N. 159 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 2015
Ordinanza del 10 marzo 2015 del Tribunale di Grosseto nel procedimento penale a carico di G.A.. Processo penale - Sospensione del procedimento con messa alla prova - Mancata previsione che il giudice, ai fini di ogni decisione di merito da assumere nel procedimento speciale di messa alla prova, proceda alla acquisizione e valutazione degli atti delle indagini preliminari di cui gia' altrimenti non disponga, restituendoli per l'ulteriore corso nel caso di esito negativo della pronuncia sulla concessione o sull'esito della messa alla prova - Violazione dei principi di uguaglianza, dell'obbligo di idonea motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, di legalita', di non colpevolezza sino alla condanna definitiva. - Codice di procedura penale, art. 464-quater, comma 1. - Costituzione, artt. 3, 111, comma sesto, 25, comma secondo, e 27, comma secondo. Processo penale - Sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato - Denunciata prescrizione dell'applicazione di sanzioni penali legalmente indeterminate - Violazione del principio di tassativita' e determinatezza legale delle pene. - Codice penale, art. 168-bis, commi secondo e terzo. - Costituzione, art. 25, comma secondo. Processo penale - Sospensione del procedimento con messa alla prova - Provvedimenti giurisdizionali modificativi o integrativi del programma di trattamento - Previsione del consenso dell'imputato quale condizione di ammissibilita', di validita' o di efficacia - Violazione del principio dell'assoggettamento del giudice e delle sue funzioni soltanto alla legge - Contrasto con il principio di buon andamento ed efficienza delle attivita' dei pubblici poteri e con i principi di economicita' e ragionevole durata del processo penale. - Codice di procedura penale, art. 464-quater, comma 4. - Costituzione, artt. 97, 101 e 111, comma secondo. Processo penale - Sospensione del procedimento con messa alla prova - Denunciata prescrizione della irrogazione ed esecuzione di sanzioni penali consequenziali ad un reato per cui non risulta pronunciata ne' di regola pronunciabile alcuna condanna definitiva o non definitiva - Violazione del principio di non colpevolezza sino alla condanna definitiva. - Codice di procedura penale, artt. 464-quater e 464-quinquies. - Costituzione, art. 27, comma secondo.(GU n.35 del 2-9-2015 )
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI GROSSETO Ufficio penale dibattimentale monocratico Insediato in persona del magistrato Giovanni Muscogiuri in funzione di giudice della cognizione in primo grado nel procedimento penale iscritto al R.G. n. 16/2014/930 nei confronti dell'imputato G. A. sulla base della imputazione di fatti di reato di cui agli artt. 187 c.d.s. e 651 c.p.; Visti gli atti relativi alla procedura di sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato incardinata come in atti ai sensi degli artt. 464-bis ss. c.p.p., adesso pervenuta allo stadio della pronuncia della ordinanza prevista dall'art. 464-quater comma 1 c.p.p. in funzione decisoria sul merito della istanza di messa alla prova; All'udienza in data 6 marzo 2015, in sede di trattazione della relativa procedura camerale nel contraddittorio delle parti, ha pronunciato d'ufficio la seguente Ordinanza I. - Gli artt. 3 ss. della legge n. 67/2014 entrata in vigore in data 7 maggio 2014 hanno introdotto nell'ordinamento penale il procedimento speciale di cui agli artt. 464-bis ss, c.p.p., applicabile in funzione alternativa al rito ordinario di cognizione strumentalmente alla formazione giudiziale della causa estintiva del reato della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato prevista dall'art. 168-bis ss. c.p. (fattispecie sostanziale estintiva della punibilita' in astratto, quale soggezione del reo alla pena comminata dalla legge in via generale ed astratta ovvero all'esercizio dell'azione penale esprimente la pretesa statuale). Il nuovo procedimento speciale, applicabile ai reati indicati dall'art. 168-bis comma 1 c.p. indipendentemente dal rito di cognizione rispettivamente loro proprio (rito collegiale, rito di cognizione monocratica previa udienza preliminare, rito di cognizione monocratica su citazione diretta del pubblico ministero), tuttavia contempla in effetti almeno tre schemi procedurali, progressivamente differenziati sul piano strutturale a seconda della fase del procedimento penale (indagini preliminari, udienza preliminare, giudizio di cognizione) in cui risultino incardinati. La prima fattispecie procedimentale, conseguente ad iniziativa formalizzata prima dell'esercizio dell'azione penale (art. 464-ter c.p.p.), e' configurata secondo uno schema negoziale processuale bilaterale, e' applicabile indipendentemente dal rito di cognizione ordinaria ed e' destinata alla trattazione da parte del giudice per le indagini preliminari allo stato degli atti del fascicolo del pubblico ministero; la seconda fattispecie, conseguente ad iniziativa formalizzata nell'udienza preliminare, e' configurata secondo uno schema negoziale processuale unilaterale, e' applicabile nei procedimenti di rito collegiale e di rito monocratico a citazione indiretta ed e' destinata alla trattazione da parte del giudice dell'udienza preliminare allo stato degli atti del fascicolo del pubblico ministero; mentre la terza fattispecie, conseguente ad iniziativa proposta (a norma dell'art. 464-bis comma 2 c.p.p.) oppure reiterata (a norma dell'art. 464-quater comma 9 c.p.p.) nello stadio introduttivo del giudizio ordinario di cognizione, e' configurata anch'essa secondo uno schema negoziale processuale unilaterale, e' applicabile soltanto nei procedimenti di rito monocratico a citazione diretta ed e' destinata alla trattazione da parte del giudice dibattimentale allo stato degli atti del fascicolo per il dibattimento. In considerazione della concreta vicenda processuale in trattazione nel processo a quo, l'incidente di costituzionalita' sollevato in questa sede concerne la terza fattispecie di messa alla prova, applicabile nello stadio della trattazione delle questioni preliminari al giudizio dibattimentale di cognizione monocratica su citazione diretta. II. - Secondo la relativa disciplina normativa, la scansione del procedimento speciale in esame possiede struttura trifasica, articolandosi in tre segmenti distinti ed eterogenei. II.1 - La fase amministrativa preliminare del procedimento speciale di messa alla prova e' radicata allorquando, ai sensi dell'art. 141 comma 2 disp. att. c.p.p. "l'imputato rivolge richiesta all'ufficio locale di esecuzione penale esterna competente affinche' predisponga un programma di trattamento" ed all'uopo "deposita gli atti rilevanti del procedimento penale nonche' le osservazioni e le proposte che ritenga di fare". Di seguito, ai sensi dell'art. 141 comma 3 disp. att. c.p.p., l'ufficio locale di esecuzione penale esterna competente compie una attivita' istruttoria che si articola: nello svolgimento di una "indagine socio-familiare" il cui esito e' riversato nella relazione tecnica (contenente gli accertamenti e le considerazioni sviluppate dall'ufficio a sostegno del programma di trattamento conseguentemente elaborato) con cui "riferisce specificamente sulle possibilita' economiche dell'imputato, sulla capacita' e sulla possibilita' di svolgere attivita' riparatorie nonche' sulla possibilita' di' svolgimento di attivita' di mediazione, anche avvalendosi a tal fine di centri o strutture pubbliche o private presenti sul territorio"; nella elaborazione, all'esito della suddetta indagine socio-familiare, di un "programma di trattamento" che ai sensi dell'art. 464-bis comma 4 c.p.p. prevede "A) le modalita' di coinvolgimento dell'imputato, nonche' del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove cio' risulti necessario e possibile; B) le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonche' le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilita' ovvero all'attivita' di volontariato di rilievo sociale; c) le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa"; nella acquisizione, in ordine al programma di trattamento come sopra elaborato, del consenso dell'imputato e del soggetto destinatario delle prestazioni ivi contemplate; nella trasmissione al giudice procedente della documentazione relativa alla istruttoria amministrativa espletata (relazione di indagine socio-familiare, programma di trattamento, atti di consenso dei soggetti coinvolti nella esecuzione del programma). II.2. - La susseguente fase di cognizione giurisdizionale camerale del procedimento speciale viene instaurata ai sensi dell'art. 464-bis commi 1, 2, 3 e 4 c.p.p. allorquando l'imputato, entro il termine decadenziale rapportato alla pronuncia della dichiarazione di apertura del dibattimento, formalizza la istanza di messa alla prova dinanzi alla autorita' giudiziaria procedente al giudizio ordinario, allegando il programma di trattamento elaborato dall'ufficio locale di esecuzione penale esterna ai sensi dell'art. 141 comma 3 disp. att. c.p.p. (oppure allegando, onde evitare di incorrere nella inammissibilita' dell'istanza e nella decadenza consequenziale all'apertura del dibattimento, la prova della incolpevole causa impeditiva di tale produzione). Ai sensi dell'art. 464-quater comma 1, periodo 2 c.p.p., alla iniziativa di parte imputata ritualmente formulata (mediante presentazione di istanza che non debba essere dichiarata inammissibile per difetto di taluno dei presupposti e requisiti previsti dall'art. 464-bis commi 1, 2, 3 e 4 c.p.p.) consegue l'attivazione di una procedura giurisdizionale di cognizione penale camerale a contraddittorio necessario allargato nel corso della quale: ai sensi dell'art. 464-quater comma 2 c.p.p., il giudice puo' emettere l'eventuale provvedimento di convocazione con cui (come previsto dall'art. 446 comma 5 c.p.p. nel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti) dispone la comparizione dell'imputato per verificare la volontarieta' della richiesta di messa alla prova; ai sensi dell'art. 464-bis comma 5 c.p.p., il giudice puo' emettere gli eventuali provvedimenti istruttori con cui (come previsto dall'art. 422 c.p.p. nella procedura camerale dell'udienza preliminare nonche' dall'art. 666 comma 5 c.p.p. nella procedura camerale per incidente di esecuzione) acquisisce "tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell'imputato", informazioni le quali "devono essere portate tempestivamente a conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell'imputato"; ai sensi dell'art. 464-quater comma 1 c.p.p., il giudice deve emettere l'eventuale provvedimento di rinvio della trattazione ad ulteriore udienza occorrente per l'integrazione del contraddittorio in confronto della persona offesa dal reato non comparsa che altrimenti, ai sensi dell'art. 464-quater comma 7 c.p.p., avrebbe prerogativa di impugnare per cassazione ogni consequenziale provvedimento