N. 69 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 22 giugno 2015

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale   depositato  in
cancelleria il 22 giugno  2015  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Marche - Previsione  che
  gli edifici esistenti, che  siano  oggetto  di  qualificazione  del
  patrimonio  edilizio  esistente,  di  riqualificazione  urbana,  di
  recupero funzionale,  di  accorpamento  e  di  ogni  trasformazione
  espressamente qualificata di interesse  pubblico  dalla  disciplina
  statale e regionale vigenti, possono essere demoliti e  ricostruiti
  all'interno dell'area di sedime  o  aumentando  la  distanza  dagli
  edifici antistanti anche in deroga ai limiti di cui al D.M.  Lavori
  Pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, fermo restando il  rispetto  delle
  norme del codice civile e della disciplina di tutela degli  edifici
  di valore storico, architettonico e culturale - Previsione che  gli
  eventuali  incrementi  volumetrici   consentiti   dalla   normativa
  regionale vigente, possono essere realizzati con la sopraelevazione
  dell'edificio originario anche in deroga ai distacchi dai confini e
  dai limiti  di  zona  prescritti  dagli  strumenti  urbanistici  ed
  edilizi vigenti ed in deroga agli artt. 7, 8 e 9 del D.M.  n.  1444
  del  1968,  nonche'  con  ampliamento  fuori  sagoma  dell'edificio
  originario laddove siano comunque rispettate le distanze minime tra
  fabbricati di cui all'articolo 9  del  medesimo  decreto  o  quelle
  dagli edifici antistanti preesistenti, dai  corrispondenti  confini
  interni  e  limiti  di  zona  se  inferiori  -  Previsione  che  le
  disposizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle diverse  previsioni
  sulla  densita'  edilizia,  sull'altezza  degli  edifici  e   sulle
  distanze tra fabbricati previste dagli strumenti di  pianificazione
  urbanistica comunale - Ricorso del Governo - Denunciata  violazione
  della sfera di competenza legislativa esclusiva statale in  materia
  di  ordinamento  civile,  nonche'   della   sfera   di   competenza
  legislativa  concorrente  statale  in  materia   di   governo   del
  territorio. 
- - Legge della Regione Marche 13 aprile 2015, n. 16, art. 10. 
- - Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. l), e terzo; Decreto
  del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, artt. 7, 8
  e 9; decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380,
  art. 2-bis. 
(GU n.35 del 2-9-2015 )
    Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e  difeso  ex  lege  dall'Avvocatura  Generale   dello   Stato   c.f.
80224030587, fax 06/96514000 e PEC  roma@mailcert.avvocaturastato.it,
presso i cui uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi  n.
12; 
    Nei confronti della Regione Marche,  in  persona  del  Presidente
della  Giunta  Regionale  pro  tempore,  per  la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale dell'articolo 10 della Legge  Regionale
Marche  n.  16  del  13  aprile  2015,   recante   «Disposizioni   di
aggiornamento della  legislazione  regionale.  Modifiche  alla  legge
regionale 30 dicembre 2014, n. 36 "Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale 2015 e pluriennale 2015/2017  della  Regione.  Legge
finanziaria 2015" e alla legge regionale  30  dicembre  2014,  n.  37
"Bilancio di previsione per l'anno  2015  ed  adozione  del  bilancio
pluriennale per il triennio 2015/2017", pubblicata nel B.U.R.  n.  32
del 13 aprile 2015, all'art. 211(in relazione all'articolo 117, terzo
comma , della Costituzione), all'art. 215, commi 3 e  5(in  relazione
all'articolo 117, terzo comma , della  Costituzione),  all'art.  219,
comma  2  (in  relazione  all'articolo  117,   terzo   comma,   della
Costituzione), all'art. 225 (in  relazione  all'articolo  117,  terzo
comma  ,  della  Costituzione),  e   all'art.   239   (in   relazione
all'articolo 117, terzo comma , della Costituzione). 
    La legge regionale in esame, secondo quanto previsto dall'art. 1,
riunisce in un testo unico le disposizioni delle legge  regionali  in
materia di Sanita' e Servizi sociali, ai sensi dell'articolo 40 dello
Statuto regionale e in attuazione della legge regionale 16  settembre
2011,   n.   8   (Semplificazione    amministrativa    e    normativa
dell'ordinamento regionale e degli Enti locali territoriali). 
