il titolo richiesto dal comma 4 dell'art. 155  e'  «la  SCIA
nel caso di modifica della destinazione d'uso o per la  realizzazione
di attivita' agrituristiche o  di  attivita'  connesse  all'attivita'
agricola, realizzate senza opere  edilizie  o  nel  caso  in  cui  la
modifica sia contestuale alle opere di cui  all'art.  118,  comma  1»
(lettera a), ovvero «il permesso di costruire o la SCIA, in relazione
all'intervento edilizio da effettuare con opere, al quale e' connessa
la modifica della destinazione d'uso» (lettera b). 
    Il comma 5 dell'art. 155 prevede che non costituisce modifica  di
destinazione  d'uso  «la   realizzazione   di   attivita'   di   tipo
agrituristico, o di attivita' connesse all'attivita'  agricola  o  le
attivita' di vendita al dettaglio dei prodotti dell'impresa  agricola
in zona agricola, attraverso il recupero di edifici esistenti» e  che
«i relativi interventi sono soggetti al titolo  abilitativo  previsto
per l'intervento edilizio al quale e' connessa tale realizzazione». 
    Le disposizioni appena richiamate contrastano  con  la  normativa
statale di riferimento,  che,  da  un  lato,  assoggetta  a  SCIA  il
mutamento di destinazione  d'uso  ad  di  fuori  dei  centri  storici
(combinato disposto degli  articoli  6,  10  e  22  del  testo  unico
dell'edilizia), dall'altro individua in modo piu' ampio la  categoria
dei mutamenti di destinazioni d'uso urbanisticamente rilevanti. 
    L'art. 23-ter del testo unico dell'edilizia,  introdotto  con  il
decreto-legge n. 133/2014, infatti, prevede cinque diverse  categorie
funzionali, stabilendo  che  il  passaggio  tra  le  varie  categorie
costituisce  mutamento   di   destinazione   d'uso   urbanisticamente
rilevante. 
    La categoria contemplata dall'art. 155, lettera c),  della  legge
regionale  e'  troppo  ampia  (vi  rientrano  attivita'  a  carattere
socio-santiario,  direzionale,  commerciali,   di   somministrazione,
turistico-produttive, ricreative, sportive e culturali) ed e' atta ad
includere piu' categorie statali, in contrasto con l'art. 23-ter, che
riconduce  a  tre  categorie  diverse  (turistiche-ricettive,  quelle
produttive e direzionali, quelle commerciali)  le  attivita'  che  la
legge umbra racchiude alla predetta lettera c). 
    La differenza nella definizione  del  mutamento  di  destinazione
d'uso urbanisticamente rilevante e nel titolo  abilitativo  richiesto
incide quindi sul regime sanzionatorio previsto dalla legge statale e
da quella regionale. 
    L'art. 147 della legge  regionale  stabilisce,  al  comma  1,  le
sanzioni comminate  in  caso  di  mutamenti  in  assenza  del  titolo
abilitativo previsto dall'art. 155, comma 4.  Le  sanzioni  vanno  da
euro trecento a euro tremila, in rapporto alla superficie interessata
dall'abuso, nel caso  in  cui  il  mutamento  di  destinazione  d'uso
risulti conforme alle norme urbanistiche ed edilizie (lettera a).  In
questo caso, il comma 2 prevede che «contestualmente all'applicazione
della sanzione ... il dirigente  o  il  responsabile  del  competente
ufficio comunale  dispone  sempre  il  pagamento  del  contributo  di
costruzione di cui agli articoli 130, 131 e 132 ... valido  anche  ai
fini dell'eventuale accertamento di conformita'  ai  sensi  dell'art.
154, comma 4 ...  In  caso  di  mancata  ottemperanza  da  parte  dei
responsabili dell'abuso nei  termini  stabiliti  il  dirigente  o  il
responsabile del competente ufficio comunale  dispone  il  ripristino
dello stato preesistente». 
    Nel caso in cui il mutamento della destinazione d'uso non risulti
conforme alle norme urbanistiche ed edilizie (lettera b), invece,  le
sanzioni sono le seguenti: «1) euro cinquanta per ogni  metro  quadro
di superficie utile di calpestio per gli  immobili  con  destinazione
finale residenziale, ridotta ad euro venti a  metro  quadro  per  gli
immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario;  2)  euro
cento a metro  quadro  di  superficie  utile  di  calpestio  per  gli
immobili  con  utilizzazione  finale  commerciale,   direzionale,   o
servizi; 3) euro cinquanta per ogni metro quadro di superficie  utile
di calpestio per gli immobili con utilizzazione  finale  industriale,
artigianale  o  agricola».  In  questo  caso,  il  dirigente   o   il
responsabile del competente ufficio comunale ordina,  contestualmente
alla irrogazione della  sanzione,  la  cessazione  dell'utilizzazione
abusiva dell'immobile, assegnando un termine non inferiore  a  trenta
giorni e non superiore a novanta giorni decorso il quale si  provvede
d'ufficio in danno dei responsabili dell'abuso. 
