N. 108 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 febbraio 2015

Ordinanza del  18  febbraio  2015  del  Giudice  dell'esecuzione  del
Tribunale di Viterbo sul ricorso proposto da  Ricci  Emanuela  contro
Muscogiuri Elisa. 
 
Esecuzione forzata - Somme dovute dai privati a titolo di  stipendio,
  di salario o di altre indennita' relative al rapporto di  lavoro  o
  di impiego comprese  quelle  dovute  a  causa  di  licenziamento  -
  Prevista possibilita' di pignoramento nella misura di un quinto per
  i tributi dovuti allo Stato, alle Province  ed  ai  Comuni,  ed  in
  eguale misura per ogni altro credito -  Mancata  previsione  di  un
  minimo impignorabile necessario a  garantire  al  lavoratore  mezzi
  adeguati alle sue esigenze di vita e ad una retribuzione  "in  ogni
  caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia  un'esistenza
  libera e dignitosa"  -  Lesione  del  principio  del  lavoro  quale
  fondamento della  Repubblica  italiana  -  Violazione  dei  diritti
  inviolabili dell'uomo - Lesione del diritto e dovere  al  lavoro  -
  Violazione  del   principio   della   retribuzione   necessaria   e
  sufficiente  ad  assicurare  al   lavoratore   ed   alla   famiglia
  un'esistenza libera e  dignitosa  -  Violazione  del  principio  di
  uguaglianza per ingiustificato deteriore trattamento del lavoratore
  rispetto al pensionato. 
- Codice di procedura civile, art. 545. 
- Costituzione, artt. 1, 2, 3 e 36. 
In subordine: 
Esecuzione forzata - Somme dovute dai privati a titolo di  stipendio,
  di salario o di altra indennita' relative al rapporto di  lavoro  o
  di impiego comprese  quelle  dovute  a  causa  di  licenziamento  -
  Prevista possibilita' di pignoramento nella misura di un quinto per
  i tributi dovuti alla Stato, alle Province  ed  ai  Comuni,  ed  in
  eguale misura per ogni altro credito - Mancata  previsione  che  le
  soglie di pignorabilita' siano le stesse di quelle  indicate  dalla
  legge in materia di tributi (d.l. n. 16/2012, convertito  in  legge
  n. 44/2012) e che quindi debbano essere graduate  a  seconda  della
  retribuzione,  come  indicato  dall'art.  72-ter  del   d.P.R.   n.
  602/1973, in misura pari ad 1/10 per importi fino a 2.500,00  euro;
  in misura pari ad 1/7 per importi da 2.500,00 a 5.000,00 euro e che
  resta ferma la misura di cui all'art. 545, quarto comma, c.p.c.  se
  le somme dovute a titolo  di  stipendio,  di  salario  o  di  altre
  indennita' relative al rapporto di lavoro o  di  impiego,  comprese
  quelle dovute a causa di licenziamento, superano i cinquemila  euro
  -  Lesione  del  principio  del  lavoro  quale   fondamento   della
  Repubblica italiana - Violazione dei diritti inviolabili  dell'uomo
  - Lesione del diritto e dovere al lavoro - Violazione del principio
  della  retribuzione  necessaria  e  sufficiente  ad  assicurare  al
  lavoratore ed alla  famiglia  un'esistenza  libera  e  dignitosa  -
  Violazione  del  principio  di   uguaglianza   per   ingiustificato
  deteriore trattamento del lavoratore rispetto al pensionato. 
- Codice di procedura civile, art. 545. 
- Costituzione, artt. 1, 2, 3 e 36. 
(GU n.24 del 17-6-2015 )
 
