N. 114 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 dicembre 2014

Ordinanza del 3 dicembre 2014 del Tribunale di Gela nel  procedimento
civile promosso da Campo Grazia contro Antonuccio Dario. 
 
Locazione  di  immobili  urbani  -  Contratti  di  locazione  ad  uso
  abitativo registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto
  legislativo 14 marzo 2011, n. 23 -  Previsione  di  salvezza,  fino
  alla data del 31 dicembre 2015,  degli  effetti  prodottisi  e  dei
  rapporti giuridici sorti sulla base di essi - Denunciata  finalita'
  di salvaguardia, seppur con  un  limite  temporale,  degli  effetti
  della normativa  dichiarata  costituzionalmente  illegittima  dalla
  Corte costituzionale con sentenza n.  50  del  2014  -  Sostanziale
  reintroduzione di tale normativa rispetto a fattispecie sia  future
  che  passate  -   Violazione   del   giudicato   costituzionale   -
  Irragionevole disparita' di trattamento rispetto alle locazioni  ad
  uso abitativo soggette alla disciplina  ordinaria  -  Insussistenza
  della finalita' preventiva e deterrente originariamente  perseguita
  dalla normativa riprodotta - Limitazioni del diritto di  proprieta'
  e dell'autonomia contrattuale non afferenti alla  funzione  sociale
  del bene -  Rilevante  e  irragionevole  compressione  del  diritto
  dominicale del locatore per interessi esogeni rispetto al contenuto
  di esso. 
- Decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con  modificazioni,
  dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, art. 5, comma 1-ter. 
- Costituzione, artt. 3, 42 (comma secondo) e 136. 
(GU n.25 del 24-6-2015 )
 
                          TRIBUNALE DI GELA 
                           Sezione Civile 
 
    Il Giudice sciogliendo la riserva assunta nel verbale di  udienza
del 3 dicembre 2014; 
    Letti gli atti del procedimento; 
    Premesso: 
        che con citazione notificata il 21 aprile 2012  Campo  Grazia
adiva  il  Tribunale  di  Gela  deducendo  di  essere  creditore  nei
confronti di Antonuccio Antonio Dario della complessiva somma di euro
3.900,00 per canoni locatizi insoluti (trimestre 5  settembre  2011-5
dicembre 2011 = euro 1.300,00; trimestre 5 dicembre 2011-5 marzo 2012
= euro  1.300,00;  trimestre  5  marzo  2012-5  giugno  2012  =  euro
1.300,00), in virtu' di  contratto  di  locazione  ad  uso  abitativo
stipulato il 30 giugno 2011 (avente ad oggetto un  immobile  sito  in
Gela, Via Delle Dune, angolo Via dei Gelsi,  in  c.da  Femmina  Morta
s.n.c.), con decorrenza 1° giugno 2011 - 1° giugno 2016 e  previsione
di un canone annuo di  euro  5.200,00  da  pagarsi  in  quattro  rate
trimestrali di euro  1.300,00  ciascuna,  con  scadenza  5  marzo,  5
giugno, 5 settembre e 5 dicembre di ogni anno; l'attrice  richiedeva,
quindi,  la  convalida  dello  sfratto  e  l'emissione   di   decreto
ingiuntivo  per  le  somme  dovute  (anche  a  scadere)  nonche',  in
subordine, l'emissione dell'ordinanza provvisoria di rilascio; 
        che con comparsa depositata il 22 maggio 2012  si  costituiva
Antonuccio Antonio Dario il quale, nel contestare l'avversa  domanda,
eccepiva, tra l'altro, la  registrazione  tardiva  del  contratto  di
locazione (avvenuta in data 8 marzo, 2012  di  sua  iniziativa),  con
conseguente applicabilita'  dell'art.  3  del  d.lgs.  n.  23/2011  e
rideterminazione di durata e canone del negozio: «1) durata  ex  novo
di altri quattro anni di locazione, a far data dalla registrazione, e
dunque, nel nostro caso, a partire dall'8 marzo  2012;  2)  e  canone
ridotto al triplo della rendita  catastale  dell'immobile,  che,  nel
nostro caso si riduce da euro 5.200,00 annuo ad euro 2.134,26  annuo;
allega visura catastale del 26 luglio 2010»; 
        che con ordinanza del 26 maggio  2012  il  giudice  rigettava
l'istanza di  concessione  dell'ordinanza  provvisoria  di  rilascio,
cosi' motivando: 
        «premesso che con atto del 30 giugno 2011 Campo Grazia  aveva
concesso in locazione ad Antonuccio Dario, a far data dal  1°  giugno
2011 per la durata di anni 5, un immobile sito in Gela, per il canone
annuo di euro  5.200,00,  da  pagarsi  in  quattro  rate  trimestrali
anticipate di euro 1.300,00 presso il domicilio del locatore; 
        rilevato  che  il  predetto  negozio  e'   stato   registrato
(tardivamente) per la prima volta dal conduttore soltanto  l'8  marzo
2012 ma con decorrenza (erronea) del 1° giugno 2012 (l'attore  vi  ha
provveduto, a sua volta, l'8 maggio 2012); 
        rilevato che l'art. 3, comma 8, del  decreto  legislativo  14
marzo 2011, n. 23 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del  23  marzo
