N. 139 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 marzo 2014

Ordinanza del  3  marzo 2014  emessa  dal  Tribunale  di  Napoli  nel
procedimento di esecuzione nei confronti di M.U.. 
 
Esecuzione - Condannati alla pena dell'ergastolo con sentenza passata
  in giudicato -  Possibilita'  di  ottenere  in  sede  esecutiva  la
  riduzione della pena ex art. 442 cod. proc. pen.,  come  modificato
  dall'art. 30, comma 1, lett. b), della legge  n.  479  del  1999  -
  Mancata previsione che tale trattamento possa trovare  applicazione
  nei confronti degli imputati  cui,  nei  giudizi  di  appello  gia'
  pendenti alla  data  di  entrata  in  vigore  dell'art.  4-ter  del
  decreto-legge  n.  82  del  2000  (7  aprile   2000),   era   stato
  riconosciuto il diritto di  definire  con  il  rito  abbreviato  la
  relativa posizione e di beneficiare del  trattamento  "sostanziale"
  di cui  all'art.  30,  comma  1,  lett.  b),  e  che  hanno  potuto
  esercitare  tale  diritto  solo  dopo  l'entrata  in   vigore   del
  decreto-legge n. 341 del 2000 (24 novembre 2000)  che,  modificando
  il trattamento sanzionatorio in senso sfavorevole, ha precluso loro
  di accedere al rito alle condizioni  piu'  favorevoli  -  Deteriore
  trattamento della pena rispetto  a  coloro  che,  a  seguito  della
  sentenza della Corte costituzionale n. 210 del 2013, per  una  pura
  congiuntura casuale, sono stati nella condizione di poter  avanzare
  l'istanza di rito abbreviato, prima del 24 novembre  2000,  essendo
  stata gia' fissata la prima  udienza  del  giudizio  di  appello  -
  Violazione del principio convenzionale della  retroattivita'  della
  legge  penale   meno   severa   -   Inosservanza   degli   obblighi
  internazionali. 
- Decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con  modificazioni,
  dalla legge 5 giugno 2000,  n.  144,  art.  4-ter,  commi  2  e  3;
  decreto-legge  24  novembre   2000,   n.   341,   convertito,   con
  modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, art. 7, commi 1 e
  2. 
- Costituzione, artt. 3 e 117, primo comma, in relazione  all'art.  7
  della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
  liberta' fondamentali. 
(GU n.28 del 15-7-2015 )
 
                         TRIBUNALE DI NAPOLI 
           Ufficio del Giudice per le indagini preliminari 
                            Ufficio XXIV 
 
    Il Giudice dott. Antonio Cairo letti gli atti del procedimento in
epigrafe indicato, a carico di M.U.  nato  a  _  il  _  incidenti  in
executivis iscritti: 
        su richiesta di: interessato proc. 270/2013; 
        su richiesta di: Procura  della  Repubblica  sede  n.  855/12
R.I.E. 
        istanze del: come in atti. 
        oggetto: Procura della Repubblica  sede  (n.  855/12  R.I.E.)
determinazione  della  durata  dell'isolamento  diurno   che   accede
all'ergastolo; 
        oggetto: istanza proposta  da  interessato  (proc.  270/2013)
sostituzione della pena dell'ergastolo inflitto dalla Corte  d'Assise
d'appello, all'esito  del  giudizio,  in  data  11-3-2002,  con  rito
abbreviato, titolo in cosa giudicata in data 29-11-2002,  con  quella
della reclusione di anni trenta. 
    A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 13-12-2013; 
 
                               Osserva 
 
    In via preliminare sussiste la competenza in executivis di questo
giudice  in  virtu'  della  sentenza   emessa   in   data   31-3-2011
irrevocabile  il  29-11-2011  n.  815/11,  ultimo  titolo   in   cosa
giudicata,  che  radica  la  legittimazione  a  conoscere  del   tema
proposto. 
    Si  profila  una  pregiudiziale   di   carattere   costituzionale
nell'incidente di esecuzione n. 270/2013 R.I.E. 
    La questione condiziona in via pregiudiziale l'esame  nel  merito
dell'istanza proposta nel proc. 855/12 R.I.E. e  va  risolta  in  via
preliminare. 
A) Il caso oggetto d'esame in executivis nel procedimento n. 270/2013
R.I.E. 
    Insta M.U., alla data odierna collaboratore di giustizia. 
    Questa la sua prospettazione. 
    I fatti storici che integrano delitto datano 6-4-1991. 
    Si e' proceduto a suo carico per i seguenti delitti: 
        - Capo B associazione camorristica pluriaggravata  in  Napoli
dall'aprile 1991 con condotta perdurante; 
        - Capo D1, concorso in omicidio. volontario aggravato di C.L. 
        - concorso in tentato omicidio aggravato di C.G. 
        - concorso in lesioni aggravante di F.F.  fatti  avvinti  dal
vincolo della continuazione; 
        - Capo E1 concorso in tentato omicidio aggravato di F.I. 
        - Capo F1 detenzione e  porto  illegale  di  armi  in  Napoli
6-4-1991. 
    All'udienza preliminare del 14-5-1993 ha formulato  richiesta  di
definizione con rito abbreviato. 
    La richiesta e' stata dichiarata inammissibile  per  mancanza  di
consenso del P.M. 
    Il 17-10-1999 la  Corte  d'assise  lo  ha  condannato  alla  pena
dell'ergastolo  con  isolamento  diurno  per  anni  uno,  oltre  pene
accessorie. 
    All'udienza del giorno 11-10-2001  innanzi  alla  Corte  d'Assise
d'Appello  l'istante  ha  formulato  richiesta  di  definizione   del
processo con rito abbreviato. 
    La richiesta e' stata accolta. Gli era stata, tuttavia,  inflitta
la pena dell'ergastolo. Non aveva avuto la possibilita' di  formulare
la richiesta  di  definizione  con  rito  abbreviato  prima  perche',
definito il processo in primo grado, non era ancora  iniziato  quello
di appello. 
    Assume l'istante che la formulazione dell'art. 442 co.  2  c.p.p.
modificato dal d.l. 24-11-2000 n. 341 conv. il L. 19-1-2001 n. 4 alla
pena dell'ergastolo - da intendersi  senza  isolamento  diurno  -  e'
sostituita quella della reclusione  di  anni  trenta  e'  entrata  in
vigore nel periodo compreso tra il primo e il secondo grado. Lamenta,
dunque, il  M.  di  aver  subito  una  sanzione  illegittima  potendo
beneficiare del trattamento di favore previsto dall'art.  442  co.  2
c.p.p., in  virtu'  di  un  quadro  normativo  che  la  stessa  corte
costituzionale  con  sentenza  210/2013  ha  dichiarato   illegittimo
relativamente all'art. 7 co. 1 del d.l. cit. 
    Le verifiche camerali hanno richiesto alcune acquisizioni. 
    Tra queste, in particolare, quella del  verbale  di  udienza  del
giorno 11 ottobre 2001. 
    Si riscontra che effettivamente il M.U. ha  richiesto  in  quella
data il rito abbreviato e che la Corte d'assise d'appello ha  ammesso
il rito stesso. 
    Si legge nell'ordinanza quanto segue: la normativa di riferimento
va  ravvisata  nell'art.  4-ter  della  legge  5-6-2000  n.  144   di
conversione del d.l. 7-4-2000 n. 82 entrata in  vigore  il  22-6-2000
tale normativa opera una distinzione tra reati  sanzionati  con  pena
detentiva  temporanea  (1  comma)  e  reati  puniti   con   la   pena
dell'ergastolo (2 comma), prescrivendo per i  primi  l'applicabilita'
degli artt. 438 e ss c.p.p. come modificati  o  sostituiti  dalla  l.
479/1999 ai processi nei quali non sia ancora  iniziata  l'istruzione
dibattimentale alla data di entrata  in  vigore  della  citata  legge
5-6-2000 n. 144 per i reati di cui  al  secondo  comma  della  citata
legge,  viceversa,  (si)  rappresenta  la  possibilita'  nella  prima
udienza utile successiva alla data di  entrata  in  vigore  della  l.
144/2000 di chiedere che il processo, ai fini  di  cui  all'art.  442
comma 2 c.p.p. sia immediatamente  definito  anche  nel  giudizio  di
appello qualora sia stata disposta  la  rinnovazione  dell'istruzione
dibattimentale, prima della conclusione  dell'istruzione  stessa.  In
ordine a tale  condizione  normativa  ritiene  questa  Corte  che  la
disposizione transitoria vada interpretata nel  senso  che  si  debba
prescindere dalle eventuali richieste di  rinnovazione  della  stessa
istruzione in ordine alle quali non sia, come  nel  caso  di  specie,
intervenuta alcuna disposizione. In  altri  termini  la  disposizione
transitoria che occupa non presume, in via necessitata, che sia stata
disposta la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale che l'istanza
di  applicazione   di   rito   abbreviato   sia   intervenuta   prima
dell'esperimento dell'istruzione dibattimentale stessa.  Diversamente
argomentando si perverrebbe alla conclusione che  l'istanza  di  rito
abbreviato sarebbe preclusa per i procedimenti  che  non  vedono  ne'
richiesta di rinnovazione della istruttoria ..  ne'  disposizioni  in
tal senso. Pertanto le relative istanze vanno accolte  per  ...  M.U.
..... (estratto da: ordinanza  manoscritta  allegata  al  verbale  di
udienza e letta in data 11-10-2001). 
    La Corte d'Assise d'appello ha, effettivamente,  inflitto  al  M.
all'esito  del  giudizio,  in  data  11-3-2002,  applicando  il  rito
abbreviato, la pena dell'ergastolo. 
    Il titolo e' in cosa giudicata dal 29-11-2002. 
    M.U.  chiede  in  sede  esecutiva  che  sia  sostituita  la  pena
dell'ergastolo con quella di anni trenta di reclusione. 
    In difetto, assume, si realizzerebbe una violazione  degli  artt.
3, 117 Cost e la violazione dell'art. 7 della CEDU. 
B) - Cronologia. Questioni logico-giuridiche e temi rilevanti. 
1. Inquadramento. 
    La Corte di cassazione, S.U. penali, in data 10  settembre  2012,
ha  sollevato  questione  di   legittimita'   costituzionale   -   in
riferimento agli articoli 3 e 117, primo comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  -
degli articoli 7 e 8 del decreto-legge  24  novembre  2000,  n.  341,
convertito, con modificazioni, dalla legge 19  gennaio  2001,  n.  4,
nella parte in cui tali disposizioni operano retroattivamente e, piu'
specificamente, in relazione alla posizione di coloro che, pur avendo
formulato richiesta di giudizio abbreviato nella vigenza  della  sola
legge 16 dicembre 1999, n. 479, sono stati giudicati successivamente,
quando cioe',  a  far  data  dal  pomeriggio  del  24  novembre  2000
(pubblicazione della Gazzetta Ufficiale), era entrato  in  vigore  il
citato  decreto-legge,  con  conseguente  applicabilita'   del   piu'
sfavorevole trattamento sanzionatorio previsto da tale decreto. 