sull'istanza di messa alla prova; ai sensi dell'art. 464-quater comma 1 c.p.p., il giudice - una volta perfezionato il contraddittorio di tutte le parti e della persona offesa dal reato, ed assunte le eventuali informazioni integrative necessarie - da' corso alla discussione camerale sul merito della istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato; ai sensi dell'art. 464-quater comma 3 e 4 c.p.p., il giudice pronuncia la ordinanza che decide in via definitiva o interlocutoria sul merito della istanza di messa alla prova. II.3 - In particolare, il provvedimento giurisdizionale di cognizione sul merito della istanza di messa alla prova e' pronunciato allo stato degli atti del fascicolo per il dibattimento quale esso si trova nello stadio introduttivo del giudizio (antecedente la dichiarazione di apertura del dibattimento) in cui la procedura deve essere attivata a pena di decadenza: fascicolo percio' originariamente composto soltanto dal decreto di rinvio a giudizio e dalla eventuale documentazione prevista dall'art. 431 c.p.p., nonche' successivamente integrato soltanto dalla relazione di indagine socio-familiare redatta dall'ufficio esecuzione penale esterna (ai sensi dell'art. 141-bis disp. att. c.p.p.) e dalle eventuali ulteriori informazioni sulle condizioni di vita dell'imputato acquisite dal giudice ai fini della decisione sulla istanza di ammissione al beneficio (ai sensi dell'art. 464-bis comma 5 c.p.p.). Peraltro, ai sensi dell'art. 464-quater comma 7 c.p.p., tale provvedimento e' dato con ordinanza soggetta ad impugnazione per cassazione non sospensiva - dimodoche' il procedimento penale di primo grado, comunque si proceda in esito al tenore del provvedimento impugnato, deve proseguire in pendenza del giudizio di legittimita' - proponibile dall'imputato, dal pubblico ministero e dalla persona offesa indebitamente pretermessa dal contraddittorio camerale. In relazione al suo contenuto dispositivo, la decisione giurisdizionale camerale sulla istanza di messa alla prova dell'imputato si distingue: a seconda che il giudice emetta - quando, "in base ai parametri di cui all'art. 133 del codice penale, reputa" non irrimediabilmente inidoneo "il programma di trattamento presentato e ritiene che l'imputato si asterra' dal commettere ulteriori reati" - un provvedimento decisorio con cui "puo' integrare o modificare il programma di trattamento" e che, tuttavia, resta caratterizzato da funzione meramente interlocutoria, in quanto e' suscettibile di acquisire efficacia soltanto "con il consenso dell'imputato" al cui gradimento deve quindi andare sottoposto; oppure a seconda che il giudice emetta - quando, "in base ai parametri di cui all'art. 133 del codice penale, reputa" irrimediabilmente inidoneo (anche per causa di dissenso dell'imputato alla integrazione o modifica disposta nell'eventuale pregresso provvedimento interlocutorio) "il programma di trattamento presentato" e/o comunque quando "ritiene che l'imputato" non "si asterra' dal commettere ulteriori reati" - un provvedimento decisorio definitivo di reiezione della istanza suddetta; oppure a seconda che il giudice emetta - quando, "in base ai parametri di cui all'art. 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l'imputato si asterra' dal commettere ulteriori reati" - un provvedimento decisorio definitivo di accoglimento dell'istanza suddetta. Il provvedimento di accoglimento dovrebbe recepire il "programma di trattamento" al quale l'imputato abbia prestato consenso e tradurne i contenuti programmatici gia' delineati su base volontaria ai sensi dell'art. 464-bis comma 4 c.p.p. in precetti imperativi articolati secondo tre ordini di statuizioni le quali, rispettivamente: ai sensi dell'art. 168-bis comma 2, periodo 1 c.p., in primo luogo riguardano "la prestazione di condotte volte alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonche', ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato" ed inoltre, ai sensi dell'art. 464-quinquies comma 1 c.p.p., stabiliscono "il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie imposti devono essere adempiuti [il quale] puo' essere prorogato, su istanza dell'imputato, non piu' di una volta e solo per gravi motivi"; ai sensi dell'art. 168-bis comma 2, periodo 2 in secondo luogo riguardano "l'affidamento dell'imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma che puo' implicare, tra l'altro, attivita' di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla liberta' di movimento, al divieto di frequentare determinati locali" e che peraltro, ai sensi dell'art. 464-quater comma 3 periodo 2 c.p.p., deve assicurare la imposizione all'imputato di un "domicilio" che risulti "tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato"; ai sensi dell'art. 168-bis comma 3 c.p., in terzo luogo riguardano la "prestazione di lavoro di pubblica utilita' [il quale] consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalita' ed attitudini lavorative dell'imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettivita', da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione e' svolta con modalita' che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato e la sua durata giornaliera non puo' superare le otto ore". II.4 - Ai sensi dell'art. 464-quinquies c.p.p., la concreta attuazione del trattamento sanzionatorio stabilito nel programma recepito dal provvedimento giurisdizionale camerale di messa alla prova forma oggetto di una' apposita procedura di esecuzione penale la quale: ai sensi dell'art. 464-quater comma 6 c.p.p., ha inizio con la "sottoscrizione del verbale di messa alla prova dell'imputato", momento a partire dal quale soltanto decorre un periodo di sospensione della prescrizione del reato che (ai sensi dell'art. 168-ter comma 1 c.p.) si esplica di diritto ma soltanto in confronto dell'imputato ammesso al procedimento speciale (e non anche in confronto dei concorrenti nel reato, in deroga alla regola generale di cui all'art. 161 comma 1 c.p.), nonche' nei limiti di durata previsti dall'art. 464-quater comma 5 c.p.p. (due anni, quando si procede per reati comunque puniti con pena detentiva; un anno, quando si procede per reati puniti soltanto con pena pecuniaria); ai sensi dell'art. 141-ter commi 4 e 5 disp. att. c.p.p., trova svolgimento sotto la vigilanza del competente ufficio locale di esecuzione penale esterna il quale redige relazioni periodiche con cui "informa il giudice, con la cadenza stabilita nel provvedimento di ammissione e comunque non superiore a tre mesi, dell'attivita' svolta e del comportamento dell'imputato, proponendo, ove necessario, modifiche al programma di trattamento, eventuali abbreviazioni di esso ovvero, in caso di grave o reiterata trasgressione, la revoca del provvedimento di sospensione" ed inoltre, "alla scadenza del periodo di prova, [...] trasmette al giudice una relazione dettagliata sul decorso e sull'esito della prova medesima"; ai sensi dell'art. 464-quinquies comma 3 c.p.p., e' suscettibile di dare luogo ad incidenti di esecuzione anch'essi trattati ai sensi dell'art. 127 c.p.p. con apposite procedure giurisdizionali camerali a contraddittorio necessario allargato alla persona offesa dal reato, nel corso delle quali "il giudice, sentiti l'imputato e il pubblico ministero, puo' modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma restando la congruita' delle nuove prescrizioni rispetto alle finalita' della messa alla prova"; ai sensi dell'art. 464-opties c.p.p., e' suscettibile di conclusione anticipata mediante ordinanza di revoca della messa alla prova pronunciata dal giudice anche d'ufficio sulla base dei presupposti sostanziali di cui all'art. 168-quater c.p. (1) con il rito di cui all'art. 464-opties comma 2 c.p.p. (apposita procedura camerale a contraddittorio necessario allargato alla persona offesa dal reato) nonche' (anche) alla stregua delle informazioni di cui all'art. 141-bis comma 4 disp. att. (relazioni periodiche dell'ufficio esecuzione penale esterna che ha "preso in carico" l'imputato ai sensi dell'art. 464-quinquies comma 2 c.p.p.); l'ordinanza di revoca e' suscettibile di impugnazione mediante ricorso per cassazione (ai sensi dell'art. 464-octies comma 3 c.p.p.) ed alla sua irrevocabilita' consegue che "il procedimento [ordinario di cognizione] riprende il suo corso dal momento in cui era rimasto sospeso e cessa l'esecuzione delle prescrizioni e degli obblighi imposti" (art. 464-octies comma 4 c.p.p.); ai sensi dell'art. 464-septies c.p.p., e' suscettibile di conclusione naturale mediante provvedimento dichiarativo dell'esito negativo o positivo della messa alla prova pronunciato dal giudice anche d'ufficio "decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova" sulla base dei presupposti sostanziali di cui all'art. 464-septies comma 1 periodo 1 c.p.p. ossia in considerazione "del comportamento dell'imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite", con il rito di cui all'art. 464-septies comma 1, periodo 2 c.p.p. (sempre nel corso di apposita procedura camerale a contraddittorio necessario allargato alla persona offesa dal reato celebrata ai sensi dell'art. 127 c.p.p.) ed alla stregua della relazione conclusiva di cui all'art. 464-septies comma 1, periodo 2 c.p.p. (consistente nella "relazione dettagliata sul decorso e sull'esito della prova" formata ai sensi dell'art. 141-bis comma 5 disp. att. c.p.p. dall'ufficio esecuzione penale esterna che ha "preso in carico" l'imputato). In tale sede "se, tenuto conto del comportamento dell'imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritiene che la prova" non "abbia avuto esito positivo" (art. 464-septies comma 1, periodo 1 c.p.p.), il giudice pronuncia ordinanza con cui dispone che il procedimento prosegua nella forma del giudizio ordinario di cognizione dibattimentale (2) Se invece il giudice, "tenuto conto del comportamento dell'imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo" (art. 464-septies comma 1 periodo 1 c.p.p.), allora pronuncia sentenza di proscioglimento anticipato di rito a norma dell'art. 129 c.p.p. (previa delibazione di insussistenza di cause di proscioglimento nel merito) a titolo di non doversi procedere in ragione della causa di estinzione del reato di cui all'art. 168-ter comma 2 c.p., disponendo "l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge" (art. 168-ter comma 3 c.p.). III. - Il riordino concettuologico della disorganica sequela di enunciati normativi introdotti dalla legge n. 67/2014 consente di ravvedere nel procedimento speciale in esame una complicata scansione che si articola, nei termini sopra riepilogati, in una fase amministrativa preliminare condotta dall'ufficio esecuzione penale esterna (in funzione istruttoria e preparatoria), in una fase giurisdizionale di cognizione culminante nella formazione di un titolo esecutivo provvisorio emesso in forma di ordinanza (anziche' di sentenza) ed in una fase di esecuzione penale culminante nella adozione