N. 114 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 dicembre 2014
Ordinanza del 3 dicembre 2014 del Tribunale di Gela nel procedimento civile promosso da Campo Grazia contro Antonuccio Dario. Locazione di immobili urbani - Contratti di locazione ad uso abitativo registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 - Previsione di salvezza, fino alla data del 31 dicembre 2015, degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti sulla base di essi - Denunciata finalita' di salvaguardia, seppur con un limite temporale, degli effetti della normativa dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 50 del 2014 - Sostanziale reintroduzione di tale normativa rispetto a fattispecie sia future che passate - Violazione del giudicato costituzionale - Irragionevole disparita' di trattamento rispetto alle locazioni ad uso abitativo soggette alla disciplina ordinaria - Insussistenza della finalita' preventiva e deterrente originariamente perseguita dalla normativa riprodotta - Limitazioni del diritto di proprieta' e dell'autonomia contrattuale non afferenti alla funzione sociale del bene - Rilevante e irragionevole compressione del diritto dominicale del locatore per interessi esogeni rispetto al contenuto di esso. - Decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, art. 5, comma 1-ter. - Costituzione, artt. 3, 42 (comma secondo) e 136.(GU n.25 del 24-6-2015 )
TRIBUNALE DI GELA Sezione Civile Il Giudice sciogliendo la riserva assunta nel verbale di udienza del 3 dicembre 2014; Letti gli atti del procedimento; Premesso: che con citazione notificata il 21 aprile 2012 Campo Grazia adiva il Tribunale di Gela deducendo di essere creditore nei confronti di Antonuccio Antonio Dario della complessiva somma di euro 3.900,00 per canoni locatizi insoluti (trimestre 5 settembre 2011-5 dicembre 2011 = euro 1.300,00; trimestre 5 dicembre 2011-5 marzo 2012 = euro 1.300,00; trimestre 5 marzo 2012-5 giugno 2012 = euro 1.300,00), in virtu' di contratto di locazione ad uso abitativo stipulato il 30 giugno 2011 (avente ad oggetto un immobile sito in Gela, Via Delle Dune, angolo Via dei Gelsi, in c.da Femmina Morta s.n.c.), con decorrenza 1° giugno 2011 - 1° giugno 2016 e previsione di un canone annuo di euro 5.200,00 da pagarsi in quattro rate trimestrali di euro 1.300,00 ciascuna, con scadenza 5 marzo, 5 giugno, 5 settembre e 5 dicembre di ogni anno; l'attrice richiedeva, quindi, la convalida dello sfratto e l'emissione di decreto ingiuntivo per le somme dovute (anche a scadere) nonche', in subordine, l'emissione dell'ordinanza provvisoria di rilascio; che con comparsa depositata il 22 maggio 2012 si costituiva Antonuccio Antonio Dario il quale, nel contestare l'avversa domanda, eccepiva, tra l'altro, la registrazione tardiva del contratto di locazione (avvenuta in data 8 marzo, 2012 di sua iniziativa), con conseguente applicabilita' dell'art. 3 del d.lgs. n. 23/2011 e rideterminazione di durata e canone del negozio: «1) durata ex novo di altri quattro anni di locazione, a far data dalla registrazione, e dunque, nel nostro caso, a partire dall'8 marzo 2012; 2) e canone ridotto al triplo della rendita catastale dell'immobile, che, nel nostro caso si riduce da euro 5.200,00 annuo ad euro 2.134,26 annuo; allega visura catastale del 26 luglio 2010»; che con ordinanza del 26 maggio 2012 il giudice rigettava l'istanza di concessione dell'ordinanza provvisoria di rilascio, cosi' motivando: «premesso che con atto del 30 giugno 2011 Campo Grazia aveva concesso in locazione ad Antonuccio Dario, a far data dal 1° giugno 2011 per la durata di anni 5, un immobile sito in Gela, per il canone annuo di euro 5.200,00, da pagarsi in quattro rate trimestrali anticipate di euro 1.300,00 presso il domicilio del locatore; rilevato che il predetto negozio e' stato registrato (tardivamente) per la prima volta dal conduttore soltanto l'8 marzo 2012 ma con decorrenza (erronea) del 1° giugno 2012 (l'attore vi ha provveduto, a sua volta, l'8 maggio 2012); rilevato che l'art. 3, comma 8, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 2011, 67) cosi' statuisce: "Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina: a) la durata della locazione e' stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione e' fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento del l'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti"; rilevato, quindi, che a partire dall'8 marzo 2012 (data di registrazione del negozio effettuata dal conduttore, sia pure indicando la data erronea del 1° giugno 2012 quale inizio del rapporto) decorre la durata del contratto di locazione con canone annuale determinato nella misura del triplo della rendita catastale (euro 711,42 X 3 = euro 2.134,26); ritenuto, pertanto, che a partire dall'8 marzo 2012 il conduttore e' tenuto a versare all'attore soltanto il canone cosi' come sopra individuato, cosa in effetti avvenuta con il vaglia postale del 19 maggio 2012 per l'importo di euro 2.134,26, prodotto in atti, che rende allo stato insussistente alcuna morosita' (la registrazione tardiva ha comunque efficacia ex nunc: «Il contratto di locazione stipulato successivamente all'entrata in vigore dell'art. 1, comma 346, legge n. 311 del 2004 e' nullo se non registrato entro trenta giorni dalla stipula. Tuttavia, la registrazione tardiva del contratto sana la nullita' con efficacia ex nunc, con la conseguenza che solo dopo la registrazione puo' essere promossa l'azione di convalida dell'intimato sfratto e solo da tale momento decorre la durata del contratto ed il locatore ha diritto alla corresponsione del canone pattuito" (Trib. Bari 24 ottobre 2011, in DE JURE); ritenuto di conseguenza che l'opposizione e' fondata su prova scritta e che ricorrono, comunque, gravi motivi ostativi alla concessione dell'ordinanza provvisoria di rilascio; P. Q. M. Visti gli artt. 658, 663, 665, 667, 426 c.p.c., artt. 5 e 6 d.lgs. n. 28/2010; Rigetta l'istanza di emissione dell'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c.; Assegna alle parti termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione ai sensi del d.lgs. n. 28/2010, computati a decorrere dalla comunicazione della presente ordinanza; Dispone il mutamento del rito da ordinario a speciale locatizio e fissa per la discussione l'udienza del 30 gennaio 2013 ore 9,00 con termine all'attrice ed al convenuto, rispettivamente fino al 20 dicembre 2012 e fino al 22 gennaio 2013 per l'integrazione degli atti difensivi ex art. 426 c.p.c.»; che con memoria integrativa depositata il 20 dicembre 2012 l'attrice insisteva nella domanda di risoluzione contrattuale, mentre con la memoria integrativa del 22 gennaio 2013 il convenuto ribadiva l'applicabilita' dell'art. 3 del d.lgs. n. 23/2011; che con sentenza n. 50 del 14 marzo 2014 la Corte costituzionale dichiarava l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 23/2011; che sempre nelle more del procedimento il legislatore, con l'art. 5 comma 1-ter della legge n. 80/2014, cosi' prevedeva: «sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottosi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e 9 del decreto legislativo n. 23/2011»; che con la memoria del 18 novembre 2014 (depositata anteriormente all'udienza del 3 dicembre 2014, fissata per la discussione e decisione) l'attrice sosteneva l'illegittimita' costituzionale della superiore normativa; O s s e r v a I - Sussistono i presupposti per sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 23 maggio 2014, n. 80, di conversione in legge del decreto 28 marzo 2014, n. 47, nella parte afferente al comma 1-ter, aggiunto all'art. 5 del medesimo decreto-legge. Innanzitutto, nella fattispecie sussiste la rilevanza della questione, in quanto l'attrice (locatrice) ha chiesto la convalida dello sfratto per morosita' e l'emissione del decreto ingiuntivo per i canoni scaduti ed a scadere, in ordine ad un rapporto di locazione, ad uso abitativo, sorto con contratto stipulato il 30 giugno 2011 (decorrenza 1° giugno 2011 - 1° giugno 2016 e previsione di un canone annuo di euro 5.200,00 da pagarsi in quattro rate trimestrali di euro 1.300,00 ciascuna, con scadenza 5 marzo, 5 giugno, 5 settembre e 5 dicembre di ogni anno), ma registrato per la prima volta dal conduttore Antonuccio Antonio Dario l'8 marzo 2012 (successivamente registrato anche dall'attrice in data 8 maggio 2012). Il convenuto ha eccepito l'applicabilita', al medesimo rapporto di locazione, delle norme di cui all'art. 