                        TRIBUNALE DI VITERBO 
                     Il Giudice dell'Esecuzione 
 
Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale 
    Ai sensi dell'art. 23 della legge  11  marzo  1953,  n.  87,  nel
procedimento  R.E.  n.  1340/2014  promosso  da  Ricci   Emanuela   -
creditrice procedente, contro Muscogiuri Elisa - debitrice; 
    Letti gli atti della procedura esecutiva di cui  alla  epigrafe -
sciogliendo la riserva presa alla udienza del 4 febbraio 2015; 
        - rilevato che il credito di Ricci Emanuela nei confronti  di
Muscogiuri Elisa, ammonta in base al precetto ad  €  2.044,72,  sulla
base della sentenza del Giudice  di  Pace  di  Civita  Castellana  n.
68/12, n. 912/07 rg nr oltre le spese della procedura esecutiva; 
        - rilevato che  il  terzo  pignorato:  Postapubblicitaria  di
Spina Filippo Grazio e Nicolamme Laura in data 10  ottobre  2014,  ha
reso dichiarazione positiva del suo  obbligo  di  corrispondere  alla
debitrice uno stipendio mensile che "non supera € 450,00"; 
        - alla udienza del 4  febbraio  2015  il  creditore  chiedeva
l'assegnazione nel limite di legge di 1/5 dello stipendio; 
        - rilevato che deve applicarsi il  regime  di  pignorabilita'
degli stipendi ed altri emolumenti riguardanti il rapporto di lavoro; 
        - rilevato che  in  base  all'art.  545  c.p.c.  "Tali  somme
possono essere pignorate nella misura di  un  quinto  per  i  tributi
dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, ed  in  eguale  misura
per ogni altro credito"; 
        - ritenuto che si debba tenere  conto  dell'ulteriore  limite
imposto dall'art. 2 co. 2 e dall'art. 68 D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180
per cui, in caso di concorso tra  cessioni  volontarie  e  successivi
pignoramenti, la pignorabilita' della quota residua  e'  soggetta  al
solo limite della meta' ivi stabilito, che non  sempre  e'  idoneo  a
garantire un minimo vitale; 
        -  ritenuto  che  da  tali  disposizioni  si  ricava  che  lo
stipendio e' pignorabile fino ad 1/5, e che un quinto dello stipendio
ammonta ad € 90,00 come dichiarato dal terzo (datore di lavoro),  per
cui resterebbero alla debitrice € 360,00 (€ 450-90 per pignoramento =
360,00) per la sua sopravvivenza (non risultando agli atti che  abbia
altre fonti di sostentamento); 
        - rilevato che nel decreto-legge  n.  16/2012  (cd.  "decreto
Semplificazioni") convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3,  comma  5,
che ha aggiunto, nel D.P.R. n. 602/1973, in materia  di  pignoramento
presso terzi disposto dall'agente della  riscossione  per  i  tributi
dovuti allo Stato (in tema di pignoramenti Equitalia) l'art.  72-ter,
recante il titolo "Limiti di pignorabilita'" , secondo il quale:  "Le
somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre  indennita'
relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a
causa di licenziamento, possono essere  pignorate  dall'agente  della
riscossione: a) in misura pari ad 1/10 per importi  fino  a  2.500,00
euro; b) in misura pari ad 1/7 per importi  da  2.500,00  a  5.000,00
euro". "Resta ferma la misura  di  cui  all'articolo  545,  comma  4,
c.p.c., se le somme dovute a titolo di stipendio,  di  salario  o  di
altre indennita'  relative  al  rapporto  di  lavoro  o  di  impiego,
comprese  quelle  dovute  a  causa  di  licenziamento,   superano   i
cinquemila euro"; 
        - rilevato che, la somma di  €  360,00  che  resterebbe  alla
debitrice dedotto un quinto del suo stipendio, appare al di sotto del
minimo indispensabile ad un essere umano che lavora per  sostentarsi,
tenuto conto anche del fatto che  quello  stesso  essere  umano,  per
produrre quel  reddito  deve  comunque  sostenere  delle  spese  (per
mangiare, vestirsi, recarsi sul luogo di lavoro  etc.),  per  cui  e'
impensabile che senza un reddito minimo il lavoratore possa  comunque
prestare la sua opera; - rilevato che, nella ipotesi di  pignoramento
della pensione, la  Corte  Costituzionale  con  la  nota  sentenza  4
dicembre 2002, n.  506  in  merito  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale  sollevata  relativamente  all'art.  128   del   regio
decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 69 della legge 30  aprile
1969, n. 153, afferma la pignorabilita' per ogni credito, nei modi  e
nei limiti stabiliti dall'art, 545 c.p.c., solo di quella parte della
pensione che non sia necessaria a garantire al  pensionato  i  "mezzi
adeguati alle sue esigenze di vita"; 
