N. 85 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 ottobre 2014

Ordinanza  del  13  ottobre  2014  del  Tribunale   di   Napoli   nel
procedimento civile promosso da Sciorio Luigi contro Miraglia Luca  e
Sparagana Amalia. 
 
Locazione  di  immobili  urbani  -  Contratti  di  locazione  ad  uso
  abitativo registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto
  legislativo 14 marzo 2011, n. 23 - Previsione di salvezza, fino  al
  31 dicembre 2015, degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici
  sorti sulla base di essi - Denunciata finalita'  di  salvaguardare,
  sino  ad  un  termine  stabilito,  gli  effetti   della   normativa
  dichiarata    costituzionalmente    illegittima     dalla     Corte
  costituzionale  con  sentenza  n.  50  del   2014   -   Sostanziale
  riproduzione di tale normativa rispetto a  fattispecie  sia  future
  che  passate  -   Violazione   del   giudicato   costituzionale   -
  Irragionevole disparita' di trattamento rispetto alle locazioni  ad
  uso abitativo soggette alla disciplina  ordinaria  -  Insussistenza
  della finalita' preventiva e deterrente originariamente  perseguita
  dalla normativa in esame - Limitazioni del  diritto  di  proprieta'
  (immobiliare) e  dell'autonomia  contrattuale  non  correlate  alla
  funzione sociale del bene - Rilevante e irragionevole  compressione
  del diritto dominicale del locatore per interessi esogeni  rispetto
  al contenuto di esso. 
- Decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con  modificazioni,
  dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, art. 5, comma 1-ter. 
- Costituzione, artt. 3, 42, comma secondo, e 136. 
(GU n.20 del 20-5-2015 )
 
                        IL GIUDICE ISTRUTTORE 
 
    sciogliendo la riserva, nel procedimento di convalida di  sfratto
per morosita', promosso da Luigi Sciorio - rappres.  e  difeso  dagli
avv.ti R. Saini e G. Galasso -  nei  confronti  di  Luca  Miraglia  e
Amalia Sparagana - rappres. e difesi dall'avv. P. Calcagni; 
 
                               Osserva 
 
    Sussistono i presupposti per sollevare questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1 della legge n. 80 del 23 maggio 2014, - di
conversione in legge  del  decreto  n.  47  del  28  marzo  2014  (in
allegato), nella parte afferente al comma 1-ter, aggiunto all'art.  5
del medesimo decreto legge. 
    Anzitutto,  nel  caso  concreto  sussiste  la   rilevanza   della
questione, in quanto la parte locatrice - proprietaria  dell'immobile
locato - ha chiesto la  convalida  dello  sfratto  per  morosita'  in
ordine ad un rapporto di  locazione,  ad  uso  abitativo,  sorto  con
contratto stipulato il 21 ottobre 2006 con  Luca  Miraglia  e  Amalia
Sparagana, ma registrato il 20 marzo 2013 dal conduttore 
    Parte  convenuta  ha  eccepito  l'applicabilita',   al   medesimo
rapporto di locazione, delle norme di cui dell'art. 3, comma  8,  del
d.lgs. n.  23/2011,  in  quanto  il  contratto  e'  stato  registrato
tardivamente, oltre il termine di legge, nonche' oltre il termine  di
sessanta giorni di cui  alla  suddetta  disposizione  normativa  (cd.
«ravvedimento operoso»), allegando di aver corrisposto  al  locatore,
per il periodo successivo alla  tardiva  registrazione  (oggetto  del
procedimento) il canone rideterminato dall'agenzia delle entrate. 
    La suddetta norma disponeva (prima  della  sentenza  della  Corte
cost. n. 50 del 2014): «Ai contratti di locazione degli  immobili  ad
uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone  i  presupposti,
non sono registrati  entro  il  termine  stabilito  dalla  legge,  si
applica la seguente disciplina:  a)  la  durata  della  locazione  e'
stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione,
volontaria o d'ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui
all'articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431  del  1998;  c)  a
decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione e' fissato
in  misura  pari   al   triplo   della   rendita   catastale,   oltre
l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento
degli indici ISTAT dei  prezzi  al  consumo  per  le  famiglie  degli
impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore,  si
applica comunque il canone stabilito dalle parti». 