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23/2011 (entrato in vigore il 7 aprile 2011), in quanto il contratto e' stato registrato tardivamente, oltre il termine di legge, nonche' oltre il termine di sessanta giorni di cui alla suddetta disposizione normativa (c.d. «ravvedimento operoso»), allegando di aver corrisposto al locatore, per il periodo successivo alla tardiva registrazione (oggetto del procedimento) il canone rideterminato nel «triplo della rendita catastale». In corso di causa, con l'ordinanza del 26 maggio 2012, il giudice ha rigettato l'istanza dell'attrice di concessione dell'ordinanza provvisoria di rilascio, sulla base dell'inesistenza della morosita' cosi' come calcolata con la normativa della cedolare secca (tenuto conto dell'intervenuto pagamento di euro 2.134,26 da parte del conduttore con il vaglia postale del 19 maggio 2012). La norma in esame disponeva (prima della sentenza n. 50/2014 della Consulta): «Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina: a) la durata della locazione e' stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione e' fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti». Ne conseguirebbe che al rapporto contrattuale sarebbero state applicabili le norme in tema di durata e di determinazione dei canone, secondo i criteri dettati dal citato art. 3, comma 8 (al riguardo, fra gli operatori del diritto, sono state formulate le diverse tesi dell'eterointegrazione del contenuto contrattuale, a norma degli artt. 1339 e 1419, comma 2, cod. civ., e della formazione di un contratto nuovo fra le parti a seguito della registrazione tardiva). La suddetta sentenza n. 50/2014 della Consulta, ha dichiarato incostituzionale, per eccesso di delega, la disciplina di cui al citato art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 23/2011. Successivamente, la legge 23 maggio 2014, n. 80 - che consta di un unico articolo che richiama un allegato contenente le modifiche introdotte ha convertito in legge il decreto 28 marzo 2014, n. 47, aggiungendo, all'art. 5, il comma 1-ter che dispone: «Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23». II - Ora, al fine di delibare la domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento nonche' di pagamento dei canoni locatizi (a seguito dell'ordinanza di mutamento del rito del 26 maggio 2012) occorre necessariamente applicare la normativa sopravvenuta di cui alla legge n. 80. Al riguardo, occorre altresi' evidenziare che [a suddetta domanda di risoluzione (invero, l'intimazione di sfratto per morosita' con contestuale citazione per la convalida implicitamente reca in se' la domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore - Cass. 24 agosto 1978, n. 3955, Cass. 1° settembre 1982, n. 4776, Cass. 14 settembre 1983, n. 5566, Cass. 5 marzo 1993, n. 2692, Cass. 8 agosto 1995, n. 8692 -, sicche' nella fase a cognizione piena che segue al mutamento del rito da ordinario a locatizio il giudice deve accertare la sussistenza dei presupposti per la declaratoria di risoluzione del contratto, confermando o meno l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. ove essa sia stata gia' resa, oppure condannando il conduttore al rilascio dell'immobile in caso di mancata adozione di tale ordinanza) non potrebbe essere vagliata, se non previo esame della questione incidentale di legittimita' sollevata, fondandosi su un contratto di locazione registrato tardivamente dal conduttore in applicazione delle norme del richiamato decreto legislativo n. 23 che, in virtu' della norma introdotta dalla legge n. 80, possono giovare al solo conduttore (d'altra parte, senza la registrazione tardiva il contratto sarebbe nullo ai sensi dell'art. 1, comma 346 della legge 30 dicembre 2014, n. 311). Pertanto, a seguito dell'entrata in vigore (dal 28 maggio 2014) della legge n. 80, il giudice «a quo» deve verificare di nuovo la fondatezza dell'eccezione impeditiva sollevata dalla parte convenuta (cfr. memoria conclusionale del 12 novembre 2014) in ordine alla tardiva registrazione e, dunque, all'applicabilita' delle norme richiamate (il giudice remittente aveva precedentemente sollevato la questione di legittimita' costituzionale del citato art. 3, commi 8 e 9). La norma di cui al comma aggiunto, 1-ter, ha introdotto una disciplina «di salvaguardia» degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti sulla base dell'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23/2011, con la precisa finalita' di garantire una sorta di ultrattivita' delle suddette disposizioni legislative, ancorche' dichiarate incostituzionali, dalla relativa data di entrata in vigore sino al termine finale del 31 dicembre 2014. III - Detto cio', la norma di cui all'art. 5, comma 1-ter, appare, anzitutto, confliggente con l'art. 136 Cost., avendo nuovamente introdotto nell'ordinamento giuridico una disposizione legislativa oggetto di dichiarazione d'incostituzionalita', per eccesso di delega, con la citata sentenza della Consulta n. 50. Sul punto, per inquadrare correttamente la questione sotto il profilo logico-sistematico, occorre richiamare il testo del parere espresso dalla prima commissione permanente «Affari Costituzionali», presso la Presidenza del Consiglio e Interni, in ordine al disegno di legge afferente alla legge di conversione del decreto n. 47 (poi approvato con la legge n. 80): «rilevato che il comma 1-ter dell'articolo 5, introdotto nel corso dell'esame al Senato, prevede una clausola di salvaguardia, fino al 31 dicembre 2015, degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione (articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 23 del 2011), nei casi di mancata registrazione del contratto entro termini di legge, di indicazione di un affitto inferiore a quello effettivo e di registrazione di un contratto di comodato fittizio; ricordato che, con la sentenza n. 50 del 2014, depositata il 14 marzo, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale, per eccesso di delega, la disciplina di cui all'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 23 del 2011; evidenziato, quindi, che con il comma 1-ter dell'articolo 5 sono dunque fatti salvi, fino ad una determinata data (31 dicembre 2015), gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione stipulati ai sensi della predetta disciplina, dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 50 del 2014; ricordato, altresi', che le pronunce di accoglimento della Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall'origine la validita' e l'efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche "consolidate" per effetto di eventi che l'ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudicato, l'atto amministrativo non itnpugnabile, la prescrizione e la decadenza (ex multis Cass. civ., sez. III, 28 luglio 1997, n. 7057». Ora, in primo luogo, va rilevato che, come reso evidente dal richiamato parere, il legislatore non ha inteso (almeno in apparenza, come si vedra') introdurre una norma che riproduca contenuto di quella dichiarata incostituzionale (e cio' al verosimile fine di sottrarsi alla palese censura di incostituzionalita' della norma), ma ha espressamente evidenziato che la disposizione di cui al comma 1-ter conterrebbe «una clausola di salvaguardia», diretta a preservare gli effetti prodottisi in applicazione dei commi 8 e 9 del suddetto art. 3, e i rapporti giuridici che ne sarebbero originati. Tale finalita' teleologica che informa la norma in esame, secondo la prospettazione del legislatore, sarebbe fondata sull'orientamento, dottrinale e giurisprudenziale, relativo alla tematica dei «diritti quesiti», ovvero alle «situazioni giuridiche consolidate» (richiamato nel citato parere). Ritiene il giudicante che l'argomentazione che ha sorretto l'introduzione del comma 1-ter, attraverso la promulgazione della legge n. 80, non sia corretta per diversi motivi. Anzitutto, il legislatore ha inteso «salvaguardare» gli effetti giuridici ed i rapporti sorti in applicazione delle norme, dichiarate incostituzionali, stabilendo un termine finale, al 31 dicembre 2015. Ora, e' evidente che, in tal modo, la norma in esame disciplina fattispecie future in ordine alle quali giammai puo' trovare applicazione la tematica dei «diritti quesiti». Sotto questo profilo, la norma e' chiaramente riproduttiva di quella oggetto della dichiarazione d'incostituzionalita', essendo volta a spiegare la propria forza di legge a situazioni non ancora verificatesi. Emerge, dunque, una disposizione legislativa che viola palesemente il decisum contemplato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 50, contraddicendo gravemente lo stesso incipit da