2011, 67) cosi' statuisce: "Ai contratti di locazione degli  immobili
ad  uso  abitativo,   comunque   stipulati,   che,   ricorrendone   i
presupposti, non sono registrati entro  il  termine  stabilito  dalla
legge,  si  applica  la  seguente  disciplina:  a)  la  durata  della
locazione e' stabilita in quattro anni a decorrere dalla  data  della
registrazione, volontaria o d'ufficio; b) al rinnovo  si  applica  la
disciplina di cui all'articolo 2, comma 1, della citata legge n.  431
del 1998; c) a decorrere  dalla  registrazione  il  canone  annuo  di
locazione  e'  fissato  in  misura  pari  al  triplo  della   rendita
catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al  75  per
cento del l'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo  per  le
famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone
inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti"; 
        rilevato, quindi, che a partire dall'8 marzo  2012  (data  di
registrazione  del  negozio  effettuata  dal  conduttore,  sia   pure
indicando la data  erronea  del  1°  giugno  2012  quale  inizio  del
rapporto) decorre la durata del contratto  di  locazione  con  canone
annuale determinato nella misura del triplo della  rendita  catastale
(euro 711,42 X 3 = euro 2.134,26); 
        ritenuto, pertanto,  che  a  partire  dall'8  marzo  2012  il
conduttore e' tenuto a versare all'attore soltanto  il  canone  cosi'
come sopra individuato,  cosa  in  effetti  avvenuta  con  il  vaglia
postale del 19 maggio 2012 per l'importo di euro  2.134,26,  prodotto
in atti, che rende allo  stato  insussistente  alcuna  morosita'  (la
registrazione tardiva ha comunque efficacia ex nunc: «Il contratto di
locazione stipulato successivamente all'entrata in  vigore  dell'art.
1, comma 346, legge n. 311 del 2004 e' nullo se non registrato  entro
trenta giorni dalla stipula. Tuttavia, la registrazione  tardiva  del
contratto sana la nullita' con efficacia ex nunc, con la  conseguenza
che solo dopo la  registrazione  puo'  essere  promossa  l'azione  di
convalida dell'intimato sfratto e solo da  tale  momento  decorre  la
durata del contratto ed il locatore ha  diritto  alla  corresponsione
del canone pattuito" (Trib. Bari 24 ottobre 2011, in DE JURE); 
        ritenuto di conseguenza che l'opposizione e' fondata su prova
scritta  e  che  ricorrono,  comunque,  gravi  motivi  ostativi  alla
concessione dell'ordinanza provvisoria di rilascio; 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 658, 663, 665, 667,  426  c.p.c.,  artt.  5  e  6
d.lgs. n. 28/2010; 
    Rigetta l'istanza di emissione dell'ordinanza di rilascio ex art.
665 c.p.c.; 
    Assegna  alle  parti  termine   di   quindici   giorni   per   la
presentazione della domanda di mediazione  ai  sensi  del  d.lgs.  n.
28/2010, computati a decorrere  dalla  comunicazione  della  presente
ordinanza; 
    Dispone il mutamento del rito da ordinario a speciale locatizio e
fissa per la discussione l'udienza del 30 gennaio 2013 ore  9,00  con
termine all'attrice ed  al  convenuto,  rispettivamente  fino  al  20
dicembre 2012 e fino al 22 gennaio 2013 per l'integrazione degli atti
difensivi ex art. 426 c.p.c.»; 
        che con memoria integrativa depositata il  20  dicembre  2012
l'attrice insisteva nella domanda di risoluzione contrattuale, mentre
con la memoria integrativa del 22 gennaio 2013 il convenuto  ribadiva
l'applicabilita' dell'art. 3 del d.lgs. n. 23/2011; 
        che  con  sentenza  n.  50  del  14  marzo  2014   la   Corte
costituzionale dichiarava l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
3, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 23/2011; 
        che sempre nelle more del procedimento  il  legislatore,  con
l'art. 5 comma 1-ter della legge n. 80/2014, cosi'  prevedeva:  «sono
fatti salvi, fino  alla  data  del  31  dicembre  2015,  gli  effetti
prodottosi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei  contratti  di
locazione registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e  9  del  decreto
legislativo n. 23/2011»; 
        che  con  la  memoria  del  18  novembre   2014   (depositata
anteriormente  all'udienza  del  3  dicembre  2014,  fissata  per  la
discussione  e  decisione)   l'attrice   sosteneva   l'illegittimita'
costituzionale della superiore normativa; 
 
                            O s s e r v a 
 
    I  -  Sussistono  i  presupposti  per  sollevare   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 23  maggio  2014,
n. 80, di conversione in legge del decreto  28  marzo  2014,  n.  47,
nella parte  afferente  al  comma  1-ter,  aggiunto  all'art.  5  del
medesimo decreto-legge. 