    Il comma 4, infine, dispone che la sanzione di  cui  al  presente
articolo, nel caso in cui il  mutamento  di  destinazione  d'uso  sia
effettuato con gli interventi abusivi di cui agli articoli 144, 145 e
146, si cumula con le sanzioni pecuniarie previste da detti articoli. 
    La disciplina regionale  appena  descritta  si  pone  sotto  piu'
profili in contrasto con  i  principi  fondamentali  di  governo  del
territorio dettati dallo Stato in attuazione dell'art. 117, comma  3,
della Costituzione. Inoltre, incide sull'ambito di applicazione delle
sanzioni amministrative, civili e penali  previste  dal  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001,  invadendo  la  potesta'
legislativa statale in materia di ordinamento civile e  penale  (art.
117, comma 2,  lettera  l),  e  in  contrasto  con  il  principio  di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    Nel dettaglio: 
    laddove le norme statali richiedono il permesso di costruire o la
DIA alternativa per il mutamento della destinazione d'uso  [art.  10,
comma 1, lettera c)  del  testo  unico  dell'edilizia,  mutamento  di
destinazione  d'uso  nei  centri  storici],  la  normativa  regionale
contrasta con gli articoli 33, 36 e 44 del testo unico; 
    laddove le norme statali subordinano il mutamento di destinazione
d'uso a SCIA, invece, contrasta con l'art. 37 del testo unico. 
24) L'art. 151, comma 2 e comma  4,  per  violazione  dell'art.  117,
comma 2, lettera e) della Costituzione. 
    L'art. 151, comma 2, della legge impugnata prevede che  i  lavori
di demolizione di opere abusive svolti a cura del comune «laddove non
eseguibili direttamente dal comune o dalla provincia, sono  affidati,
anche a trattativa  privata  ove  ne  sussistano  i  presupposti,  ad
imprese tecnicamente e finanziariamente idonee». 
    Tale disposizione si pone in contrasto con gli articoli 56  e  57
del Codice degli appalti di cui al decreto legislativo  n.  163/2006,
che impongono il ricorso a procedure negoziali aperte, salvo  che  in
casi limitati dettagliatamente individuati dagli stessi articoli.  La
norma regionale, a differenza della previsione statale, si  limita  a
prevedere che il ricorso a procedure negoziali  aperte  «e'  in  ogni
caso ammesso»  (comma  4).  Dunque,  questo  strumento,  che  per  il
legislatore statale e' la regola generale, sembra diventare residuale
nella normativa regionale, con potenziali effetti anticoncorrenziali. 
    Pertanto, la disposizione impugnata  contrasta  con  l'art.  117,
comma 2, lettera e) della Costituzione (in riferimento  alla  materia
della «tutela della concorrenza»), anche per i profili accennati  sub
20). 
25) L'art. 154, comma 1 e comma  3,  per  violazione  dell'art.  117,
comma 3, e dell'art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione. 
    L'art. 154, comma 1, della legge regionale in esame  prevede  che
«In  caso  di  interventi  realizzati  in  assenza  di  permesso   di
costruire, con variazioni essenziali o in difformita' da esso, ovvero
in assenza di SCIA o in difformita' da essa, fino alla  scadenza  dei
termini di cui agli articoli 143, comma 3, 144, comma 1,  145,  comma
1, 146, comma  1  e  comunque  fino  all'irrogazione  delle  sanzioni
amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale  proprietario
dell'immobile, possono ottenere il titolo a sanatoria se l'intervento
risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, sia
al momento della realizzazione dello stesso,  sia  al  momento  della
presentazione della domanda e non  in  contrasto  con  gli  strumenti
urbanistici adottati. Ai fini di cui al presente comma e'  consentito
l'adeguamento di eventuali piani attuativi, purche' tale  adeguamento
risulti conforme allo strumento urbanistico generale vigente e non in
contrasto con quello adottato. Per le violazioni di cui all'art.  147
il titolo abilitativo  a  sanatoria  e'  rilasciato  se  l'intervento
risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia  vigente  al
momento della presentazione della domanda». 