    La questione era legata alla sentenza della Corte EDU. 
    Si era, invero, rilevata  la  violazione  da  parte  dello  Stato
italiano  dell'art.   7,   paragrafo   1,   della   CEDU,   provocata
dall'applicazione dell'art. 7 del decreto-legge n. 341 del  2000.  Ne
era  conseguita  l'affermazione  del  dovere  da  parte  dello  Stato
italiano si intervenire per assicurare che  la  pena  dell'ergastolo,
inflitta al ricorrente, fosse sostituita con una pena non superiore a
quella della reclusione di anni trenta. 
    Secondo le sezioni unite,  la  sentenza  della  Corte  EDU  aveva
rilevato nel nostro ordinamento un problema strutturale. 
    La  decisione  conteneva  una  «regola  di  giudizio  di  portata
generale, che,  in  quanto  tale,  era  astrattamente  applicabile  a
fattispecie identiche a quella esaminata». 
    Le sezioni unite  hanno  osservato  come  all'applicazione  della
regola contenuta nella sentenza cd. Scoppola si  opponesse  l'art.  7
del decreto-legge n. 341 del 2000, che, per i motivi  indicati  nella
stessa  sentenza  della  Corte  EDU,  appariva  al  Supremo  collegio
costituzionalmente illegittimo, in base all'art.  30,  quarto  comma,
della legge 11 marzo 1953, n. 87, recante «Norme sulla costituzione e
sul funzionamento della Corte costituzionale» (il quale  dispone  che
quando in  applicazione  della  norma  dichiarata  costituzionalmente
illegittima e' stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna ne
cessano l'esecuzione e tutti gli effetti penali), la dichiarazione di
illegittimita'    costituzionale    dell'art.     7     consentirebbe
l'applicazione dell'art. 442, comma 2,  cod.  proc.  pen.  nel  testo
anteriore alla modificazione operata con il decreto-legge n. 341  del
2000 e, dunque, la richiesta  sostituzione  della  pena.  L'art.  30,
quarto comma, della legge n. 87  del  1953  avrebbe  operato  con  un
duplice effetto, per superare sia il limite del giudicato sia  quello
del quarto comma dell'art. 2 del  codice  penale,  il  quale  esclude
l'applicabilita'   di   disposizioni   «piu'   favorevoli   al   reo»
sopravvenute, qualora «sia stata pronunciata sentenza irrevocabile». 
2. Il quadro  normativa  interno  di  riferimento  nella  successione
temporale. 
    L'art. 442, comma 2, cod. proc. pen.  prevedeva,  originariamente
ed al momento dell'introduzione del  codice  di  rito,  nel  caso  di
giudizio abbreviato, la sostituzione della  pena  dell'ergastolo  con
quella di trenta anni di reclusione. La norma  era  stata  dichiarata
costituzionalmente  illegittima  per   eccesso   di   delega   (Corte
costituzionale:  sentenza  n.  176  del  1991).  Per  effetto   della
decisione indicata, tra  il  1991  ed  il  1999,  l'accesso  al  rito
abbreviato, sulla base degli artt. 438 e 442  cod.  proc.  pen.,  era
precluso agli imputati per delitti puniti con l'ergastolo. 
    L'art. 30, comma 1, lettera b), della  legge  n.  479  del  1999,
entrato in vigore 2 gennaio 2000, ha modificato l'art. 442, comma  2,
cod. proc. pen., reintroducendo la possibilita' di procedere  con  il
giudizio abbreviato per i reati punibili con l'ergastolo; ha previsto
la sostituzione della pena con quella di trenta anni di reclusione. 
    Il decreto-legge n. 341 del 24 novembre 2000, entrato  in  vigore
lo stesso 24 novembre 2000, e convertito dalla legge 19 gennaio 2001,
n. 4, all'art. 7, ha modificato  nuovamente  l'art.  442  cod.  proc.
pen.,  stabilendo,  in  via  di   interpretazione   autentica   della
precedente modifica, che «nell'art.  442,  comma  2,  del  codice  di
procedura penale, l'espressione  "pena  dell'ergastolo"  e'  riferita
all'ergastolo  senza  isolamento  diurno»  (art.  7,  comma   1),   e
aggiungendo alla fine del comma 2 dell'art. 442 cod.  proc.  pen.  la
proposizione: «Alla pena dell'ergastolo con  isolamento  diurno,  nei
casi di concorso di reati e di reato continuato, e' sostituita quella
dell'ergastolo» (art. 7, comma 2). In via transitoria, l'art.  8  del
medesimo decreto-legge ha  consentito  a  chi  avesse  formulato  una
richiesta di giudizio abbreviato nel vigore della legge  n.  479  del
1999 di revocarla entro trenta  giorni  dall'entrata  in  vigore  del
decreto-legge con l'effetto che il processo sarebbe proseguito con il
rito ordinario. 
    Medio tempore, tuttavia, con il d.l.  7-4-2000  n.  82  conv.  l.
5-6-2000 n. 144 si era operata cd. riapertura dei termini nei giudizi
di  appello.  In  particolare,  era  intervenuto  in  funzione  della
segnalata estensione l'art. 4-ter del d.l. cit. 
    La norma contempla essenzialmente due ipotesi distinte. 
    La prima concerne la fattispecie di' cui al comma 1 e recita:  1.
Salvo quanto previsto dai commi seguenti, le disposizioni di cui agli
articoli  438  e  seguenti  del  codice  di  procedura  penale   come
modificate o sostituite dalla legge 16  dicembre  1999,  n.  479,  si
applicano ai processi nei quali, ancorche' sia scaduto il termine per
la proposizione della  richiesta  di  giudizio  abbreviato,  non  sia
ancora iniziata l'istruzione dibattimentale alla data di  entrata  in
vigore  della  legge  di  conversione  del   presente   decreto.   La
fattispecie contempla i casi in cui pur scaduto  il  termine  per  la
proposizione della richiesta di giudizio abbreviato, non  sia  ancora
iniziata l'istruzione dibattimentale alla data di entrata  in  vigore
della legge di conversione del decreto. 
    La seconda enuclea i casi del comma secondo e  terzo.  Questo  il
tenore:  2.  Nei  processi  penali  per  reati  puniti  con  la  pena
dell'ergastolo, in corso alla data di entrata in vigore  della  legge
di conversione del presente decreto e nei quali prima della  data  di
entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479,  era  scaduto
il  termine  per  la  proposizione  della   richiesta   di   giudizio
abbreviato, l'imputato, nella prima  udienza  utile  successiva  alla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto, puo' chiedere che il processo, ai fini di cui all'art.  442,
comma 2, del codice di procedura penale, sia immediatamente definito,
anche sulla base degli atti contenuti nel fascicolo di  cui  all'art.
416, comma 2, del medesimo codice. 
    3. La richiesta di cui al comma 2 e' ammessa se e' presentata: 
        a) nel  giudizio  di  primo  grado  prima  della  conclusione
dell'istruzione dibattimentale; 
        b) nel giudizio di appello, qualora  sia  stata  disposta  la
rinnovazione dell'istruzione ai sensi dell'art.  603  del  codice  di
procedura penale, prima della conclusione della istruzione stessa; 
        c) nel giudizio di rinvio, se ricorrono le condizioni di  cui
alle lettere a) e b). 
    4. La volonta' dell'imputato  e'  espressa  personalmente  o  per
mezzo di procuratore speciale  e  la  sottoscrizione  e'  autenticata
nelle forme previste dall'art. 583, comma 3, del codice di  procedura
penale. 
    5. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza,  disponendo
l'acquisizione del fascicolo di cui all'art. 416, comma 2, del codice
di procedura penale. 
    6. Ai fini della deliberazione, il giudice utilizza,  oltre  agli
atti contenuti nel fascicolo di cui al comma 5, le prove  assunte  in
precedenza. 
    7. Per quanto non previsto nel presente articolo, si applicano le
disposizioni di cui agli articoli 441, escluso il comma 3, e 442  del
codice di procedura penale, nonche' l'art. 443 del medesimo codice se
la sentenza e' pronunciata nel giudizio di primo grado. 
    Il decreto e' entrato in vigore (Art. 5) il giorno  successivo  a
quello  della  sua  pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale   della
Repubblica italiana. 
3. L'esame incidentale del quadro normativo interno  da  parte  della
sentenza della Grande  Camera  della  Corte  EDU  17.9.2009  Scoppola
c/Italia. 
    Con la sentenza del 17  settembre  2009,  nel  giudizio  Scoppola
contro Italia, si e' anticipato, la Grande Camera della Corte EDU  ha
scrutinato il quadro normativo interno e  la  vicenda  relativa  alla
successione tra la legge n. 479 del 1999 ed il decreto-legge  n.  341
del 2000, ravvisando una violazione degli artt. 6 e 7 della CEDU. 
    In particolare, la Corte EDU ha ritenuto che l'art. 442, comma 2,
cod. proc. pen. ancorche' contenuto  in  una  legge  processuale,  e'
norma di diritto penale sostanziale, in quanto, «se e' vero  che  gli
articoli 438 e 441-443 del c.p.p. descrivono il campo di applicazione
e le fasi processuali del giudizio  abbreviato,  rimane  comunque  il
fatto che il paragrafo 2 dell'art. 442 e' interamente  dedicato  alla
severita' della pena da infliggere quando il processo  si  e'  svolto
secondo questa procedura semplificata». La norma,  pertanto,  rientra
nel  campo  di  applicazione  dell'art.   7,   paragrafo   1,   della
Convenzione, che, secondo una innovativa interpretazione della  Corte
di  Strasburgo,  comprende  anche   iI   diritto   dell'imputato   di
beneficiare della legge penale successiva alla commissione del  reato
che  prevede  una  sanzione  meno  severa  di  quella  stabilita   in
precedenza: nel  caso  di  specie  la  sanzione  di  trenta  anni  di
reclusione, pure  nel  caso  di  reati  puniti  con  l'ergastolo  con
isolamento diurno, poi sostituita  retroattivamente  con  quella  del
semplice ergastolo. 
4. Il tema  costituzionalmente  scrutinato  nella  sentenza  210/2013
della Corte costituzionale. 
    Il tema di legittimita'  costituzionale,  e'  stato  circoscritto
all'art. 7 comma 1 del decreto-legge n. 341 del 2000. 