    Ne conseguirebbe che al  rapporto  contrattuale  sarebbero  state
applicabili le norme in  tema  di  durata  e  di  determinazione  del
canone, secondo i criteri dettati dal citato  art.  3,  comma  8  (al
riguardo,  in  dottrina,  sono  state  formulate  le   diverse   tesi
dell'eterointegrazione del  contenuto  contrattuale,  a  norma  degli
artt. 1339 e 1419, 2° coma, c.c., e della formazione di un  contratto
nuovo tra le parti a seguito della registrazione tardiva). 
    La suddetta sentenza della Corte cost. n. 50,  depositata  il  14
marzo 2014, ha dichiarato incostituzionale, per eccesso di delega, la
disciplina di cui al citato art. 3,  commi  8  e  9,  del  d.lgs.  n.
23/2011. 
    Successivamente, la legge n. 80 del 23 maggio 2014 -  che  consta
di un unico articolo che richiama un allegato contenente le modifiche
introdotte - ha convertito in legge il decreto n.  47  del  28  marzo
2014, aggiungendo, all'art. 5, il  comma  1-ter  che  dispone:  «Sono
fatti salvi, fino  alla  data  del  31  dicembre  2015,  gli  effetti
prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei  contratti  di
locazione registrati ai sensi dell'articolo  3,  commi  8  e  9,  del
decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23». 
    Ora, al fine di delibare la domanda di  risoluzione  contrattuale
per inadempimento  -  implicita  nella  domanda  di  convalida  dello
sfratto  per  morosita'  -  occorre  necessariamente   applicare   la
normativa sopravvenuta di cui alla legge n. 80. 
    Al riguardo, occorre altresi' evidenziare che la suddetta domanda
di risoluzione non potrebbe essere  vagliata,  se  non  previo  esame
della questione incidentale di legittimita' sollevata, fondandosi  su
un contratto di locazione registrato tardivamente dal  conduttore  in
applicazione delle norme del richiamato d.lgs. n. 23 che,  in  virtu'
della norma introdotta dalla legge n. 80,  possono  giovare  al  solo
conduttore  (d'altra  parte,  senza  la  registrazione   tardiva   il
contratto sarebbe nullo ai sensi della legge n. 311 del 2004). 
    Pertanto, a seguito dell'entrata in vigore (dal 28  maggio  2014)
della legge n. 80, il giudice «a quo» deve  verificare  di  nuovo  la
fondatezza dell'eccezione impeditiva sollevata dalla parte  convenuta
in ordine alla tardiva registrazione  e,  dunque,  all'applicabilita'
delle norme richiamate, anche in virtu' dell'ordinanza  emessa  dalla
Corte cost., depositata in data 9 luglio 2014, che, proprio alla luce
di tale legge sopravvenuta, ha  ordinato  la  restituzione  a  questo
giudice  degli  atti  afferenti  alla   questione   di   legittimita'
costituzionale del  citato  art.  3,  commi  8  e  9,  sollevata  con
ordinanza emessa il 12 dicembre 2013. 
    La norma di cui al  comma  aggiunto,  1-ter,  ha  introdotto  una
disciplina «di salvaguardia» degli effetti prodottisi e dei  rapporti
giuridici sorti sulla base dell'art. 3, commi 8 e 9,  del  d.lgs.  n.
23/2011,  con  la  precipua  finalita'  di  garantire  una  sorta  di
ultrattivita'  delle  suddette  disposizioni  legislative,  ancorche'
dichiarate incostituzionali, dalla relativa data di entrata in vigore
sino al termine finale del 31 dicembre 2015. 
    Cio' induce a  formulare  alcune  argomentazioni  necessariamente
preliminari all'esame diretto dei motivi d'incostituzionalita' che si
ravvisano nella normativa introdotta con la legge n. 80. 