cui la commissione permanente ha preso le mosse nell'esprimere il suddetto parere. La violazione dell'art. 136 Cost. emerge anche in relazione alla parte dell'art. 5, comma 1-ter, che ha inteso disciplinare le fattispecie verificatesi sotto l'impero delle norme di legge dichiarate incostituzionali. Al riguardo, la tematica dei «diritti quesiti» e dei «rapporti consolidati» e' stata invocata erroneamente, in ordine a questioni che, invece, ne sono ontologicamente estranee. Giova richiamare, sul punto, l'orientamento consolidato, in dottrina e in giurisprudenza di legittimita' secondo cui: «Le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi - di illegittimita' costituzionale - eliminano la norma con effetto "ex tunc", con la conseguenza che essa non e' piu' applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta perche' l'illegittimita' costituzionale ha per presupposto l'invalidita' originaria della legge - sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale - per contrasto con un precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli effetti in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, dell'incostituzionalita' non si estendono esclusivamente ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento che l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalita'» (ex multis, Cass. 20 novembre 2012, n. 20381; Cass. 20 aprile 2010, n. 9329). Ora, nel caso concreto, non sussistono giudicati, ne' altri eventi cui l'ordinamento collega il consolidamento di rapporti giuridici. Nel giudizio «de quo» si discute di un rapporto di locazione, ad uso abitativo, e, dunque, di un classico rapporto di durata, che non e' stato sciolto od estinto. Ne' vengono in rilievo prestazioni contrattuali patrimoniali, la cui esecuzione sia ormai «consolidata», con conseguente insuscettibilita' di essere oggetto di pronunce d'incostituzionalita' afferenti alle norme che ne hanno disciplinato il contenuto negoziale. Al contrario, nella fattispecie concreta, la norma della cui legittimita' costituzionale si dubita consente al conduttore di eludere l'adempimento dell'obbligazione contrattuale attraverso il pagamento di una somma di gran lunga inferiore, frutto dell'applicazione dei criteri contemplati dal citato art. 3 (di cui si dira'). In altri termini, la norma contestata attribuisce al conduttore il vantaggio di invocare i pagamenti effettuati, in conformita' delle norme richiamate, sottraendosi all'adempimento integrale del contratto stipulato; pertanto, la pronuncia d'illegittimita' costituzionale della stessa avrebbe l'effetto di rendere esigibile, da parte del locatore, la prestazione contrattuale nella sua interezza, consentendo al creditore la piena acquisizione patrimoniale del diritto fatto valere. IV - La norma di cui al comma 1-ter e' in contrasto anche con l'art. 3 Cost. La disciplina «di salvaguardia» introdotta con la legge n. 80, con il limite temporale del 31 dicembre 2015, ha determinato una sorta di diritto speciale, nel senso che a taluni rapporti contrattuali di locazione ad uso abitativo, ratione temporis, si applica la normativa di cui all'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23/2011, che non puo' estendere la relativa efficacia oltre il suddetto limite, mentre agli altri rimane applicabile la normativa ordinaria. Tale differenziata disciplina configura una irragionevole disparita' di trattamento rispetto a medesimi rapporti di locazione ad uso abitativo, da ascrivere al mero fatto temporale della verificazione delle prestazioni contrattuali, specie se si considera che la normativa i cui effetti s'intende preservare con il comma 1-ter e', ormai, sganciata dall'impianto complessivo che la sosteneva nella vigenza del d.lgs. n. 23/2011. Al riguardo, occorre rilevare che tale decreto legislativo (come si dira') era stato dettato dalla finalita' di' apprestare una sanzione «civilistica» a danno dei locatori che non avessero tempestivamente registrato il contratto, nell'ambito di una disciplina tendente a prevenire, in parte qua, la violazione dell'obbligazione tributaria. A seguito della dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art. 3 citato, non puo' dirsi piu' sussistente tale finalita' preventiva e deterrente che, per definizione, non puo' essere correlata