di un provvedimento emesso in forma di sentenza (anziche' di ordinanza). L'oggetto della procedura consiste nella unilaterale offerta dell'imputato di una prestazione identificabile nella sua volontaria soggezione alla esecuzione del trattamento giuridico penale irrogato in forza di un titolo esecutivo provvisorio emesso allo stato degli atti del fascicolo per il dibattimento in funzione strumentale alla susseguente declaratoria giurisdizionale di accertamento costitutivo della fattispecie giudiziale estintiva del reato conseguentemente formata. Ai sensi dell'art. 168-bis commi 2 e 3 c.p., la suddetta prestazione dell'imputato presenta un contenuto complesso, riferibile necessariamente alla applicazione di due concorrenti sanzioni di natura personale (la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale e la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilita') nonche' riferibile eventualmente (soltanto qualora ne ricorrano i concreti presupposti) alla esecuzione di ulteriori prestazioni di carattere patrimoniale o personale di carattere ripristinatorio, riparatorio e riconciliativo (eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, risarcimento del danno dallo stesso cagionato). Ai fini dell'inquadramento della fattispecie e di ogni altra considerazione svolta in questa sede, il remittente ritiene che la prestazione volontaria la cui offerta ed attuazione costituiscono oggetto del procedimento speciale di messa alla prova consista nella soggezione volontaria dell'imputato all'esecuzione di una pena criminale, sia pure morfologicamente strutturata in forma alternativa e sostitutiva rispetto alle ordinarie sanzioni pecuniarie e/o detentive previste dal codice penale: trattasi infatti a tutti gli effetti (compresi quelli del ragguaglio previsto dall'art. 657-bis c.p.p. secondo cui, ai fini dell'esecuzione della condanna penale pronunciata nel processo susseguente all'eventuale esito negativo della prova, tre giorni di quest'ultima sono equiparati ad un giorno di pena detentiva ovvero a 250 euro di pena pecuniaria) di un trattamento giuridico sanzionatorio penale irrogato in funzione retributiva, specialpreventiva, rieducativa e risocializzante, oltre che eventualmente anche in funzione ripristinatoria e riparatoria. Lo schema fondamentale della fattispecie, siccome contempla l'offerta di una prestazione il cui adempimento integra la causa di estinzione del reato, palesemente richiama quello gia' noto della oblazione, tuttavia con un duplice e cospicua differenza. Infatti, da un lato la prestazione offerta consiste (non nel mero versamento di una somma di denaro predeterminata e/o obbiettivamente determinabile, bensi') nella soggezione dell'imputato a vincoli ablatori e conformativi della sua sfera personale e patrimoniale la cui quantita' e qualita', lungi dal recare alcuna predeterminazione normativa, deve essere determinata dal giudice sulla base delle complesse valutazioni discrezionali di merito finalizzate al cosiddetto trattamento; e d'altro lato la stessa declaratoria giurisdizionale dell'esito positivo della messa alla prova, implicando anch'essa valutazioni di merito che trascendono di gran lunga la mera ricognizione vincolata del dato obbiettivo precostituito concernente l'esatto adempimento di una mera dazione pecuniaria, riveste efficacia sostitutiva anziche' meramente dichiarativa della fattispecie sostanziale estintiva della punibilita'. Inoltre, come gia' accennato, la stessa procedura di messa alla prova attivabile dinanzi al giudice del dibattimento differisce profondamente da quella attivabile prima dell'esercizio dell'azione penale (a norma dell'art. 464-ter c.p.p.), la quale invece riflette il tutt'altro schema negoziale del patteggiamento (3) ; ed altresi' differisce, sia pure in minore misura, dalla procedura della messa alla prova attivabile dinanzi al giudice per le indagini preliminari o dinanzi al giudice per l'udienza preliminare dopo l'esercizio dell'azione penale (4) . Ad avviso del remittente, la specifica procedura che dovrebbe adesso applicarsi nella trattazione del presente processo penale a quo dinanzi a questo giudice del dibattimento appare viziata dalle ragioni di illegittimita' costituzionale appresso enunciate; fermo peraltro restando che tutte le censure di seguito illustrate, tranne la prima, si appalesano egualmente predicabili in relazione a qualsivoglia ipotesi di messa alla prova prevista dalle disposizioni introdotte dalla legge n. 67/2014. III.1 - L'art. 464-quater comma 3 c.p.p. prevede che "la sospensione del procedimento con messa alla prova e' disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all'art. 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l'imputato si asterra' dal commettere ulteriori reati"; dunque la fase di cognizione giurisdizionale camerale del procedimento speciale in parola, avente ad oggetto la predisposizione e valutazione delle condizioni di accesso dell'imputato al beneficio, dovrebbe fisiologicamente culminare nella pronuncia della ordinanza apprestante il titolo esecutivo provvisorio che irroga il trattamento sanzionatorio criminale il cui positivo esito applicativo darebbe luogo alla causa di estinzione del reato costituente oggetto dell'accertamento costitutivo emesso con la sentenza di proscioglimento che sarebbe pronunciata all'esito della susseguente fase esecutiva del procedimento speciale. Sennonche', secondo il vigente ordinamento processuale e costituzionale, la irrogazione di qualsiasi trattamento sanzionatorio di diritto penale criminale - compreso quello che risulterebbe stabilito nella ordinanza di messa alla prova e la cui esecuzione anticipata darebbe luogo alla correlativa fattispecie estintiva del reato - postula l'indefettibile presupposto del convincimento del giudice in ordine alla responsabilita' dell'imputato in relazione al reato per cui si procede. Cio' si desume dalle piu' comuni nozioni delle istituzioni di diritto e procedura penale (secondo cui l'espiazione di una pena presupponga una condanna intesa come accertamento giurisdizionale di fatti penalmente rilevanti dichiarato, sia pure a cognizione sommaria, in funzione costitutiva di responsabilita' penali attribuite in base al principio di colpevolezza); nonche' si desume dal tenore dell'art. 168-bis comma 2 c.p. (che menziona le conseguenze "derivanti" dal reato, il quale percio' stesso si presuppone non soltanto commesso ma anche esaustivamente accertato addirittura nei suoi eventuali effetti antigiuridici persistenti); nonche' si desume dalla stessa previsione (ai sensi dell'art. 464-quater comma 3 c.p.p.) della valutazione giurisdizionale della idoneita' del "programma di trattamento" da compiersi "in base ai parametri di cui all'art. 133 c.p." (tra i quali, come e' noto, figura anzitutto la gravita' del reato che percio' stesso si presuppone non soltanto commesso,- ma anche pienamente valutabile in tutte le sue modalita' fenomenologiche manifestate dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalita' dell'azione, nonche' dalla gravita' del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, nonche' dalla intensita' del dolo o dal grado della colpa); nonche' si desume, per quel che vale, perfino dalla stessa grammatica dell'art. 464-quater comma 3 c.p.p. (laddove, con la menzione della previsione giurisdizionale che l'imputato si asterra' dal commettere "ulteriori" reati, l'accertamento giurisdizionale del reato per cui si procede ed il correlato giudizio di responsabilita' sono letteralmente dati per scontati). D'altronde, la indefettibilita' del giudizio di colpevolezza ai fini della irrogazione delle sanzioni penali che danno luogo alla messa alla prova e' dichiarata dalla stessa Corte costituzionale che difatti, pronunciando giustappunto in tema di messa alla prova dell'imputato minorenne, ha spiegato che il "convincimento del giudice in ordine alla responsabilita' penale dell'imputato [...] costituisce [...] un presupposto logico essenziale del provvedimento dispositivo della messa alla prova" al punto che allo stesso giudice procedente compete di valutare caso per caso se le esigenze di accertamento del fatto contestato in funzione della fisiologica formazione del suddetto convincimento comportino che, in ragione della inadeguatezza dei dati cognitivi attualmente disponibili nello stadio processuale in atto, "la sospensione non possa intervenire nella fase predibattimentale, occorrendo viceversa, affinche' possa ritenersi adeguatamente formato quel convincimento, che il giudice tenga conto anche dell'istruzione dibattimentale" (Corte cost. sentenza n. 125/1995 in data 5 aprile 1995). Nondimeno, lo schema normativo della messa alla prova applicabile ai sensi degli artt. 464-bis e 464-quater c.p.p. nei procedimenti di rito a citazione diretta dinanzi al giudice monocratico (a differenza di quanto previsto per le omologhe procedure attivabili dinanzi al giudice per le indagini preliminari e dinanzi al giudice per l'udienza preliminare) presuppone che la relativa procedura si svolga allo stato degli atti del fascicolo per il dibattimento considerato nella minimalistica composizione in cui si trova nello stadio introduttivo del giudizio ordinario (5) ;ossia allorquando il compendio di dati cognitivi in possesso del giudice - per ovvia conseguenza dello stesso impianto normativo accusatorio del processo ordinario di cognizione, siccome radicato sui principi del doppio fascicolo e della formazione dibattimentale della prova - risulta di regola largamente insufficiente o inidoneo a fornire la plausibile rappresentazione del fatto occorrente ai fini della formulazione di alcun giudizio positivo di responsabilita', che pertanto il giudice dovrebbe allora letteralmente formulare pur senza avere cognizione di causa. (6) Percio', in definitiva, lo schema decisorio del procedimento speciale in trattazione riflette quello della pronuncia dibattimentale preliminare sulla oblazione (o su qualsivoglia altra causa di estinzione del reato) perfino sotto il profilo dei dati cognitivi che nelle due ipotesi risultano rispettivamente disponibili a fondamento della declaratoria giurisdizionale. E cio' quantunque la pronuncia resa ai sensi dell'art. 129 c.p.p. in materia di oblazione (o di qualsivoglia altra causa di estinzione del reato finora nota) consista in una declaratoria liberatoria recante il mero accertamento dichiarativo di dati fattuali precostituiti di pronta ricognizione oggettiva; mentre, all'opposto, la procedura dibattimentale della messa alla prova riveste pur sempre la peculiare funzione di irrogare all'imputato sanzioni penali consequenziali ad un reato in relazione al quale, percio' stesso, l'ordinamento costituzionale postula necessariamente la formulazione di un giudizio di responsabilita' personale. Nondimeno, alla stregua della procedura cosi' come legalmente delineata, nella quasi totalita' dei casi concretamente configurabili ogni provvedimento del