    Al riguardo, la normativa di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 23 -  i
cui effetti giuridici sono stati «fatti salvi» con la norma impugnata
- e' applicabile  anche  -  come  nella  fattispecie  concreta  -  ai
rapporti di locazione in corso alla  data  d'entrata  in  vigore  del
d.lgs. n. 23 (7 aprile 2011), come reso evidente  dalla  formulazione
del comma 10 dello stesso art. 8, secondo cui la disciplina di cui ai
commi 8 e 9 non si applica ove la registrazione sia effettuata  entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 
    L'espressa   previsione   della   possibilita'   di    registrare
tardivamente il contratto nel termine stabilito  di  60  gg.  esclude
l'interpretabilita' della norma di cui al comma  8  nel  senso  della
relativa applicazione ai soli rapporti locatizi sorti dopo  l'entrata
in vigore del d.lgs. (come pure parte della giurisprudenza di  merito
- che non si condivide - ha sostenuto), atteso che, in tal  caso,  il
termine medesimo non potrebbe essere, verosimilmente, garantito nella
sua pienezza, eccettuati i contratti stipulati proprio  nello  stesso
giorno dell'entrata in vigore del decreto. 
    L'interpretazione   letterale   e'    corroborata    da    quella
logico-sistematica, in quanto la  «ratio  legis»  e'  consistita  nel
chiaro  intento   di   introdurre   una   normativa   sostanzialmente
sanzionatoria  nei  confronti  del  locatore  il  quale  non   avesse
tempestivamente registrato il contratto di locazione,  con  finalita'
di palese deterrenza in  ordine  alla  futura  stipula  di  contratti
locatizi non registrati nel termine di legge. 
    Detto cio', la norma di cui  all'art.  5,  comma  1-ter,  appare,
anzitutto, confliggente con  l'art.  136  Cost.,  avendo  (di  nuovo)
introdotto nell'ordinamento giuridico  una  disposizione  legislativa
oggetto  di  dichiarazione  d'incostituzionalita',  per  eccesso   di
delega, con la citata sentenza della Corte cost. n. 50 depositata nel
marzo 2014. 
    Sul punto, per inquadrare correttamente  la  questione  sotto  il
profilo logico-sistematico, occorre richiamare il  testo  del  parere
espresso dalla prima commissione permanente «Affari  costituzionali»,
presso la Presidenza del Consiglio e Interni, in ordine al disegno di
legge afferente alla legge di conversione  del  decreto  n.  47  (poi
approvato  con  la  legge  n.  80):  «rilevato  che  il  comma  1-ter
dell'articolo 5, introdotto nel corso dell'esame al  Senato,  prevede
una clausola di salvaguardia, fino al 31 dicembre 2015, degli effetti
prodottisi e dei rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di
locazione (articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 23 del
2011), nei casi  di  mancata  registrazione  del  contratto  entro  i
termini di legge, di indicazione di un  affitto  inferiore  a  quello
effettivo e di registrazione di un contratto di comodato fittizio; 
    ricordato che, con la sentenza n. 50 del 2014, depositata  il  14
marzo, la Corte costituzionale ha  dichiarato  incostituzionale,  per
eccesso di delega, la disciplina di cui all'articolo 3, commi 8 e  9,
del decreto legislativo n. 23 del 2011; 
    evidenziato, quindi, che con 11 comma 1-ter dell'articolo 5  sono
dunque fatti salvi, fino ad una determinata data (31 dicembre  2015),
gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti  sulla  base  dei
contratti di locazione stipulati ai sensi della predetta  disciplina,
dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 50 del 2014; 
    ricordato, altresi', che le pronunce di accoglimento della  Corte
costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall'origine
la validita' e l'efficacia  della  norma  dichiarata  contraria  alla
Costituzione,   salvo   il   limite   delle   situazioni   giuridiche
«consolidate» per  effetto  di  eventi  che  l'ordinamento  giuridico
riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le  sentenze  passate
in  giudicato,  l'atto  amministrativo  non  piu'   impugnabile,   la
prescrizione e la decadenza (ex  multis  Cass.  civ.,  sez.  III,  28
luglio 1997, n. 7057». 
