N. 85 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 ottobre 2014
Ordinanza del 13 ottobre 2014 del Tribunale di Napoli nel procedimento civile promosso da Sciorio Luigi contro Miraglia Luca e Sparagana Amalia. Locazione di immobili urbani - Contratti di locazione ad uso abitativo registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 - Previsione di salvezza, fino al 31 dicembre 2015, degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti sulla base di essi - Denunciata finalita' di salvaguardare, sino ad un termine stabilito, gli effetti della normativa dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 50 del 2014 - Sostanziale riproduzione di tale normativa rispetto a fattispecie sia future che passate - Violazione del giudicato costituzionale - Irragionevole disparita' di trattamento rispetto alle locazioni ad uso abitativo soggette alla disciplina ordinaria - Insussistenza della finalita' preventiva e deterrente originariamente perseguita dalla normativa in esame - Limitazioni del diritto di proprieta' (immobiliare) e dell'autonomia contrattuale non correlate alla funzione sociale del bene - Rilevante e irragionevole compressione del diritto dominicale del locatore per interessi esogeni rispetto al contenuto di esso. - Decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, art. 5, comma 1-ter. - Costituzione, artt. 3, 42, comma secondo, e 136.(GU n.20 del 20-5-2015 )
IL GIUDICE ISTRUTTORE sciogliendo la riserva, nel procedimento di convalida di sfratto per morosita', promosso da Luigi Sciorio - rappres. e difeso dagli avv.ti R. Saini e G. Galasso - nei confronti di Luca Miraglia e Amalia Sparagana - rappres. e difesi dall'avv. P. Calcagni; Osserva Sussistono i presupposti per sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge n. 80 del 23 maggio 2014, - di conversione in legge del decreto n. 47 del 28 marzo 2014 (in allegato), nella parte afferente al comma 1-ter, aggiunto all'art. 5 del medesimo decreto legge. Anzitutto, nel caso concreto sussiste la rilevanza della questione, in quanto la parte locatrice - proprietaria dell'immobile locato - ha chiesto la convalida dello sfratto per morosita' in ordine ad un rapporto di locazione, ad uso abitativo, sorto con contratto stipulato il 21 ottobre 2006 con Luca Miraglia e Amalia Sparagana, ma registrato il 20 marzo 2013 dal conduttore Parte convenuta ha eccepito l'applicabilita', al medesimo rapporto di locazione, delle norme di cui dell'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23/2011, in quanto il contratto e' stato registrato tardivamente, oltre il termine di legge, nonche' oltre il termine di sessanta giorni di cui alla suddetta disposizione normativa (cd. «ravvedimento operoso»), allegando di aver corrisposto al locatore, per il periodo successivo alla tardiva registrazione (oggetto del procedimento) il canone rideterminato dall'agenzia delle entrate. La suddetta norma disponeva (prima della sentenza della Corte cost. n. 50 del 2014): «Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina: a) la durata della locazione e' stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione e' fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti». Ne conseguirebbe che al rapporto contrattuale sarebbero state applicabili le norme in tema di durata e di determinazione del canone, secondo i criteri dettati dal citato art. 3, comma 8 (al riguardo, in dottrina, sono state formulate le diverse tesi dell'eterointegrazione del contenuto contrattuale, a norma degli artt. 1339 e 1419, 2° coma, c.c., e della formazione di un contratto nuovo tra le parti a seguito della registrazione tardiva). La suddetta sentenza della Corte cost. n. 50, depositata il 14 marzo 2014, ha dichiarato incostituzionale, per eccesso di delega, la disciplina di cui al citato art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23/2011. Successivamente, la legge n. 80 del 23 maggio 2014 - che consta di un unico articolo che richiama un allegato contenente le modifiche introdotte - ha convertito in legge il decreto n. 47 del 28 marzo 2014, aggiungendo, all'art. 5, il comma 1-ter che dispone: «Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23». Ora, al fine di delibare la domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento - implicita nella domanda di convalida dello sfratto per morosita' - occorre necessariamente applicare la normativa sopravvenuta di