giudice in tema di messa alla prova (ovvero sia in sede di ammissione dell'imputato al beneficio, sia in sede di susseguente valutazione del relativo esito ai fini della eventuale emissione della sentenza di non doversi procedere) dovrebbe essere emesso sulla base di null'altro che la prova (risultante dalla emissione del decreto di rinvio a giudizio) del mero fatto giuridico processuale concernente l'avvenuto esercizio dell'azione penale; ovvero senza che il giudice, pur dovendo esprimere un convincimento in ordine alla responsabilita' dell'imputato per il fatto storicamente descritto e giuridicamente qualificato nella imputazione, disponga dei dati cognitivi necessari e sufficienti a stabilire se e quale fatto previsto dalla legge penale sia stato commesso, con quali modalita' e da chi. In tali condizioni, la irrogazione della pena criminale stabilita nel titolo esecutivo provvisorio che dispone la messa alla prova dovrebbe quindi fondarsi sulla enunciazione di un giudizio di colpevolezza esplicitamente o implicitamente formulato in maniera illogica e/o fittizia poiche', secondo lo stesso meccanismo processuale normativamente prefigurato, del reato contestato al giudice procedente poco o null'altro sarebbe dato di sapere se non che il pubblico ministero abbia ritenuto di dedurlo in giudizio mediante esercizio dell'azione penale. Deve concludersene che le disposizioni di legge che prevedono siffatto congegno - prefigurante un provvedimento giurisdizionale di irrogazione di un trattamento giuridico di diritto penale criminale suscettibile di essere pronunciato sul presupposto di un convincimento di responsabilita' di carattere letteralmente assurdo o mendace poiche' implicitamente o esplicitamente formulato nonostante la indisponibilita' degli elementi occorrenti a stabilire se alcun fatto sia avvenuto, come e da chi sia stato commesso e quale ne sia la qualificazione giuridica - appaiono contrastanti con l'art. 3 Cost., alla stregua del quale deve ritenersi che le enunciazioni consapevolmente incongrue o simulatorie non possono costituire presupposto o strumento di' trattamenti giuridici; nonche' con l'art. 111 comma 6 Cost., alla stregua del quale deve ritenersi che cotali medesime enunciazioni non possono costituire parte integrante di alcun provvedimento giurisdizionale in funzione di assolvimento dell'obbligo di motivazione del medesimo; nonche' con l'art. 25 comma 2 Cost., alla stregua del quale deve ritenersi che la punizione criminale puo' essere irrogata in ragione di un fatto previsto dalla legge come reato e non anche in ragione della plateale finzione radicabile sulla mera contestazione processuale del medesimo; nonche' con l'art. 27 comma 2 Cost., alla stregua del quale deve ritenersi che il giudizio di responsabilita' dell'imputato giustificativo della irrogazione di pene criminali consiste in una considerazione giurisdizionale di colpevolezza radicata sulla cognizione storica e sulla valutazione giuridica del fatto e non certo su alcuna mera declamazione nomenclatoria o discorsiva, tantomeno se vistosamente insensata o simulatoria. Nella prassi giudiziaria della fattispecie dibattimentale in parola, tale incompletezza del meccanismo normativo (la quale, come accennato, invece non sussiste nelle omologhe fattispecie attivabili dinanzi al giudice per le indagini preliminari ed al giudice per l'udienza preliminare) sarebbe superabile per via di mero fatto attraverso il consenso che le parti intendessero prestare ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p. alla acquisizione e valutazione giurisdizionale del fascicolo del pubblico ministero. Ma la considerazione di tale concreta eventualita', lungi dal rimuovere l'anzidetta censura di incostituzionalita', serve soltanto a confermarla perfezionando la constatazione di un meccanismo processuale il cui funzionamento, cosi' come ab origine legalmente delineato, e' precluso gia' alla stregua delle elementari esigenze di coerenza dell'ordinamento processuale e costituzionale. Le ragioni di incostituzionalita' derivanti dalla denunciata incompletezza del meccanismo processuale in parola si appalesano suscettibili di elisione mediante declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 464-quater comma 1 c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice, ai fini di ogni decisione da assumere nell'ambito della procedura di messa alla prova, acquisisca e valuti gli atti e documenti del fascicolo del pubblico ministero dei quali altrimenti gia' non disponga; poi restituendoli per l'ulteriore corso nel caso di esito negativo della pronuncia sulla (concessione o sull'esito della) messa alla prova, similmente a quanto avviene nei procedimenti speciali del giudizio abbreviato e della applicazione della pena su richiesta delle parti. D'altronde, alla stregua del rimedio da ultimo ipotizzato, verosimilmente la cognizione giurisdizionale degli atti di indagine in funzione ricognitiva e valutativa del fatto e decisoria sul merito della medesima regiudicanda determinerebbe, in capo al giudice dibattimentale che abbia definito negativamente la procedura di messa alla prova per ragioni attinenti al merito della medesima, la incompatibilita' all'ulteriore trattazione del processo. Infatti, alla relativa ipotesi si appalesano applicabili in parte qua gli argomenti gia' enunciati, in relazione ai procedimenti speciali del patteggiamento e del rito abbreviato, nelle sentenze n. 124/1992, n. 399/1992, n. 439/1993 e n. 155/1996 della Corte costituzionale; donde la configurazione di una ulteriore ragione di illegittimita' costituzionale anche dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede la incompatibilita' al giudizio del giudice il quale abbia emesso l'ordinanza di messa alla prova dell'imputato (cosi' formulando un giudizio di responsabilita' nei suoi confronti) oppure abbia respinto la relativa istanza per ragioni di merito (concernenti la inidoneita' del programma di trattamento e/o la prognosi di futura recidivanza dell'imputato ritenute in conseguenza della valutazione del fatto e/o della personalita' del suo autore). III.2 - Le considerazioni e le censure immediatamente precedenti devono essere integralmente riproposte e ribadite in relazione agli analoghi profili di illegittimita' costituzionale che, per analoghe ragioni di incongruenza del meccanismo processuale rispetto agli esiti decisionali che si pretende debba radicare, colpiscono la previsione dell'art. 464-quater c.p.p. secondo cui il giudice e' chiamato ad esprimere, "in base ai parametri di cui all'art. 133 del codice penale" un giudizio di idoneita' o inidoneita' del programma di trattamento presentatogli. Pare difatti intuitivo che il giudice dibattimentale - al quale, alla stregua degli atti del fascicolo del dibattimento in suo possesso nella fase introduttiva del giudizio, nulla o quasi sia dato di sapere in ordine alla vicenda sostanziale presupposta - nessun giudizio possa seriamente emettere in ordine alla idoneita' o meno del cosiddetto programma di trattamento in funzione retributiva, specialpreventiva rieducativa e risocializzante rispetto alla perpetrazione di un reato che, in effetti, lo stesso giudice in tutto o in parte ignora se, come e da chi sia stato commesso. Dimodoche', in sostanza, ancora una volta il giudice si troverebbe nella condizione di dover formulare un giudizio illogico e/o fittizio, poiche' strumentale all'inconsulta affermazione della idoneita' o inidoneita' di trattamenti giuridici penali che si riferiscono ad esigenze personologiche sconosciute poiche' in tutto o in parte definibili in relazione ad un fatto storico a sua volta ignoto. III.3 - Come e' noto, gli enunciati normativi che definiscono la nuova procedura non si curati di stabilire la finalita' legalmente tipica del "programma di trattamento" la quale, pertanto, deve essere ricavata per via interpretativa attingendo i relativi elementi teleologici dai principi ordinamentali e costituzionali che definiscono le funzioni dei trattamenti sanzionatori di diritto penale criminale; tuttavia, nessun canone ermeneutico pare tecnicamente evocabile per sopperire alla ancor piu' grave noncuranza manifestata dal legislatore in tema di determinazioni qualitative e quantitative delle sanzioni penali alternative e sostitutive irrogabili in sede di esplicazione del procedimento speciale in esame. Tale indeterminatezza, in primo luogo, appare piuttosto evidente gia' sotto il profilo del contenuto del cosiddetto trattamento il quale, risultando definito dall'art. 168-bis commi 2 e 3 c.p. in maniera sommamente generica, sul piano qualitativo potrebbe risolversi in un nonnulla di fatto (poco piu' della declamazione nominalistica della qualifica attribuita alla situazione giuridica personale dell'imputato); oppure, viceversa, potrebbe svilupparsi mediante applicazione di un insieme di vincoli conformativi ed ablatori della liberta' personale implicanti, per le loro concrete determinazioni oggettuali e/o modali e/o temporali, risultati afflittivi e restrittivi della sfera giudica dell'imputato di intensita' paragonabile o magari anche superiore a quella delle stesse pene edittali previste dalla legge in relazione al reato per cui si procede. E soprattutto, in secondo luogo, la indeterminatezza legale del trattamento sanzionatorio anticipato irrogabile in sede di messa alla prova appare insostenibile sotto il profilo quantitativo, ossia con riferimento alla misura temporale delle sanzioni criminali alternative e sostitutive da applicarsi in luogo delle pene edittali del reato per cui si procede. Infatti, al riguardo l'unica indicazione che si rinviene nella legge e' quella contenuta nell'art. 168-bis comma 3 c.p. secondo cui "il lavoro di pubblica utilita' consiste in una prestazione [...] di durata non inferiore a dieci giorni"; dimodoche', in definitiva, il trattamento sanzionatorio penale la cui espiazione anticipata costituisce oggetto della fase esecutiva della procedura di messa alla prova risulta determinato soltanto nel minimo (dieci giorni) in relazione alla sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilita', e totalmente indeterminato in relazione alla misura alternativa dell'affidamento al servizio sociale. D'altronde non pare che a questi ultimi profili di indeterminatezza legale si possa sopperire attingendo i necessari riferimenti precettivi, mediante la procedura ermeneutica della analogia legis, dall'art. 464-quater comma 5 c.p.p. (norma processuale che stabilisce soltanto la durata massima della sospensione del processo conseguente alla attivazione del procedimento speciale in trattazione) oppure dall'art. 657-bis c.p.p. (norma sostanziale che stabilisce soltanto i criteri di ragguaglio applicabili in sede di determinazione della pena da espiare nel caso di esito negativo della procedura). Infatti, tali applicazioni del ragionamento per analogia in funzione definitoria di sanzioni penali dovrebbero ritenersi categoricamente