    Ora, in primo luogo, va rilevato che, come  reso  evidente  anche
dal richiamato parere, il legislatore non ha  inteso  introdurre  una
norma che riproduca il contenuto di quella dichiarata costituzionale,
ma ha espressamente evidenziato che la disposizione di cui  al  comma
1-ter  conterrebbe  «una  clausola  di   salvaguardia»,   diretta   a
preservare gli effetti prodottisi in applicazione dei commi 8 e 9 del
suddetto art. 3, e i rapporti giuridici che ne sarebbero originati. 
    Al riguardo, occorre rilevare che nella  fattispecie  non  e'  in
discussione   il   potere    del    legislatore    di    reintrodurre
nell'ordinamento una disposizione avente forza di  legge,  dichiarata
incostituzionale unicamente per eccesso di delega, posto che, in  tal
caso, non sussisterebbe la preclusione  da  giudicato  costituzionale
(in quanto il vizio riscontrato dal giudice delle leggi riguarderebbe
il  solo  profilo  procedimentale  afferente  alla  procedura   delle
leggi-delega di cui all'art. 76 Cost.). 
    Nel caso concreto, invece, il legislatore,  come  detto,  non  ha
inteso introdurre una norma disciplinante  di  nuovo  la  fattispecie
oggetto dell'art. 3 del  d.lgs.  n.  23/2011,  ma  ha  approvato  una
disposizione riguardante esclusivamente la sorte degli  effetti  gia'
prodottisi   esclusivamente   in   forza   della   norma   dichiarata
incostituzionale. 
    Tale finalita' teleologica che informa la norma in esame, secondo
la prospettazione del legislatore, sarebbe fondata sull'orientamento,
dottrinale e giurisprudenziale, relativo alla tematica  dei  «diritti
quesiti», ovvero alle «situazioni giuridiche consolidate» (richiamato
nel citato parere). 
    Il giudice «a quo» ritiene che l'argomentazione che  ha  sorretto
l'introduzione del comma 1-ter,  attraverso  la  promulgazione  della
legge n. 80, non sia corretta per diversi motivi. 
    Anzitutto, il legislatore ha inteso «salvaguardare»  gli  effetti
giuridici ed i rapporti sorti in applicazione delle norme, dichiarate
incostituzionali, stabilendo un termine finale, al 31 dicembre 2015. 
    Ora, e' evidente che, in tal modo, la norma in  esame  disciplina
fattispecie  future  in  ordine  alle  quali  giammai  puo'   trovare
applicazione la tematica dei «diritti quesiti». 
    La esclusiva finalita' perseguita di preservare gli effetti  e  i
rapporti giuridici prodotti in applicazione  della  norma  dichiarata
incostituzionale e' in contrasto  con  il  giudicato  costituzionale,
atteso che non e' possibile determinare la reviviscenza di una  norma
incostituzionale, laddove il  legislatore  non  ha,  in  alcun  modo,
introdotto  una  nuova   disciplina,   seppure   transitoria,   della
fattispecie di diritto. 
    D'altra parte, se l'intenzione del legislatore fosse stata quella
di introdurre una nuova disciplina della  fattispecie,  gia'  oggetto
del richiamato art. 3, comma 8, emendata dal  vizio  dell'eccesso  di
delega, il citato parere della  predetta  commissione  sarebbe  stato
verosimilmente diverso, senza nessun richiamo  ai  «diritti  quesiti»
per giustificare la costituzionalita' della nuova norma. 
    Sotto questo profilo, la norma  e'  chiaramente  riproduttiva  di
quella oggetto  della  dichiarazione  d'incostituzionalita',  essendo
volta a spiegare la propria forza di legge  anche  a  situazioni  non
ancora verificatesi. 