    Innanzitutto,  nella  fattispecie  sussiste  la  rilevanza  della
questione, in quanto l'attrice (locatrice) ha  chiesto  la  convalida
dello sfratto per morosita' e l'emissione del decreto ingiuntivo  per
i canoni scaduti ed a scadere, in ordine ad un rapporto di locazione,
ad uso abitativo, sorto con contratto stipulato  il  30  giugno  2011
(decorrenza 1° giugno 2011 - 1° giugno 2016 e previsione di un canone
annuo di euro 5.200,00 da pagarsi in quattro rate trimestrali di euro
1.300,00 ciascuna, con scadenza 5 marzo, 5 giugno, 5  settembre  e  5
dicembre di  ogni  anno),  ma  registrato  per  la  prima  volta  dal
conduttore Antonuccio Antonio Dario l'8 marzo  2012  (successivamente
registrato anche dall'attrice in data 8 maggio 2012). 
    Il convenuto ha eccepito l'applicabilita', al  medesimo  rapporto
di locazione, delle norme di cui all'art. 3,  comma  8,  del  decreto
legislativo n. 23/2011 (entrato in  vigore  il  7  aprile  2011),  in
quanto il  contratto  e'  stato  registrato  tardivamente,  oltre  il
termine di legge, nonche' oltre il termine di sessanta giorni di  cui
alla suddetta disposizione normativa (c.d.  «ravvedimento  operoso»),
allegando di aver corrisposto al locatore, per il periodo  successivo
alla tardiva  registrazione  (oggetto  del  procedimento)  il  canone
rideterminato nel «triplo della rendita catastale». 
    In corso di causa, con l'ordinanza del 26 maggio 2012, il giudice
ha rigettato l'istanza  dell'attrice  di  concessione  dell'ordinanza
provvisoria di rilascio, sulla base dell'inesistenza della  morosita'
cosi' come calcolata con la normativa della  cedolare  secca  (tenuto
conto dell'intervenuto  pagamento  di  euro  2.134,26  da  parte  del
conduttore con il vaglia postale del 19 maggio 2012). 
    La norma in esame disponeva  (prima  della  sentenza  n.  50/2014
della Consulta): «Ai contratti di locazione  degli  immobili  ad  uso
abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i  presupposti,  non
sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la
seguente disciplina: a) la durata della  locazione  e'  stabilita  in
quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o
d'ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'articolo
2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; c) a decorrere  dalla
registrazione il canone annuo di locazione e' fissato in misura  pari
al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento,  dal  secondo
anno, in base al 75 per cento dell'aumento  degli  indici  ISTAT  dei
prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed  operai.  Se  il
contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il  canone
stabilito dalle parti». 
    Ne conseguirebbe che al  rapporto  contrattuale  sarebbero  state
applicabili le norme in  tema  di  durata  e  di  determinazione  dei
canone, secondo i criteri dettati dal citato  art.  3,  comma  8  (al
riguardo, fra gli operatori del  diritto,  sono  state  formulate  le
diverse tesi dell'eterointegrazione  del  contenuto  contrattuale,  a
norma degli artt. 1339 e 1419, comma 2, cod. civ., e della formazione
di un contratto nuovo fra le  parti  a  seguito  della  registrazione
tardiva). 
    La suddetta sentenza n. 50/2014  della  Consulta,  ha  dichiarato
incostituzionale, per eccesso di delega,  la  disciplina  di  cui  al
citato art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 23/2011. 
    Successivamente, la legge 23 maggio 2014, n. 80 - che  consta  di
un unico articolo che richiama un allegato  contenente  le  modifiche
introdotte ha convertito in legge il decreto 28 marzo  2014,  n.  47,
aggiungendo, all'art. 5, il comma  1-ter  che  dispone:  «Sono  fatti
salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi  e
i rapporti giuridici sorti sulla  base  dei  contratti  di  locazione
registrati ai sensi  dell'articolo  3,  commi  8  e  9,  del  decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23». 