        - rilevato che in relazione alle pensioni  la  soglia  minima
impignorabile non e' stata  definita  dal  legislatore  ma  e'  stata
individuata  dalla  giurisprudenza  che  ha  ritenuto  trattarsi   di
questione di  merito  rimessa  alla  valutazione  del  Giudice  della
esecuzione (cfr. Cass.  n.  6548/11  confermata  da  Cass.  III  civ.
18755/2013 "le  soluzioni  che  si  rifanno  alle  normative  la  cui
utilizzabilita' diretta era gia' stata esclusa dalla  sentenza  della
Corte Costituzionale, ed in particolare  quella  che  si  rifa'  alla
pensione sociale, nonche' la soluzione che  applica  direttamente  il
trattamento minimo di cui alla L. n. 488 del 2001, art. 38, commi 1 e
5 e della L. n. 289 del 2002, art. 39, comma 8, presentano margini di
opinabilita', poiche' i relativi presupposti paiono  tutti  orientati
esclusivamente   alle   specifiche    finalita'    previdenziali    o
assistenziali dei singoli istituti e non sono  suscettibili,  se  non
altro in via immediata, di  adeguata  generalizzazione:  sicche'  non
solo il trattamento minimo ... ma neppure  l'importo  della  pensione
sociale corrispondono necessariamente al minimo indispensabile per la
sussistenza in vita in condizioni dignitose. Il principio di  diritto
che si intende confermare allora non puo' che essere  quello  di  cui
alla sentenza  appena  citata,  per  il  quale  l'indagine  circa  la
sussistenza o  l'entita'  della  parte  di  pensione  necessaria  per
assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita,  e
come  tale  legittimamente  assoggettabile  al  regime  di   assoluta
impignorabilita' - con le sole eccezioni, tassativamente indicate, di
crediti  qualificati  e'  rimessa,  in  difetto  di  interventi   del
legislatore al  riguardo,  alla  valutazione  in  fatto  del  giudice
dell'esecuzione ed e' incensurabile in cassazione  se  logicamente  e
congruamente motivata." 
    Rilevato che tale  limite,  costituente  garanzia  di  un  minimo
assolutamente impignorabile e' stato determinato dalla giurisprudenza
con riferimento prevalente ai parametri della pensione sociale o  del
trattamento minimo di cui alla L. n. 488 del 2001, art. 38, commi 1 e
5 e della L. n. 289 del 2002 art. 39, comma 8. 
    Rilevato  che  gli  importi  di  tali  trattamenti  pensionistici
(utilizzati come parametri costanti dalla  giurisprudenza  di  merito
per individuare la soglia del trattamento  pensionistico  minimo  non
pignorabile) sono entrambi ben  superiori  allo  stipendio  percepito
dalla debitrice, per una prestazione  lavorativa  che,  comunque,  la
impegna quotidianamente e che tale stipendio appare ai  limiti  della
mera sussistenza; 
        - rilevato che il pensionato, essendo ritirato dal lavoro non
deve farsi carico  delle  spese  necessarie  a  produrre  il  proprio
reddito, mentre il lavoratore si presuppone  che  debba  recarsi  con
mezzi propri sul luogo di lavoro,  vestirsi  in  modo  adeguato  alla
funzione svolta, utilizzare energie anche fisiche che richiedono  una
alimentazione piu' ricca di chi e' a riposo, e quindi sostenere delle
spese indispensabili alla produzione di un reddito,  oltre  a  quelle
necessarie   per   la   mera   sopravvivenza   (nutrirsi,   coprirsi,
riscaldarsi, assicurarsi un alloggio etc.); 
        -  ritenuto  che  anche  per  il  lavoratore   debba   essere
individuato un minimo vitale indispensabile e  non  pignorabile,  che
non possa essere distolto dalla funzione primaria del salario, che e'
quella appunto di consentire  la  sopravvivenza  e  l'utilizzo  delle
proprie capacita' lavorative a chi abbia come sola risorsa il proprio
lavoro; 
         - ritenuto che, se la retribuzione  venisse  ridotta  al  di
sotto di quel minimo vitale indispensabile alla sopravvivenza,  oltre
a determinarsi effetti negativi per tutto il tessuto sociale (ad  es.
il lavoratore sarebbe spinto  ad  orientarsi  verso  il  mercato  del
lavoro irregolare, non potrebbe far fronte  ai  propri  obblighi  nei
confronti della famiglia, sarebbe  spinto  a  comportamenti  illegali
etc.), ne risulterebbe violato  il  precetto  costituzionale  di  cui
all'art. 36 Cost. che prevede che la retribuzione  debba  essere  "in
ogni caso sufficiente ad  assicurare  a  se'  ed  alla  famiglia  una
esistenza libera e dignitosa", oltre ai precetti di cui agli articoli
1, 2, 3, 4 Cost. 
    Rilevato che in detta sentenza 4 dicembre 2002, n. 506  la  Corte
ha  ritenuto  di  confermare  il  precedente  orientamento  espresso,
secondo cui  aveva  sempre  respinto  la  questione  di  legittimita'