    Emerge,  dunque,   una   disposizione   legislativa   che   viola
palesemente il decisum contemplato dalla sentenza della  Corte  cost.
n.  50,  contraddicendo  gravemente  lo  stesso  incipit  da  cui  la
commissione permanente ha preso le mosse nell'esprimere  il  suddetto
parere. 
    La violazione dell'art. 136 Cost. emerge anche in relazione  alla
parte dell'art.  5,  comma  1-ter,  che  ha  inteso  disciplinare  le
fattispecie  verificatesi  sotto  l'impero  delle  norme   di   legge
dichiarate incostituzionali. 
    Al riguardo, la tematica dei «diritti quesiti»  e  dei  «rapporti
consolidati» e' stata invocata erroneamente, in  ordine  a  questioni
che, invece, ne sono ontologicamente estranee. 
    Giova  richiamare,  sul  punto,  l'orientamento  consolidato,  in
dottrina e in giurisprudenza della Corte di cassazione  secondo  cui:
«Le  pronunce  di  accoglimento  del  giudice  delle   leggi   -   di
illegittimita' costituzionale - eliminano la norma  con  effetto  «ex
tunc»,  con  la  conseguenza  che  essa  non  e'  piu'   applicabile,
indipendentemente dalla circostanza  che  la  fattispecie  sia  sorta
perche'   l'illegittimita'   costituzionale   ha   per    presupposto
l'invalidita'  -  originaria  della  legge  -  sia  essa  di   natura
sostanziale, procedimentale - o processuale - per  contrasto  con  un
precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli  effetti
-  in   epoca   anteriore   alla   pubblicazione   della   decisione,
dell'incostituzionalita' non si estendono esclusivamente ai  rapporti
ormai esauriti  in  modo  definitivo,  per  avvenuta  formazione  del
giudicato o per essersi verificato  altro  evento  cui  l'ordinamento
collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero  per  essersi
verificate preclusioni processuali, o decadenze  e  prescrizioni  non
direttamente  investite,  nei  loro  presupposti   normativi,   dalla
pronuncia d'incostituzionalita'» (ex multis, Cass., n. 20381  del  20
novembre 2012; n. 9329 del 20 aprile 2010). 
    Ora, nel caso  concreto,  non  sussistono  giudicati,  ne'  altri
eventi  cui  l'ordinamento  collega  il  consolidamento  di  rapporti
giuridici. Nel giudizio  «de  quo»  si  discute  di  un  rapporto  di
locazione, ad uso abitativo, e, dunque, di un  classico  rapporto  di
durata, che non e' stato sciolto od estinto. 
    Ne' vengono in rilievo prestazioni contrattuali patrimoniali,  la
cui   esecuzione   sia   ormai   «consolidata»,    con    conseguente
insuscettibilita' di essere oggetto di pronunce d'incostituzionalita'
afferenti  alle  norme  che  ne  hanno  disciplinato   il   contenuto
negoziale. 
    Al contrario, nella fattispecie  concreta,  la  norma  della  cui
legittimita' costituzionale  si  dubita  consente  al  conduttore  di
eludere l'adempimento dell'obbligazione  contrattuale  attraverso  il
pagamento  di   una   somma   di   gran   lunga   inferiore,   frutto
dell'applicazione dei criteri contemplati dal citato art. 3  (di  cui
si dira'). 
    In altri termini, la norma contestata attribuisce  al  conduttore
il vantaggio di invocare i pagamenti effettuati, in conformita' delle
norme  richiamate,   sottraendosi   all'adempimento   integrale   del
contratto  stipulato;   pertanto,   la   pronuncia   d'illegittimita'
costituzionale della stessa avrebbe l'effetto di  rendere  esigibile,
da  parte  del  locatore,  la  prestazione  contrattuale  nella   sua
interezza,   consentendo   al   creditore   la   piena   acquisizione
patrimoniale del diritto fatto valere. 
    La norma di cui al comma 1-ter e' in contrasto anche con l'art. 3
Cost. 