    Al riguardo occorre premettere che: 
        a) l'art. 40 dello Statuto dell'Umbria prevede che: 
    «l. L'Assemblea legislativa  autorizza  con  legge  la  Giunta  a
redigere, entro un  tempo  stabilito,  progetti  di  testi  unici  di
riordino e di semplificazione delle disposizioni  riguardanti  uno  o
piu' settori omogenei. La legge determina  l'ambito  del  riordino  e
della semplificazione  e  fissa  i  criteri  direttivi,  nonche'  gli
adempimenti procedurali a cui la Giunta si deve conformare». 
    2.  Nel  termine  assegnato  dalla  legge  la   Giunta   presenta
all'Assemblea il progetto di testo unico delle disposizioni di legge.
Il progetto e' sottoposto all'approvazione finale dell'Assemblea  con
sole dichiarazioni di voto. 
    3.  Le  proposte  di  legge  tendenti  a  modificare   gli   atti
legislativi oggetto di riordino e di semplificazione e presentate nel
periodo prefissato per  la  predisposizione  del  progetto  di  testo
unico, sono discusse ed approvate solo sotto  forma  di  proposte  di
modifica della legge di autorizzazione. 
    4. Le disposizioni  contenute  nei  testi  unici  possono  essere
abrogate solo con previsione espressa; la approvazione di deroghe, di
modifiche e di integrazioni deve essere testuale e prevedere,  previa
verifica del coordinamento formale, l'inserimento delle  nuove  norme
nel testo unico. 
    5. Nelle materie oggetto del testo unico legislativo, la  Giunta,
nel rispetto dei criteri di riordino e semplificazione fissati  dalla
legge e acquisito il parere favorevole della Commissione  competente,
approva il testo unico delle disposizioni regolamentari di esecuzione
di quelle autorizzate e provvede alla redazione  di  un  testo  unico
compilativo, con l'indicazione per ogni disposizione  della  relativa
fonte, legislativa o regolamentare» 
        b)  Sulla  legittimita'  di  detta  norma  statutaria  si  e'
pronunciata la Corte costituzionale  con  la  sentenza  n.  378/2004,
affermando che «l'articolo in contestazione prevede che il  Consiglio
conferisca alla Giunta un semplice incarico di presentare allo stesso
organo legislativo regionale, entro termini perentori,  un  "progetto
di testo unico delle disposizioni di legge" gia' esistenti in "uno  o
piu'  settori  omogenei",  progetto  che  poi  il  Consiglio   dovra'
approvare con apposita votazione, seppure  dopo  un  dibattito  molto
semplificato» e aggiunge inoltre che «Ben puo' uno statuto  regionale
prevedere uno speciale procedimento legislativo diretto  soltanto  ad
operare  sulla  legislazione  regionale  vigente,  a  meri  fini  "di
riordino e di semplificazione". La stessa previsione di cui al  terzo
comma dell'art. 40, relativa  al  fatto  che  eventuali  proposte  di
revisione sostanziale delle leggi oggetto  del  procedimento  per  la
formazione del testo unico, che siano presentate nel periodo previsto
per  l'espletamento   dell'incarico   dato   alla   Giunta,   debbano
necessariamente  tradursi  in  apposita  modifica  della   legge   di
autorizzazione alla redazione del testo unico, sta a  confermare  che
ogni modifica sostanziale della legislazione  da  riunificare  spetta
alla legge regionale e che  quindi  la  Giunta  nella  sua  opera  di
predisposizione del  testo  unico  non  puo'  andare  oltre  al  mero
riordino  e  alla  semplificazione  di  quanto  deliberato  in   sede
legislativa dal Consiglio regionale. 
        c) E' fuor di dubbio dunque che la disposizione statutaria, e
la richiamata sentenza della Corte  costituzionale,  pur  consentendo
una particolare procedura per la redazione di testi unici a  fini  di
riordino e semplificazione, presuppongono che le norme oggetto  della
raccolta siano costituzionalmente legittime e quindi  rispettose  sia
del corretto assetto di competenze tra Stato  e  Regioni,  sia  della
legislazione comunitaria  che,  ai  sensi  dell'articolo  117,  primo
comma,  della  Costituzione,  vincola  l'esercizio   della   potesta'
legislativa anche delle Regioni. 