costituzionale, in relazione all'art. 36 Cost., dell'art. 545, quarto
comma,  cod.  proc.  civ.,   nella   parte   in   cui   non   prevede
l'impignorabilita'  della  quota  di   retribuzione   necessaria   al
mantenimento del debitore e della famiglia (sentenza n. 20 del  1968;
sentenza n. 38 del 1970; sentenza n. 102 del 1974;  sentenza  n.  209
del 1975; ordinanza n. 12  del  1977;  ordinanza  n.  260  del  1987;
ordinanza n. 491 del 1987; sentenza n. 434 del 1997); 
        che  in  tale  sentenza  si  e'  ritenuto   che   l'art.   36
Cost. indica parametri ai  quali  deve  conformarsi  l'entita'  della
retribuzione, ma nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, senza  che
ne scaturisca, quindi, vincolo  alcuno  per  terzi  estranei  a  tale
rapporto,  oltre  quello -  frutto  di   razionale   «contemperamento
dell'interesse del creditore con quello del debitore  che  percepisca
uno stipendio» (sentenze n. 20 del 1968 e 38 del 1970) -  del  limite
del  quinto   della   retribuzione   quale   possibile   oggetto   di
pignoramento; 
        che tale pronuncia nel riportarsi alle precedenti, si pone in
un contesto economico e sociale  nonche'  normativo  ben  diverso  da
quello attuale,  sia  per  quanto  riguarda  le  modifiche  normative
introdotte sul regime delle pensioni e dei contratti di  lavoro,  sia
per i mutamenti della giurisprudenza che sempre piu'  e'  andata  nel
senso di riconoscere identita' di  funzioni  alo  stipendio  ed  alla
pensione, sia per i dati  fattuali  relativi  alle  potenzialita'  di
lavorare e di produrre reddito a cui una persona puo' aspirare,  dato
che la nostra societa' sta attraversando una  crisi  economica  senza
precedenti, ritenuta da molti esperti  anche  peggiore  della  grande
crisi  del  1929,   situazione   che   determina   un   generalizzato
impoverimento dei lavoratori dovuto alla esiguita' degli stipendi, ai
mancati adeguamenti  alla  inflazione,  alla  perdita  di  potere  di
acquisto dei salari e degli stipendi in generale, etc.; 
        che tali mutati fattori economici fanno si'  che,  anche  nel
caso di specie, in mancanza di prova contraria, si debba ritenere che
l'unico reddito su cui  il  debitore  possa  far  conto  per  la  sua
sopravvivenza sia quello modestissimo sottoposto a pignoramento; 
        che, nel tempo, la sostanziale identita'  di  funzione  della
pensione e della retribuzione o salario e' stata riconosciuta  sempre
piu' spesso dalla giurisprudenza,  anche  in  applicazione  di  norme
internazionali ed europee, per cui appare necessario un  ripensamento
del  complesso  contesto  normativo  nell'ambito  del  quale  si   e'
affermata la suddetta giurisprudenza, anche  alla  luce  della  nuova
normativa in tema di pignoramenti per crediti tributari  dello  Stato
(decreto-legge n. 16/2012 cd. "decreto Semplificazioni" convertito in
legge n. 44/2012 l'art. 3, comma 5, che ha aggiunto,  nel  D.P.R.  n.
602/1973 l'art. 72-ter, recante il titolo "Limiti di pignorabilita'"; 
        che nel contesto economico-sociale attuale, con i livelli  di
disoccupazione ormai raggiunti in Italia, con la crisi economica  che
si e' determinata negli ultimi anni,  le  retribuzioni  ed  i  salari
minimi (per  lavori  spesso  precari)  come  quello  percepito  dalla
debitrice sono gia' ai limiti della sussistenza  e  non  appare  piu'
frutto di un razionale «contemperamento dell'interesse del  creditore
con quello del debitore che percepisca uno stipendio»  consentire  il
pignoramento della retribuzione, seppure nel  limite  di  un  quinto,
destinata in  modo  essenziale  ed  imprescindibile  a  garantire  la
sopravvivenza fisica del lavoratore e la sua possibilita' di svolgere
le  sue  prestazioni  lavorative  sopportando  i  costi  necessari  a
produrre la sua forza lavoro; 
        che, in caso di applicazione  alla  fattispecie  oggetto  del
presente  giudizio  del  limite  indicato  dall'art.  72-ter   D.P.R.
602/1973, introdotto con  decreto  legge  n.  16/2012  (cd.  "decreto
Semplificazioni") convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3,  comma  5,
essendo la somma dovuta a titolo di stipendio inferiore ad € 2.500,00
mensili, la stessa sarebbe pignorabile nel limite di un decimo e  non
di un quinto; 
        che lo stesso legislatore che e'  intervenuto  nella  materia
dei pignoramenti per crediti tributari ha avuto presente ed ha tenuto
in considerazione  l'attuale  congiuntura  economica  ed  il  diverso
contesto normativo. 
 