cui alla legge n. 80. Al riguardo, occorre altresi' evidenziare che la suddetta domanda di risoluzione non potrebbe essere vagliata, se non previo esame della questione incidentale di legittimita' sollevata, fondandosi su un contratto di locazione registrato tardivamente dal conduttore in applicazione delle norme del richiamato d.lgs. n. 23 che, in virtu' della norma introdotta dalla legge n. 80, possono giovare al solo conduttore (d'altra parte, senza la registrazione tardiva il contratto sarebbe nullo ai sensi della legge n. 311 del 2004). Pertanto, a seguito dell'entrata in vigore (dal 28 maggio 2014) della legge n. 80, il giudice «a quo» deve verificare di nuovo la fondatezza dell'eccezione impeditiva sollevata dalla parte convenuta in ordine alla tardiva registrazione e, dunque, all'applicabilita' delle norme richiamate, anche in virtu' dell'ordinanza emessa dalla Corte cost., depositata in data 9 luglio 2014, che, proprio alla luce di tale legge sopravvenuta, ha ordinato la restituzione a questo giudice degli atti afferenti alla questione di legittimita' costituzionale del citato art. 3, commi 8 e 9, sollevata con ordinanza emessa il 12 dicembre 2013. La norma di cui al comma aggiunto, 1-ter, ha introdotto una disciplina «di salvaguardia» degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti sulla base dell'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23/2011, con la precipua finalita' di garantire una sorta di ultrattivita' delle suddette disposizioni legislative, ancorche' dichiarate incostituzionali, dalla relativa data di entrata in vigore sino al termine finale del 31 dicembre 2015. Cio' induce a formulare alcune argomentazioni necessariamente preliminari all'esame diretto dei motivi d'incostituzionalita' che si ravvisano nella normativa introdotta con la legge n. 80. Al riguardo, la normativa di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 23 - i cui effetti giuridici sono stati «fatti salvi» con la norma impugnata - e' applicabile anche - come nella fattispecie concreta - ai rapporti di locazione in corso alla data d'entrata in vigore del d.lgs. n. 23 (7 aprile 2011), come reso evidente dalla formulazione del comma 10 dello stesso art. 8, secondo cui la disciplina di cui ai commi 8 e 9 non si applica ove la registrazione sia effettuata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. L'espressa previsione della possibilita' di registrare tardivamente il contratto nel termine stabilito di 60 gg. esclude l'interpretabilita' della norma di cui al comma 8 nel senso della relativa applicazione ai soli rapporti locatizi sorti dopo l'entrata in vigore del d.lgs. (come pure parte della giurisprudenza di merito - che non si condivide - ha sostenuto), atteso che, in tal caso, il termine medesimo non potrebbe essere, verosimilmente, garantito nella sua pienezza, eccettuati i contratti stipulati proprio nello stesso giorno dell'entrata in vigore del decreto. L'interpretazione letterale e' corroborata da quella logico-sistematica, in quanto la «ratio legis» e' consistita nel chiaro intento di introdurre una normativa sostanzialmente sanzionatoria nei confronti del locatore il quale non avesse tempestivamente registrato il contratto di locazione, con finalita' di palese deterrenza in ordine alla futura stipula di contratti locatizi non registrati nel termine di legge. Detto cio', la norma di cui all'art. 5, comma 1-ter, appare, anzitutto, confliggente con l'art. 136 Cost., avendo (di nuovo) introdotto nell'ordinamento giuridico una disposizione legislativa oggetto di dichiarazione d'incostituzionalita', per eccesso di delega, con la citata sentenza della Corte cost. n. 50 depositata nel marzo 2014. Sul punto, per inquadrare correttamente la questione sotto il profilo logico-sistematico, occorre richiamare il testo del parere espresso dalla prima commissione permanente «Affari costituzionali», presso la Presidenza del Consiglio e Interni, in ordine al disegno di legge afferente alla legge di conversione del decreto n. 47 (poi approvato con la legge n. 80): «rilevato che il comma 1-ter dell'articolo 5, introdotto nel corso dell'esame al Senato, prevede una clausola di salvaguardia, fino al 31 dicembre 2015, degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione (articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 23 del 2011), nei casi di mancata registrazione del contratto entro i termini