vietate dal principio costituzionale di tassativita' legale delle pene, oltre che radicalmente precluse dalla inconfigurabilita' dei presupposti logici all'uopo occorrenti, a cominciare da quello concernente la similitudine tra la fattispecie (non regolata) di cui occorre stabilire la disciplina e quelle (regolate) la cui disciplina formerebbe oggetto della estensione analogica (7) . L'importanza della censura di incostituzionalita' in parola, nonche' la insostenibilita' tecnica e pratica dell'ipotesi che i referenti di determinazione della durata delle sanzioni irrogate a titolo di messa alla prova possano ricavarsi per analogia dagli artt. 464-quater comma 5 e 657-bis c.p.p., appaiono particolarmente evidenti nei casi in cui si proceda per delitti di cospicua gravita' edittale (posto che il procedimento speciale di messa alla prova, ai sensi dell'art. 168-bis comma 1 c.p., risulta applicabile anche a delitti punibili con pene detentive addirittura pari o superiori ai dieci anni di reclusione). Infatti, in simili ipotesi, facendosi riferimento all'art. 464-quater comma 5 c.p.p. l'imputato non potrebbe essere assoggettato ad un trattamento di durata superiore ai due anni, ad onta di ogni possibile profilo di gravita' del reato e di intensita' delle correlate esigenze di trattamento; mentre per converso, facendosi riferimento all'art. 657-bis c.p.p., si dovrebbe ammettere la ipotizzabilita' di sanzioni di messa alla prova suscettibili di durata protratta per numerosi decenni. Da tali considerazioni pare consegua una censura di illegittimita' costituzionale dell'art. 168-bis c.p. per contrasto con l'art. 25 comma 2 Cost. nella parte in cui sancisce il principio di tassativita' e determinatezza legale delle pene poiche', nel disegno legislativo che definisce il procedimento speciale in esame, le determinazioni qualitative e quantitative concernenti il trattamento sanzionatorio penale applicabile appaiono rimesse alla libera scelta delle autorita' procedenti (prima l'ufficio locale di esecuzione penale che predispone il programma di trattamento, e poi il giudice che tale programma convalida o modifica); trovando di fatto l'unico loro possibile limite (a sua volta non del tutto o non sempre fisiologico, come si dira' appresso) nelle valutazioni di interesse privato sulla base delle quali l'imputato, qualora non gradisse le relative deliberazioni del giudice, sic et sinipliciter eserciterebbe a sua volta la sovrana prerogativa di non prestare o revocare il proprio consenso all'ulteriore corso della procedura, cosi' facendola cadere nel nulla. III.4 - Le considerazioni da ultimo sviluppate valgono ad introdurre l'esposizione di un ulteriore sospetto di incostituzionalita' che colpisce le disposizioni di cui all'art. 464-quater commi 4 e 6 c.p.p, nella parte in cui introducono nell'ordinamento penale processuale una procedura destinata a svilupparsi secondo lo schema di una sorta di patteggiamento di fatto che, per la prima volta nel percorso storico della procedura penale di cognizione, si svolge (non tra le parti al cospetto del giudice, bensi') tra una delle parti e il giudice stesso. Infatti, ai sensi dell'art. 464-quater somma 4 c.p.p., al giudice dibattimentale procedente in tema di messa alla prova compete di verificare la idoneita' del programma di trattamento rispetto alle presupposte esigenze, apportando alle sanzioni riparatorie, alternative e sostitutive ivi contemplate le modifiche ed integrazioni all'uopo ritenute necessarie ed opportune sia in termini di contenuti, sia in termini di durata. Pertanto, l'unica ipotesi in cui lo schema della procedura in parola possa avere corso senza necessita' di alcun intervento modificativo o integrativo del giudice e' quella in cui il programma cosi' come elaborato dall'ufficio di esecuzione penale esterna con il consenso dell'imputato risulti - sia in termini di qualita', sia in termini di quantita' delle sanzioni applicabili - in primo luogo esaustivamente delineato, ed in secondo luogo interamente condiviso dal giudice. Tuttavia, quest'ultima ipotesi (anche per conseguenza pratica della grave carenza di parametri legalmente precostituiti di cui lo stesso ufficio di esecuzione penale esterna possa avvalersi nella predisposizione del programma) pare connotata da margini statistici di accadibilita' concreta pressoche' irrisori, che potrebbero magari essere superati o aggirati se le determinazioni all'uopo occorrenti fossero di fatto suggerite dallo stesso giudice procedente il quale si facesse carico del relativo giudizio anticipandolo informalmente e/o al di fuori dello schema legale del procedimento. In ogni altro caso (ovvero: ogni qual volta il trattamento non risultasse ad origine esaustivamente definito dall'ufficio esecuzione penale esterna, nonche' ogni qual volta il programma gia' esaustivamente definito non risultasse anche incondizionatamente condiviso dal giudice), si rende necessario un intervento giurisdizionale modificativo o integrativo del relativo programma che tuttavia, sempre ai sensi dell'art. 464-quater somma 4 c.p.p., e' ammissibile soltanto "con il consenso dell'imputato"; e cio', in particolare, sia nella ipotesi che il giudice debba modificare la quantita' o qualita' delle prescrizioni, sia nella ipotesi che il giudice debba stabilire la durata delle prestazioni e quindi della stessa fase esecutiva 'della messa alla prova, poiche' lasciata in tutto o in parte indeterminata nel programma di trattamento elaborato dal competente ufficio di esecuzione penale (come giustappunto concretamente avvenuto nel caso del presente procedimento a quo). Di siffatte determinazioni modificative o integrative si puo' supporre che esse, senza particolari formalita', possano essere discorsivamente rappresentate dal giudice e magari da questi mercanteggiate con l'imputato nel corso dell'udienza, salvo il problema di come poter fedelmente e decorosamente riportare siffatte evenienze nel verbale del processo; oppure si puo' piu' verosimilmente supporre che, costituendo espressione di ponderazioni assunte in funzione di applicazione giurisdizionale della legge, debbano costituire materia di un apposito provvedimento formalmente pronunciato. Nell'uno e nell'altro caso, tuttavia, il procedimento speciale di messa alla prova, indipendentemente dalla entita' e dal costo delle attivita' paragiudiziarie e giudiziarie all'uopo gia' esperite, (8) e' destinato a culminare nella assunzione di determinazioni giurisdizionali la cui efficacia ed utilita', cosi' come quelle dell'intera procedura fino ad allora celebrata, rimangono sospensivamente condizionate al consenso che l'imputato intendesse esprimere alla stregua delle proprie insindacabili valutazioni di personale convenienza; donde la constatazione della innovativa materializzazione, ad opera della legge n. 67/2014 istitutiva del procedimento speciale in discorso, di una fattispecie processuale che contempla, in funzione di atto costitutivo e definitorio di una subprocedura penale, (non la decisione legalmente verificabile emessa dal giudice in ordine alle istanze delle parti, bensi') la decisione inoppugnabile emessa da una della parti in ordine alle determinazioni del giudice. Questi rilievi inducono ad ipotizzare una censura di incostituzionalita' dell'art. 464-quater comma 4 c.p.p. p per contrasto con l'art. 101 Cost. nel senso che la disposizione censurata, in spregio al principio costituzionale dell'assoggettamento del giudice e delle sue funzioni soltanto alla legge, attribuisce alla volonta' dell'imputato la capacita' sovrana di integrare la condizione meramente potestativa cui resta insindacabilmente subordinato ogni profilo di efficacia formale ed utilita' sostanziale del provvedimento giurisdizionale di messa alla prova nonche' - qualunque ne sia stato il costo in termini di dispendio di tempo e di pubbliche risorse amministrative e giudiziarie - dell'intera procedura gia' celebrata strumentalmente alla pronuncia del medesimo. Laddove, ad avviso del remittente, l'azzardo di tale interpretazione estensiva della citata disposizione costituzionale appare giustificabile alla stregua dell'almeno altrettanto inusitata innovazione legislativa prefigurante l'ipotesi in cui una procedura giudiziaria e le determinazioni giurisdizionali ivi assunte risultano immediatamente vanificabili dalla parte privata controinteressata non attraverso l'esercizio del mezzo di impugnazione appositamente previsto dalla legge cui le prerogative giurisdizionali sono costituzionalmente assoggettate, bensi' mediante una mera manifestazione personale di' insindacabile dissenso. In ogni caso, la medesima disposizione di legge appare incompatibile con i principi costituzionali di buon andamento ed efficienza delle attivita' dei pubblici poteri (art. 97 Cost.) e con i principi di economicita' e ragionevole durata del processo penale (art. 111 comma 2 Cost.) nella misura in cui stabilisce lo svolgimento di attivita' paragiudiziarie e giudiziarie che, senza riguardo al dispendio di tempi e risorse processuali all'uopo occorrenti, devono essere necessariamente disimpegnate dai competenti pubblici uffici (prima l'ufficio esecuzione penale esterna e poi il giudice procedente) per il solo fatto che ne faccia richiesta la stessa parte processuale al cui mero insindacabile beneplacito, contestualmente, si attribuisce anche la prerogativa di deciderne a posteriori la sorte, ossia addirittura di stabilire a piacimento se tali attivita', una volta che abbiano avuto luogo, siano state o meno compiute soltanto a titolo di futile dissipazione di tempi processuali e denari pubblici. Percio', in definitiva, si ritiene che dall'art. 464-quater comma 4 c.p.p. debba espungersi la innaturale ed incongrua previsione della capacita' condizionante del consenso dell'imputato; la cui tutela avverso eventuali determinazioni giurisdizionali illegittime, peraltro, e' altrimenti assicurata dalla impugnazione per cassazione che risulta gia' prevista avverso l'ordinanza di messa alla prova (ai sensi dell'art. 464-quater somma 7 c.p.p.), indipendentemente dal fatto che essa contenga o meno disposizioni giurisdizionali emesse in funzione integrativa o modificativa del programma di trattamento. Si puo' notare che considerazioni analoghe andrebbero riproposte in relazione alla previsione dell'art. 464-quinquies comma 1 parte 2 c.p.p. nella parte in cui similmente dispone che il pagamento rateale delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno possa essere stabilito dal giudice soltanto "con il consenso della persona offesa". Tuttavia con la peculiarita' che quest'ultimo enunciato normativo - siccome coniato ignorandosi perfino la elementare distinzione nozionistica tra la qualita' di "persona offesa dal reato" e la qualita' di "persona civilmente danneggiata dal reato" - si presta ad ulteriori censure di illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 3 Cost.; infatti la relativa disposizione di legge, ogni