        d)  Peraltro  anche  la  legge  regionale  n.  8   del   2011
(Semplificazione   amministrativa   e   normativa    dell'ordinamento
regionale e degli Enti locali territoriali), richiamata  dall'art.  1
della legge regionale in esame, che autorizza la Giunta  regionale  a
presentare al Consiglio regionale un progetto di testo unico, prevede
espressamente,  all'art.  6,  che  nelle  materie   di   legislazione
concorrente la Giunta regionale si debba  attenere  al  rispetto  dei
principi  fondamentali  contenuti  nella  legislazione   statale   di
settore. 
    Pertanto  il  Testo  Unico  regionale,  approvato  dall'Assemblea
regionale, ai sensi della richiamata norma Statutaria  e  quindi  con
apposita votazione, seppure dopo  un  dibattito  molto  semplificato,
soggiace  al   controllo   di   legittimita'   svolto   dal   Governo
nell'esercizio del potere che l'art. 127,  primo  comma,  Cost.,  gli
riconosce, di impugnare di fronte alla Corte costituzionale le  leggi
regionali. 
    Sulla scorta di tali  considerazioni,  numerose  norme  contenute
nella legge regionale in esame, recante «Testo unico  in  materia  di
Sanita' e Servizi sociali», ancorche' riproduttive di norme regionali
contenute in precedenti leggi regionali,  risultano  impugnabili  sia
alla luce del mutato quadro normativo di  riferimento,  sia  perche',
come affermato da consolidata giurisprudenza costituzionale, l'omessa
impugnazione, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri,  di
precedenti norme analoghe «non ha alcun rilievo, dato che  l'istituto
dell'acquiescenza non e' applicabile  nel  giudizio  di  legittimita'
costituzionale in via principale» (cfr. C. cost. sent. n. 139/2013). 
    In   particolare    presentano    profili    di    illegittimita'
costituzionale, per i motivi  di  seguito  specificati,  le  seguenti
disposizioni: 
        1) L'articolo 26, comma 1, della legge regionale prevede  che
«Il Direttore generale delle aziende sanitarie regionali e'  nominato
dal Presidente della  Giunta  regionale,  su  conforme  deliberazione
della Giunta  stessa,  tra  soggetti  che  non  abbiano  compiuto  il
sessantacinquesimo anno di eta', [....]». 
    Tale  disposizione  si  pone  in   contrasto   con   i   principi
fondamentali in materia di tutela della salute di cui all'art. 3-bis,
comma 3, del decreto legislativo n. 502/1992, che, nel  prevedere  le
modalita' ed i  requisiti  di  nomina  del  direttore  generale,  non
stabilisce alcun limite di eta' per il conferimento dell'incarico. 
    Pertanto l'art. 26, comma 1,  della  legge  regionale  in  esame,
nell'introdurre, ai fini della  nomina  del  direttore  generale,  un
ulteriore requisito rispetto a quelli previsti dalla  disciplina  del
richiamato articolo 3-bis,  comma  3,  del  d.lgs.  n.  502/1992,  da
considerarsi quale principio fondamentale della legislazione  statale
in materia di tutela della salute, viola l'articolo 117, terzo comma,
della Costituzione. 
        2)  L'articolo  33  della  legge  regionale  in  esame,   nel
disciplinare la composizione  e  i  compiti  del  collegio  sindacale
presso le aziende sanitarie regionali e presso le aziende ospedaliero
universitarie, al comma 3, prevede che «[....] Il Collegio  sindacale
e' composto da cinque membri, designati uno dalla  regione,  uno  dal
Ministro dell'economia e  delle  finanze,  uno  dal  Ministero  della
salute, uno dal Ministro dell'istruzione,  dell'universita'  e  della
ricerca e uno dall'Universita' degli Studi di Perugia». 
    Tale disposizione regionale si pone in contrasto con  i  principi
fondamentali in materia di tutela della salute di cui  al  d.lgs.  n.
502/1992. Infatti l'art. 3-ter,  comma  3,  di  detto  decreto,  come
modificato dall'articolo 1, comma 574, della legge n. 190/2014 (legge
di stabilita' 2015), stabilisce che: «Il collegio sindacale  dura  in
carica tre anni ed e' composto da tre membri, di  cui  uno  designato
dal presidente della giunta regionale, uno dal Ministro dell'economia
e delle finanze e uno dal Ministro della salute [...]». 