    II  -  Ora,  al  fine  di  delibare  la  domanda  di  risoluzione
contrattuale  per  inadempimento  nonche'  di  pagamento  dei  canoni
locatizi (a seguito dell'ordinanza  di  mutamento  del  rito  del  26
maggio  2012)  occorre   necessariamente   applicare   la   normativa
sopravvenuta di cui alla legge n. 80. 
    Al riguardo, occorre altresi' evidenziare che [a suddetta domanda
di risoluzione (invero, l'intimazione di sfratto  per  morosita'  con
contestuale citazione per la convalida implicitamente reca in se'  la
domanda di risoluzione del  contratto  per  grave  inadempimento  del
conduttore - Cass. 24 agosto 1978, n. 3955, Cass. 1° settembre  1982,
n. 4776, Cass. 14 settembre 1983, n. 5566, Cass.  5  marzo  1993,  n.
2692, Cass. 8 agosto 1995, n. 8692 -, sicche' nella fase a cognizione
piena che segue al mutamento del rito da  ordinario  a  locatizio  il
giudice  deve  accertare  la  sussistenza  dei  presupposti  per   la
declaratoria  di  risoluzione  del  contratto,  confermando  o   meno
l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. ove essa  sia  stata  gia'
resa, oppure condannando il conduttore al rilascio  dell'immobile  in
caso di mancata adozione  di  tale  ordinanza)  non  potrebbe  essere
vagliata,  se  non  previo  esame  della  questione  incidentale   di
legittimita' sollevata,  fondandosi  su  un  contratto  di  locazione
registrato tardivamente dal conduttore in  applicazione  delle  norme
del richiamato decreto legislativo n. 23 che, in virtu'  della  norma
introdotta dalla legge n. 80,  possono  giovare  al  solo  conduttore
(d'altra parte, senza la registrazione tardiva il  contratto  sarebbe
nullo ai sensi dell'art. 1, comma 346 della legge 30  dicembre  2014,
n. 311). 
    Pertanto, a seguito dell'entrata in vigore (dal 28  maggio  2014)
della legge n. 80, il giudice «a quo» deve  verificare  di  nuovo  la
fondatezza dell'eccezione impeditiva sollevata dalla parte  convenuta
(cfr. memoria conclusionale del 12  novembre  2014)  in  ordine  alla
tardiva  registrazione  e,  dunque,  all'applicabilita'  delle  norme
richiamate (il giudice remittente aveva precedentemente sollevato  la
questione di legittimita' costituzionale del citato art. 3, commi 8 e
9). 
    La norma di cui al  comma  aggiunto,  1-ter,  ha  introdotto  una
disciplina «di salvaguardia» degli effetti prodottisi e dei  rapporti
giuridici sorti sulla base dell'art. 3, commi 8 e 9,  del  d.lgs.  n.
23/2011,  con  la  precisa  finalita'  di  garantire  una  sorta   di
ultrattivita'  delle  suddette  disposizioni  legislative,  ancorche'
dichiarate incostituzionali, dalla relativa data di entrata in vigore
sino al termine finale del 31 dicembre 2014. 
    III - Detto cio', la  norma  di  cui  all'art.  5,  comma  1-ter,
appare,  anzitutto,  confliggente  con  l'art.  136   Cost.,   avendo
nuovamente introdotto  nell'ordinamento  giuridico  una  disposizione
legislativa  oggetto  di  dichiarazione  d'incostituzionalita',   per
eccesso di delega, con la citata sentenza della Consulta n. 50. 