    In  virtu'  della  pretesa  natura  interpretativa  la  norma  ha
determinato la sua applicazione retroattiva. 
    L'art. 7,  comma  2,  dello  stesso  decreto-legge,  di  modifica
dell'art. 442, comma 2, cod. proc. pen., si era limitato a dettare la
nuova  disciplina  del  rito  abbreviato  per  i  reati  puniti   con
l'ergastolo, da applicarsi "a regime" e,  dunque,  nelle  fattispecie
successive alla sua entrata in vigore, che non riguardavano  il  caso
oggetto del giudizio di costituzionalita' e prospettato alla Corte. 
    4.1  Le  questioni   "accessorie"   in   nesso   di   connessione
logico-giuridica affrontate nella decisione. 
    La prima concerne il se alla sentenza della Corte EDU, emessa nel
caso  Scoppola,  dovesse  darsi  applicazione  anche  nei  casi,  che
presentavano le medesime caratteristiche, senza  che  occorresse  per
gli stessi una specifica pronuncia della Corte EDU. 
    Si e' richiamata la norma  fondamentale  in  tema  di  esecuzione
delle sentenze della Corte EDU. Si  tratta,  appunto,  dell'art.  46,
paragrafo  1,  della  CEDU,  che  impegna  gli  Stati  contraenti  «a
conformarsi alle sentenze definitive della Corte  sulle  controversie
nelle quali sono parte». All'art. 46  si  affianca  l'art.  41  della
CEDU, a norma del quale, «se  la  Corte  dichiara  che  vi  e'  stata
violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e  se  il  diritto
interno  dell'Alta  parte  contraente  non  permette  che   in   modo
imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione,  la  Corte
accorda,  se  del  caso,  un'equa  soddisfazione  alla  parte   lesa»
(sentenza n. 113 del 2011). 
    In generale era inizialmente invalso l'argomento che  valesse  la
regola della  natura  "essenzialmente  dichiarativa"  delle  sentenze
extradomestiche e quella della liberta' degli Stati nella scelta  dei
mezzi da utilizzare per conformarsi ad esse. 
    Dalla sentenza della Corte EDU del 13  luglio  2000,  Scozzari  e
Giunta contro Italia, l'ecc.ma Corte costituzionale  ha  sottolineato
che si e' affermato principio secondo cui «quando la  Corte  constata
una violazione, lo Stato convenuto ha l'obbligo giuridico non solo di
versare agli interessati  le  somme  attribuite  a  titolo  dell'equa
soddisfazione previste dall'art. 41, ma anche di adottare  le  misure
generali e/o, se del caso, individuali necessarie» (Corte EDU, Grande
Camera, 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia; Corte EDU,  Grande
Camera, 1° marzo 2006, Sejdovic  contro  Italia;  Corte  EDU,  Grande
Camera, 8 aprile 2004, Assanidze contro Georgia.). 
    Lo Stato convenuto e', pertanto, tenuto  anche  a  rimuovere  gli
impedimenti che, nella  legislazione  nazionale,  si  frappongono  al
conseguimento dell'obiettivo. 
    Obblighi particolari di conformazione, alle pronunce della  Corte
EDU sono posti dalle cosiddette sentenze pilota. 
    La categoria enuclea fattispecie in cui si evidenza  un  problema
di carattere strutturale nell'ordinamento dello Stato convenuto. 
    La Corte, cioe', non si limita ad individuare il problema che  il
caso presenta, ma si spinge ad indicare le  misure  piu'  idonee  per
risolverlo. Secondo le sezioni unite della Corte  di  cassazione,  la
sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 17 settembre 2009,  Scoppola
contro Italia, presentava i connotati sostanziali  di  una  "sentenza
pilota". 
    Essa  evidenziava   l'esistenza,   all'interno   dell'ordinamento
giuridico italiano,  di  un  problema  strutturale  dovuto  alla  non
conformita' rispetto alla CEDU dell'art. 7 del decreto-legge  n.  341
del 2000, nella interpretazione datane dalla giurisprudenza interna. 
    Sarebbe   spettato   al   legislatore   rilevare   il   conflitto
verificatosi  tra  l'ordinamento  nazionale  e   il   sistema   della
Convenzione e rimuovere le disposizioni che lo avevano generato. 
    In caso di omissione del legislatore sarebbe  sorto  il  problema
relativo  alla  eliminazione  degli  effetti   gia'   definitivamente
prodotti in  fattispecie  uguali,  che,  tuttavia,  non  erano  state
denunciate innanzi alla Corte EDU ed erano divenute inoppugnabili. 
    Scrive sul punto la  Corte  costituzionale:  Esiste  infatti  una
radicale differenza tra coloro che,  una  volta  esauriti  i  ricorsi
interni, si sono rivolti al sistema di giustizia della CEDU e  coloro
che, al contrario, non si sono  avvalsi  di  tale  facolta',  con  la
conseguenza che la loro vicenda processuale, definita  ormai  con  la
formazione del  giudicato,  non  e'  piu'  suscettibile  del  rimedio
convenzionale. Da cio' discende che il valore del  giudicato  non  e'
estraneo alla Convenzione, al punto che la stessa  sentenza  Scoppola
vi ha ravvisato un limite  all'espansione  della  legge  penale  piu'
favorevole. In linea di  principio,  l'obbligo  di  adeguamento  alla
Convenzione, nel significato attribuitole dalla Corte di  Strasburgo,
non concerne i casi, diversi da quello oggetto della  pronuncia,  nei
quali per l'ordinamento interno si e' formato il giudicato, e che  le
deroghe a tale limite vanno ricavate, non  dalla  CEDU,  che  non  le
esige, ma nell'ambito dell'ordinamento nazionale. 
    Nel  sistema  la  regola   "d'ordine"   dell'intangibilita'   del
giudicato, puo' flettere in casi eccezionali e solo quando si debbano
ritenere prevalenti opposti valori, di  dignita'  costituzionale,  ai
quali il legislatore intende assicurare un primato.  Cio'  accade  al
cospetto della liberta' personale, laddove essa venga ristretta sulla
base di una  norma  incriminatrice  successivamente  abrogata  oppure
modificata in favore del  reo:  «per  il  principio  di  eguaglianza,
infatti, la modifica mitigatrice della legge penale e, ancor di piu',
l'abolitio criminis, disposte dal legislatore in  dipendenza  di  una
mutata  valutazione  del   disvalore   del   fatto   tipico,   devono
riverberarsi anche a vantaggio di coloro che hanno posto in essere la
condotta in un  momento  anteriore,  salvo  che,  in  senso  opposto,
ricorra una sufficiente ragione giustificativa» (sentenza n. 236  del
2011). 
    La  Corte  costituzionale  conclude   con   l'affermazione   che:
Nell'ambito dell'odierno incidente  di  legittimita'  costituzionale,
tale rilievo e' sufficiente per concludere che,  con  riferimento  al
procedimento  di  adeguamento  dell'ordinamento  interno  alla  CEDU,
originato dalla pronuncia della Grande Camera  della  Corte  EDU  nel
caso Scoppola, il giudicato non costituisce un ostacolo  insuperabile
che, come invece accade di regola, limiti  gli  effetti  dell'obbligo
conformativo ai  soli  casi  ancora  sub  iudice.  Nella  prospettiva
adottata dalle sezioni unite rimettenti, non vi sono percio' ostacoli
che si frappongano alla estensione degli effetti della Convenzione in
fattispecie uguali a quella relativa a Scoppola, sulle quali  si  sia
gia' formato il giudicato. 
    -  La  seconda  e'  relativa  al  procedimento  da  seguire   per
conformarsi. 
    L'interrogativo  e'   se   il   giudice   dell'esecuzione   abbia
"competenza" al riguardo.  Qui  si  addiviene  alla  conclusione  che
occorre incidere solo sul titolo esecutivo, in modo da sostituire  la
pena inflitta con quella  conforme  alla  CEDU  e  determinata  nella
misura dalla legge. 
    E',   pertanto,   sufficiente   un   intervento    del    giudice
dell'esecuzione. 
    - La terza questione e' legata all'interrogativo se l'obbligo  di
conformazione   alla   sentenza   della   Corte    EDU,    ostacolato
dall'illegittimita' costituzionale di una norma nazionale, imponga  o
meno l'incidente di costituzionalita'. 
    La conclusione cui  si  addiviene  e'  che  in  mancanza  di  una
pronuncia  specifica  della  Corte  Europea   rispetto   al   singolo
ricorrente  occorre   sollevare   una   questione   di   legittimita'
costituzionale della norma convenzionalmente illegittima. 
    4.2 Il merito. La Corte costituzionale  ha  ritenuto  fondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7,  comma  1,  del
decreto-legge n. 341 del 2000, sollevata in riferimento all'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 7 della CEDU. 
    La norma impugnata, ha osservato la Corte, si colloca al  termine
di una successione di tre distinte discipline. 
    La relativa successione e' stata gia' indicata. 
    La sentenza della Corte EDU, 17 settembre  2009,  ha  in  sintesi
affermato che l'art. 442, comma 2, cod. proc. pen.  costituisce  «una
disposizione di diritto penale  materiale  riguardante  la  severita'
della pena  da  infliggere  in  caso  di  condanna  secondo  il  rito
abbreviato» e che l'art. 7, comma 1, del  decreto-legge  n.  341  del
2000, nonostante  la  formulazione,  non  e'  in  realta'  una  norma
interpretativa, perche' «l'art. 442, comma 2,  cod.  proc.  pen.  non
presentava alcuna ambiguita' particolare; esso  indicava  chiaramente
che la pena dell'ergastolo era sostituita da quella della  reclusione
di  anni  trenta,  e  non  faceva   distinzioni   tra   la   condanna
all'ergastolo con o senza isolamento diurno». 
    Inoltre, aggiunge  la  sentenza  Scoppola,  «il  Governo  non  ha
prodotto esempi di conflitti giurisprudenziali ai  quali  l'art.  442
sopra citato  avrebbe  presumibilmente  dato  luogo».  Si  tratta  di
valutazioni ineccepibili anche in base all'ordinamento interno. 
    La Corte  costituzionale  ha,  dunque,  aderito  all'impostazione
osservando che l'art. 7, comma 1, del decreto-legge n. 341  del  2000
costituisce solo formalmente una norma interpretativa. 
    Quella  qualificazione  non  risponderebbe,  di  converso,   alla
realta'. 