    La disposizione regionale in esame, altresi', contrasta l'art. 2,
comma 1, lett. g), del d.l. n. 174/2012 che, nell'ambito delle  norme
di riduzione  dei  costi  della  politica,  prevede  che  venga  data
attuazione alle regole stabilite dall'art. 6, comma 5,  del  d.l.  n.
78/2010 riguardanti la  riduzione  dei  componenti  degli  organi  di
amministrazione e controllo. 
    L'articolo 33, comma 3, della legge regionale in esame, pertanto,
prevedendo una composizione  del  collegio  sindacale  delle  aziende
ospedaliero universitarie composta da cinque membri,  e  quindi  piu'
ampia rispetto alla composizione prevista dalle suddette disposizioni
statali, viola i principi  fondamentali  della  legislazione  statale
recati dall'articolo 117, terzo  comma,  della  Costituzione  sia  in
materia di tutela della salute, sia in materia  di  coordinamento  di
finanza pubblica. 
    Occorre, altresi', considerare che la legge di  stabilita'  2015,
sopra citata, ha dato piena attuazione alle  disposizioni  del  nuovo
Patto della Salute 2014-2016 di cui all'Intesa stipulata in  sede  di
Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 10 luglio 2014,  ai  sensi
dell'articolo 8, comma 6, della legge n. 131/2003. 
    Con specifico riguardo alla materia  in  questione,  la  predetta
intesa, infatti, all'articolo 13, rubricato «controlli», ha disposto,
al comma 1, che «in linea con quanto previsto dall'articolo 6,  comma
5,  del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78,  convertito,   con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122,  ed  al  fine  di
rafforzare il ruolo dei collegi sindacali delle aziende  sanitarie  e
garantirne una composizione coerente con le disposizioni del presente
Patto, Governo e Regioni convengono che detti collegi siano  composti
da tre componenti, di cui uno designato dal Presidente  della  giunta
regionale, uno dal Ministro dell'economia e delle finanze ed uno  dal
Ministro della salute». 
        3) L'articolo 153 della legge regionale in esame, al comma 1,
prevede l'istituzione, presso la  Giunta  Regionale,  della  Consulta
tecnico-scientifica per il sistema regionale del sangue,  alla  quale
e' affidato, in particolare, il compito di elaborare: a) i  programmi
promozionali da attivarsi attraverso i mass-media; b) gli  interventi
di educazione sanitaria diretti a particolari fasce  di  popolazione;
c) le proposte dirette alla  migliore  tutela  dei  donatori;  d)  le
proposte concernenti indicazioni per l'aggiornamento degli  operatori
sul piu' razionale impiego delle risorse trasfusionali. 
    Il comma 3 del medesimo articolo disciplina la composizione della
Consulta, prevedendo che  alla  stessa  partecipano:  a)  l'assessore
regionale alla  sanita'  o  suo  delegato,  che  la  presiede;  b)  i
responsabili  dei  centri  trasfusionali,  presenti  sul   territorio
regionale;  c)  cinque  esperti  designati  dalle  associazioni   dei
donatori volontari del  sangue  individuate  con  atto  della  Giunta
regionale sulla  base  della  rispettiva  rappresentativita';  d)  un
funzionario  della  Direzione  regionale  competente   della   Giunta
regionale, e da questa designato. 
    La predetta disposizione regionale si pone  in  contrasto  con  i
principi fondamentali in materia di tutela della salute di  cui  alla
legge 21  ottobre  2005,  n.  219,  recante  «principi  generali  per
l'organizzazione delle attivita' trasfusionali», e,  in  particolare,
con l'art. 6, comma 1, lettera c), di detta legge  n.  219/2005,  che
affida tutte le funzioni di coordinamento  della  rete  trasfusionale
regionale  alle  Strutture  regionali  di  coordinamento  (SRC),   da
individuarsi, in base al  medesimo  articolo  6,  comma  1,  mediante
appositi accordi da stipularsi in sede di Conferenza Stato-Regioni. 