di legge, di indicazione di un affitto inferiore a quello effettivo e di registrazione di un contratto di comodato fittizio; ricordato che, con la sentenza n. 50 del 2014, depositata il 14 marzo, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale, per eccesso di delega, la disciplina di cui all'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 23 del 2011; evidenziato, quindi, che con 11 comma 1-ter dell'articolo 5 sono dunque fatti salvi, fino ad una determinata data (31 dicembre 2015), gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione stipulati ai sensi della predetta disciplina, dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 50 del 2014; ricordato, altresi', che le pronunce di accoglimento della Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall'origine la validita' e l'efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche «consolidate» per effetto di eventi che l'ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudicato, l'atto amministrativo non piu' impugnabile, la prescrizione e la decadenza (ex multis Cass. civ., sez. III, 28 luglio 1997, n. 7057». Ora, in primo luogo, va rilevato che, come reso evidente anche dal richiamato parere, il legislatore non ha inteso introdurre una norma che riproduca il contenuto di quella dichiarata costituzionale, ma ha espressamente evidenziato che la disposizione di cui al comma 1-ter conterrebbe «una clausola di salvaguardia», diretta a preservare gli effetti prodottisi in applicazione dei commi 8 e 9 del suddetto art. 3, e i rapporti giuridici che ne sarebbero originati. Al riguardo, occorre rilevare che nella fattispecie non e' in discussione il potere del legislatore di reintrodurre nell'ordinamento una disposizione avente forza di legge, dichiarata incostituzionale unicamente per eccesso di delega, posto che, in tal caso, non sussisterebbe la preclusione da giudicato costituzionale (in quanto il vizio riscontrato dal giudice delle leggi riguarderebbe il solo profilo procedimentale afferente alla procedura delle leggi-delega di cui all'art. 76 Cost.). Nel caso concreto, invece, il legislatore, come detto, non ha inteso introdurre una norma disciplinante di nuovo la fattispecie oggetto dell'art. 3 del d.lgs. n. 23/2011, ma ha approvato una disposizione riguardante esclusivamente la sorte degli effetti gia' prodottisi esclusivamente in forza della norma dichiarata incostituzionale. Tale finalita' teleologica che informa la norma in esame, secondo la prospettazione del legislatore, sarebbe fondata sull'orientamento, dottrinale e giurisprudenziale, relativo alla tematica dei «diritti quesiti», ovvero alle «situazioni giuridiche consolidate» (richiamato nel citato parere). Il giudice «a quo» ritiene che l'argomentazione che ha sorretto l'introduzione del comma 1-ter, attraverso la promulgazione della legge n. 80, non sia corretta per diversi motivi. Anzitutto, il legislatore ha inteso «salvaguardare» gli effetti giuridici ed i rapporti sorti in applicazione delle norme, dichiarate incostituzionali, stabilendo un termine finale, al 31 dicembre 2015. Ora, e' evidente che, in tal modo, la norma in esame disciplina fattispecie future in ordine alle quali giammai puo' trovare applicazione la tematica dei «diritti quesiti». La esclusiva finalita' perseguita di preservare gli effetti e i rapporti giuridici prodotti in applicazione della norma dichiarata incostituzionale e' in contrasto con il giudicato costituzionale, atteso che non e' possibile determinare la reviviscenza di una norma incostituzionale, laddove il legislatore non ha, in alcun modo, introdotto una nuova disciplina, seppure transitoria, della fattispecie di diritto. D'altra parte, se l'intenzione del legislatore fosse stata quella di introdurre una nuova disciplina della fattispecie, gia' oggetto del richiamato art. 3, comma 8, emendata dal vizio dell'eccesso di delega, il citato parere della predetta commissione sarebbe stato verosimilmente diverso, senza nessun richiamo ai «diritti quesiti» per giustificare la costituzionalita' della nuova norma. Sotto questo profilo, la norma e' chiaramente riproduttiva di quella oggetto della dichiarazione d'incostituzionalita', essendo volta a spiegare la propria forza di legge anche a situazioni non ancora verificatesi. Emerge, dunque, una disposizione legislativa che viola palesemente il decisum contemplato dalla sentenza della Corte cost. n. 