                               Osserva 
 
    Che  sussistono  seri  dubbi  sulla  legittimita'  costituzionale
dell'art. 545 IV comma c.p.c., nella parte  in  cui  con  riferimento
alle "somme dovute dai privati a titolo di stipendio,  di  salario  o
altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese
quelle dovute a  causa  di  licenziamento"  indicate  nel  II  comma,
prevede che: "Tali somme possono essere pignorate nella misura di  un
quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed  ai  comuni,
ed in eguale misura per ogni altro credito" e non prevede  invece  un
minimo impignorabile necessario  a  garantire  al  lavoratore  "mezzi
adeguati alle sue esigenze di vita", ed  una  retribuzione  "in  ogni
caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia  una  esistenza
libera e dignitosa" con particolare riferimento alle esigenze  di  un
reddito minimo che gli consenta di  sostenere  le  sue  spese  minime
necessarie al suo stesso sostentamento in vita ed  in  condizioni  di
vita adeguate a consentirgli la stessa produzione del reddito. 
    E, in subordine, che sussistono  seri  dubbi  sulla  legittimita'
costituzionale dell'art. 545 IV comma c.p.c., nella parte in cui  con
riferimento alle "somme dovute dai privati a titolo di stipendio,  di
salario o altre indennita'  relative  al  rapporto  di  lavoro  o  di
impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento" indicate nel
II comma, prevede che: "Tali somme  possono  essere  pignorate  nella
misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed
ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito", e non prevede
invece, conformemente a quanto previsto dal decreto-legge n.  16/2012
cd. "decreto Semplificazioni" convertito in legge n.  44/2012  l'art.
3, comma 5, che ha aggiunto, nel D.P.R. n.  602/1973  l'art.  72-ter,
recante il titolo  "Limiti  di  pignorabilita'",  che  le  soglie  di
pignorabilita' siano le medesime di quelle indicate  dalla  legge  in
materia di tributi e che quindi debbano  essere  graduate  a  seconda
dell'ammontare della  retribuzione  come  indicato  dall'art.  72-ter
D.P.R. 602/73 come recentemente modificato: a) in misura pari ad 1/10
per importi fino a 2.500,00 euro;  b)  in  misura  pari  ad  1/7  per
importi da 2.500,00 a 5.000,00 euro". "Resta ferma la misura  di  cui
all'articolo 545, comma 4, c.p.c., se le somme  dovute  a  titolo  di
stipendio, di salario o di altre indennita' relative al  rapporto  di
lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento,
superano i cinquemila euro". 
    Detta disposizione si pone in contrasto con gli artt. 1, 2,  3  e
36, della Costituzione. 
    In  relazione  all'articolo  1  della  Carta  Costituzionale  che
afferma che la Repubblica e' "fondata sul  lavoro",  all'art.  2  che
riconosce e garantisce i diritti  inviolabili  dell'uomo  e  richiede
l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta'  politica,
economica  e  sociale,  all'art.  3  che  sancisce  il  principio  di
eguaglianza formale e sostanziale ed il principio di  ragionevolezza,
all'art. 4 che riconosce e garantisce  il  diritto  al  lavoro  e  il
dovere di ogni cittadino di' svolgere una attivita'  o  funzione  che
concorra al progresso materiale e spirituale della societa', all'art.
36 che prevede che la retribuzione deve essere non  solo  commisurata
alla quantita' e qualita' del lavoro  prestato,  ma  anche  che  deve
essere "in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia
una esistenza libera e dignitosa". 
    Al cittadino lavoratore deve essere garantito che il  frutto  del