    Sul punto, per inquadrare correttamente  la  questione  sotto  il
profilo logico-sistematico, occorre richiamare il  testo  del  parere
espresso dalla prima commissione permanente «Affari  Costituzionali»,
presso la Presidenza del Consiglio e Interni, in ordine al disegno di
legge afferente alla legge di conversione  del  decreto  n.  47  (poi
approvato con la legge n. 80): 
        «rilevato che il comma 1-ter dell'articolo 5, introdotto  nel
corso dell'esame al Senato, prevede  una  clausola  di  salvaguardia,
fino al 31 dicembre 2015, degli effetti  prodottisi  e  dei  rapporti
giuridici sorti sulla base dei contratti di  locazione  (articolo  3,
commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 23 del  2011),  nei  casi  di
mancata registrazione  del  contratto  entro  termini  di  legge,  di
indicazione  di  un  affitto  inferiore  a  quello  effettivo  e   di
registrazione di un contratto di comodato  fittizio;  ricordato  che,
con la sentenza n. 50 del 2014, depositata  il  14  marzo,  la  Corte
costituzionale ha dichiarato incostituzionale, per eccesso di delega,
la disciplina di cui  all'articolo  3,  commi  8  e  9,  del  decreto
legislativo n. 23 del 2011; 
        evidenziato, quindi, che con il comma 1-ter  dell'articolo  5
sono dunque fatti salvi, fino ad una determinata  data  (31  dicembre
2015), gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base
dei  contratti  di  locazione  stipulati  ai  sensi  della   predetta
disciplina, dichiarata incostituzionale con la  sentenza  n.  50  del
2014; 
        ricordato, altresi', che le pronunce  di  accoglimento  della
Corte  costituzionale  hanno  effetto  retroattivo,  inficiando   fin
dall'origine  la  validita'  e  l'efficacia  della  norma  dichiarata
contraria  alla  Costituzione,  salvo  il  limite  delle   situazioni
giuridiche "consolidate" per  effetto  di  eventi  che  l'ordinamento
giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze
passate in giudicato,  l'atto  amministrativo  non  itnpugnabile,  la
prescrizione e la decadenza (ex  multis  Cass.  civ.,  sez.  III,  28
luglio 1997, n. 7057». 
    Ora, in primo luogo, va rilevato  che,  come  reso  evidente  dal
richiamato parere, il legislatore non ha inteso (almeno in apparenza,
come si vedra') introdurre  una  norma  che  riproduca  contenuto  di
quella dichiarata incostituzionale (e  cio'  al  verosimile  fine  di
sottrarsi alla palese censura di incostituzionalita' della norma), ma
ha espressamente evidenziato che la  disposizione  di  cui  al  comma
1-ter  conterrebbe  «una  clausola  di   salvaguardia»,   diretta   a
preservare gli effetti prodottisi in applicazione dei commi 8 e 9 del
suddetto art. 3, e i rapporti giuridici che ne sarebbero originati. 
    Tale finalita' teleologica che informa la norma in esame, secondo
la prospettazione del legislatore, sarebbe fondata sull'orientamento,
dottrinale e giurisprudenziale, relativo alla tematica  dei  «diritti
quesiti», ovvero alle «situazioni giuridiche consolidate» (richiamato
nel citato parere). 
    Ritiene  il  giudicante  che  l'argomentazione  che  ha  sorretto
l'introduzione del comma 1-ter,  attraverso  la  promulgazione  della
legge n. 80, non sia corretta per diversi motivi. 
    Anzitutto, il legislatore ha inteso «salvaguardare»  gli  effetti
giuridici ed i rapporti sorti in applicazione delle norme, dichiarate
incostituzionali, stabilendo un termine finale, al 31 dicembre 2015. 
    Ora, e' evidente che, in tal modo, la norma in  esame  disciplina
fattispecie  future  in  ordine  alle  quali  giammai  puo'   trovare
applicazione la tematica dei «diritti quesiti». 
    Sotto questo profilo, la norma  e'  chiaramente  riproduttiva  di
quella oggetto  della  dichiarazione  d'incostituzionalita',  essendo
volta a spiegare la propria forza di legge a  situazioni  non  ancora
verificatesi. Emerge, dunque, una disposizione legislativa che  viola
palesemente  il  decisum  contemplato  dalla  sentenza  della   Corte
costituzionale n. 50, contraddicendo gravemente lo stesso incipit  da
cui la commissione permanente ha preso  le  mosse  nell'esprimere  il
suddetto parere. 
    La violazione dell'art. 136 Cost. emerge anche in relazione  alla
parte dell'art.  5,  comma  1-ter,  che  ha  inteso  disciplinare  le
fattispecie  verificatesi  sotto  l'impero  delle  norme   di   legge
dichiarate incostituzionali. 
    Al riguardo, la tematica dei «diritti quesiti»  e  dei  «rapporti
consolidati» e' stata invocata erroneamente, in  ordine  a  questioni
che, invece, ne sono ontologicamente estranee. 
    Giova  richiamare,  sul  punto,  l'orientamento  consolidato,  in
dottrina  e  in  giurisprudenza  di  legittimita'  secondo  cui:  «Le
pronunce di accoglimento del giudice delle leggi - di  illegittimita'
costituzionale - eliminano la norma con effetto  "ex  tunc",  con  la
conseguenza che essa non e' piu' applicabile, indipendentemente dalla
circostanza che la fattispecie  sia  sorta  perche'  l'illegittimita'
costituzionale ha  per  presupposto  l'invalidita'  originaria  della
legge - sia essa di natura sostanziale, procedimentale o  processuale
- per contrasto con un precetto  costituzionale,  fermo  restando  il
principio che gli effetti in epoca anteriore alla pubblicazione della
decisione, dell'incostituzionalita' non si  estendono  esclusivamente
ai  rapporti  ormai  esauriti  in  modo  definitivo,   per   avvenuta
formazione del giudicato o per essersi verificato  altro  evento  che
l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero
per  essersi  verificate  preclusioni  processuali,  o  decadenze   e
prescrizioni  non  direttamente  investite,  nei   loro   presupposti
normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalita'» (ex  multis,  Cass.