    I presupposti previsti da tale disposizione per l'accertamento in
conformita' - e conseguentemente per  il  rilascio  del  permesso  in
sanatoria - non rispettano il principio fondamentale  in  materia  di
«governo del territorio» previsto agli articoli 36 e 37, comma 4, del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, che  subordinano
il rilascio del titolo in sanatoria alla conformita'  degli  immobili
alla  disciplina   urbanistica   vigente   sia   al   momento   della
realizzazione dell'intervento, sia  al  momento  della  presentazione
dell'istanza  (c.d.  «doppia  conformita'»,  sul   punto   sent.   n.
101/2013). 
    In particolare, la norma non e' conforme al richiamato  principio
nella parte in  cui  stabilisce  «l'adeguamento  di  eventuali  piani
attuativi, purche' tale adeguamento risulti conforme  allo  strumento
urbanistico generale vigente e non in contrasto con quello  adottato»
e nella parte in cui esclude la doppia conformita' per le  violazioni
di cui all'art. 147 (mutamento di destinazione d'uso  in  assenza  di
titolo abilitativo). 
    La disposizione censurata,  dunque,  contrasta  con  l'art.  117,
comma 3,  della  Costituzione  e  con  l'art.  117,  comma  2,  della
Costituzione, in riferimento alla materia «ordinamento penale». 
    Inoltre, contrasta con i  principi  fondamentali  in  materia  di
«governo del territorio» il comma 3 del medesimo art. 154,  che,  nel
richiamare le procedure previste dall'art. 123  per  il  permesso  in
sanatoria, estende anche  a  questa  fattispecie  l'applicazione  del
silenzio assenso, in espresso contrasto con l'art. 36, comma  3,  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, secondo  cui
«sulla  richiesta  di  permesso  in  sanatoria  il  dirigente  o   il
responsabile  del  competente  ufficio  comunale  si  pronuncia   con
adeguata motivazione,  entro  sessanta  giorni  decorsi  i  quali  la
richiesta si intende rifiutata». 
    Si richiamano, anche sul  punto,  i  rilievi  sopra  esposti  con
riguardo  alla  riconducibilita'  nell'ambito  della   normativa   di
principio in materia di governo  del  territorio  delle  disposizioni
legislative riguardanti  i  titoli  abilitativi  per  gli  interventi
edilizi (sent. n. 309 del 2011 v.  anche  sentenze  n.  259/2014,  n.
139/2013, n. 102/2013, e n. 303/2003). 
26) L'art. 206, comma 1, per violazione dell'art. 117, comma 3, della
Costituzione. 
    L'art. 206, comma 1, della legge regionale umbra n. 1  del  2015,
nella parte in cui prevede che «per i lavori  di  cui  all'art.  201,
comma 1 , nelle zone 1, 2 e 3 ad alta, media e bassa  sismicita',  il
deposito del certificato di collaudo statico tiene  luogo  anche  del
certificato di rispondenza dell'opera  alle  norme  tecniche  per  le
costruzioni previsto all'art. 62 del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380/2001. Negli interventi in  cui  il  certificato  di
collaudo non e' richiesto, la rispondenza e' attestata dal  direttore
dei lavori che provvede al  relativo  deposito  presso  la  provincia
competente», contrasta con l'art. 62 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 380/2001, secondo cui «il rilascio della licenza  d'uso
per gli edifici costruiti in cemento  armato  e  dei  certificati  di
agibilita' da parte dei comuni e' condizionato all'esibizione  di  un
certificato da rilasciarsi dall'ufficio tecnico  della  regione,  che
attesti la perfetta rispondenza dell'opera eseguita  alle  norme  del
capo quarto». 
    La disposizione regionale, dunque, prevede che per tutti i lavori
di nuova costruzione, di ampliamento e di sopraelevazione e i  lavori
di manutenzione straordinaria,  di  restauro,  di  risanamento  e  di
ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente che  compromettono
la sicurezza statica della costruzione o riguardano  le  strutture  o
alterano l'entita' e/o la distribuzione dei carichi, effettuati nelle
zone  ad  alta,  media  e  bassa  sismicita',  sia   sufficiente   il
certificato di collaudo statico o una attestazione del direttore  dei
lavori. 