    A  partire  dalle  sentenze  n.  348  e  n.  349  del  2007,   la
giurisprudenza della Corte costituzionale e'  costante  nel  ritenere
che «le norme della CEDU -  nel  significato  loro  attribuito  dalla
Corte europea dei diritti  dell'uomo,  specificamente  istituita  per
dare a esse interpretazione e applicazione  (art.  32,  paragrafo  1,
della Convenzione) - integrano, quali norme interposte, il  parametro
costituzionale espresso dall'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  nella
parte in cui impone la conformazione della  legislazione  interna  ai
vincoli derivanti dagli obblighi internazionali» (sentenze n. 236, n.
113, n. 80 - che conferma la validita'  di  tale  ricostruzione  dopo
l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 -  e
n. 1 del 2011; n. 196 del 2010; n. 311  del  2009),  e  deve  percio'
concludersi che, costituendo l'art. 7 della Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo, rispetto all'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  una
norma interposta, la sua violazione, riscontrata dalla Corte  europea
dei diritti dell'uomo con la sentenza  della  Grande  Camera  del  17
settembre 2009, Scoppola  contro  Italia,  comporta  l'illegittimita'
costituzionale della norma impugnata. 
    Alla luce delle premesse indicate la Corte costituzionale ha;  a)
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1,  del
decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 convertito, con modificazioni,
dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4;  b)  dichiarato  inammissibile  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7,  comma  1,  del
decreto-legge   24   novembre   2000,   n.   341,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 19  gennaio  2001,  n.  4,  sollevata,  in
riferimento   all'art.   3   della   Costituzione;   c)    dichiarato
inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8
del  decreto-legge  24  novembre  2000,  n.   341   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 19  gennaio  2001,  n,  4,  sollevata,  in
riferimento agli articoli 3 e 117, primo comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Il caso oggetto d'esame in executivis. 
    Due sono essenzialmente le questioni da affrontare. 
    La prima e' se il  caso  sottoposto,  nell'odierno  incidente  di
esecuzione, sia "formalmente identico" a quelli gia' esaminati  nella
giurisprudenza passata in rassegna ovvero se presenti  i  profili  di
analogia strutturale che permettono di procedere alla applicazione in
via diretta ed immediata dei principi che sono stati  gia'  enucleati
dalla Corte EDU, dalle SS.UU della Suprema Corte di cassazione e,  da
ultimo,  dalla  ecc.ma   Corte   costituzionale   con   la   parziale
declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 7 co. 1  d.l.
cit.. 
    La seconda e' se, escluso che si versi nell'ipotesi  indicata  di
identita' «formale e strutturale" e,  dunque,  escluso  che  in  sede
esecutiva, secondo il quadro di riferimento enucleato,  il  M.  abbia
diritto ad ottenere una modifica  del  giudicato  a  suo  carico,  si
prospetti, in via di ipotesi, una lesione della sua  sfera  giuridica
ed una possibile frizione del quadro normativo di riferimento,  cosi'
delineato  e  da  applicare,  con   i   principi   costituzionali   e
convenzionali,  secondo  il  doppio  modello  di   cd.   circolarita'
concentrica. 
    L'esame delle questioni  va  operato  alla  luce  di  quello  che
parrebbe il tracciato consolidato in giurisprudenza, che  si  omologa
al cd. diritto vivente  e  che  puo'  essere  cosi'  sintetizzato:  A
seguito della sentenza della Grande Chambre della Corte EDU n.  10249
del 17 settembre 2009 nel caso Scoppola c.  Italia,  condannato  alla
pena dell'ergastolo con sentenza passata in giudicato  puo'  ottenere
in sede esecutiva la riduzione della pena ex art. 442 cod. proc. pen.
a condizione che abbia chiesto e sia stato ammesso al rito abbreviato
tra il 2 gennaio ed il 24 novembre  2000  (e,  cioe',  nella  vigenza
dell'art. 30, comma primo, lett. b., L. 479 del 1999) e la  decisione
sia stata pronunciata dopo il 24 novembre 2000, con applicazione  del
D.L. 341del 2000 che ripristinava l'ergastolo senza isolamento diurno
(Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23931 del 17/05/2013 Cc. (dep. 03/06/2013)
Rv. 256257; conformi parrebbero: N. 4075 del 2012 Rv. 254212, N. 5134
del 2012 Rv. 251857, N. 25227 del 2012 Rv. 253093, N. 34233 del  2012
Rv. 252932, N. 48329 del 2012 Rv. 25). 
    Il primo tema. L'assunta identita' formale e sostanziale dei casi
a confronto. 
    Non si versa, tenuto  conto  dell'orientamento  giurisprudenziale
tracciato, al cospetto di ipotesi siffatta, a giudizio del decidente. 
    Il caso esaminato  dalla  Corte  di  cassazione,  che  ha  inteso
rimettere la questione di costituzionalita', presenta un  profilo  di
differenziazione netto per l'aspetto processuale. 
    Quel dato diventa di  non  poco  momento  nella  soluzione  della
vicenda e rende non estensibile ipso facto il principio di diritto su
cui si e' gia' intrattenuta la Suprema Corte di cassazione e l'ecc.ma
Corte costituzionale. 
    Quel caso puo' essere cosi' riassunto. 
    Il soggetto era stato condannato  con  sentenza  della  Corte  di
assise,  in  data  18  luglio  1998,  alla  pena  dell'ergastolo  con
isolamento diurno. 
    Il condannato aveva proposto appello. 
    Nel corso del giudizio di secondo grado era entrata in vigore  (2
gennaio 2000) la legge 16 dicembre 1999, n. 479. L'art. 30, comma  1,
lettera b), aveva aggiunto alla fine del comma 2 dell'art.  442  cod.
proc.  pen.  il  seguente  periodo:  «Alla  pena  dell'ergastolo   e'
sostituita quella della reclusione di  anni  trenta»,  reintroducendo
cosi' la possibilita' per la persona imputata di reati  punibili  con
la pena perpetua di accedere al rito  abbreviato.  L'imputato  il  12
giugno 2000, nel corso del giudizio di appello,  proprio  avvalendosi
della  riapertura  dei  termini,   disposta   dall'art.   4-ter   del
decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 5 giugno 2000, n. 144, aveva chiesto di procedere con  il
rito  abbreviato.  Dalla  richiesta  sarebbe  derivata,   in   virtu'
dell'art. 442, comma 2, cod. proc. pen. (nel testo  vigente  in  quel
momento), la sostituzione della  pena  dell'ergastolo,  con  o  senza
isolamento, con quella di anni trenta di reclusione.  Era,  tuttavia,
prima della conclusione del giudizio d'appello, entrato in vigore  il
decreto-legge n. 341 del 2000, convertito, con  modificazioni,  dalla
legge n. 4 del 2001, l'art. 7, nell'intento dichiarato  di  dare  una
interpretazione autentica al secondo periodo dell'art. 442, comma  2,
cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 479 del  1999.  Aveva
stabilito  che  l'espressione  «pena  dell'ergastolo»  ivi  contenuta
dovesse intendersi riferita all'ergastolo senza isolamento diurno  ed
aveva inserito alla fine della stessa disposizione un terzo  periodo,
secondo il quale «Alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, nei
casi di concorso di reati e di reato continuato, e' sostituita quella
dell'ergastolo». 
    In applicazione del citato art. 7 la Corte di assise di  appello,
con sentenza del 10 luglio 2001 (divenuta irrevocabile il 14 novembre
2003), aveva inflitto al ricorrente la pena dell'ergastolo. 
    Sulla scorta di quadro fattuale siffatto la Corte  di  cassazione
ha condiviso la prospettazione secondo cui il rigetto del  Tribunale,
in  funzione  di  giudice  dell'esecuzione,  non   era   conforme   a
Costituzione e Convenzione e le  sezioni  unite  hanno  sollevato  la
questione di legittimita', accolta nei termini enucleati dalla  Corte
costituzionale. 
    La Corte costituzionale, in definitiva, conformando l'ordinamento
interno al principio affermato dalla Corte EDU, (17 settembre  2009),
ha condiviso i seguenti principi: che l'art. 442, comma 2, cod. proc.
pen.  costituisce  «una  disposizione  di  diritto  penale  materiale
riguardante la severita' della pena da infliggere in caso di condanna
secondo  il  rito  abbreviato»  e  che  l'art.  7,   comma   1,   del
decreto-legge n. 341 del 2000, nonostante la formulazione, non e'  in
realta'  una  norma  interpretativa.  Dalla  formulazione   normativa
operata  ne  derivava  una  applicazione   retroattiva   in   termini
sfavorevoli non conforme a Costituzione e Convenzione. 
    E' seguita la dichiarazione di incostituzionalita'. 
    Nel caso oggetto d'esame nel presente incidente  esecutivo  vive,
tuttavia, un profilo differenziale non marginale. 
    Opera sul piano  del  dipanarsi  della  vicenda  processuale  nel
tempo. 
    La vicenda, sul piano sostanziale, e' esattamente  sovrapponibile
a quella gia' descritta. 
    Se ne differenzia, in relazione alla data in  cui  l'imputato  ha
richiesto l'accesso al rito abbreviato. 
    Qui  si  apre  il  profilo  che  diversifica  strutturalmente   e
giuridicamente le due fattispecie processuali. 
    Il M.  chiede  l'accesso  al  rito  abbreviato  in  pendenza  del
giudizio di appello e nel processo che lo riguarda dopo l'entrata  in
vigore dell'art. 7 d.l. cit. 
    Il decreto-legge entra, invero, in vigore nel pomeriggio  del  24
novembre 2000 e l'imputato formalizza la richiesta di  abbreviato  in
data 11.10.2001. 
    Stricto iure non si pone, dunque,  per  il  M.,  un  problema  di
applicazione retroattiva di un trattamento penale  sfavorevole,  tema
che aveva interessato il caso Scoppola e quello  che  ha  indotto  la
stessa   Corte   costituzionale   a   dichiarare   costituzionalmente
illegittimo l'art. 7 co. 1 del d.l. cit (sentenza  C.  Costituzionale
nr. 210/2013). 
    Alla luce, dunque, del cd.  diritto  vivente  teste'  evocato  si
sarebbe fuori dall'applicazione esecutiva del trattamento  di  favore
invocato dall'istante. Tuttavia, sono doverose alcune considerazioni. 
    E' fuori discussione che il M. abbia richiesto la definizione del
giudizio pendente a suo carico innanzi la Corte d'Assise d'Appello ed
in applicazione dell'art. 4-ter del d.l. 7-4-2000 n. 82. 