50, contraddicendo gravemente lo stesso incipit da cui la commissione permanente ha preso le mosse nell'esprimere il suddetto parere. La violazione dell'art. 136 Cost. emerge anche in relazione alla parte dell'art. 5, comma 1-ter, che ha inteso disciplinare le fattispecie verificatesi sotto l'impero delle norme di legge dichiarate incostituzionali. Al riguardo, la tematica dei «diritti quesiti» e dei «rapporti consolidati» e' stata invocata erroneamente, in ordine a questioni che, invece, ne sono ontologicamente estranee. Giova richiamare, sul punto, l'orientamento consolidato, in dottrina e in giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui: «Le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi - di illegittimita' costituzionale - eliminano la norma con effetto «ex tunc», con la conseguenza che essa non e' piu' applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta perche' l'illegittimita' costituzionale ha per presupposto l'invalidita' - originaria della legge - sia essa di natura sostanziale, procedimentale - o processuale - per contrasto con un precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli effetti - in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, dell'incostituzionalita' non si estendono esclusivamente ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalita'» (ex multis, Cass., n. 20381 del 20 novembre 2012; n. 9329 del 20 aprile 2010). Ora, nel caso concreto, non sussistono giudicati, ne' altri eventi cui l'ordinamento collega il consolidamento di rapporti giuridici. Nel giudizio «de quo» si discute di un rapporto di locazione, ad uso abitativo, e, dunque, di un classico rapporto di durata, che non e' stato sciolto od estinto. Ne' vengono in rilievo prestazioni contrattuali patrimoniali, la cui esecuzione sia ormai «consolidata», con conseguente insuscettibilita' di essere oggetto di pronunce d'incostituzionalita' afferenti alle norme che ne hanno disciplinato il contenuto negoziale. Al contrario, nella fattispecie concreta, la norma della cui legittimita' costituzionale si dubita consente al conduttore di eludere l'adempimento dell'obbligazione contrattuale attraverso il pagamento di una somma di gran lunga inferiore, frutto dell'applicazione dei criteri contemplati dal citato art. 3 (di cui si dira'). In altri termini, la norma contestata attribuisce al conduttore il vantaggio di invocare i pagamenti effettuati, in conformita' delle norme richiamate, sottraendosi all'adempimento integrale del contratto stipulato; pertanto, la pronuncia d'illegittimita' costituzionale della stessa avrebbe l'effetto di rendere esigibile, da parte del locatore, la prestazione contrattuale nella sua interezza, consentendo al creditore la piena acquisizione patrimoniale del diritto fatto valere. La norma di cui al comma 1-ter e' in contrasto anche con l'art. 3 Cost. La disciplina «di salvaguardia» introdotta con la legge n. 80, con il limite temporale del 31 dicembre 2015, ha determinato una sorta di diritto speciale, nel senso che a taluni rapporti contrattuali di locazione ad uso abitativo, ratione temporis, si applica la normativa di cui all'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23/2011, che non puo' estendere la relativa efficacia oltre il suddetto limite, mentre agli altri rimane applicabile la normativa ordinaria. Tale differenziata disciplina configura una irragionevole disparita' di trattamento rispetto a medesimi rapporti di locazione ad uso abitativo, da ascrivere al mero fatto temporale della verificazione delle prestazioni contrattuali, specie se si considera che la normativa i cui effetti s'intende preservare con il comma 1-ter e', ormai, sganciata dall'impianto complessivo che la sosteneva nella vigenza del d.lgs. n. 23/2011. Al riguardo, occorre rilevare che tale d.lgs. (come si dira') era stato dettato dalla finalita' di apprestare una sanzione «civilistica» a danno dei locatori che non avessero tempestivamente registrato il contratto, nell'ambito di una disciplina tendente a prevenire, in parte qua, la violazione dell'obbligazione tributaria. A seguito della dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art. 3 citato, non puo' dirsi piu' sussistente tale finalita' preventiva e deterrente che, per definizione, non puo' essere correlata ad un termine finale che non ha nessun collegamento razionale con la legge originaria. Il comma 1-ter confligge altresi' con