20 novembre 2012, n. 20381; Cass. 20 aprile 2010, n. 9329). 
    Ora, nel caso  concreto,  non  sussistono  giudicati,  ne'  altri
eventi  cui  l'ordinamento  collega  il  consolidamento  di  rapporti
giuridici. 
    Nel giudizio «de quo» si discute di un rapporto di locazione,  ad
uso abitativo, e, dunque, di un classico rapporto di durata, che  non
e' stato sciolto od estinto. 
    Ne' vengono in rilievo prestazioni contrattuali patrimoniali,  la
cui   esecuzione   sia   ormai   «consolidata»,    con    conseguente
insuscettibilita' di essere oggetto di pronunce d'incostituzionalita'
afferenti  alle  norme  che  ne  hanno  disciplinato   il   contenuto
negoziale. 
    Al contrario, nella fattispecie  concreta,  la  norma  della  cui
legittimita' costituzionale  si  dubita  consente  al  conduttore  di
eludere l'adempimento dell'obbligazione  contrattuale  attraverso  il
pagamento  di   una   somma   di   gran   lunga   inferiore,   frutto
dell'applicazione dei criteri contemplati dal citato art. 3  (di  cui
si dira'). 
    In altri termini, la norma contestata attribuisce  al  conduttore
il vantaggio di invocare i pagamenti effettuati, in conformita' delle
norme  richiamate,   sottraendosi   all'adempimento   integrale   del
contratto  stipulato;   pertanto,   la   pronuncia   d'illegittimita'
costituzionale della stessa avrebbe l'effetto di  rendere  esigibile,
da  parte  del  locatore,  la  prestazione  contrattuale  nella   sua
interezza,   consentendo   al   creditore   la   piena   acquisizione
patrimoniale del diritto fatto valere. 
    IV - La norma di cui al comma 1-ter e'  in  contrasto  anche  con
l'art. 3 Cost. 
    La disciplina «di salvaguardia» introdotta con la  legge  n.  80,
con il limite temporale del 31  dicembre  2015,  ha  determinato  una
sorta  di  diritto  speciale,  nel  senso  che  a   taluni   rapporti
contrattuali di locazione ad  uso  abitativo,  ratione  temporis,  si
applica la normativa di cui all'art. 3, commi 8 e 9,  del  d.lgs.  n.
23/2011, che non  puo'  estendere  la  relativa  efficacia  oltre  il
suddetto limite, mentre agli altri rimane  applicabile  la  normativa
ordinaria. 
    Tale  differenziata  disciplina   configura   una   irragionevole
disparita' di trattamento rispetto a medesimi rapporti  di  locazione
ad  uso  abitativo,  da  ascrivere  al  mero  fatto  temporale  della
verificazione delle prestazioni contrattuali, specie se si  considera
che la normativa i cui effetti  s'intende  preservare  con  il  comma
1-ter e', ormai, sganciata dall'impianto complessivo che la sosteneva
nella vigenza del d.lgs. n. 23/2011. 
    Al riguardo, occorre rilevare che tale decreto legislativo  (come
si dira') era  stato  dettato  dalla  finalita'  di'  apprestare  una
sanzione  «civilistica»  a  danno  dei  locatori  che  non   avessero
tempestivamente  registrato  il   contratto,   nell'ambito   di   una
disciplina  tendente  a  prevenire,  in  parte  qua,  la   violazione
dell'obbligazione tributaria. 
    A seguito della dichiarazione d'incostituzionalita'  dell'art.  3
citato, non puo' dirsi piu' sussistente tale finalita'  preventiva  e
deterrente che, per definizione, non  puo'  essere  correlata  ad  un
termine finale che non ha nessun collegamento razionale con la  legge
ordinaria. 
    V - Il comma 1-ter confligge altresi' con  l'art.  42,  comma  2,
Cost., secondo cui «la proprieta' privata e' garantita e riconosciuta
dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di  godimento  e  i
limiti allo scopo di assicurare la funzione  sociale  e  di  renderla
accessibile a tutti». Al riguardo, l'art. 3, comma 8, del  d.lgs.  n.
23/2011 - la cui forza precettiva e' stata di nuovo introdotta -  nel
caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, ha
disposto l'applicabilita' automatica delle richiamate norme  in  tema
di durata e di determinazione del canone. 