    In  particolare  anche  in  quella  circostanza   aveva   trovato
applicazione la norma entrata in vigore  prima  del  decreto  di  cd.
interpretazione  autentica  e  che  aveva  avuto  come   termine   di
riferimento  sostanziale  una  serie  di  imputati  che  erano  nella
seguente condizione: 
        a)  aver  commesso  un  delitto   qualificato,   punito   con
l'ergastolo  (era  indifferente   nella   previsione   normativa   se
accompagnato da isolamento o meno); 
        b) trovarsi nella posizione processuale di cui all'art. 4-ter
del d.l. 82/2000 e, cioe', 1) imputati in processo penale, per  reati
puniti con la pena dell'ergastolo, in corso alla data di  entrata  in
vigore della legge di conversione del decreto (l. 5-6-2000 n. 144) ed
in cui, prima della data di entrata in vigore della legge 16 dicembre
1999, n. 479, era  scaduto  il  termine  per  la  proposizione  della
richiesta di giudizio abbreviato; 2)  aver  avanzato  istanza  (nella
prima udienza utile successiva alla data di entrata in  vigore  della
legge di conversione del decreto 82/2000), di  definizione  ai  sensi
dell'art. 442, comma 2, del codice di procedura penale,  con  impiego
immediato anche degli atti contenuti nel fascicolo  di  cui  all'art.
416, comma 2, del medesimo codice. Ancora nel giudizio d'appello  era
possibile la richiesta qualora fosse stata disposta  la  rinnovazione
dell'istruzione ai  sensi  dell'art.  603  del  codice  di  procedura
penale, prima della conclusione della istruzione stessa; nel giudizio
di rinvio nel concorso delle condizioni di cui alle lettere a) e b). 
    A  rigore,  pertanto,  ed   in   un   procedimento   di   stretta
interpretazione  giuridica  del  quadro  normativo  di   riferimento,
attualmente in vigore, nonostante la declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale anche all'indomani della sentenza 210/2013 della Corte
costituzionale,  si  imporrebbe  di  escludere  la  rivisitazione  in
executivis del giudicato in favore del M. 
    Nei suoi confronti, invero, non  si  profila  alcun  problema  di
applicazione retroattiva di una norma sfavorevole. 
    Egli, infatti,  ha  avanzato  istanza  di  definizione  con  rito
abbreviato allorquando era gia' in vigore la  norma  di  lettura  cd.
autentica e  nel  regime  di  un  quadro  normativa  che  aveva  gia'
differenziato  il  trattamento  penale  per  i  delitti  puniti   con
ergastolo semplice e con ergastolo aggravato dall'isolamento. 
    Lo sbarramento temporale, si e' visto, data 24 novembre 2000. 
    Dovrebbe derivare, in prospettiva siffatta, l'esclusione  del  M.
dal ventaglio  di  ipotesi  gia'  scrutiniate  favorevolmente  ed  il
rigetto dell'istanza presentata in questa sede. 
    Deve, tuttavia, osservarsi che il  quadro  cosi'  ricostruito  ed
interpretato  potrebbe  presentare  un  profilo  lesivo  della  sfera
giuridica  dell'istante  ed  una  possibile   frizione   dell'assetto
normativo  da  applicare  nel  caso  di   specie   con   i   principi
costituzionali e convenzionali, secondo  il  doppio  modello  di  cd.
circolarita' concentrica. 
    Si introduce, dunque, l'esame del secondo tema cui  sopra  si  e'
fatto cenno. 
    Non occorre ritornare sull'assetto normativo in un  preciso  arco
storico-temporale. 
    Si e' gia' avuto modo di dire che tra l'entrata in  vigore  della
legge cd. Carotti (l. 479/1999) e l'approvazione del d.l. 24.11.2000,
il  trattamento  penale  sostanziale,  cioe'  incidente  sul  diritto
sostantivo, era caratterizzato da una particolarita'  e,  cioe',  che
per reati commessi ovviamente  prima  o  in  costanza  di  disciplina
novellata, e pendente il processo  relativo,  in  primo  e/o  secondo
grado, gli imputati avevano la possibilita' di accedere ad  una  pena
diversa dall'ergastolo, fruendo del regime di favore  introdotto  dal
rito abbreviato. 
    Cio' anche per i giudizi in fase di appello,  per  effetto  delle
disposizione transitoria introdotta con il d.l. 82/2000. 
    La ratio della riforma normativa va esattamente individuata. 
    Tra le spinte che avevano indotto la novella vi era anche  quella
della deflazione processuale. Si intendeva assicurare,  tra  l'altro,
anche nei giudizi pendenti una riduzione  sensibile  di  pena  a  chi
avesse rinunciato al contraddittorio  pieno  sulla  formazione  della
prova, accettando il rito allo stato degli atti. 
    Anche in cio' stava la ragione di ammettere i  processi  pendenti
in appello al rito nella forma neointrodotta. La condizione  era  che
non   si   fosse   esaurita    la    rinnovazione    dell'istruttoria
dibattimentale. 
    In caso  diverso,  era  evidente,  non  vi  sarebbe  stato  alcun
risparmio di energie processuali  e  non  avrebbe  avuto  significato
"razionale" il riconoscimento del  beneficio  che  caratterizzava  la
pena del rito abbreviato, per definizione  tradizionale  "allo  stato
degli atti". 
    Cio' spiega anche perche'  era  escluso  l'accesso  al  rito  nel
giudizio di legittimita' e perche', al contrario,  era  possibile  in
fase di giudizio di  rinvio,  nel  concorso  delle  condizioni  sopra
enucleate e fissate dall'art. 4-ter del. D.l. 82/2000. 
    Dato siffatto traccia, dunque, un profilo  sensibilmente  diverso
della presente questione rispetto a  quella  gia'  decisa  da:  Corte
costituzionale ord. 23-7-2013 n. 235, 
    Quello indicato, pertanto, appare lo  statuto  logico-strutturale
della  disposizione  transitoria  di  cui  all'art.  4-ter  del  d.l.
82/2000. 
    Essa, dunque, trattandosi di norma  generale  ed  astratta  aveva
come referenti di destinazione tutti gli  imputati  che  erano  nella
condizione relativa. 
    Si trattava di norma  processuale  (art.  4-ter  cit.),  che,  in
definitiva, si abbinava ad altra disposizione (art. 30 co 1 lett.  b)
l. 479/1999). Quest'ultima norma era solo formalmente  processuale  e
presentava, tuttavia, natura anche di diritto  sostantivo  incidendo,
in definitiva, sul trattamento penale del fatto. 
    Attraverso l'abbinamento normativo indicato  (dell'art.  4-ter  e
dell'art.  30  l.  479/1999,  con  il  rinvio  al  modello  del  rito
abbreviato di cui all'art. 442 c.p.p.) si era inteso permettere  agli
imputati, pendente iudicio, di poter  fruire  del  nuovo  trattamento
penale migliorativo. 
    Qui la questione si intreccia con la necessita' di affrontare  il
tema  centrale  che  afferisce  la  natura   giuridica   del   potere
normativamente   riconosciuto   dall'art.    4-ter    d.l.    82/2000
all'imputato, gia' condannato in primo  grado,  di  definire  la  sua
posizione in abbreviato, anche nel pendente giudizio di appello. 
    Cio' perche' la norma contiene un riferimento temporale chiaro  e
riconosce  l'esercizio  di  quel  potere  e   delle   modalita'   per
formalizzare l'istanza di  giudizio  abbreviato,  anche  in  appello,
fruendo del trattamento sostanziale di favore previsto  dall'art.  30
co. 1lett. b) della legge 479/1999. La disposizione  assicurava  cio'
all'imputato prescrivendo che dovesse farlo nella prima udienza utile
successiva alla data di entrata in vigore della legge di  conversione
del presente decreto. 
    La  particolarita'  che  qui  contraddistingue  il  caso  oggetto
d'esame  e'  che  nel  processo  specifico  la  prima  udienza  utile
risulterebbe  fissata  dopo  l'entrata  in  vigore  del  decreto   di
interpretazione autentica e, dunque, allorquando era "a  regime"  una
nuova disciplina. 
    Essa, tuttavia, finiva per incidere sensibilmente sul profilo  di
diritto sostanziale e andava a caratterizzare diversamente  l'istanza
di rito abbreviato. 
    La novita' era che il delitto punito con ergastolo ed  isolamento
avrebbe ricevuto, dal pomeriggio del 24 novembre 2000, un trattamento
processuale piu'  severo,  rispetto  alla  disciplina  previgente  ed
introdotta dall'art. 30 co. 1 lett. b) l. 479/1999. 
    Questo e' il punto centrale della questione. 
    Non serve qui ricostruire  il  rapporto  teorico-concettuale  che
esiste tra gli effetti di diritto  sostantivo  ed  il  meccanismo  di
struttura processuale che e' scritto nell'art. 442 c.p.p. 
    Va detto, indubbiamente, che  affinche'  esso  operi  occorre  la
coesistenza di una serie di elementi. 
    Il primo e' il fatto storico che integra delitto; il  secondo  e'
che penda processo in cui trova applicazione l'art. 442 c.p.p.,  sede
in  cui  va  formalizzato  l'esercizio  del  diritto  processuale  di
definire  la  posizione  relativa  alla  regiudicanda   dedotta   nel
processo. 
    E', dunque, vero che il processo e la volonta'  dell'imputato  di
definirlo con rito alternativo rendono concretamente  applicabile  la
fattispecie  complessa  del  trattamento   sanzionatorio   favorevole
"sostanziale" scritto nell'art. 442 c.p.p. 
    Tuttavia, e' altrettanto vero che, pur  essendo  condizionato  lo
"statuto penale" finale del fatto-reato, al processo  ed  alla  legge
che regola i diritti potestativi della parte,  legge  in  vigore  nel
momento in cui si celebra  il  giudizio,  non  sempre  ,e'  possibile
ritenere che il criterio di lettura delle  potesta'  processuali  sia
unicamente e razionalmente quello del cd. tempus regit actum. 
    Cio'  specie  allorquando  l'esercizio  dei  diritti  processuali
potestativi  -  che   modificano   unilateralmente   la   fattispecie
processuale ed incidono sulla condizione della parte secondo la legge
in  vigore  al  momento  dell'esercizio  stesso  -  e'   in   stretto
collegamento con una normativa sostanziale di riferimento che  incide
sfavorevolmente sulla dosimetria della pena. 
    Qui non si versa, dunque, al cospetto di figure che modificano il
solo processo ed i diritti formali che in esso vivono. 
    V'e', di converso, coesistenza di posizioni giuridiche soggettive
che hanno distinta natura. Da un lato v'e' il diritto potestativo  di
definire il rito con un procedimento  alternativo  (l'abbreviato)  e,
dall'altro, v'e'  la  posizione  giuridica  soggettiva  parallela  di
vedere  definito  il  giudizio  stesso,  applicando   la   disciplina
sostanziale di riferimento "favorevole" che risulta in  vigore  nella
congiuntura temporale in cui nasce la specifica posizione processuale
e si consolida nella  sfera  giuridica  sostanziale  della  parte,  a
carico della quale gia' e' instaurato il rapporto processuale. 