    La disciplina «di salvaguardia» introdotta con la  legge  n.  80,
con il limite temporale del 31  dicembre  2015,  ha  determinato  una
sorta  di  diritto  speciale,  nel  senso  che  a   taluni   rapporti
contrattuali di locazione ad  uso  abitativo,  ratione  temporis,  si
applica la normativa di cui all'art. 3, commi 8 e 9,  del  d.lgs.  n.
23/2011, che non  puo'  estendere  la  relativa  efficacia  oltre  il
suddetto limite, mentre agli altri rimane  applicabile  la  normativa
ordinaria. 
    Tale  differenziata  disciplina   configura   una   irragionevole
disparita' di trattamento rispetto a medesimi rapporti  di  locazione
ad  uso  abitativo,  da  ascrivere  al  mero  fatto  temporale  della
verificazione delle prestazioni contrattuali, specie se si  considera
che la normativa i cui effetti  s'intende  preservare  con  il  comma
1-ter e', ormai, sganciata dall'impianto complessivo che la sosteneva
nella vigenza del d.lgs. n. 23/2011. 
    Al riguardo, occorre rilevare che tale d.lgs. (come si dira') era
stato  dettato   dalla   finalita'   di   apprestare   una   sanzione
«civilistica» a danno dei locatori che non  avessero  tempestivamente
registrato il contratto, nell'ambito di  una  disciplina  tendente  a
prevenire, in parte qua, la violazione dell'obbligazione tributaria. 
    A seguito della dichiarazione d'incostituzionalita'  dell'art.  3
citato, non puo' dirsi piu' sussistente tale finalita'  preventiva  e
deterrente che, per definizione, non  puo'  essere  correlata  ad  un
termine finale che non ha nessun collegamento razionale con la  legge
originaria. 
    Il comma 1-ter confligge altresi' con l'art. 42, comma 2,  Cost.,
secondo cui «la proprieta' privata e' garantita e riconosciuta  dalla
legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e  i  limiti
allo  scopo  di  assicurare  la  funzione  sociale  e   di   renderla
accessibile a tutti». 
    Al riguardo, l'art. 3, comma 8, del d.lgs. n.  23/2011  -  i  cui
effetti sono oggetto della «norma di salvaguardia»  in  esame  -  nel
caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, ha
disposto l'applicabilita' automatica delle richiamate norme  in  tema
di durata e di determinazione del canone. 
    Entrambe  le  norme  «etero-integratrici»  del  contratto   hanno
introdotto rilevanti  e  significative  limitazioni  del  diritto  di
proprieta' (immobiliare) da  far  seriamente  dubitare  del  doveroso
rispetto  del   precetto   costituzionale,   considerato   che   tali
limitazioni  non  appaiono  afferire  alla  funzione  sociale   della
proprieta'. 
    In particolare, va osservato che  la  formulazione  dell'art.  42
Cost. - espressiva della connotazione del  nostro  ordinamento  quale
stato sociale di diritto - garantisce la  proprieta',  quale  diritto
soggettivo dell'individuo, ma ne prevede limitazioni al solo fine  di
assicurare l'adempimento dei doveri di solidarieta' sociale e  umana,
di cui all'art. 2 Cost. 
    Pertanto, la funzione sociale costituisce il criterio-cardine cui
commisurare  ogni  intervento  legislativo   diretto   a   introdurre
nell'ordinamento limiti e compressioni del diritto dominicale  (salva
la norma di cui al comma 3 in tema di espropriazione). 
    Cio' equivale a sostenere  che  il  legislatore  puo'  certamente
limitare la proprieta' privata, in tutte le sua facolta'  espressive,
ma deve rispettare il limite  teleologico  della  funzionalita'  alle
esigenze delle collettivita', mediante un bilanciamento di  interessi
di rango costituzionale che non puo' tradursi un uno «svuotamento  di
rilevante entita' ed incisivita'  del  suo  contenuto»  (v.  sentenza
Corte cost. n. 55/1968). 
    Tale argomentazione induce ad  una  ulteriore  deduzione  logica,
consistente nell'affermare che ogni limitazione del  contenuto  della
proprieta' privata deve concretizzarsi in una sorta di corrispondente
utilita' che tragga origine dalla medesima proprieta'. 