ad un termine finale che non ha nessun collegamento razionale con la legge ordinaria. V - Il comma 1-ter confligge altresi' con l'art. 42, comma 2, Cost., secondo cui «la proprieta' privata e' garantita e riconosciuta dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti». Al riguardo, l'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23/2011 - la cui forza precettiva e' stata di nuovo introdotta - nel caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, ha disposto l'applicabilita' automatica delle richiamate norme in tema di durata e di determinazione del canone. Entrambe le norme «etero-integratrici» del contratto hanno introdotto rilevanti e significative limitazioni del diritto di proprieta' (immobiliare) da far seriamente dubitare del doveroso rispetto del precetto costituzionale, considerato che tali limitazioni non appaiono afferire alla funzione sociale della proprieta'. In particolare, va osservato che la formulazione dell'art. 42 Cost. - espressiva della connotazione del nostro ordinamento quale stato sociale di diritto - garantisce la proprieta', quale diritto soggettivo dell'individuo, ma ne prevede limitazioni al solo fine di assicurare l'adempimento dei doveri di solidarieta' sociale e umana, di cui all'art. 2 Cost. Pertanto, la funzione sociale costituisce il criterio-cardine cui commisurare ogni intervento legislativo diretto a introdurre nell'ordinamento limiti e compressioni del diritto dominicale (salva la norma di cui al comma terzo in tema di espropriazione). Cio' equivale a sostenere che il legislatore puo' certamente limitare la proprieta' privata, in tutte le sue facolta' espressive, ma deve rispettare il limite teleologico della funzionalita' alle esigenze delle collettivita', mediante un bilanciamento di interessi di rango costituzionale che non puo' tradursi in uno «svuotamento di rilevante entita' ed incisivita' del suo contenuto» (v. sentenza Corte cost. n. 55/1968). Tale argomentazione induce ad una ulteriore deduzione logica, consistente nell'affermare che ogni limitazione del contenuto della proprieta' privata deve concretizzarsi in una sorta di corrispondente utilita' che tragga origine dalla medesima proprieta'. In altri termini, secondo il disposto dell'art. 42 Cost., la proprieta' puo' essere soggetta a riduzioni del suo contenuto solo se tale limitazione afferisca ad utilita' che lo stesso diritto dominicale assicura in ordine ai doveri di solidarieta' sociale di cui all'art. 2 Cost. o ad altri diritti di rilevanza costituzionale. Ora, nella fattispecie, la norma oggetto dell'ordinanza, riguardo ai contratti di locazione ad uso abitativo, ha introdotto rilevanti limitazioni della proprieta' immobiliare e della stessa autonomia contrattuale, come detto, attraverso l'imposizione di un determinato ammontare del canone periodico e di una nuova durata del rapporto contrattuale, quale conseguenza della omessa o tardiva registrazione del contratto, cioe' di una condotta in violazione di un obbligo tributario. L'integrazione contrattuale prevista dal d.lgs. n. 23/2011 appare una sanzione comminata con la chiara finalita' di apprestare - rispetto al proprietario-locatore - un forte deterrente afferente alla violazione della norma tributaria. Ora, tale soluzione legislativa costituisce un'evidente compressione delle facolta' del proprietario il quale, per la sua condotta fiscalmente illegittima, subisce, di fatto (oltre, naturalmente, alle sanzioni di legge) l'imposizione di un contenuto del contratto di locazione che incide notevolmente sia sul reddito da locazione (in quanto calcolato secondo criteri predeterminati, palesemente inferiori ai canoni di mercato), che sul diritto alla restituzione della cosa locata (atteso che, dalla registrazione, volontaria o d'ufficio, tardiva e' computata «ab novo» la durata quadriennale minima di legge, con tendenziale rinnovo per altro quadriennio, salvo diniego motivato, a norma dell'art. 2, comma 1, della legge n. 431/1998). Tali limitazioni del diritto del locatore-proprietario appaiono di consistente ed incisivo contenuto, considerato il sostanziale svuotamento dell'autonomia privata in ordine alla pattuizione del canone di locazione. Le norme introdotte dall'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23/2011 sono