    A tale previsione e' stata attuazione con l'Accordo Stato Regioni
del 13 ottobre 2011, il quale definisce  la  Struttura  regionale  di
coordinamento (SRC), prevedendo quanto segue: «La Struttura regionale
di coordinamento (SRC) e' una struttura tecnico  organizzativa  della
Regione/Provincia  Autonoma  che  garantisce  lo  svolgimento   delle
attivita' di supporto alla programmazione  regionale  in  materia  di
attivita'   trasfusionali   e   di    coordinamento    e    controllo
tecnico-scientifico della rete trasfusionale regionale,  in  sinergia
con il Centro Nazionale Sangue». Esso, inoltre, affida  alla  SRC  le
«attivita' di coordinamento del sistema sangue regionale in tutti gli
ambiti definiti dalla  normativa  vigente  in  materia  di  attivita'
trasfusionali, al fine di garantire il costante  perseguimento  degli
obiettivi  di  sistema,  rendere  omogenei  i  livelli  di  qualita',
sicurezza,   standardizzazione   e   contribuire   al   perseguimento
dell'appropriatezza in medicina trasfusionale su tutto il  territorio
della Regione/Provincia Autonoma». 
    La Regione, tra l'altro, con delibera della Giunta  Regionale  n.
1767 del 27 dicembre 2012, ha gia' istituito  la  SRC,  nel  rispetto
della richiamata normativa statale. 
    Pertanto, l'art. 153, della legge regionale in  esame,  affidando
alla richiamata  Consulta  tecnico-scientifica  le  funzioni  che  la
citata normativa nazionale attribuisce alla  Struttura  regionale  di
coordinamento, contrasta con la medesima normativa  statale  e  viola
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione,  in  materia  di  tutela
della salute. 
    La medesima disposizione regionale in esame,  inoltre,  determina
una duplicazione di organi e  competenze,  pregiudicando  l'efficacia
dell'attivita' di coordinamento, che, invece, in un settore  delicato
come  quello  delle  attivita'  trasfusionali,  risulta  di  centrale
importanza e, pertanto, viola il principio di  buon  andamento  della
P.A. di cui all'art. 97 della Costituzione. L'art.  153  della  legge
regionale contrasta, altresi', con i  principi  di  coordinamento  di
finanza pubblica recati dall'art. 6 del d.l. n. 78/2010 ai sensi  del
quale  e'  prevista  una   riduzione   dei   costi   degli   apparati
amministrativi e, pertanto viola l'art. 117, terzo comma,  Cost.,  in
materia di coordinamento di finanza pubblica. 
        4) L'articolo 154, comma 2, della legge  regionale  in  esame
prevede che  «[...]  la  Regione  eroga  contributi  all'Associazione
Volontari  Italiani  del  Sangue  (AVIS)  regionale  e   alle   altre
associazioni  esistenti  e  costituite  nella   Regione,   ai   sensi
dell'articolo 7 della legge 21 ottobre 2005, n. 219 (Nuova disciplina
delle attivita' trasfusionali  e  della  produzione  nazionale  degli
emoderivati)». Il comma 4 del  medesimo  articolo  aggiunge  che  «la
Giunta  regionale,  con  proprio  atto,  stabilisce  i  criteri   per
l'erogazione dei contributi di cui al  comma  2.  I  contributi  sono
erogati dalla Giunta stessa con proprio atto entro il 31  gennaio  di
ogni anno, sulla base di idoneo programma di attivita' da  parte  dei
soggetti di cui al comma  2,  da  presentare  entro  il  30  novembre
dell'anno precedente». 
    Le suddette disposizioni regionali si pongono in contrasto con  i
principi fondamentali in materia di tutela della salute di  cui  alla
legge 21  ottobre  2005,  n.  219,  recante  «principi  generali  per
l'organizzazione  delle  attivita'  trasfusionali».  In   particolare
l'art. 6, comma 1, lett. b), stabilisce che con apposito accordo,  da
sancirsi ai sensi degli articoli 2 e 4  del  decreto  legislativo  28
agosto 1997, n. 281, venga adottato uno schema tipo per la stipula di
convenzioni con le Associazioni e Federazioni di donatori di  sangue,
per  permettere  la  partecipazione  delle  stesse   alle   attivita'
trasfusionali. Si prevede inoltre  che  tale  schema  tipo  individua
anche le tariffe di rimborso delle attivita' associative uniformi  su
tutto il territorio nazionale. 