    In altri termini, secondo il  disposto  dell'art.  42  Cost.,  la
proprieta' puo' essere soggetta a riduzioni del suo contenuto solo se
tale  limitazione  afferisca  ad  utilita'  che  lo  stesso   diritto
dominicale assicura in ordine ai doveri di  solidarieta'  sociale  di
cui all'art. 2 Cost. o ad altri diritti di rilevanza costituzionale. 
    Ora, nella fattispecie, la norma oggetto dell'ordinanza, riguardo
ai contratti di locazione ad uso abitativo, ha  introdotto  rilevanti
limitazioni della proprieta' immobiliare  e  della  stessa  autonomia
contrattuale, come detto, attraverso l'imposizione di un  determinato
ammontare del canone periodico e di una  nuova  durata  del  rapporto
contrattuale, quale conseguenza della omessa o tardiva  registrazione
del contratto, cioe' di una condotta  in  violazione  di  un  obbligo
tributario. 
    L'integrazione contrattuale prevista dal d.lgs. n. 23/2011 appare
una sanzione comminata  con  la  chiara  finalita'  di  apprestare  -
rispetto al proprietario-locatore -  un  forte  deterrente  afferente
alla violazione della norma tributaria. 
    Ora,   tale   soluzione   legislativa   costituisce   un'evidente
compressione delle facolta' del proprietario il  quale,  per  la  sua
condotta  fiscalmente  illegittima,   subisce,   di   fatto   (oltre,
naturalmente, alle sanzioni di legge) l'imposizione di  un  contenuto
del contratto di locazione che incide notevolmente sia sul reddito da
locazione  (in  quanto  calcolato  secondo  criteri   predeterminati,
palesemente inferiori ai canoni di mercato),  che  sul  diritto  alla
restituzione della cosa  locata  (atteso  che,  dalla  registrazione,
volontaria o d'ufficio, tardiva e'  computata  «ab  novo»  la  durata
quadriennale minima di  legge,  con  tendenziale  rinnovo  per  altro
quadriennio, salvo diniego motivato, a norma dell'art.  2,  comma  1,
della legge n. 431/98). 
    Tali limitazioni del diritto del  locatore-proprietario  appaiono
di consistente ed  incisivo  contenuto,  considerato  il  sostanziale
svuotamento dell'autonomia privata in  ordine  alla  pattuizione  del
canone di locazione. 
    Le norme introdotte dall'art. 3, comma 8, del d.lgs.  n.  23/2011
sono  state  indubbiamente  finalizzate  al  raggiungimento   di   un
interesse   generale   della   collettivita'   (cioe'   l'adempimento
dell'obbligo  di  pagare  i  tributi),  ma  non  costituiscono  certo
espressione teleologica di una compressione del diritto di proprieta'
corrispondente  ad  un'utilita'  sociale  che   lo   stesso   diritto
garantisce. 
    Tali limitazioni  del  diritto  di  proprieta',  nell'ambito  del
rapporto di locazione, non afferiscono in alcun  modo  alla  funzione
sociale della medesima proprieta' (cioe'  la  cosa  locata)  dirette,
invece, a soddisfare un interesse generale esogeno ed esorbitante dal
connotato ontologico del diritto dominicale. 
    Al riguardo, nell'ambito della giurisprudenza della Corte  cost.,
in tema di (asserita) violazione dell'art. 42  Cost.,  l'orientamento
consolidato e' sempre consistito nell'effettuare un bilanciamento tra
il diritto di proprieta' e altri interessi di rango costituzionale la
cui tutela s'appalesi inerente allo stesso diritto dominicale. 
    In particolare, in tema di affitto di fondi rustici, la Corte  ha
affermato il principio per cui e'  legittima  la  compressione  della
proprieta' mediante un canone predeterminato per legge, in una misura
ritenuta  equa  dal  legislatore,  allorquando  il  sacrificio  della
proprieta' avvenga a favore dell'affittuario che coltivi direttamente
la terra, con la propria forza-lavoro o dei suoi familiari, e negando
invece la legittimita' alla compressione del diritto  che  avvenga  a
favore di un affittuario imprenditore che faccia lavorare da terzi la
terra presa in affitto (Corte cost., n. 155/1972; n. 153/1977). 