    Entrambe  le  norme  «etero-integratrici»  del  contratto   hanno
introdotto rilevanti  e  significative  limitazioni  del  diritto  di
proprieta' (immobiliare) da  far  seriamente  dubitare  del  doveroso
rispetto  del   precetto   costituzionale,   considerato   che   tali
limitazioni  non  appaiono  afferire  alla  funzione  sociale   della
proprieta'. 
    In particolare, va osservato che  la  formulazione  dell'art.  42
Cost. - espressiva della connotazione del  nostro  ordinamento  quale
stato sociale di diritto - garantisce la  proprieta',  quale  diritto
soggettivo dell'individuo, ma ne prevede limitazioni al solo fine  di
assicurare l'adempimento dei doveri di solidarieta' sociale e  umana,
di cui all'art. 2 Cost. 
    Pertanto, la funzione sociale costituisce il criterio-cardine cui
commisurare  ogni  intervento  legislativo   diretto   a   introdurre
nell'ordinamento limiti e compressioni del diritto dominicale  (salva
la norma di cui al comma terzo in tema di espropriazione). 
    Cio' equivale a sostenere  che  il  legislatore  puo'  certamente
limitare la proprieta' privata, in tutte le sue facolta'  espressive,
ma deve rispettare il limite  teleologico  della  funzionalita'  alle
esigenze delle collettivita', mediante un bilanciamento di  interessi
di rango costituzionale che non puo' tradursi in uno «svuotamento  di
rilevante entita' ed incisivita'  del  suo  contenuto»  (v.  sentenza
Corte cost. n. 55/1968). 
    Tale argomentazione induce ad  una  ulteriore  deduzione  logica,
consistente nell'affermare che ogni limitazione del  contenuto  della
proprieta' privata deve concretizzarsi in una sorta di corrispondente
utilita' che tragga origine dalla medesima proprieta'. 
    In altri termini, secondo il  disposto  dell'art.  42  Cost.,  la
proprieta' puo' essere soggetta a riduzioni del suo contenuto solo se
tale  limitazione  afferisca  ad  utilita'  che  lo  stesso   diritto
dominicale assicura in ordine ai doveri di  solidarieta'  sociale  di
cui all'art. 2 Cost. o ad altri diritti di rilevanza costituzionale. 
    Ora, nella fattispecie, la norma oggetto dell'ordinanza, riguardo
ai contratti di locazione ad uso abitativo, ha  introdotto  rilevanti
limitazioni della proprieta' immobiliare  e  della  stessa  autonomia
contrattuale, come detto, attraverso l'imposizione di un  determinato
ammontare del canone periodico e di una  nuova  durata  del  rapporto
contrattuale, quale conseguenza della omessa o tardiva  registrazione
del contratto, cioe' di una condotta  in  violazione  di  un  obbligo
tributario. 
    L'integrazione contrattuale prevista dal d.lgs. n. 23/2011 appare
una sanzione comminata  con  la  chiara  finalita'  di  apprestare  -
rispetto al proprietario-locatore -  un  forte  deterrente  afferente
alla violazione della norma tributaria. 
    Ora,   tale   soluzione   legislativa   costituisce   un'evidente
compressione delle facolta' del proprietario il  quale,  per  la  sua
condotta  fiscalmente  illegittima,   subisce,   di   fatto   (oltre,
naturalmente, alle sanzioni di legge) l'imposizione di  un  contenuto
del contratto di locazione che incide notevolmente sia sul reddito da
locazione  (in  quanto  calcolato  secondo  criteri   predeterminati,
palesemente inferiori ai canoni di mercato),  che  sul  diritto  alla
restituzione della cosa  locata  (atteso  che,  dalla  registrazione,
volontaria o d'ufficio, tardiva e'  computata  «ab  novo»  la  durata
quadriennale minima di  legge,  con  tendenziale  rinnovo  per  altro
quadriennio, salvo diniego motivato, a norma dell'art.  2,  comma  1,
della legge n. 431/1998). 
    Tali limitazioni del diritto del  locatore-proprietario  appaiono
di consistente ed  incisivo  contenuto,  considerato  il  sostanziale
svuotamento dell'autonomia privata in  ordine  alla  pattuizione  del
canone di locazione. 
    Le norme introdotte dall'art. 3, comma 8, del d.lgs.  n.  23/2011
sono  state  indubbiamente  finalizzate  al  raggiungimento   di   un
interesse   generale   della   collettivita'   (cioe'   l'adempimento
dell'obbligo  di  pagare  i  tributi),  ma  non  costituiscono  certo
espressione teleologica di una compressione del diritto di proprieta'
corrispondente  ad  un'utilita'  sociale  che   lo   stesso   diritto
garantisce. 