    A tal riguardo,  occorre  osservare  che  l'accordo  in  sede  di
Conferenza Stato-Regioni del 20 marzo 2008 ha  dato  attuazione  alla
suddetta disposizione di legge, nel pieno rispetto del  principio  di
leale  collaborazione.  L'articolo  9  di  tal   accordo,   rubricato
«rapporti economici», dispone, al comma 1, che  «per  lo  svolgimento
dell'attivita'  effettuate  dalle  Associazioni  e   Federazioni   di
donatori, in base al presente schema di convenzione, le regioni e  le
province autonome, garantiscono il rimborso dei costi della attivita'
associative nonche' della eventuale attivita' di  raccolta,  come  da
allegato "A", parte integrante del presente  accordo,  ritenuti  come
livello minimo uniforme su tutto il territorio nazionale.». 
    Sia la norma di cui all'articolo 6, comma 1,  lettera  b),  della
legge n. 219/2005, sia il richiamato Accordo attuativo, dunque, fanno
riferimento al «rimborso dei costi» delle attivita' associative. 
    Pertanto l'art. 154, comma 2, della  legge  regionale  in  esame,
prevedendo l'erogazione di generici «contributi» alle Associazioni, e
non quantificando il rimborso dei  costi  secondo  la  determinazione
prevista  nel  citato  accordo  attuativo,  valido   sul   territorio
nazionale, contrasta con i principi fondamentali in materia di tutela
della salute di cui al citato articolo 6, comma 1, lettera b),  della
legge  n.  291/2005  e  viola  l'art.   117,   terzo   comma,   della
Costituzione. 
        5) L'articolo 210, comma 2, della legge regionale  in  esame,
prevede che «[...] il proprietario deve provvedere  entro  centoventi
giorni dalla nascita o comunque, entro  dieci  giorni  dal  possesso,
all'iscrizione  dell'animale  all'anagrafe  di   cui   al   comma   1
contestualmente all'apposizione del codice di riconoscimento, di  cui
all'art. 211».  Tale  articolo  211  stabilendo  che  «il  codice  di
riconoscimento e' impresso mediante  tatuaggio  o  con  altro  metodo
comunque indelebile e chiaramente leggibile»,  risulta  in  contrasto
con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28  febbraio
2003, che recepisce l'Accordo  recante  disposizioni  in  materia  di
benessere degli animali da compagnia e pet-therapy,  stipulato  nella
seduta  della  Conferenza  Stato-Regioni  del  6  febbraio  2003,  in
adempimento    dell'obbligo    internazionale     derivante     dalla
sottoscrizione da parte dell'Italia della «Convenzione del  Consiglio
d'Europa per la protezione degli animali da compagnia»,  approvata  a
Strasburgo il 13 novembre 1987. 
    In   particolare,   l'articolo   4   del   richiamato    Accordo,
integralmente recepito dal decreto del Presidente del  Consiglio  dei
ministri in  questione,  prevede  che  le  regioni  si  impegnino  ad
adottare misure dirette a ridurre il fenomeno del randagismo mediante
«l'introduzione  del  microchip,  come  unico  sistema  ufficiale  di
identificazione dei cani, a decorrere dal 1° gennaio 2005». 
    Inoltre, tale decreto del Presidente del Consiglio dei  ministri,
nel richiamare il citato accordo, prevede, all'articolo 1,  comma  2,
l'impegno, da parte del Governo e  delle  regioni,  ciascuno  per  la
parte  di  propria  competenza,  ad  adottare  misure  in  grado   di
identificare gli animali mediante l'utilizzo di appositi microchips. 
    La disposizione di cui all'articolo 211 della legge regionale  in
esame, pertanto, prevedendo il sistema del tatuaggio come  codice  di
riconoscimento dei cani, in luogo del  microchip,  contrasta  con  il
richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  del  28
febbraio 2003 e disattende  l'obbligo  internazionale  posto  a  base
dell'Accordo Stato Regioni del  6  febbraio  2003  e  del  richiamato
decreto del Presidente del Consiglio dei  ministri  del  28  febbraio
2003,  in  violazione  dell'articolo  117,  primo   comma   ,   della
Costituzione, che vincola al rispetto degli  obblighi  internazionali
anche l'esercizio della potesta' legislativa delle Regioni. 