    E', dunque, chiaro come  in  questi  casi  sia  la  pendenza  del
giudizio  a  carico  dell'imputato  a  segnare   anche   lo   statuto
"sostanziale" cui egli aspira. E cio' non perche' si generi una  pura
aspettativa  di  diritto,   ma   perche'   la   posizione   giuridica
dell'imputato (gia' condannato in primo grado nel caso di specie)  e'
quella del diritto soggettivo pieno. 
    Il  quadro  appare  chiaro  proprio  riflettendo  sulla  insolita
vicenda modificativa-successoria che  ha  caratterizzato  l'art.  442
c.p.p. e l'applicazione della norma parallela di cui  all'art.  4-ter
del d.l. 82/2000. Qui si comprende come si versi al cospetto  di  una
fattispecie complessa, che cumula profili che afferiscono al  diritto
penale  sostanziale   ed   all'esercizio   di   diritti   potestativi
processuali della parte. 
    Cio' induce una prima conclusione. 
    Le modifiche sui diritti  processuali  potestativi  dell'imputato
che incidano o abbiano  nessi  di  collegamento  con  il  trattamento
penale sostanziale devono essere  regolati  dalle  medesime  norme  e
principi di favore che disciplinano il diritto sostanziale stesso. 
    Nel caso del rito abbreviato su reati puniti con  l'ergastolo  si
assiste, per vero, ad una vicenda successoria normativa che, per  una
fase temporale, ha tratti di anomalia strutturale. 
    E' un quadro  che  la  Corte  costituzionale  ha  gia'  in  parte
ricondotto  a  razionalita'  di  sistema  con  la   declaratoria   di
illegittimita' indicata (sentenza 210/2013). 
    Residua, tuttavia, a giudizio del decidente, l'ulteriore  profilo
di frizione costituzionale che si passa ad esporre e che si fonda  su
quanto gia' premesso. 
    Invero, si e' anticipato che la categoria sostanziale  soggettiva
di riferimento all'indomani dell'entrata in vigore della norma di cui
all'art.  4-ter  d.l.  82/2000  era  indistintamente,  per  cio'  che
interessa  il  caso  de  quo,  quella  degli  imputati  che   fossero
giudicabili in un giudizio gia' pendente in appello, fase processuale
in cui si poteva beneficiare della pena di anni trenta di reclusione,
in luogo dell'ergastolo. 
    Occorreva fare istanza richiedendo il giudizio  abbreviato  nelle
condizioni dell'art. 4-ter d.l. cit. 
    Tuttavia, l'entrata in vigore del d.l. 341/2000 ha modificato  le
cose. 
    Dalla successione di norme e' derivata per l'imputato,  che  oggi
se ne duole, l'impossibilita' di richiedere  il  giudizio  abbreviato
nella forma di maggior favore che pure il d.l.  indicato  con  l'art.
4-ter gli aveva riconosciuto, essendo gia' pendente in suo favore  il
processo d'appello a  suo  carico  ed  avendo  egli  gia'  subito  la
condanna in primo grado. 
    Cio'  perche'  la  prima  udienza  utile,  per  una   congiuntura
puramente casuale, e'  caduta  in  epoca  successiva  all'entrata  in
vigore del d.l. di ulteriore modifica e, dunque, dopo il 24  novembre
2000. 
    Si assiste, cioe', processualmente ad una nuova  definizione,  in
senso  peggiorativo,  delle  posizioni  giuridiche  soggettive  degli
imputati condannati  in  primo  grado,  cui  inizialmente  era  stato
riconosciuto  il  diritto  di  accedere  ad  abbreviato  nella  forma
favorevole  degli  anni  trenta   di   reclusione,   richiamando   la
disposizione dell'art. 30 co. 1 lett. b) della legge 479/1999,  nella
prima udienza utile.  Lo,  si  fa,  normativamente,  modificando,  in
definitiva dal 24-11-2000, il trattamento sostanziale di  riferimento
ed operando una differenziazione, ai fini dell'esercizio del  diritto
potestativo processuale dell'imputato di  definire  il  processo  con
abbreviato, sul piano sostanziale, tra i delitti puniti con ergastolo
e quelli puniti con ergastolo ed isolamento. 
    Tutto cio' ha un fondamento razionale per i fatti  successivi  al
24-11-2000 e per i processi che  non  risultino  incardinati  gia'  a
quella data. 
    Per le posizioni degli imputati, a carico dei  quali  pendeva  il
giudizio d'appello, e cui gia' era stato riconosciuto il  diritto  di
accedere al rito con il trattamento di favore introdotto (e derivante
dal combinato disposto di cui agli artt. 4-ter d.l. cit e  30  co.  1
lett. b) l. 479/1999), non appare "razionale" retrocedere e,  dunque,
legislativamente modificare nuovamente il  trattamento  "sostanziale"
che sarebbe derivato in caso di esercizio delle facolta'  processuali
relative all'istanza di  rito  abbreviato.  Cosi'  operando  si  sono
prodotte differenziazioni processuali e sostanziali non ragionevoli. 
    Invero si e' finito per diversificare una serie di soggetti. 
    Si tratta  di  coloro  cui  era  stato  riconosciuto  il  diritto
potestativo processuale di accedere al rito abbreviato  e  di  fruire
della pena sostanzialmente applicabile a quel caso  processuale,  per
effetto dell'entrata in vigore dell'art. 4-ter cit. 
    In  questa  categoria  unitaria,  composta   da   soggetti   gia'
condannati in primo grado per delitti  puniti  con  ergastolo,  anche
aggravato, si sono finiti per differenziare proprio coloro che  erano
riusciti a chiedere il  giudizio  abbreviato  prima  dell'entrata  in
vigore del d.l.  cd.  di  interpretazione  autentica  (24-11-2000)  e
coloro che, per una  pura  congiuntura  del  caso  ed  essenzialmente
legata ad un fattore temporale, legato alla data di fissazione  della
prima udienza utile in grado d'appello, non avevano potuto esercitare
in  concreto  quel  diritto  potestativo,  gia'   riconosciuto   loro
dall'art. 4-ter d.l.  82/2000  nella  "consistenza  sostanziale"  che
derivava dal rinvio che operava lo stesso art. 4-ter  d.l.  cit  alla
formulazione dell'art. 442 c.p.p. vigente all'indomani della modifica
operata dall'art. 30 co. 1 lett. b della l. 479/1999. 
    Costoro, infatti, non avevano avuto in concreto  la  possibilita'
di esercitare un diritto  che  era  entrato  a  far  gia'  parte  del
rispettivo patrimonio processuale. Quel diritto gli  era  attribuito,
per norma di legge dopo l'entrata in vigore  del  d.l.  82/2000  piu'
volte indicato. Era un diritto non solo formale e processuale, ma una
prerogativa  che  caratterizzava  gia'  lo  statuto  sostanziale  del
condannato in primo grado all'ergastolo  con  isolamento,  nella  cui
sfera giuridica l'ordinamento aveva  gia'  istituito  il  diritto  di
chiedere l'abbreviato e di vedersi riconosciuto, nel  concorso  delle
relative condizioni, lo statuto sostanziale favorevole  introdotto  a
far data dal 4 aprile 2000. Qui occorre attenzione. Non basta operare
attraverso un ragionamento che  induca  a  ritenere  che  non  avendo
chiesto il giudizio entro il 24 novembre 2000 non  si  concretizza  a
favore della parte processuale il diritto al trattamento  sostanziale
di favore, introdotto dalla  normativa  piu'  favorevole,  per  cosi'
dire, "vigente a tempo". Si rischia la semplificazione. Il diritto di
ottenere la definizione  del  processo,  con  riduzione  di  pena  si
attualizza,   indubbiamente,   con   l'esercizio    della    potesta'
processuale. Si tratta di potesta' che governa i diritti  processuali
dell'imputato gia' condannato e che, pendente il giudizio,  non  puo'
essere   sottratta   o   modificata   senza   una   valida    ragione
giustificativa. 
    Non si puo' prima attribuire: una determinata posizione giuridica
(che gia' amplia la sfera giuridica del  condannato,  riconoscendogli
il diritto ad un certo trattamento)  e,  successivamente,  senza  una
ragione   valida,   annullare    quel    trattamento    "sostanziale"
modificandone  la  portata  e  privando,  dunque,  attraverso  quella
modifica la parte stessa di un beneficio accordato. 
    Il "diritto" al trattamento  penale  non  si  crea,  dunque,  per
effetto   dell'esercizio   del   potere   processuale   di   accedere
all'abbreviato nel caso di  specie.  Nasce,  piuttosto,  per  effetto
dell'entrata  in  vigore  della  norma  ed   entra,   nella   precisa
congiuntura temporale del giudizio, nel  patrimonio  processuale  del
condannato.  Quel  diritto  non  e'  piu'  modificabile,   in   senso
peggiorativo, almeno a favore di coloro cui sia stato riconosciuto  e
nella parte in cui  si  collega  ad  un  trattamento  sostanziale  di
favore. 
    Vale osservare come qui non si sia al cospetto d'un decreto legge
non convertito contenente norma penale di favore. Quel caso era stato
anche  esaminato  dalla  Corte  costituzionale  e  risolto  in  senso
negativo (Corte cost. sent.  51/85),  facendo,  appunto,  leva  sulla
considerazione che il  decreto  non  convertito  non  aveva  ricevuto
l'avallo necessario del Parlamento ex art. 77 Cost. 
    Non sarebbe stato, dunque, possibile ipotizzarne  un'applicazione
quale fonte "intermedia" favorevole, succedutasi nel tempo. 
    Nel caso di specie la questione e' diversa. 
    Il diritto deriva da un decreto (82/2000) regolarmente convertito
in legge. Il diritto "processuale-sostanziale" nella forma  assegnata
dall'evocato art. 4-ter e' entrato a far  parte  del  patrimonio  del
condannato in primo grado. Da quel momento sarebbe spettata a  costui
la sola  facolta'  relativa  all'esercizio  del  potere  nella  forma
attribuitagli. 
    Non  si  ritiene  che  si  possa   retrocedere   modificando   il
trattamento di favore senza una valida ragione che  giustifichi  quel
mutamento. 
    L'ecc.ma Corte costituzionale ha gia' avuto  modo  di  dichiarare
illegittimo l'art. 7 co. 1 del d.l. cit nella parte  in  cui  applica
retroattivamente la sua disciplina. Si e' visto. 
    Ai  soggetti  condannati  e'  stato,  pertanto,  riconosciuto  il
diritto a far rivedere il giudicato sfavorevole. 