    La previsione contenuta all'art. 62 del  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  n.  380/2001,  che  richiede   il   rilascio   del
certificato di rispondenza dell'opera  alle  norme  tecniche  per  le
costruzioni, essendo  finalizzata  a  garantire  la  sicurezza  delle
costruzioni in zone sismiche, risponde  ad  un'esigenza  unitaria  di
sicurezza, non derogabile dal legislatore regionale. D'altronde,  con
riferimento al rischio sismico, codesta Ecc.ma Corte ha avuto modo di
rilevare che «l'intento unificatore  della  legislazione  statale  e'
palesemente  orientato  ad  esigere  una  vigilanza   assidua   sulle
costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene
protetto,  che  trascende  anche  l'ambito   della   disciplina   del
territorio,  per  attingere  a  valori  di  tutela   dell'incolumita'
pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui,
ugualmente,  compete  allo  Stato  la  determinazione  dei   principi
fondamentali»; pertanto, il coinvolgimento di interessi primari della
collettivita' limita la possibilita'  del  legislatore  regionale  di
introdurre misure di semplificazione, quale  quella  contenuta  dalla
disposizione censurata (cfr. sentenza n. 182/2006).  Per  le  ragioni
suesposte, l'art. 206, comma 1 contrasta con  l'art.  117,  comma  3,
della Costituzione (nelle materie  del  «governo  del  territorio»  e
«protezione civile») e con la disposizione interposta di cui all'art.
62 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001,  e  viene
pertanto impugnato dinanzi a codesta Ecc.ma Corte ai sensi  dell'art.
127 della Costituzione. 
27) L'art. 215, comma 12, per  violazione  dell'art.  117,  comma  3,
della Costituzione. 
    L'art. 215, comma 12, della legge regionale censurata prevede che
«qualora l'autorita' espropriante  realizzi  l'opera  pubblica  o  di
pubblica utilita' tramite  affidamento  a  concessionario  di  lavori
pubblici o a contraente generale, l'autorita' medesima puo'  delegare
con proprio provvedimento assunto secondo le norme  che  disciplinano
il proprio funzionamento, in tutto o in parte, l'esercizio dei propri
poteri espropriativi al concessionario ovvero al contraente generale,
determinando l'ambito della delega  nell'atto  di  concessione  o  di
affidamento, i  cui  estremi  vanno  specificati  in  ogni  atto  del
procedimento  espropriativo.  I  soggetti  privati  delegati  possono
avvalersi a tal fine di societa' di servizi». 
    L'ultima parte di tale previsione contrasta con l'art.  6,  comma
8, del decreto del Presidente della Repubblica n.  327/2001,  secondo
cui «8. Se l'opera pubblica o di pubblica utilita' va  realizzata  da
un concessionario o contraente generale,  l'amministrazione  titolare
del  potere  espropriativo  puo'  delegare,  in  tutto  o  in  parte,
l'esercizio dei propri poteri espropriativi, determinando chiaramente
l'ambito della delega nella concessione o nell'atto di affidamento, i
cui  estremi  vanno  specificati  in  ogni  atto   del   procedimento
espropriativo. A questo scopo i soggetti privati cui sono  attribuiti
per legge o per delega poteri  espropriativi,  possono  avvalersi  di
societa' controllata. I soggetti privati possono  altresi'  avvalersi
di societa' di servizi ai fini delle attivita' preparatorie». 
    La  legislazione  statale,  a  differenza  di  quella  regionale,
consente di avvalersi, per il procedimento espropriativo, di societa'
controllate, non di societa' di servizi. Il ricorso a queste  ultime,
infatti,  puo'  avvenire  limitatamente  «ai  fini  delle   attivita'
preparatorie». Cio' in quanto il procedimento di  esproprio  comporta
l'esercizio di poteri di ordine pubblicistico che non possono  essere
delegati ad  un  soggetto  che  non  sia  posto  sotto  il  controllo
pubblico. 
    Nel disporre diversamente, la disposizione regionale in esame  si
pone in contrasto con un principio fondamentale in materia di governo
del territorio - cui deve essere ricondotto l'art. 6,  comma  8,  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001 - e quindi  viola
l'art. 117, comma 3, della Costituzione. 
28) L'art. 243, comma 1,  per  violazione  dell'art.  117,  comma  2,
lettera l) e 117, comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 243, al comma 1, della  legge  regionale  n.  1  del  2015
prevede che «la disciplina  concernente  le  distanze,  le  dotazioni
territoriali  e  funzionali  minime,  nonche'  quella  relativa  alle
situazioni insediative del  PRG,  di  cui  alle  norme  regolamentari
titolo I, capo I, sezione V e al titolo II, capo I, sezioni II, III e
IV, sostituisce quella del decreto ministeriale  2  aprile  1968,  n.
1444 (...), in materia, rispettivamente, di distanze, di  standard  e
di zone territoriali omogenee, anche ai  sensi  dell'art.  2-bis  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001». 