l'art. 42, comma 2, Cost., secondo cui «la proprieta' privata e' garantita e riconosciuta dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti». Al riguardo, l'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23/2011 - i cui effetti sono oggetto della «norma di salvaguardia» in esame - nel caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, ha disposto l'applicabilita' automatica delle richiamate norme in tema di durata e di determinazione del canone. Entrambe le norme «etero-integratrici» del contratto hanno introdotto rilevanti e significative limitazioni del diritto di proprieta' (immobiliare) da far seriamente dubitare del doveroso rispetto del precetto costituzionale, considerato che tali limitazioni non appaiono afferire alla funzione sociale della proprieta'. In particolare, va osservato che la formulazione dell'art. 42 Cost. - espressiva della connotazione del nostro ordinamento quale stato sociale di diritto - garantisce la proprieta', quale diritto soggettivo dell'individuo, ma ne prevede limitazioni al solo fine di assicurare l'adempimento dei doveri di solidarieta' sociale e umana, di cui all'art. 2 Cost. Pertanto, la funzione sociale costituisce il criterio-cardine cui commisurare ogni intervento legislativo diretto a introdurre nell'ordinamento limiti e compressioni del diritto dominicale (salva la norma di cui al comma 3 in tema di espropriazione). Cio' equivale a sostenere che il legislatore puo' certamente limitare la proprieta' privata, in tutte le sua facolta' espressive, ma deve rispettare il limite teleologico della funzionalita' alle esigenze delle collettivita', mediante un bilanciamento di interessi di rango costituzionale che non puo' tradursi un uno «svuotamento di rilevante entita' ed incisivita' del suo contenuto» (v. sentenza Corte cost. n. 55/1968). Tale argomentazione induce ad una ulteriore deduzione logica, consistente nell'affermare che ogni limitazione del contenuto della proprieta' privata deve concretizzarsi in una sorta di corrispondente utilita' che tragga origine dalla medesima proprieta'. In altri termini, secondo il disposto dell'art. 42 Cost., la proprieta' puo' essere soggetta a riduzioni del suo contenuto solo se tale limitazione afferisca ad utilita' che lo stesso diritto dominicale assicura in ordine ai doveri di solidarieta' sociale di cui all'art. 2 Cost. o ad altri diritti di rilevanza costituzionale. Ora, nella fattispecie, la norma oggetto dell'ordinanza, riguardo ai contratti di locazione ad uso abitativo, ha introdotto rilevanti limitazioni della proprieta' immobiliare e della stessa autonomia contrattuale, come detto, attraverso l'imposizione di un determinato ammontare del canone periodico e di una nuova durata del rapporto contrattuale, quale conseguenza della omessa o tardiva registrazione del contratto, cioe' di una condotta in violazione di un obbligo tributario. L'integrazione contrattuale prevista dal d.lgs. n. 23/2011 appare una sanzione comminata con la chiara finalita' di apprestare - rispetto al proprietario-locatore - un forte deterrente afferente alla violazione della norma tributaria. Ora, tale soluzione legislativa costituisce un'evidente compressione delle facolta' del proprietario il quale, per la sua condotta fiscalmente illegittima, subisce, di fatto (oltre, naturalmente, alle sanzioni di legge) l'imposizione di un contenuto del contratto di locazione che incide notevolmente sia sul reddito da locazione (in quanto calcolato secondo criteri predeterminati, palesemente inferiori ai canoni di mercato), che sul diritto alla restituzione della cosa locata (atteso che, dalla registrazione, volontaria o d'ufficio, tardiva e' computata «ab novo» la durata quadriennale minima di legge, con tendenziale rinnovo per altro quadriennio, salvo diniego motivato, a norma dell'art. 2, comma 1, della legge n. 431/98). Tali limitazioni del diritto del locatore-proprietario appaiono di consistente ed incisivo contenuto, considerato il sostanziale svuotamento dell'autonomia privata in ordine alla pattuizione del canone di locazione. Le norme introdotte dall'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23/2011 sono state indubbiamente finalizzate al raggiungimento di un interesse generale della collettivita' (cioe' l'adempimento dell'obbligo di pagare i tributi), ma non costituiscono certo espressione teleologica di una compressione del diritto di