qual volta che in concreto non ricorrano le accidentalita' fattuali donde scaturisca il cumulo delle summenzionate qualita' nel medesimo soggetto giuridico, illogicamente ed irrazionalmente attribuisce alla persona titolare del bene protetto dalla fattispecie incriminatrice astratta la prerogativa di decidere in ordine alle modalita' di esercizio e soddisfacimento degli altrui diritti al ristoro del pregiudizio civile risarcibile derivato dalla fattispecie criminosa concreta. III.5 - Le precedenti considerazioni consentono di riepilogare come il congegno processuale delineato dagli artt. 464-bis ss. c.p.p. postuli che l'imputato, dopo essere stato destinatario del giudizio di colpevolezza necessariamente presupposto (quantunque di massima concretamente fittizio poiche' emesso da un giudice privo di cognizione di causa, nei termini indicati supra sub § III.1), venga assoggettato ad un trattamento giuridico (teleologicamente altrettanto artificioso poiche' preordinato ad esigenze concretamente ignote per le medesime ragioni, nei termini indicati supra sub § III.2) corrispondente alla espiazione di una pena criminale che si definisce come tale poiche' (quantunque organizzata sotto forma di costrizioni e prestazioni morfologicamente diverse da quelle che sostanziano le pene previste dal codice penale) risulta naturalmente qualificata sia da caratteristiche strutturali e funzionali retributive, specialpreventive, rieducative e di risocializzazione, sia da correlative ripercussioni afflittive e restrittive della liberta' personale del soggetto. Tuttavia, la pena suddetta viene irrogata sempre e soltanto sulla base del mero titolo esecutivo giurisdizionale provvisorio rappresentato dalla ordinanza di messa alla prova pronunciata in esito alla fase di cognizione camerale del procedimento speciale; donde il riconoscimento inevitabile che, in cotali condizioni, il giudicabile e' assoggettato alla esecuzione anticipata di una pena che per definizione costui deve espiare non soltanto prima e senza che risulti intervenuta alcuna condanna definitiva, ma addirittura anche prima e senza che risulti intervenuta alcuna condanna, definitiva o meno. Peraltro lo stesso esito positivo della procedura di messa alla prova, comportando il pro-scioglimento nel rito in ragione della sopravvenuta formazione giudiziale della correlativa causa di estinzione del reato, elide in radice la stessa possibilita' giuridica che alcuna condanna possa intervenire finanche dopo cotale espiazione della pena. Dimodoche' la suddetta esecuzione penale - siccome in effetti non segue ma neppure precede alcuna condanna definitiva o non definitiva - neppure puo' propriamente dirsi anticipata, salvo soltanto il caso di esito negativo del procedimento speciale di messa alla prova cui faccia seguito una decisione di responsabilita' penale pronunciata in esito alla trattazione del processo nelle forme dibattimentali ordinarie. Dunque le disposizioni di cui agli artt. artt. 464-quater e 464-quinquies c.p.p., che prevedono siffatta espiazione di una pena criminale fuori dai casi in cui in relazione al reato per cui si procede risulti pronunciata e/o pronunciatile alcuna condanna definitiva e/o non definitiva, risultano contrastanti con l'art. 27 comma 2 Cost. poiche' stabiliscono non tanto una violazione, quanto la radicale negazione della garanzia formale racchiusa nel principio secondo cui l'imputato non puo' essere considerato e tantomeno trattato come colpevole sino alla condanna penale definitiva. E senza che, nella materia in parola, cotale obliterazione di uno dei principi fondamentali della civilta' giuridica risulti controbilanciata da alcuna esigenza di tutela di valori di dignita' costituzionale pari o superiore; ben diversamente - come sara' appena il caso di osservare - da quanto avviene nella materia della messa alla prova degli imputati minorenni, laddove invece la relativa deroga, lungi dal fondarsi su frettolosi e malaccorti vagheggiamenti di mere utilita' erariali, e' giustificata dalla cogente necessita' di protezione della personalita' dell'imputato ancora in corso di formazione, come ponderata e formalmente sancita dall'art. 31 comma 2 della Costituzione. IV. - Sotto il profilo della rilevanza delle questioni di costituzionalita' sollevate con la presente ordinanza occorre osservare che adesso, ai fini dell'ulteriore corso del procedimento a quo esitato alla rituale presentazione della istanza di messa alla prova, questo giudice deve pronunciare in ordine alla idoneita' del programma di trattamento predisposto in maniera largamente incompleta dal competente ufficio di esecuzione penale esterna (il quale ha sbrigato la relativa incombenza risolvendola nella perplessa compilazione di un modulo prestampato alla stregua del quale, a tacer d'altro, le programmate sanzioni alternative e sostitutive risultano prive di qualunque determinazione temporale). Tale pronuncia dovrebbe essere adottata alla stregua degli atti del fascicolo per il dibattimento (i quali, allo stato, non contengono alcun elemento di prova utile ai fini della ricognizione storica e della valutazione giuridica del fatto di reato per cui si procede), integrato dalla cosiddetta relazione di indagine socio-familiare redatta dal citato ufficio (che parrebbe a sua volta consistere nel mero resoconto delle notizie che l'imputato, all'uopo interpellato, abbia ritenuto opportuno far conoscere sulle proprie condizioni e vicende di vita). Tanto premesso, si osserva che le questioni di legittimita' costituzionale come sopra sollevate appaiono pregiudiziali all'ulteriore corso del presente procedimento a quo in quanto adesso, per dare corso alla procedura cosi' come legalmente delineata: anzitutto questo giudice, quantunque privo di ogni cognizione di causa legalmente acquisita in qualsivoglia forma, dovrebbe pronunciare nei confronti dell'imputato un fittizio o simulatorio giudizio di colpevolezza in relazione al reato contestato del quale, allo stato degli atti legalmente disponibili, al decidente giustappunto null'altro e' dato sapere se non che esso ha formato oggetto di contestazione da parte del pubblico ministero (donde le ragioni di illegittimita' costituzionale di cui supra, sub § III.1); contestualmente, sempre nulla conoscendo del fatto e delle caratteristiche personologiche dell'imputato definibili in relazione ad esso, questo giudice dovrebbe rendere altro fittizio o simulatorio giudizio sia in ordine alla idoneita' del programma di trattamento in relazione alle esigenze sanzionatorie retributive, specialpreventive, rieducative e di risocializzazione manifestate dal fatto per cui si procede, sia in ordine alla prognosi che l'imputato si asterra' dal commettere reati ulteriori rispetto a quello ignoto per cui si gia' procede (donde le ragioni di illegittimita' costituzionale di cui supra, sub § III.2); quindi, qualora ritenesse di orientare in qualche modo i fittizi o simulatori contenuti di tutti gli anzidetti giudizi in senso favorevole all'accoglimento della istanza, questo giudice dovrebbe adoperarsi all'invenzione delle sanzioni penali da applicare, stabilendone il contenuto e la durata - lasciati pressoche' totalmente indeterminati nel programma di trattamento elaborato dal competente ufficio - al di fuori di alcuna predeterminazione normativa (donde le ragioni di illegittimita' costituzionale di cui supra, sub § III.3); laddove, dovendo necessariamente colmare le lacune del programma presentato quanto meno sotto il profilo della quantificazione temporale, questo giudice dovrebbe assumere le necessarie determinazioni negoziandole con l'imputato o ponderandole unilateralmente per sottoporle all'insindacabile opinamento della parte privata, il cui dissenso vanificherebbe sic et simpliciter la relativa determinazione giurisdizionale nonche' la apposita procedura finora celebrata (donde le ragioni di illegittimita' costituzionale di cui supra, sub § III.4); ed infine, se ottenesse il consenso del giudicabile alla integrazione del programma di trattamento occorrente alla ulteriore prosecuzione della procedura finora celebrata, questo giudice dovrebbe pronunciare la conseguente ordinanza di messa alla prova cosi' irrogando all'imputato il trattamento giuridico sanzionatorio penale conseguente ad un reato per cui nessuna condanna, definitiva o meno, e' stata pronunciata (donde le ragioni di illegittimita' costituzionale di cui supra, sub § III.5). V. - Sotto il profilo della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' segnalate in questa sede, si deve rimarcare la impossibilita' per il remittente di scongiurarle mediante alcuna interpretazione logicamente definita e costituzionalmente orientata delle disposizioni di legge censurate. Infatti queste ultime - per quanto sopra gia' osservato, nonche' alla stregua delle considerazioni che seguono - pare definiscano una mera sequela di adempimenti formali rivestiti di etichette nomenclatorie vagamente altisonanti la cui ragion d'essere, tuttavia, risiederebbe nell'apparecchiamento di una purchessia piattaforma burocratica (come si desumerebbe gia' dalla plateale trascuratezza normativa perfino dei profili teleologici del cosiddetto trattamento, e come si conferma alla stregua della considerazione che la nuova procedura, qualora dovesse effettivamente comportare una ponderazione e definizione non meramente nominalistica delle pletoriche, complesse ed eterogenee esigenze che vi si predicano coinvolte, implicherebbe un impegno di risorse ed attivita' tutt'altro che necessariamente inferiore a quello occorrente alla celebrazione della maggior parte dei correlativi dibattimenti) a sua volta evocabile in funzione formalmente giustificativa di provvedimenti giurisdizionali produttivi di mere utilita' erariali (sfollamento penitenziario e deflazione processuale) le quali, a loro volta, appaiono vagheggiate non soltanto in difetto di coerenza ai criteri tecnici e valori giuridici all'ordinamento processuale e costituzionale, ma perfino sulla base di presupposti logicamente inconsistenti. A quest'ultimo riguardo, si puo' anzitutto osservare come il costrutto legislativo esaminato, nella sua pretesa strumentalita' alle esigenze di decarcerizzazione dei trattamenti giuridici penali, risulti gia' ab origine pressoche' totalmente privo di concreta utilita', visto che risulta destinato ad applicarsi in relazione ad un catalogo di reati che sono gia' sottratti all'ordinario trattamento sanzionatorio detentivo non soltanto in forza dell'equivalente copertura fornita da meccanismi previsti da specifiche disposizioni di legge (9) , ma perfino ab origine ovvero in considerazione della cornice sanzionatoria edittale loro propria. Ed infatti, ai sensi dell'art. 168-bis c.p., la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato e' applicabile anche nei procedimenti per reati punibili con la sola pena pecuniaria; ivi comprese, incredibilmente, perfino le contravvenzioni punite con