suo lavoro, cioe' il suo stipendio o salario,  sia  destinato  almeno
nei  limiti  del  minimo  indispensabile,  al  soddisfacimento  delle
esigenze primarie di sopravvivenza sue e della famiglia, diversamente
ne risulterebbe violata sia la dignita' del  lavoro  come  fondamento
stesso della Repubblica, sia il diritto al lavoro (in quanto lavorare
puo' diventare economicamente non conveniente), sia il diritto a  che
la retribuzione percepita sia "in ogni caso sufficiente ad assicurare
a se' ed alla famiglia una esistenza libera e dignitosa". 
    Il principio di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3)  risulta
violato  in  relazione  al  diverso  trattamento  che   riguarda   il
pensionato, il quale, non prestando piu' attivita' lavorativa  riceve
una tutela della propria pensione (che puo' essere vista  anche  come
una retribuzione differita) diversa e maggiore di quella  che  riceve
un lavoratore attivo, il quale ha ancora piu'  necessita'  di  vedere
tutelato un limite vitale di sopravvivenza  oltre  il  quale  il  suo
stipendio  non  puo'  essere  assoggettato   a   pignoramento.   Tale
differenza, avuto riguardo ai cambiamenti  intervenuti  nel  contesto
normativo, nella giurisprudenza, nel tessuto sociale, nella economia,
non appare piu' giustificata da alcun principio di ragionevolezza. 
    Il principio di uguaglianza risulta anche violato in relazione al
diverso trattamento che riceve il debitore a seconda del credito  per
cui si  procede.  Se  il  credito  e'  erariale,  paradossalmente  il
debitore risulta maggiormente tutelato, quando invece le  ragioni  di
interesse pubblico e di quadro normativo  di  riferimento  dovrebbero
giustificare,  al  contrario,  un  miglior  trattamento  dei  crediti
erariali rispetto a quelli comuni. 
    Questo remittente non ignora le precedenti pronunce  della  Corte
Costituzionale ma ritiene che i profili sollevati in  motivazione  in
relazione  alla  prima  questione:  riguardante  la  impignorabilita'
assoluta di un minimo vitale dello stipendio, rivestano carattere  di
novita'; e' nuova  la  questione  relativa  al  diverso  e  deteriore
trattamento dei crediti erariali (regolati  dall'art.  72-ter  D.P.R.
602/1973) rispetto ai crediti comuni, inoltre il quadro  normativo  e
quello socio economico di  riferimento,  sono  talmente  cambiati  da
rivestire caratteri di novita' e differenza rispetto  alle  questioni
gia' sottoposte al vaglio della Corte. 
    La questione e' rilevante nel giudizio in  corso  ai  fini  della
decisione - adottabile  anche  ex  officio -  sulla  impignorabilita'
assoluta delle somme pignorate o sulla  quantificazione  dell'importo
che puo' essere assegnato alla creditrice (1/5 o 1/10). 
    Questo G.E. ha gia' rimesso a  Codesta  Corte  analoga  questione
relativa al procedimento n. 572/14. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 134 della Costituzione, nonche' l'art. 23  della  L.
11 marzo 1953, n. 87; 
 
                               Ordina 
 
    La   sospensione   del   procedimento,    per    pregiudizialita'
costituzionale,   con   immediata   trasmissione -   a   cura   della
Cancelleria - del fascicolo d'ufficio e  dei  fascicoli  delle  parti
alla Corte Costituzionale; 
 
                               Ordina 
 
    La notificazione del presente provvedimento - sempre a cura della
Cancelleria - alla Presidenza del  Consiglio  dei  ministri  ed  alle
parti in causa, nonche' ai Presidenti della Camera dei Deputati e del
Senato della Repubblica. 
        Viterbo, 14 febbraio 2015 
 
                     Il G.O.T.: Avv. Luisa Sisto