    La norma impugnata da un lato «disapplica»  le  disposizioni  del
decreto ministeriale n. 1444/1968,  comprese  quelle  in  materia  di
distanze, dall'altro omette di richiamare le disposizioni in  materia
contenute nel codice civile, rinviando  ad  una  norma  di  carattere
regolamentare (che, peraltro, non richiama le  relative  disposizioni
del codice civile). 
    Al riguardo,  occorre  ricordare  che  le  norme  in  materia  di
distanze contenute all'art. 9 del decreto ministeriale  n.  1444/1968
hanno,  per  consolidata  giurisprudenza  costituzionale,   carattere
inderogabile e rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello
Stato in materia di «ordinamento  civile».  Codesta  Ecc.ma  ha  piu'
volte ritenuto - da ultimo nella sentenza n. 6/2013 -  che  l'art.  9
del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, e'  dotato  di  «efficacia
precettiva e inderogabile,  secondo  un  principio  giurisprudenziale
consolidato» (sentenza n. 114 del 2012; ordinanza n.  173  del  2011;
sentenza n. 232 del 2005, si veda anche la sent. n. 134/2014). 
    Per queste ragioni, la disposizione impugnata viola  l'art.  117,
comma 2, lettera l) e 117, comma 3 (con riferimento al  «governo  del
territorio») della Costituzione. 
29) L'art. 250, comma 1, lettere a), b) e c), in  combinato  disposto
con gli articoli 201, 202 e 208, per violazione dell'art. 117,  comma
3 della Costituzione. 
    L'art. 250, comma 1, lettere a), b) e c), in  combinato  disposto
con gli articoli 201, commi 2, 3 e 4; 202, comma 1, e 208, commi 2  e
3, della legge regionale impugnata  sostanzialmente  consentono  alla
giunta  regionale,  con  proprio  atto,  di  sottrarre  tipologie  di
interventi  edilizi  dall'applicazione  della  normativa  sismica   e
dell'autorizzazione sismica di cui agli articoli 62, 63, 65, 82, 83 e
88 del testo unico dell'edilizia. 
    Codesta Ecc.ma Corte ha chiarito che la disciplina in materia  di
vigilanza sugli interventi edilizi in zona sismica  e'  riconducibile
ai principi fondamentali in materia di «protezione civile»  (si  veda
sent. n. 300/2013, spec. punto 4 nonche' sent. n. 101 del 2013  e  n.
201 del 2012), pertanto, le  disposizioni  censurate  violano  l'art.
117, comma 3 della Costituzione. 
    In particolare, le categorie di «interventi privi di rilevanza ai
fini della pubblica incolumita'» e «di minore rilevanza ai fini della
pubblica incolumita'», a cui fa riferimento la disposizione regionale
impugnata, non sono conosciute dalla normativa statale: non se ne  fa
menzione nel citato decreto del Presidente della Repubblica 6  giugno
2001,  n.  380  (testo  unico  delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari in materia  edilizia),  ne'  nella  normativa  tecnica,
contenuta nel decreto del Ministro delle  infrastrutture  14  gennaio
2008. 
    Pertanto, le  disposizioni  regionali  sospettate  si  discostano
illegittimamente   dalla   normativa   statale   rilevante,   perche'
introducono  una  categoria  di  interventi   edilizi   ignota   alla
legislazione statale e  la  escludono  dalla  applicazione  di  norme
improntate al principio fondamentale della  vigilanza  assidua  sulle
costruzioni riguardo al rischio sismico (cfr. anche sentenza  n.  182
del 2006 e sent. n. 101 del 2013 cit.), con l'effetto sostanziale  di
sottrarre indebitamente determinati interventi edilizi ad ogni  forma
di vigilanza pubblica. 
30) L'art. 258 e l'art. 264, comma 13, per violazione dell'art.  117,
comma 3 e dell'art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione. 
    L'art. 258 della legge  regionale  n.  1  del  2015  detta  norme
speciali per le  aree  terremotate  e  disciplina  gli  edifici,  non
conformi,  in  tutto  o  in  parte,   agli   strumenti   urbanistici,
realizzati, prima del 31 dicembre 2000 da privati  o  da  altri  enti
pubblici, anche con il contributo  pubblico,  in  sostituzione  delle
abitazioni principali, delle attivita' produttive, dei servizi e  dei
relativi accessori, che, per effetto della  crisi  sismica  dell'anno
1997 sono stati oggetto di sgombero totale. 