proprieta' corrispondente ad un'utilita' sociale che lo stesso diritto garantisce. Tali limitazioni del diritto di proprieta', nell'ambito del rapporto di locazione, non afferiscono in alcun modo alla funzione sociale della medesima proprieta' (cioe' la cosa locata) dirette, invece, a soddisfare un interesse generale esogeno ed esorbitante dal connotato ontologico del diritto dominicale. Al riguardo, nell'ambito della giurisprudenza della Corte cost., in tema di (asserita) violazione dell'art. 42 Cost., l'orientamento consolidato e' sempre consistito nell'effettuare un bilanciamento tra il diritto di proprieta' e altri interessi di rango costituzionale la cui tutela s'appalesi inerente allo stesso diritto dominicale. In particolare, in tema di affitto di fondi rustici, la Corte ha affermato il principio per cui e' legittima la compressione della proprieta' mediante un canone predeterminato per legge, in una misura ritenuta equa dal legislatore, allorquando il sacrificio della proprieta' avvenga a favore dell'affittuario che coltivi direttamente la terra, con la propria forza-lavoro o dei suoi familiari, e negando invece la legittimita' alla compressione del diritto che avvenga a favore di un affittuario imprenditore che faccia lavorare da terzi la terra presa in affitto (Corte cost., n. 155/1972; n. 153/1977). Da tali pronunce e' dato desumere che e' legittimo limitare il contenuto del diritto di proprieta' dell'affittante solo qualora cio' traduca in un'utilita' della stessa proprieta' a favore del coltivatore-affittuario; in altri termini, la compressione della proprieta' e' declinata quale corrispondente interesse costituzionalmente rilevante a favore di terzi meritevoli di tutela rispetto al medesimo bene oggetto dell'intervento legislativo. Al riguardo, puo' essere ricordata anche la legislazione in tema di equo-canone, che introdusse limiti alla proprieta', per garantire e soddisfare interessi generali afferenti alla locazione ad uso abitativo della stessa proprieta' oggetto di limitazione, al fine di garantirne la funzione sociale. Se ne deduce, altresi', che la funzione sociale della proprieta' e' l'unico parametro della limitazione del diritto di proprieta', sicche' quest'ultimo non dovrebbe subire compressioni rilevanti ed irragionevoli finalizzate esclusivamente a soddisfare interessi del tutto esogeni al contenuto del diritto in questione, quantunque di rango costituzionale. Nel caso concreto, ricorre tale ipotesi, posto che l'applicazione della norma che predetermina l'importo del canone di locazione secondo i criteri ivi previsti (cd. «canone catastale») non garantisce alcuna funzione sociale dell'immobile locale, ma integra, nella sostanza, un'imposizione contrattuale di carattere sanzionatorio per infedelta' fiscale. La forte compressione del diritto di proprieta' del locatore e' altresi' irragionevole, perche' puo' protrarsi per una durata tendenziale di circa quasi cinque anni, considerando il suddetto termine finale del 31 dicembre 2015. Inoltre, va evidenziata la notoria inadeguatezza dei parametri desumibili dai criteri catastali (notoriamente anacronistici), quale ulteriore indizio di lesivita' del diritto dominicale. Giova, altresi', rilevare che l'interesse statuale a garantire l'osservanza delle norme tributarie e' oggetto di piena tutela giuridica, attraverso le norme sanzionatorie vigenti in tema di accertamento e repressione dell'illecito fiscale. Al riguardo, non va sottaciuto che, anche se la questione riguarda la sola locazione a uso abitativo, la correlazione tra illeciti fiscali e validita' di negozi privatistici comporta il venir meno della stabilita' dei rapporti giuridici e la relativa certezza delle contrattazioni, in subiecta materia.
P.Q.M. Letti gli artt. 134 e 137 Cost., 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1, e art. 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge n. 80 del 23 maggio 2014, di conversione del decreto-legge n. 47 del 28 marzo 2014, nella parte in cui - in allegato - ha introdotto il comma 1-ter all'art. 5 del suddetto decreto-legge, in ordine agli artt. 136, 3 e 42, 2° comma, Cost. Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei deputati. Dispone che, all'esito, il fascicolo sia trasmesso, unitamente alla prova delle eseguite notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. Sospende il giudizio. Napoli, 13 ottobre 2014. Il g.u.: Caiazzo