state indubbiamente finalizzate al raggiungimento di un interesse generale della collettivita' (cioe' l'adempimento dell'obbligo di pagare i tributi), ma non costituiscono certo espressione teleologica di una compressione del diritto di proprieta' corrispondente ad un'utilita' sociale che lo stesso diritto garantisce. Tali limitazioni del diritto di proprieta', nell'ambito del rapporto di locazione, non afferiscono in alcun modo alla funzione sociale della medesima proprieta' (cioe' la cosa locata) dirette, invece, a soddisfare un interesse generale esogeno ed esorbitante dal connotato ontologico del diritto dominicale. Al riguardo, nell'ambito della giurisprudenza della Corte cost., in tema di (asserita) violazione dell'art. 42 Cost, l'orientamento consolidato e' sempre consistito nell'effettuare un bilanciamento tra il diritto di proprieta' e altri interessi di rango costituzionale la cui tutela s'appalesi inerente allo stesso diritto dominicale. In particolare, in tema di affitto di fondi rustici, la Corte ha affermato il principio per cui e' legittima la compressione della proprieta' mediante un canone predeterminato per legge, in una misura ritenuta equa dal legislatore, allorquando il sacrificio della proprieta' avvenga a favore dell'affittuario che coltivi direttamente la terra, con la propria forza-lavoro o dei suoi familiari, e negando invece la legittimita' alla compressione del diritto che avvenga a favore di un affittuario imprenditore che faccia lavorare da terzi la terra presa in affitto (Corte cost. nn. 155/1972 e 153/1977). Da tali pronunce e' dato desumere che e' legittimo limitare il contenuto del diritto di proprieta' dell'affittante solo qualora cio' si traduca in un'utilita' della stessa proprieta' a favore del coltivatore-affittuario; in altri termini, la compressione della proprieta' e' declinata quale corrispondente interesse costituzionalmente rilevante a favore di terzi meritevoli di tutela rispetto al medesimo bene oggetto dell'intervento legislativo. Al riguardo, puo' essere ricordata anche la legislazione in tema di equo-canone, che introdusse limiti alla proprieta', per garantire e soddisfare interessi generali afferenti alla locazione ad uso abitativo della stessa proprieta' oggetto di limitazione. Se ne deduce, altresi', che la funzione sociale della proprieta' e' l'unico parametro della limitazione del diritto di proprieta', sicche' quest'ultimo non dovrebbe subire compressioni rilevanti ed irragionevoli finalizzate esclusivamente a soddisfare interessi del tutto esogeni al contenuto del diritto in questione, quantunque di rango costituzionale. Nel caso concreto, ricorre tale ipotesi, posto che l'applicazione della norma che predetermina l'importo del canone di locazione secondo i criteri ivi previsti (c.d. «canone catastale») non garantisce alcuna funzione sociale dell'immobile beato, ma integra, nella sostanza, un'imposizione contrattuale di carattere sanzionatorio per infedelta' fiscale. La forte compressione del diritto di proprieta' del locatore e' altresi' irragionevole, perche' puo' protrarsi per una durata tendenziale di circa quasi cinque anni, considerando il suddetto termine finale del 31 dicembre 2015. Inoltre, va evidenziata la notoria inadeguatezza dei parametri desumibili dai criteri catastali (notoriamente anacronistici), quale ulteriore indizio di lesivita' del diritto dominicale. Giova, altresi', rilevare che l'interesse statuale a garantire l'osservanza delle norme tributarie e' oggetto di piena tutela giuridica, attraverso le norme sanzionatorie vigenti in tema di accertamento e repressione dell'illecito fiscale.
P. Q. M. Visti gli artt. 3, 42, 134, 136 e 137 Cost., 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87, Dichiara rilevante e non manifestamente infondata con riferimento agli artt. 3, 42 e 136 Cost. la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1-ter del D.L. 28 marzo 2014, n. 47, introdotto, in sede di conversione, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80; Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati; Dispone che all'esito il fascicolo sia trasmesso con le prove delle avvenute notifiche e comunicazioni alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso. Gela, 3 dicembre 2014 Il giudice: Digregorio