    La norma  prevede,  al  comma  1,  che  i  comuni  effettuino  un
censimento di questi edifici e, al comma 2, ne prevede la cessione ai
conduttori degli immobili. Attribuisce dunque ai comuni (comma 3)  il
compito di predisporre un'apposita variante che,  limitatamente  agli
edifici per i quali e' stata presentata domanda di acquisto,  preveda
la realizzazione di un'adeguata  urbanizzazione  e  di  un  razionale
inserimento territoriale ed ambientale, prevedendo  le  modalita'  di
adeguamento  edilizio,   tipologico   ed   estetico   degli   edifici
interessati, nonche' gli elementi di arredo  urbano  necessari.  Tale
variante deve confermare le volumetrie e  le  altezze  degli  edifici
interessati «con eventuale possibilita' di modifica entro  il  limite
del dieci per cento; ulteriori  modifiche  delle  previsioni  possono
essere  apportate  decorsi  cinque  anni  dalla  approvazione   della
variante» (comma 6).  Per  gli  edifici  «non  raccordabili  con  gli
insediamenti esistenti»,  il  comma  5  prevede  la  possibilita'  di
individuazione «come ambito agricolo per  la  riqualificazione  degli
edifici medesimi, previa costituzione di un vincolo  di  destinazione
d'uso quindicennale decorrente dalla data di ultimazione dei lavori».
Ai sensi del comma 8, «il proprietario o avente  titolo  presenta  al
comune la richiesta per il titolo abilitativo a  sanatoria»,  che  e'
rilasciato «a seguito del pagamento  degli  oneri  previsti  all'art.
154, comma 2 del presente testo unico e  con  le  modalita'  previsti
all'art. 23, comma 6, della legge regionale 3 novembre  2004,  n.  21
(Norme sulla vigilanza,  responsabilita',  sanzioni  e  sanatoria  in
materia edilizia) con il solo obbligo di accertamento in  conformita'
alle previsioni  della  variante  apportata  ai  sensi  del  presente
articolo». Per gli edifici che non risulta possibile  inserire  nelle
varianti il  comma  9  dispone  l'applicazione  della  disciplina  di
accertamento e sanzionatoria degli abusi edilizi, di cui al titolo V,
capo VI, della legge in esame. Infine, per consentire «di  verificare
la possibilita' del rientro alla normalita' delle aree  interessate»,
il comma 10 sospende i provvedimenti amministrativi di demolizione  e
rimessa in pristino relativi agli immobili realizzati in  difformita'
dalle previsioni urbanistiche a seguito degli eventi sismici iniziati
il 26 settembre 1997. 
    La   disciplina   introdotta   dalla    disposizione    censurata
sostanzialmente   introduce   un'ipotesi    di    condono    edilizio
straordinario  non  previsto  dalla  legge  statale,   ponendosi   in
contrasto con i principi  fondamentali  in  materia  di  governo  del
territorio contenuti nel decreto del Presidente della  Repubblica  n.
380/2001 (e in particolare con  l'art.  36)  e  con  le  disposizioni
statali in materia di ordinamento civile e penale, e  pertanto  viola
l'art. 117, comma  3,  e  l'art.  117,  comma  2,  lettera  l)  della
Costituzione. 
    E' di tutta evidenza, infatti, che la norma consente ai comuni di
rilasciare il titolo in sanatoria per interventi edilizi non conformi
agli strumenti urbanistici, per i quali potrebbe  essere  gia'  stato
emanato un provvedimento di demolizione (comma  10),  senza  peraltro
individuare chiaramente di  quali  edifici  si  tratta  (estremamente
ampio il novero degli edifici «realizzati, prima del 31 dicembre 2000
... che, per effetto della crisi sismica dell'anno  1997  sono  stati
oggetto  di   sgombero   totale»).   Va   rilevato,   altresi',   che
l'accertamento in conformita' di cui  all'art.  36  del  testo  unico
dell'edilizia si applica solo laddove vi sia  la  doppia  conformita'
agli strumenti urbanistici  e  alla  normativa  edilizia  (cosa  che,
evidentemente, non sussiste nel caso in esame), anzi  presuppone  che
detto  titolo  sia  richiesto  prima  che   il   comune   emetta   il
provvedimento di demolizione. 
    Inoltre, la disposizione regionale sospettata consente la vendita
dei predetti immobili abusivi ai conduttori, in aperto contrasto  con
l'art. 46 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  380/2001,
che dispone la nullita' degli atti tra vivi, sia in  forma  pubblica,
sia in forma privata, aventi per  oggetto  trasferimento  di  diritti
reali, relativi ad edifici abusivi. Addirittura, la  norma  regionale
consente per questi immobili «incrementi  delle  volumetrie  e  delle
altezze», in spregio alla normativa statale che ha sempre vietato gli
incrementi volumetrici  per  gli  interventi  abusivi.  E'  evidente,
infine, che la sanatoria  farebbe  venire  meno  gli  effetti  penali
dell'abuso, e inciderebbe quindi in un ambito riservato alla potesta'
legislativa esclusiva statale. 