mere pene pecuniarie o alternative in relazione alle quali, pertanto, il procedimento speciale in esame null'altro concreta che una sorta di mostruoso doppione della tradizionale procedura di oblazione gia' prevista dal codice penale. Donde la configurabilita' delle ulteriori censure di illegittimita' costituzionale dell'art. 168-bis c.p. - che non si possono tuttavia formalizzare in questa sede per difetto del requisito di rilevanza della relativa questione in rapporto all'oggetto del procedimento a quo - riferibili al suo ambito di applicazione illogicamente macroscopico. Per altro verso, i margini di sostanziale futilita' applicativa della procedura anche sotto il profilo delle sue ipotetiche funzioni di deflazione processuale in primo luogo sono palesati dalla osservazione che le relative attivita' (qualora disimpegnate seriamente, ovvero secondo modalita' e finalita' tecnicamente ponderate e definite) presenterebbero, per le fattispecie bagatellari cui dovrebbero in gran parte concretamente applicarsi (contravvenzioni al codice della strada ed analoghi reati suscettibili di istruzione dibattimentale compiutamente esauribile nell'arco di pochi minuti), un costo di tempi ed risorse paragonabile e magari superiore a quello occorrente alla celebrazione dei correlativi dibattimenti; ed in secondo luogo sono palesati dalla considerazione della proliferazione delle attivita' e/o dei procedimenti - con proporzionale moltiplicazione delle risorse giudiziarie occorrenti, anche in relazione alle ipotesi di incompatibilita' del giudice configurabili - che dovrebbero avere luogo nei casi di "acquisizione delle prove non rinviabili o che possono condurre al proscioglimento" (art. 464-sexies c.p.p.) e soprattutto nelle ipotesi (che alla stregua della disciplina di riferimento appaiono perfettamente plausibili) di attivazione della procedura speciale soltanto nei limiti di una porzione del procedimento penale oggettivamente o soggettivamente complesso (ossia soltanto in relazione ad alcuni soltanto dei reati contestati e/o in relazione alla posizione di taluno soltanto degli imputati). Del resto, proprio in considerazione dei profili di insensatezza radicati nel complessivo disegno legislativo in discussione, pare doversi escludere la praticabilita' della interpretazione alternativa dell'art. 464-quater c.p.p. astrattamente proponibile a rimedio delle peculiari ragioni di incostituzionalita' riferibili a quest'ultima disposizione di legge nella parte in cui non prevede che il giudice, ai fini delle decisioni di merito da assumere nel procedimento speciale di messa alla prova, proceda alla acquisizione e valutazione degli atti delle indagini preliminari (cfr. sopra sub § III.1 e III.2); interpretazione che consisterebbe nell'ammettere che, ogni qual volta i dati cognitivi risultanti dal fascicolo del dibattimento risultassero insufficienti ai fini delle decisioni da adottare sul merito della procedura di messa alla prova, il giudice debba comunque procedere alla celebrazione dell'istruzione dibattimentale (non diversamente da quanto avviene nel procedimento penale minorile, secondo la citata sentenza n. 125/1995 della Corte costituzionale), sia pure soltanto per assumere le prove occorrenti alla decisione sulla istanza di messa alla prova e sulla idoneita' del programma di trattamento. Tuttavia, ad avviso del remittente anche l'interpretazione riparatoria di cui sopra si appalesa insostenibile poiche', in relazione alle stesse plausibili ragioni d'essere della innovazione normativa, darebbe luogo alla estrema contraddizione in termini insista nella previsione di un rito speciale alternativo al giudizio ordinario di cognizione che tuttavia, siccome necessariamente comporta lo svolgimento delle medesime attivita' proprie del rito dibattimentale, in effetti non sostituisce quest'ultimo bensi' vi si sovrappone soltanto: con il paradossale risultato (non di semplificare, bensi') di raddoppiare la struttura procedimentale nonche' i tempi tecnici e le energie processuali occorrenti alla sua realizzazione. Percio', la menzionata opzione interpretativa secondo cui il procedimento speciale di messa alla prova comporterebbe addirittura lo svolgimento dell'istruzione dibattimentale appare a sua volta di dubbia compatibilita' costituzionale per contrasto rispetto ai principi di ragionevolezza delle discipline giuridiche, di economicita' delle attivita' dei pubblici poteri e di ragionevole durata del processo. Infatti, alla stregua di tali principi pare inconcepibile che alcun procedimento penale - magari concernente un reato suscettibile di estinzione mediante oblazione - debba svilupparsi in maniera da tutelare soltanto il privato interesse dell'imputato agli eventuali e piuttosto dubbi benefici che gliene deriverebbero; nel mentre, di converso, il pubblico interesse ne sarebbe incondizionatamente sacrificato, rimanendo a carico dell'apparato giudiziario statuale soltanto i costi ed i tempi del processo penale il quale, nonostante la applicazione del procedimento speciale, di fatto andrebbe comunque celebrato non soltanto con forme identiche a quelle del rito ordinario, ma anche con tutte le ulteriori complicazioni e possibili ulteriori disfunzioni arrecate dalla sovrapposizione della procedura speciale. Deve concludersene che, in relazione alla maggior parte delle concrete ipotesi di reato cui risulterebbe indiscriminatamente applicabile, e massimamente rispetto a quelle comunque punibili con la sola pena pecuniaria, la disciplina legislativa del procedimento speciale in parola manifesta una moltitudine di insostenibili controsensi che si definiscono come tali gia' in relazione ad ogni possibile ratto dell'innovazione; mentre di fatto appresta cospicui appigli di stampo formalistico - particolarmente utili nei procedimenti per reati contravvenzionali, ovvero di prescrizione breve o comunque imminente - che ogni imputato disinteressato ad ottenere una pronuncia di merito potra' azionare (con svariati espedienti, a cominciare da quello consistente nel semplice approfittamento dei tempi tecnici occorrenti agli uffici di esecuzione penale esterna per svolgere gli adempimenti di loro competenza) in funzione dilatoria dei tempi di definizione del processo e/o allo scopo di incamerare un variabile e non trascurabile periodo di vano decorso dei termini prescrizionali (10) Ne' si deve trascurare che - secondo la clausola di invarianza finanziaria di cui all'art. 16 della legge n° 67/2014 - siffatti nuovi, costosi e praticamente inconcludenti meccanismi legislativi demolitori della coerenza ed effettivita' dell'ordinamento penale andrebbero messi in opera senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ossia sottraendo tutte le risorse umane, strumentali e finanziarie all'uopo occorrenti a quelle - gia' notoriamente insufficienti finanche alle vere e minimali necessita' dell'applicazione della legge penale - di cui le organizzazioni giudiziaria e penitenziaria attualmente dispongono. In definitiva, pare che i tradizionali canoni tecnici dell'interpretazione della legge possano utilmente applicarsi al costrutto legislativo in discorso soltanto nella misura in cui risultino strumentali alla definizione costituzionalmente orientata di questioni estrinseche ai suoi specifici contenuti dispositivi ed alle interrelazioni sistematiche che ne conseguono (come ad esempio la questione dell'efficacia normativa intertemporale delle nuove disposizioni, piuttosto discussa dai primi commentatori a cagione della mancanza di norme transitorie e che nondimeno, proprio perche' i suoi termini prescindono dagli specifici contenuti dispositivi della novella, tra le inesauribili problematiche poste da quest'ultima si appalesa forse quella piu' agevolmente risolvibile) (11) Invece, sotto ogni altro aspetto la grammatica degli artt. 168-bis c.p. e 464-bis ss. c.p.p. appare insuscettibile di conformazione ermeneutica alle istanze del precostituito ordinamento processuale e costituzionale, dal quale il procedimento speciale di messa alla prova appare non tanto discrepante, quanto piuttosto complessivamente avulso, come se costituisse espressione di una cultura giuridica alternativa e parallela rispetto a quella tradizionalmente radicata e riconoscibile nell'ordinamento suddetto. Al punto che, come si e' notato, ogni tentativo di adeguamento dei margini di compatibilita' costituzionale del meccanismo legislativo in discorso deve arrendersi al cospetto del rilievo di vizi logici ed assiologici talmente pervasivi da denotare l'evidenza di un episodio di normazione ordinaria essenzialmente infortunistico poiche' capace, per la disinvolta grossolanita' tecnica della correlativa manomissione dell'ordinamento giuridico, di compromettere la coerenza di quest'ultimo e la funzionalita' del sistema giudiziario arrecandovi i pregiudizi derivanti dai consequenziali esperimenti giurisdizionali applicativi di disposizioni costituzionalmente illegittime che descrivono superfetazioni procedimentali sconcluse o addirittura controproducenti in relazione alle stesse finalita' apparentemente perseguite. Non pare dunque casuale che la legge n. 67/2014 recante le disposizioni censurate sia la stessa che, nel sancire l'abolizione dell'istituto giuridico della contumacia, ha manifestato l'impensabile incuria di tralasciarne quasi tutte le preesistenti menzioni contenute nel codice di procedura; cosi' attribuendo all'ordinamento processuale penale adesso vigente l'ineffabile primato di comminare la nullita' dei provvedimenti di rinvio a giudizio (ai sensi degli artt. 429 comma 1 lettera F e comma 2 e 552 comma 1 lettera D e comma 2 c.p.p.) nel contesto dei quali l'autorita' giudiziaria procedente ometta di somministrare l'avvertimento letteralmente falso che l'imputato, in caso di mancata comparizione, sara' sottoposto al giudizio celebrato nella forma contumaciale oramai inapplicabile poiche' abrogata. VI. - Sulla base degli argomenti illustrati, al remittente - siccome incapace di spiegarsi alla luce del vigente ordinamento costituzionale la pretesa legislativa che il giudice penale, spacciandosi convinto della colpevolezza dell'imputato in quanto e fin tanto che costui glielo consenta, disponga l'esecuzione di una pena criminale di propria libera inventiva in conseguenza di un reato di cui possiede contezza nzinimale o letteralmente nulla ed in relazione al quale, in ogni caso, nessuna condanna sia stata e possa essere comunque pronunciata - non resta che rivolgere alla Corte costituzionale la consequenziale istanza di estremo rimedio. (1) Ossia in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilita', nonche' in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede. (2) . Infatti, il giudice «in caso di esito negativo della prova dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso» (art. 464-septies comma 1 c.p.p.) cosicche', ai fini della esecuzione della eventuale condanna riportata dall'imputato nel susseguente