    Tali limitazioni  del  diritto  di  proprieta',  nell'ambito  del
rapporto di locazione, non afferiscono in alcun  modo  alla  funzione
sociale della medesima proprieta' (cioe'  la  cosa  locata)  dirette,
invece, a soddisfare un interesse generale esogeno ed esorbitante dal
connotato ontologico del diritto dominicale. 
    Al riguardo, nell'ambito della giurisprudenza della Corte  cost.,
in tema di (asserita) violazione dell'art.  42  Cost,  l'orientamento
consolidato e' sempre consistito nell'effettuare un bilanciamento tra
il diritto di proprieta' e altri interessi di rango costituzionale la
cui tutela s'appalesi inerente allo stesso diritto dominicale. 
    In particolare, in tema di affitto di fondi rustici, la Corte  ha
affermato il principio per cui e'  legittima  la  compressione  della
proprieta' mediante un canone predeterminato per legge, in una misura
ritenuta  equa  dal  legislatore,  allorquando  il  sacrificio  della
proprieta' avvenga a favore dell'affittuario che coltivi direttamente
la terra, con la propria forza-lavoro o dei suoi familiari, e negando
invece la legittimita' alla compressione del diritto  che  avvenga  a
favore di un affittuario imprenditore che faccia lavorare da terzi la
terra presa in affitto (Corte cost. nn. 155/1972 e 153/1977). 
    Da tali pronunce e' dato desumere che e'  legittimo  limitare  il
contenuto del diritto di proprieta' dell'affittante solo qualora cio'
si traduca in  un'utilita'  della  stessa  proprieta'  a  favore  del
coltivatore-affittuario; in  altri  termini,  la  compressione  della
proprieta'    e'    declinata    quale    corrispondente    interesse
costituzionalmente rilevante a favore di terzi meritevoli  di  tutela
rispetto al medesimo bene oggetto dell'intervento legislativo. 
    Al riguardo, puo' essere ricordata anche la legislazione in  tema
di equo-canone, che introdusse limiti alla proprieta', per  garantire
e soddisfare interessi  generali  afferenti  alla  locazione  ad  uso
abitativo della stessa proprieta' oggetto di limitazione. 
    Se ne deduce, altresi', che la funzione sociale della  proprieta'
e' l'unico parametro della limitazione  del  diritto  di  proprieta',
sicche' quest'ultimo non dovrebbe subire  compressioni  rilevanti  ed
irragionevoli finalizzate esclusivamente a soddisfare  interessi  del
tutto esogeni al contenuto del diritto in  questione,  quantunque  di
rango costituzionale. 
    Nel caso concreto, ricorre tale ipotesi, posto che l'applicazione
della norma  che  predetermina  l'importo  del  canone  di  locazione
secondo  i  criteri  ivi  previsti  (c.d.  «canone  catastale»)   non
garantisce alcuna funzione sociale dell'immobile beato,  ma  integra,
nella   sostanza,   un'imposizione    contrattuale    di    carattere
sanzionatorio per infedelta' fiscale. 
    La forte compressione del diritto di proprieta' del  locatore  e'
altresi'  irragionevole,  perche'  puo'  protrarsi  per  una   durata
tendenziale di circa quasi  cinque  anni,  considerando  il  suddetto
termine finale del 31 dicembre 2015. 
    Inoltre, va evidenziata la notoria  inadeguatezza  dei  parametri
desumibili dai criteri catastali (notoriamente anacronistici),  quale
ulteriore indizio di lesivita' del diritto dominicale. 
    Giova, altresi', rilevare che l'interesse  statuale  a  garantire
l'osservanza delle  norme  tributarie  e'  oggetto  di  piena  tutela
giuridica, attraverso le  norme  sanzionatorie  vigenti  in  tema  di
accertamento e repressione dell'illecito fiscale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti  gli  artt.  3,  42,  134,  136  e  137  Cost.,   1   legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e  23  legge  costituzionale  11
marzo 1953, n. 87, 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata con riferimento
agli  artt.  3,  42  e  136  Cost.  la  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 1-ter del D.L. 28  marzo  2014,  n.
47, introdotto, in sede di conversione, dalla legge 23  maggio  2014,
n. 80; 
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle  parti,  al
Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente  del
Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati; 
    Dispone che all'esito il fascicolo sia  trasmesso  con  le  prove
delle avvenute notifiche e comunicazioni alla Corte costituzionale; 
    Sospende il giudizio in corso. 
        Gela, 3 dicembre 2014 
 
                       Il giudice: Digregorio