    Al riguardo, giova ricordare che codesta  Ecc.ma  Corte,  con  la
sentenza n.  225/2012  (punto  3  del  considerato  in  diritto),  ha
chiarito che: «nella disciplina del condono  edilizio  convergono  la
competenza  legislativa  esclusiva  dello   Stato   in   materia   di
sanzionabilita' penale e la  competenza  legislativa  concorrente  in
tema di governo del territorio di  cui  all'art.  117,  terzo  comma,
Cost. (sentenze n. 49 del 2006 e n. 70 del 2005)» e, soprattutto, che
«e' stata ritenuta di stretta interpretazione, in quanto  espressione
di  principio  generale  afferente   ai   limiti   della   sanatoria,
l'individuazione da parte della legge dello Stato  delle  fattispecie
ad essa assoggettabili, di modo che  le  stesse  non  possono  essere
comunque ampliate o interpretate  estensivamente  dalla  legislazione
regionale. Per questo motivo risulta pienamente conforme  al  dettato
costituzionale l'art. 32, comma 27,  del  decreto-legge  n.  269  del
2003, contenente la previsione tassativa  delle  tipologie  di  opere
insuscettibili di sanatoria, la quale determina, in pratica, i limiti
del condono, entro il cui invalicabile perimetro puo' esercitarsi  la
discrezionalita'  del  legislatore  regionale  (sentenza  n.  70  del
2005)». Sul punto, si veda anche la sentenza n. 290/2009, secondo cui
«questa Corte ha gia'  riconosciuto  che  "solo  alla  legge  statale
compete l'individuazione della portata massima del  condono  edilizio
straordinario" (sentenza n. 70 del 2005; sentenza n. 196  del  2004),
sicche' la legge regionale che abbia per effetto di ampliare i limiti
applicativi della sanatoria eccede la  competenza  concorrente  della
regione in tema di governo del territorio». 
    In  via   consequenziale,   deve   ritenersi   costituzionalmente
illegittimo, per i medesimi motivi, l'art. 264, comma 13, secondo cui
«i titoli abilitativi relativi alle istanze di condono edilizio  sono
rilasciati previa acquisizione dei pareri per interventi  nelle  aree
sottoposte a vincolo imposti da leggi statali e regionali vigenti  al
momento della  presentazione  delle  istanze  medesime,  fatto  salvo
quanto previsto in materia sismica e di tutela dei beni paesaggistici
e culturali». 
    Anche la norma regionale da ultimo citata, pertanto,  integra  la
violazione dell'art. 117, comma 3, e dell'art. 117, comma 2,  lettera
l) della Costituzione. 
    31) L'art. 264, comma 14 e  16,  per  violazione  dell'art.  117,
comma  3,  nonche'  dell'art.  117,  comma  2,  lettera   s),   della
Costituzione. 
    L'art. 264, al comma 14, della legge regionale impugnata, dispone
che «gli  interventi  edilizi,  limitatamente  a  quelli  riguardanti
l'area di pertinenza degli edifici dell'impresa agricola, compresa la
realizzazione delle  opere  pertinenziali,  nonche'  le  opere  senza
strutture fondali fisse per l'attivita' zootecnica  di  cui  all'art.
17, comma 1, lettera d) delle  norme  regolamentari,  esistenti  alla
data del 30 giugno 2014 e  che  risultino  conformi  alla  disciplina
urbanistica ed edilizia, agli strumenti urbanistici vigenti e non  in
contrasto con quelli adottati alla stessa data sono  autorizzati  con
la procedura prevista all'art.  154,  commi  2,  3,  6,  e  7,  ferma
restando l'applicazione delle eventuali sanzioni penali. In tali casi
l'istanza e' presentata entro e non oltre  il  30  giugno  2015».  La
disposizione  non  prevede  la   cosiddetta   «doppia   conformita'»,
richiesta per la sanatoria dagli articoli  36  e  37,  comma  4,  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 (l'intervento
deve risultare  conforme  alla  disciplina  urbanistica  ed  edilizia
vigente sia al momento  della  realizzazione  dello  stesso,  sia  al
momento della presentazione  della  domanda),  perche'  si  limita  a
richiedere la conformita' «alla disciplina urbanistica  ed  edilizia,
agli strumenti urbanistici vigenti e  non  in  contrasto  con  quelli
adottati alla stessa data», laddove tale ultima  data  sembra  essere
quella del 30 giugno 2014 (data fissata dalla stessa disposizione per
stabilire i requisiti necessari per poter chiedere la sanatoria). 