    In questa sede, dunque, e proprio  all'indomani  della  decisione
della Corte costituzionale, si apre un possibile ed ulteriore profilo
che la ecc.ma Corte stesa deve scrutinare. 
    Si profila, invero, una irrazionale differenziazione tra imputati
condannati. 
    La   diversificazione   e'    tra    le    due    categorie    di
imputati-condannati in primo grado cui si e' fatto cenno. 
    La prima accomuna coloro che hanno avuto la concreta possibilita'
di manifestare, in virtu' dell'art. 4-ter d.l. 82/2000 la volonta' di
definire il processo con il  rito  abbreviato  prima  della  modifica
normativa introdotta dall'art.  7  co  1  del  d.l.  341/2000  e  che
possono,  oggi,   per   effetto   della   recente   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale beneficiare  della  sostituzione  della
pena dell'ergastolo con quella di anni trenta di reclusione. 
    La  seconda  unifica  coloro  che,  al  contrario,  nella  stessa
situazione astratta processuale  e,  dunque,  titolari  del  medesimo
diritto potestativo processuale alla definizione del rito abbreviato,
nella forma e con la pena introdotta dalla  legge  479/1999,  perche'
condannati in primo grado ed in attesa della prima udienza di appello
(ex art. 4-ter d.l. 82/2000), non hanno potuto esercitare il  diritto
stesso, per una ragione di pura  accidentalita'  processuale,  legata
alla fissazione della prima udienza utile del giudizio d'appello. 
    Costoro  sono  stati  costretti,  per  un  verso,  all'epoca,  ad
accedere  ad  un  rito  alternativo  con  pena  piu'  severa  (quella
introdotta dal d.l. 341 /2000) e, per altro, alla data  odierna,  non
possono richiedere  la  rettifica  della  sanzione  alla  luce  della
lettura   giurisprudenziale,   prodottasi   anche   all'esito   delle
osservazioni della Corte Europea dei diritti dell'uomo e della  Corte
costituzionale stessa. 
    Non v'e' dubbio che le  due  categorie  sostanziali  astratte  di
imputati-condannati  siano  in  una  situazione  strutturalmente  non
differente. 
    Si trattava di imputati, a carico dei quali pendeva  il  giudizio
relativo e che potevano beneficiare dell'istituto del rito abbreviato
nella forma di favore introdotta.  Il  diritto  esisteva  in  maniera
identica. E' il suo  esercizio  concreto  che  risulta  essere  stato
precluso in maniera irrazionale, per effetto del d.l. 341/2000. 
    La differenziazione sta, invero, nella congiuntura  storica  che,
mentre in favore di alcuni era  stato  gia'  calendarizzato  giudizio
d'appello, prima del d.l. 341, per altri la data d'udienza  e'  stata
fissata solo dopo il 24 novembre 2000 e l'entrata in vigore del  d.l.
citato. 
    Non vale, a giudizio del decidente, razionalmente,  differenziare
due  categorie  soggettive  di  imputati,  che  vivano  la   medesima
situazione processuale, impiegando l'argomento che in ogni  caso  una
parte di costoro (l'ultima) sia stata consapevole di accedere  ad  un
rito  che  garantiva  una  riduzione  di  pena  diversa   da   quella
inizialmente prevista. Non aiuta argomento siffatto. 
    Cio' perche' la questione, si e'  detto,  e'  che  attraverso  la
norma  successiva  (art.  7  d.l.  341/2000)  si  e'  modificato,  in
definitiva, un diritto potestativo processuale dell'imputato  di  cui
egli era gia' titolare, in un certo arco temporale (tra il 2  gennaio
2000 e il 24 novembre 2011) e  si  e'  preclusa  la  possibilita'  di
esercitarlo con  gli  effetti  sostanziali  di  favore  che  da  esso
sarebbero dovuti derivare. 
    Quel  diritto   alla   definizione   della   relativa   posizione
processuale con  il  rito  abbreviato,  non  era  una  pura  potesta'
processuale. Piuttosto era un diritto in  inscindibile  collegamento,
nell'arco temporale, in cui era  pendente  il  processo  stesso,  con
trattamento "sostanziale" di maggior  favore  scritto  nell'art.  442
c.p.p. per il fatto punito con la pena dell'ergastolo  aggravato.  Ed
era una posizione giuridica entrata nella sfera del  condannato,  non
suscettibile  di  nuova  modifica  peggiorativa,  senza  una  ragione
sostanziale valida nella pendenza del giudizio a suo carico.  Avrebbe
avuto ragionevolmente valore ed efficacia il trattamento modificativo
in peius per i  nuovi  giudizi;  non  per  quelli  in  corso  ai  cui
imputati-condannati era stato  gia'  riconosciuto  in  astratto,  con
l'entrata in vigore della norma. 
    Cio' perche' il diritto si era consolidato in quei termini  nella
sfera processuale di ciascuno. Era  il  solo  «esercizio»  ad  essere
differito non oltre la prima udienza utile. 
    Non e', dunque, l'esercizio della  facolta'  che  fa  nascere  il
diritto. 
    La posizione giuridica  soggettiva  nel  processo  a  carico  del
singolo nasce dalla norma e si consolida in quella forma e di per se'
a favore del condannato (ex art.  4-ter  d.l.  cit).  E'  un  diritto
potestativo unilaterale che diventa  reale  ed  attuale  con  il  suo
esercizio nel processo stesso. 
    Ebbene e' possibile  differenziare  e  modificare  anche  diritti
potestativi processuali, inibendone l'esercizio  o  modificandone  le
condizioni di attuazione.  Tuttavia,  quando  cio'  comporti  effetti
deteriori per l'imputato, anche sul  piano  del  diritto  sostantivo,
occorre che la  scelta  normativa  di  differenziare  il  trattamento
legislativo stesso, nella pendenza del processo relativo, risponda  a
criteri logico-razionali. 
    Analogo principio Corte costituzionale ha avuto modo di affermare
nella sentenza 23-11-2006 n. 393. 
    La scelta di modificare il  trattamento  penale,  per  i  delitti
puniti con ergastolo e isolamento, che siano definiti  in  abbreviato
e' di stretta discrezionalita'  legislativa  e  fa  parte,  pertanto,
della politica criminale dello Stato. 
    Non si puo',  pero',  la'  dove  si  sia  inteso  intervenire  su
situazioni  processuali  in  itinere,  riconoscendo   agli   imputati
pendente iudicio una  potesta'  processuale  che  abbia  implicazioni
sostanziali, e che riconosca un trattamento favorevole  in  punto  di
pena, elidere detta facolta' e  differenziare  gli  imputati  stessi,
senza una valida ragione giustificativa e che risponda a  criteri  di
razionalita'  sostanziale  e  di  ragionevolezza   intrinseca   della
differenziazione concretizzata. 
    Ragionare diversamente rischierebbe di intaccare l'art.  3  della
Carta Costituzionale. 
    Qui, e nel caso  del  M.,  oggetto  del  giudizio  esecutivo,  il
problema si pone. 
    Nella circostanza il mancato esercizio del  diritto  riconosciuto
nei termini di cui all'art. 4-ter d.l. cit si collega ad una modifica
processuale e sostanziale della disciplina giuridica, che in concreto
ha precluso l'esercizio di un diritto prima riconosciuto. 
    Infatti, entrato in vigore il d.l. 341/2000 e'  stata  modificata
la disciplina di riferimento. 
    La frizione costituzionale nasce,  dunque,  in  questo  specifico
segmento. 
    Quando i diritti processuali degli  imputati  sono  in  nesso  di
inscindibile collegamento con  aspetti  sostanziali  del  trattamento
sanzionatorio la disciplina che intenda diversificare il  trattamento
stesso nel tempo deve  essere  sorretta  da  attente  ponderazioni  e
valide ragioni, che stiano  a  fondamento  della  differente  opzione
normativa. 
    Cio' perche' si incide su valori  superprimari  e  si  toccano  i
diritti di liberta'. Qui, al contrario, il risultato della  complessa
vicenda ricostruita e la differenziazione tra posizioni non sembra al
decidente dipendere da scelte normative razionali,  ma,  si  e'  gia'
detto, dalla pura casualita' della data  di  fissazione  della  prima
udienza in appello che, per una parte dei casi (indicati dalla  norma
transitoria di cui all'art. 4-ter d.l. 82/2000) finisce  per  seguire
la disciplina piu' favorevole e, per altra parte,  quella  introdotta
dal d.l. 341/2000. 
    Ora   e'   evidente   come    l'intervenuta    declaratoria    di
incostituzionalita' dell'art.  7  co.  1  del  d.l.  341/2000  ed  il
conseguente obbligo di conformare  i  giudicati  a  quella  pronuncia
renda viepiu' antinomico il sistema. 
    Si finisce per differenziare gli imputati sulla base  della  pura
circostanza del destino (la data di fissazione  della  prima  udienza
utile per richiedere abbreviato nel giudizio d'appello). La sorte del
trattamento penale varia a seconda che la  prima  udienza  utile  sia
stata anteriore o successiva al 24-11-2000. 
    Il quadro sembra in  contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  sotto  il
profilo della ragionevolezza nella parte in cui non prevede  che  gli
aventi diritto alla definizione con rito abbreviato, in attuazione di
quella disposizione, possano fruire della disciplina  nella  forma  e
nel trattamento sanzionatorio all'epoca introdotto,  comunque,  anche
in loro favore per effetto dell'art. 4-ter d.l. 82/2000,  nel  vigore
dell'art. 442 c.p.p. come modificato dall'art. 30 co. 1 l.  b)  della
legge 479/1999. 
    La formulazione letterale della disposizione transitoria, invero,
rinviava appunto all'art. 442 co 2 c.p.p. 
    Ebbene nel caso di specie il giudicato in  astratto  non  sarebbe
ostativo all'esame della domanda in executivis. 
    Si  e'  spiegato  perche'  la  regola  "d'ordine"   del   sistema
dell'intangibilita' del giudicato stesso, puo' recedere  al  cospetto
di opposti valori, di pari dignita' costituzionale, come quello della
liberta' personale e della regola di ragionevolezza. 
    Ebbene se il principio da tenere presente e'  che:  laddove  essa
venga   ristretta   sulla   base   di   una   norma    incriminatrice
successivamente abrogata oppure modificata in favore del reo: «per il
principio di eguaglianza,  infatti,  la  modifica  mitigatrice  della
legge penale e, ancor di  piu',  l'abolitio  criminis,  disposte  dal
legislatore in dipendenza di una mutata valutazione del disvalore del
fatto tipico, devono riverberarsi anche a  vantaggio  di  coloro  che
hanno posto in essere la condotta in un momento anteriore, salvo che,
in senso opposto, ricorra  una  sufficiente  ragione  giustificativa»
(sentenza n. 236 del 2011) si comprende come la valutazione si  debba
spostare  sulla  ricerca  delle  ragioni  concrete  che  inducono   a
differenziare il trattamento penale su fattispecie identiche. 