    Da tali pronunce e' dato desumere che e'  legittimo  limitare  il
contenuto del diritto di proprieta' dell'affittante solo qualora cio'
traduca  in  un'utilita'  della  stessa  proprieta'  a   favore   del
coltivatore-affittuario; in  altri  termini,  la  compressione  della
proprieta'    e'    declinata    quale    corrispondente    interesse
costituzionalmente rilevante a favore di terzi meritevoli  di  tutela
rispetto al medesimo bene oggetto dell'intervento legislativo. 
    Al riguardo, puo' essere ricordata anche la legislazione in  tema
di equo-canone, che introdusse limiti alla proprieta', per  garantire
e soddisfare interessi  generali  afferenti  alla  locazione  ad  uso
abitativo della stessa proprieta' oggetto di limitazione, al fine  di
garantirne la funzione sociale. 
    Se ne deduce, altresi', che la funzione sociale della  proprieta'
e' l'unico parametro della limitazione  del  diritto  di  proprieta',
sicche' quest'ultimo non dovrebbe subire  compressioni  rilevanti  ed
irragionevoli finalizzate esclusivamente a soddisfare  interessi  del
tutto esogeni al contenuto del diritto in  questione,  quantunque  di
rango costituzionale. 
    Nel caso concreto, ricorre tale ipotesi, posto che l'applicazione
della norma  che  predetermina  l'importo  del  canone  di  locazione
secondo  i  criteri  ivi  previsti  (cd.  «canone   catastale»)   non
garantisce alcuna funzione sociale dell'immobile locale, ma  integra,
nella   sostanza,   un'imposizione    contrattuale    di    carattere
sanzionatorio per infedelta' fiscale. 
    La forte compressione del diritto di proprieta' del  locatore  e'
altresi'  irragionevole,  perche'  puo'  protrarsi  per  una   durata
tendenziale di circa quasi  cinque  anni,  considerando  il  suddetto
termine finale del 31 dicembre 2015. 
    Inoltre, va evidenziata la notoria  inadeguatezza  dei  parametri
desumibili dai criteri catastali (notoriamente anacronistici),  quale
ulteriore indizio di lesivita' del diritto dominicale. 
    Giova, altresi', rilevare che l'interesse  statuale  a  garantire
l'osservanza delle  norme  tributarie  e'  oggetto  di  piena  tutela
giuridica, attraverso le  norme  sanzionatorie  vigenti  in  tema  di
accertamento e repressione dell'illecito fiscale. 
    Al riguardo,  non  va  sottaciuto  che,  anche  se  la  questione
riguarda la sola locazione  a  uso  abitativo,  la  correlazione  tra
illeciti fiscali e validita' di negozi privatistici comporta il venir
meno della stabilita' dei rapporti giuridici e la  relativa  certezza
delle contrattazioni, in subiecta materia. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Letti gli artt. 134 e 137 Cost., 1 della legge  costituzionale  9
febbraio 1948 n. 1, e art. 23 della  legge  costituzionale  11  marzo
1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 1 della  legge  n.  80  del  23
maggio 2014, di conversione del decreto-legge  n.  47  del  28  marzo
2014, nella parte in cui - in allegato - ha introdotto il comma 1-ter
all'art. 5 del suddetto decreto-legge, in ordine agli artt. 136, 3  e
42, 2° comma, Cost. 
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle  parti,  al
Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente  del
Senato e al Presidente della Camera dei deputati. 
    Dispone che, all'esito, il fascicolo  sia  trasmesso,  unitamente
alla prova delle eseguite notificazioni e comunicazioni,  alla  Corte
costituzionale. 
    Sospende il giudizio. 
        Napoli, 13 ottobre 2014. 
 
                          Il g.u.: Caiazzo