giudizio di cognizione, «il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita laddove] ai fini della detrazione, tre giorni di prova sono equiparati a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a 250 euro di multa o di ammenda» (art. 657-bis c.p.p.). (3) Trattandosi in tal caso di procedura che comporta la applicazione (anticipata) della pena (in forma alternativa e sostitutiva) irrogata sul consenso di entrambe parti in forza di un titolo esecutivo giurisdizionale provvisorio a sua volta emesso (non soltanto sulla base della mera contestazione del reato, bensi') alla stregua di una sommaria cognizione del fatto condotta dal giudice per le indagini preliminari allo stato degli atti del fascicolo del pubblico ministero. (4) Infatti anche quest'ultima procedura - che pure non prevede il consenso del pubblico ministero, e quindi manifesta anch'essa lo schema negoziale processuale unilaterale della oblazione anziche' quello bilaterale del patteggiamento - presenta a sua volta la differenza strutturale che l'applicazione anticipata della pena sul consenso dell'imputato avviene in forza di un titolo esecutivo provvisorio che, diversamente da quello formato in sede dibattimentale, presuppone anch'esso una sommaria cognizione del fatto condotta (dal giudice per le indagini preliminari o dal giudice per l'udienza preliminare) sulla base degli atti del fascicolo del pubblico ministero (di cui tali organi giurisdizionali sempre dispongono) (5) Infatti la fattispecie procedimentale in parola deve essere instaurata a pena di decadenza prima della apertura del dibattimento, quindi senza che l'istruzione dibattimentale possa avere avuto luogo (ai sensi dell'art. 464-bis comma 2 c.p.p.). In tale stadio processuale il compendio di dati cognitivi risultanti dal fascicolo del giudice, come ben sanno tutti gli operatori professionali del diritto penale, nella assoluta maggioranza dei casi della pratica giudiziaria si esaurisce letteralmente nel decreto di rinvio a giudizio e nel certificato penale dell'imputato; in una esigua minoranza di eventualita' comprende anche talaltro dei documenti e/o atti non ripetibili previsti dell'art. 431 c.p.p.; e soltanto in una percentuale irrisoria di casi (riferibili ai cosiddetti processi documentali) contiene la rappresentazione cartolare della totalita' delle fonti di prova risultanti dagli atti delle indagini preliminari concernenti il fatto per cui si procede. (6) Pare appena il caso di osservare che il procedimento di messa alla prova incardinato in sede dibattimentale neppure contempla la cognizione giurisdizionale del fascicolo delle indagini preliminari per la semplice ragione che, nel disporre in proposito, il legislatore si e' preoccupato di attribuire la disponibilita' degli "atti rilevanti del procedimento penale" soltanto all'ufficio di esecuzione penale esterna (ai sensi dell'art. 141-ter disp. att. c.p.p.); mentre l'accesso del giudice dibattimentale agli atti delle indagini preliminari, costituente ipotesi derogatoria rispetto ad uno dei principi fondamentali e qualificanti dell'intero assetto processuale definito dal codice vigente, non risulta prescritto o consentito da alcuna specifica disposizione di legge (diversamente da quanto previsto dall'art. 442 c.p.p. in tema di giudizio abbreviato, nonche' dall'art. 135 disp. att. c.p.p, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti). (7) . In proposito si assume che il ragionamento per analogia legis (ubi eadem ratio, ibi eadent dispositio) consista nel procedimento logico di integrazione ermeneutica delle lacune dell'ordinamento giuridico concretantesi nella ricostruzione interpretativa della norma giuridica inespressa che ricollega la medesima disciplina prevista dalla legge per una determinata fattispecie ad altra fattispecie la quale, quantunque non regolata da norme positive, tuttavia esprime la stessa ratio legis riferibile alla fattispecie regolata; laddove l'estensione della disciplina della fattispecie regolata alla fattispecie non regolata si fonda sul presupposto giustificativo del rilievo, tra l'una e l'altra, della medesimezza di ratio legis (elemento assiologico del fatto, che identifica la funzione della disciplina giuridica) predicatile in considerazione della somiglianza della rispettiva struttura (elemento antologico del fatto, che genera e configura l'esigenza pratica suscettibile di disciplina giuridica). (8) Ovvero: l'istruttoria amministrativa espletata dall'ufficio esecuzione penale esterna per svolgere l'indagine socio-familiare ed elaborare il programma di trattamento (ai sensi dell'art. 141-ter disp. att. c.p.p.); l'attivita' processuale eventualmente sviluppata dal giudice per integrare il contraddittorio (ai sensi dell'art. 464-quater commi 1 e 2 c.p.p.); l'istruttoria camerale eventualmente compiuta per assumere le ulteriori informazioni occorrenti (ai sensi dell'art. 464-bis comma 5 c.p.p.); le ulteriori attivita' cognitive e decisorie eventualmente compiute dal giudice procedente ai fini delle integrazioni o modifiche da apportare al programma di trattamento gia' elaborato in maniera non irrimediabilmente inidonea (ai sensi dell'art. 464-quater comma 4 c.p.p.). (9) Come l'art. 656 comma 5 c.p.p., che gia' prevede la concedibilita' della misura dell'affidamento in prova al servizio sociale in alternativa alla irrogazione di pene detentive di durata fino a tre anni (in ogni caso) o addirittura fino a sei anni (nei casi di condanna per reati in materia di stupefacenti); ovvero come l'art. 47-ter ord. pen., che gia' prevede la concedibilita' della misura della detenzione domiciliare in alternativa alla irrogazione di pene detentive di durata fino a quattro anni. (10) In proposito va osservato che, ai sensi dell'art. 464-quater comma 6 c.p.p., la fatidica sospensione del procedimento e della prescrizione del reato correlata alla messa alla prova non consegue affatto (come invece ictu oculi parrebbe molto piu' ragionevole) alla richiesta di elaborazione del programma di trattamento rivolta all'ufficio esecuzione penale esterna, ne' alla istanza di concessione della messa alla prova rivolta al giudice procedente, e neppure alla stessa ordinanza giurisdizionale di messa alla prova; invece, risulta procrastinata addirittura alla susseguente sottoscrizione del verbale di esecuzione della messa alla prova da parte dell'imputato. Dunque tale sospensione fornisce copertura soltanto ai tempi e contrattempi occorrenti al disimpegno della fase di esecuzione della procedura ma non anche alle pregresse fasi amministrativa e di cognizione giurisdizionale. D'altro lato, il conseguimento del fisiologico esito dell'intera vicenda procedimentale cosi' come normativamente delineata riposa pur sempre sulla prestazione e persistenza del consenso dell'imputato; il quale percio' stesso in qualsiasi momento - ossia ogni qual volta ritenesse bastevole ai propri fini dilatori la dissipazione di tempi ed energie processuali gia' intercorsa - non dovrebbe fare altro che manifestare il proprio dissenso all'ulteriore corso della procedura. (11) Potendosi al riguardo senz'altro ritenere quanto meno che la disciplina in parola, poiche' riguardante un istituto giuridico di diritto penale sostanziale favorevole al giudicabile, risulti soggetta alla regola della efficacia retroattiva relativa in melius ai sensi dell'art. 2 comma 4 c.p. (secondo cui le norme penali sostanziali introduttive di modificazioni normative favorevoli al reo si applicano anche ai reati gia' comniessi, e quindi nei procedimenti gia' incardinati al momento della innovazione normativa, purche' non sia intervenuta la preclusione derivante dalla sentenza irrevocabile); con la conseguenza che il termine decadenziale previsto per la proposizione della relativa istanza di parte (ai sensi dell'art. 464-bis comma 2 c.p.p.), nei procedimenti in cui al momento della entrata in vigore della nuova disciplina risultasse gia' superato in ragione dello stadio processuale in atto, deve intendersi ipso iure procrastinato in coincidenza con il primo momento susseguente concretamente utile alla formalizzazione della predetta istanza.
P.Q.M. IL TRIBUNALE ORDINARIO DI GROSSETO Ufficio penale dibattimentale monocratico Visti gli artt. 1 della legge cost. n. 1/1948 e 23 della legge n. 87/1953, Dichiara la rilevanza e non manifesta infondatezza, in funzione della trattazione del presente processo penale secondo il rito della messa alla prova attivato come in epigrafe: della questione di illegittimita' costituzionale - per contrasto con gli artt. 3, 111 comma 6, 25 comma 2 e 27 comma 2 Cost. - della disposizione di cui all'art. 464-quater comma 1 c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice, ai fini di ogni decisione di merito da assumere nel procedimento speciale di messa alla prova, proceda alla acquisizione e valutazione degli atti delle indagini preliminari di cui gia' altrimenti non disponga, restituendoli per l'ulteriore corso nel caso di esito negativo della pronuncia sulla concessione o sull'esito della messa alla prova (nei termini di cui in motivazione, §§ III.1 e III.2); della questione di illegittimita' costituzionale - per contrasto con l'art. 25 comma 2 Cost. - della disposizione di cui all'art. 168-bis commi 2 e 3 c.p. in quanto prescrive la applicazione di sanzioni penali legalmente indeterminate (nei termini di cui in motivazione, § III.3); della questione di illegittimita' costituzionale - per contrasto con gli arti. 97, 101 e 111 comma 2 Cost. - della disposizione di cui all'art. 464-quater comma 4 c.p.p. nella parte in cui prevede il consenso dell'imputato quale condizione di ammissibilita', di validita' o di efficacia dei provvedimenti giurisdizionali modificativi o integrativi del programma di trattamento (nei termini di cui in motivazione, § III.4); della questione di illegittimita' costituzionale - per contrasto con l'art. 27 comma 2 Cost. -delle disposizioni di cui agli artt. 464-quater e 464-quinquies c.p.p. in quanto prescrivono la irrogazione ed esecuzione di sanzioni penali consequenziali ad un reato per cui non risulta pronunciata ne' di regola pronunciabile alcuna condanna definitiva o non definitiva (nei termini di cui in motivazione, § III.5); Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953, Ordina la sospensione del presente processo penale e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, previa notificazione della presente ordinanza alla Presidenza del Consiglio dei ministri e previa comunicazione della medesima ordinanza alla Presidenza del Senato ed alla Presidenza della Camera dei deputati; Visto l'art. 1 della deliberazione della Corte costituzionale in data 09.11.2008, Ordina la trasmissione in originale alla Corte costituzionale della presente ordinanza e del fascicolo processuale, contenente la prova documentale dell'esecuzione delle notificazioni e comunicazioni come sopra disposte. Grosseto addi' 6 marzo 2015. Il Giudice: Giovanni Muscogiuri