    Nel  caso  di  specie,  non  si  e'  considerato  che  attraverso
l'avvicendamento normativo si e' finito per incidere, per  un  verso,
retroattivamente ed in malam  partem  su  chi  aveva  gia'  avuto  la
possibilita' di chiedere il rito abbreviato e, per  altro  verso,  su
chi, nella stessa condizione aveva maturato un diritto  identico,  ad
una certa pena, in virtu' della potesta' processuale  riconosciutagli
dall'ordinamento e, di converso, gli e' stato  precluso,  modificando
il trattamento sostanziale, l'esercizio relativo  del  diritto  nella
forma indicata, in sede processuale. 
    Del resto, alcun  dubbio  che  la  Corte  EDU,  con  la  sentenza
Scoppola del 17 settembre 2009, abbia ritenuto,  mutando  il  proprio
precedente e consolidato orientamento, che «l'art.  7,  paragrafo  1,
della   Convenzione   non   sancisce   solo   il   principio    della
irretroattivita'  delle  leggi  penali  piu'  severe,  ma  anche,   e
implicitamente, il principio della retroattivita' della legge  penale
meno severa», che si traduce «nella norma secondo cui,  se  la  legge
penale in vigore al momento della commissione del reato  e  le  leggi
penali posteriori adottate prima  della  pronuncia  di  una  sentenza
definitiva sono diverse, il giudice  deve  applicare  quella  le  cui
disposizioni sono piu' favorevoli all'imputato». 
    Si tratta, nell'ambito dell'art. 7, paragrafo 1, della  CEDU,  di
un principio analogo a quello contenuto nel quarto comma dell'art.  2
cod. pen., che dalla Corte di Strasburgo e' stato elevato al rango di
principio della Convenzione. 
    Ebbene leggendo la complessa successione di leggi  nel  tempo  e'
fuori discussione che l'art. 30  della  legge  n.  479  del  1999  si
traduca in una disposizione penale posteriore che  prevede  una  pena
meno severa e che l'art. 7 della Convenzione (...) imponeva dunque di
farne beneficiare tutti coloro ai quali nella pendenza  del  processo
in grado d'appello  il  legislatore  aveva  gia'  inteso  riconoscere
quella potesta' introducendo, appunto, l'art. 4-ter con d.l.  80/2000
e garantendo che alla prima udienza utile in appello avrebbero  avuto
facolta' di richiedere la definizione con il rito alternativo. 
    L'avvenuta modifica con il d.l. 341/2000 (art. 7 co. 1), oltre  a
non poter operare retroattivamente, nel senso censurato  dalla  Corte
costituzionale, impone di ritenere anche, che la norma  indicata  non
possa operare per i processi all'epoca gia' pendenti in appello (o in
giudizio di rinvio) alle cui parti processuali - imputate dei delitti
qualificati (puntiti con ergastolo e isolamento) - il  sistema  aveva
gia' riconosciuto il diritto al trattamento introdotto  dall'art.  30
co 1 l. b) della l.  479/1999  attraverso  la  complessa  fattispecie
della prima udienza utile in giudizio di secondo grado  o  di  rinvio
secondo il disposto dell'art.  4-ter  del  d.l.  82/2000  piu'  volte
citato. Diversamente si sottrae ad una categoria  di  imputati  nella
stessa condizione (pendenza del processo d'appello) un trattamento di
favore  e  lo  si  riconosce  ad  altri,   senza   alcuna   razionale
differenziazione o fondamento che possa giustificare la scelta. 
    La discrezionalita' del legislatore rischia  di  trasformarsi  in
arbitrio. 
    Nel caso di specie ed allo stato, si e' detto, non  e'  possibile
accogliere la domanda del M. ostandovi: 
        - l'art. 4-ter d.l. 82/2000 e art. 7 co. 1 d.l. 341/2000 (pur
all'esito della dichiarazione  di  incostituzionalita'  di  cui  alla
sentenza del 3 luglio 2013 della Corte costituzionale) 
        - l'art. 7 co. 2 d.l. 341/2000; 
        - l'interpretazione  giurisprudenziale  che  integra  diritto
vivente sul punto. 
    Cio' perche' il quadro normativo  indicato  non  prevede  che  il
trattamento penale di cui all'art. 7  co.  2  d.l.  341/2000  non  si
applichi ai processi all'epoca  della  sua  entrata  in  vigore  gia'
pendenti  in  appello  (o  in  giudizio  di  rinvio)  ed  alle  parti
processuali - imputate dei delitti qualificati (puntiti con ergastolo
e isolamento) - cui il sistema aveva  gia'  riconosciuto  il  diritto
potestativo processuale al trattamento introdotto dall'art. 30 co. 1.
b) della l. 479/1999 attraverso la complessa fattispecie della  prima
udienza utile in giudizio di secondo grado o  di  rinvio  secondo  il
disposto dell'art. 4-ter del d.l. 82/2000 piu' volte citato. 
    In particolare le norme sono in contrasto con l'art. 3 Cost., con
l'art. 7-1 Convenzione EDU  norma  che  integra,  quale  disposizione
interposta, il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo
comma, Cost., nella  parte  in  cui  impone  la  conformazione  della
legislazione   interna   ai   vincoli   derivanti   dagli    obblighi
internazionali e, dunque, entra in contrasto diretto  con  lo  stesso
art. 117 co. 1 Cost. 
    Conclusioni su rilevanza e non manifesta infondatezza. 
    Ebbene la questione e' rilevante ai fini del decidere odierno. 
    Ostano, infatti, all'accoglimento della domanda proposta le norme
indicate nella parte in cui  non  prevedono  che  il  trattamento  di
maggiore favore introdotto dall'art. 30 co. 1 lett.  b)  l.  479/1999
possa trovare applicazione nei confronti degli imputati a carico  dei
quali alla data di entrata in vigore del d.l.  82/2000  (art.  4-ter)
era gia' pendente il giudizio d'appello,  e  la  norma  citata  aveva
riconosciuto loro il diritto, relativo. Costoro, infatti,  non  hanno
potuto  avanzare,  pur  avendone  inizialmente  diritto,  istanza  di
accesso al rito, perche' la prima udienza utile  era  intervenuta  in
epoca successiva alla data di entrata in. vigore  del  d.l.  341/2000
(24-11-2000), che  ha  modificato  il  trattamento  sanzionatorio  e,
dunque, ha precluso, in fatto, senza una  spiegazione  razionale,  ad
una parte della categoria di  imputati,  di  accedere  al  rito  alle
condizioni piu' favorevoli. 
    Si e' cosi' riservato loro un trattamento deteriore sulla pena. 
    La diversificazione non e' imputabile ad  inerzia  o  a  volonta'
delle parti processuali stesse e risulta, piuttosto,  frutto  di  una
scelta non razionale del legislatore che, al contrario, oggi  finisce
per ammettere a beneficiare del trattamento di favore (attraverso  la
postuma declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 7 co 1 del d.l.
341/2000) solo coloro che, per una  pura  congiuntura  casuale,  sono
stati nella condizione di poter  avanzare  l'istanza  di  abbreviato,
prima del 24 novembre 2000,  essendo  stata  gia'  fissata  la  prima
udienza del giudizio d'appello, in  epoca  anteriore  all'entrata  in
vigore del d.l. 341/2000. 
    Indubbiamente il legislatore puo', in dipendenza  di  una  mutata
valutazione del disvalore del  fatto  tipico,  o  per  altre  ragioni
mutare approccio nella.  disciplina  di  un  fenomeno  processuale  e
sostanziale. 
    La regola di ragionevolezza costituzionale impone, tuttavia,  che
situazioni identiche siano trattate in termini omogenei e che in caso
di differenziazione ricorra una  sufficiente  ragione  giustificativa
(sentenza n. 236 del 2011). 
    Ritenuta alla luce di quanto premesso rilevante la  questione  ai
fini del decidere odierno e considerato  che  la  questione  presenta
profili di non manifesta infondatezza tali da sottoporre alla  ecc.ma
Corte costituzionale lo scrutinio della questione stessa, anche  alla
luce dell'orientamento giurisprudenziale indicato (in ultimo espresso
da Cass.  Sez.  1,  Sentenza  n.  23931  del  17/05/2013.  Cc.  (dep.
03/06/2013) Rv. 256257. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 136 Cost., 23, legge 11 marzo 1953, n.  87,  e
l'orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di legittimita' (da
ultimo Cass. Sez. 1, Sentenza  n.  23931  del  17/05/2013)  dichiara,
d'ufficio, rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
legittimita' costituzionale degli artt. 4-ter  co  2  e  3  del  d.l.
7-4-2000 nr. 82 conv. in l. 5-6-2000 nr. 144, dell'art. 7 co. 1 (come
risultante dalla declaratoria  di  incostituzionalita'  del  3-7-2013
della  Corte  costituzionale)  del  d.l.  341/2000  conv.  in   legge
19-1-2001 n. 4 e dell'art. 7 co 2 del d.l. 341/2000  conv.  in  legge
19-1-2001 n. 4, nella parte in cui  non  escludono  dall'applicazione
della disciplina relativa gli imputati cui, nei giudizi  di  appello,
gia' pendenti alla data di entrata in vigore dell'indicato art. 4-ter
d.l. 82/2000 (7 aprile 2000), era stato riconosciuto  il  diritto  di
definire  con  il  rito  abbreviato  la  relativa  posizione   e   di
beneficiare del trattamento "sostanziale" di cui all'art.  30  co.  1
lett. b) della l. 479/1999 e che hanno potuto esercitare tale diritto
solo dopo il 24-11-2000, per contrasto con gli  artt.  3,  117  co  1
Cost, in relazione all'art. 7-1 - Convenzione EDU. 
    Ordina che l'incidente di esecuzione sia sospeso e che  gli  atti
siano trasmessi alla ecc.ma Corte costituzionale. 
    Ordina che copia della presente ordinanza sia notificata: 
        - al Presidente del Senato della Repubblica; 
        - al Presidente della Camera dei Deputati; 
        - al Presidente del Consiglio dei Ministri. 
    Comunicazione  al  Pubblico  Ministero  e  notifica  alla   parte
processuale. 
    Adempimenti. 
 
        Napoli, 13 dicembre 2013 
 
                         In funzione di g.e. 
                   Il Giudice: dott. Antonio Cairo