    Piu' che un'ipotesi di permesso in sanatoria, la norma  censurata
dunque configura  una  nuova,  non  consentita,  ipotesi  di  condono
edilizio, che non e' materia  di  competenza  legislativa  regionale,
ponendosi quindi in contrasto con i principi fondamentali in  materia
di governo del  territorio  attribuiti  alla  competenza  legislativa
statale dall'art. 117, comma terzo, della Costituzione. 
    L'art. 264, comma 16 dispone poi che «la domanda  di  concessione
ordinaria di piccola derivazione di acqua  pubblica  sotterranea  dai
pozzi autorizzati, previo pagamento  annuale  dei  canoni  e  diritti
previsti, costituisce autorizzazione  annuale  all'attingimento  fino
alla conclusione del procedimento di  concessione  senza  obbligo  di
ulteriori formalita' o istanze e comunque nei  limiti  fissati  dalle
normative di settore, salvo che l'autorita' idraulica  competente  ne
comunichi entro  trenta  giorni  il  diniego  ai  sensi  della  legge
regionale 11 maggio 2007, n. 12 (Norme per il rilascio delle  licenze
di attingimento di acque pubbliche)». 
    La norma regionale in questione attribuisce alla semplice domanda
di  concessione  di  piccola  derivazione  valore  di  autorizzazione
all'attingimento,  salvo  che  l'autorita'  idraulica  competente  ne
comunichi il diniego  al  richiedente  entro  il  termine  di  trenta
giorni.  L'art.  264,  comma  16,  quindi,  estende  l'istituto   del
«silenzio-assenso» al procedimento concessorio in  palese  violazione
dell'art. 17, comma 1°, del testo unico  n.  1775/1933  che,  invece,
richiede un provvedimento espresso per derivare  o  utilizzare  acqua
pubblica. Piu' precisamente, l'articolo da ultimo citato prevede  che
«e'  vietato  derivare  o  utilizzare   acqua   pubblica   senza   un
provvedimento autorizzativo o concessorio dell'autorita' competente». 
    Alla luce delle precedenti considerazioni, l'art. 264, comma  16,
nella parte in cui  estende  l'istituto  del  silenzio  assenso  alle
concessioni di acqua pubblica si pone in contrasto  con  la  potesta'
legislativa esclusiva statale in materia di tutela  dell'ambiente  di
cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costi-tuzione, per
violazione della norma interposta di cui all'art. 17, comma 1,  regio
decreto n. 1775/1933. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Per le ragioni esposte, il Presidente del Consiglio dei ministri,
come sopra rappresentato e difeso chiede  che  codesta  Ecc.ma  Corte
costituzionale voglia dichiarare  costituzionalmente  illegittima  la
legge della regione Umbria del 21 gennaio 2015, n. 1, pubblicata  nel
B.U.R. Umbria 28 gennaio 2015, n.  6,  supplemento  ordinario  n.  1,
limitatamente agli articoli 1, commi 2 e 3; art. 7, comma 1,  lettere
b), d), g), m), n); art. 8; art. 9, comma 4; art. 10, comma  1;  art.
11, comma 1, lettera d); art. 13; art. 15, commi  1  e  5;  art.  16,
commi 4 e 5; art. 17; art. 19; art. 21; art. 18, commi 4, 5, 6, 7,  8
e 9; art. 28, comma 10; art. 56, comma 3; art. 32, comma 4; art.  49,
comma 2, lettera a); art. 51, comma 6; art. 79,  comma  3;  art.  56,
comma 14; art. 54; art. 59, comma 3; art. 64, comma 1; art. 95, comma
4; art. 118, comma 1, lettere e) ed i), e comma 3; art. 118, comma 2,
lettera e); art. 118, comma 3, lettera e); art. 140, comma  12;  art.
124; art. 124, comma 1, lettera g); art. 140,  comma  11;  art.  141,
comma 2; art. 142, comma 1; art. 147, art. 155, art.  118,  comma  2,
lettera h); art. 151, comma 2 e comma 4; art. 154, comma 1 e comma 3;
art. 206, comma 1; art. 215, comma 5 e comma 12; art. 243,  comma  1;
art. 250, comma 1, lettere a), b) e c), in combinato disposto con gli
articoli 201, 202 e 208; art. 258; art. 264, commi 13, 14 e 16. 
    Con  l'originale  notificato  del  presente  atto  si  depositano
l'estratto della determinazione del Consiglio  dei  ministri  del  27
marzo 2015 e le motivazioni di sintesi per l'impugnativa. 
        Roma, 30 marzo 2015 
 
                   L'Avvocato dello Stato: Marrone