    La disposizione regionale in esame viola,  altresi',  i  principi
fondamentali della legislazione statale in materia  di  tutela  della
salute (nella specie, della sanita' animale) di cui all'articolo 117,
terzo comma, della Costituzione. 
    6) l'articolo 215  della  legge  regionale  in  esame,  rubricato
«randagismo», al comma 3 stabilisce che  i  cani  vaganti  catturati,
regolarmente tatuati, devono essere restituiti  al  proprietario;  il
comma 5 del medesimo articolo prevede l'obbligo di  tatuaggio  per  i
cani vaganti privi di tale contrassegno. 
    Tali disposizioni risultano in contrasto con il predetto  decreto
del Presidente del Consiglio  dei  ministri  28  febbraio  2003,  che
recepisce l'Accordo recante  disposizioni  in  materia  di  benessere
degli animali da compagnia  e  pet-therapy,  stipulato  nella  seduta
della Conferenza Stato-Regioni del 6 febbraio  2003,  in  adempimento
dell'obbligo internazionale derivante dalla sottoscrizione  da  parte
dell'Italia  della  «Convenzione  del  Consiglio  d'Europa   per   la
protezione degli animali da compagnia», approvata a Strasburgo il  13
novembre 1987. 
    In   particolare,   l'articolo   4   del   richiamato    Accordo,
integralmente recepito dal decreto del Presidente del  Consiglio  dei
ministri in  questione,  prevede  che  le  regioni  si  impegnino  ad
adottare misure dirette a ridurre il fenomeno del randagismo mediante
«l'introduzione  del  microchip,  come  unico  sistema  ufficiale  di
identificazione dei cani, a decorrere dal 1° gennaio 2005». 
    Inoltre, tale decreto del Presidente del Consiglio dei  ministri,
nel richiamare il citato accordo, prevede, all'articolo 1,  comma  2,
l'impegno, da parte del Governo e  delle  regioni,  ciascuno  per  la
parte  di  propria  competenza,  ad  adottare  misure  in  grado   di
identificare gli animali mediante l'utilizzo di appositi microchips. 
    L'art .  215  della  legge  regionale  in  esame,  pertanto,  nel
prevedere  l'obbligo  del  tatuaggio  dei  cani   randagi,   anziche'
l'obbligo del microchip, contrasta  con  il  richiamato  decreto  del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  del  28  febbraio  2003  e
disattende l'obbligo internazionale posto a base  dell'Accordo  Stato
Regioni del  6  febbraio  2003  e  del  decreto  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  del  28  febbraio   2003,   in   violazione
dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione,  che  vincola  al
rispetto  degli  obblighi  internazionali  anche  l'esercizio   della
potesta' legislativa delle Regioni. 
    La disposizione regionale in esame viola,  altresi',  i  principi
fondamentali della legislazione statale in materia  di  tutela  della
salute (nella specie, della sanita' animale) di cui all'articolo 117,
terzo comma, della Costituzione. 
        7) l'articolo 219, comma 2, della legge  regionale  in  esame
che disciplina le sanzioni per l'omesso tatuaggio (e non per l'omesso
impianto microchip), risulta in contrasto con il citato  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri 28 febbraio 2003, che recepisce
l'Accordo recante disposizioni in materia di benessere degli  animali
da compagnia e pet-therapy, stipulato nella seduta  della  Conferenza
Stato-Regioni  del  6  febbraio  2003,  in  adempimento  dell'obbligo
internazionale derivante dalla sottoscrizione  da  parte  dell'Italia
della «Convenzione del Consiglio d'Europa  per  la  protezione  degli
animali da compagnia», approvata a Strasburgo il 13 novembre 1987. 
    In   particolare,   l'articolo   4   del   richiamato    Accordo,
integralmente recepito dal decreto del Presidente del  Consiglio  dei
ministri in  questione,  prevede  che  le  regioni  si  impegnino  ad
adottare misure dirette a ridurre il fenomeno del randagismo mediante
«l'introduzione  del  microchip,  come  unico  sistema  ufficiale  di
identificazione dei cani, a decorrere dal 1° gennaio 2005». 
    Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28  febbraio
2003,  infatti,  nel   richiamare   il   citato   accordo,   prevede,
all'articolo 1, comma 2, l'impegno, da  parte  del  Governo  e  delle
regioni, ciascuno per la parte di  propria  competenza,  ad  adottare
misure in grado di identificare gli animali  mediante  l'utilizzo  di
appositi microchips. 
    La disposizione di cui all'articolo 219,  comma  2,  della  legge
regionale in esame, pertanto, prevedendo  l'irrogazione  di  sanzioni
solo per  l'omesso  tatuaggio  e  non  anche  per  l'omesso  impianto
microchip, contrasta con  il  suddetto  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2003  e  disattende  l'obbligo
internazionale posto a base dell'Accordo Stato Regioni del 6 febbraio
2003 e del  richiamato  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri del 28 febbraio 2003, in violazione dell'articolo 117, primo
comma, della Costituzione, che vincola  al  rispetto  degli  obblighi
internazionali anche l'esercizio  della  potesta'  legislativa  delle
Regioni. 
    La disposizione regionale in esame viola,  altresi',  i  principi
fondamentali della legislazione statale in materia  di  tutela  della
salute (nella specie, della sanita' animale) di cui all'articolo 117,
terzo comma, della Costituzione. 
        8) L'articolo 225 della legge regionale citata, al  comma  1,
stabilisce  che  «Il  medico  veterinario  che  nell'esercizio  delle
proprie attivita' accerti in qualsiasi modo, anche senza l'ausilio di
analisi strumentali, l'avvelenamento di specie  animale  domestica  o
selvatica,  e'  tenuto  -  utilizzando  apposita  scheda  -  a  darne
comunicazione  entro  ventiquattro  ore  alla  polizia   provinciale,
all'Azienda USL competente per territorio e  al  Sindaco  del  Comune
dove e' stato rinvenuto l'animale». 
    Tale  disposizione  regionale  contrasta  con   l'ordinanza   del
Ministero della salute 10 febbraio 2012, recante «Norme  sul  divieto
di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi  avvelenati».  Tale
ordinanza, che e' espressione dei principi fondamentali in materia di
tutela della salute, introdotti dal d.lgs. n. 174/2000, in attuazione
della direttiva 98/8/CE in materia immissione sul mercato di biocidi,
all'art. 2, comma 1, prevede che «il medico  veterinario  che,  sulla
base di una sintomatologia conclamata, emette  diagnosi  di  sospetto
avvelenamento  di  un  esemplare  di  specie  animale   domestica   o
selvatica, ne da' immediata comunicazione al sindaco  e  al  Servizio
veterinario   dell'azienda    sanitaria    locale    territorialmente
competente». In base a tale disposizione, dunque, la comunicazione al
sindaco e  al  Servizio  veterinario  dell'azienda  sanitaria  locale
territorialmente  competente  deve  essere  effettuata   dal   medico
veterinario anche sulla base del mero  «sospetto  di  avvelenamento»,
sulla base dei  una  sintomatologia  conclamata,  e  cio'  per  ovvie
ragioni di precauzione a tutela  della  salute.  Pertanto  l'articolo
225, comma 1, della legge regionale in esame, nel  prevedere  che  la
comunicazione deve essere effettuata  dal  medico  solo  in  caso  di
«accertato avvelenamento»  contrasta  con  la  predetta  disposizione
statale che obbliga il medico veterinario a segnalare anche i casi di
mero sospetto di avvelenamento, e viola l'articolo 117, terzo  comma,
della Costituzione, in materia di tutela della salute. 
        9) L'articolo 239 della legge regionale in esame, nel dettare
norme inerenti le farmacie, prevede che  «la  pianta  organica  delle
farmacie e' approvata dall'Assemblea Legislativa  su  proposta  della
Giunta  regionale,  nel  rispetto  dei  parametri  individuati  dalla
normativa nazionale». 
    Al  riguardo,  occorre  evidenziare  che  il   quadro   normativo
nazionale in materia di potenziamento del servizio  di  distribuzione
farmaceutica e di accesso alla titolarita' delle farmacie, demanda ai
Comuni, e non gia' alla regione, la competenza ad istituire le  nuove
sedi farmaceutiche. 
    In  particolare,  l'articolo  11,  comma  1,   lettera   c)   del
decreto-legge n.1/2012 nel modificare l'articolo  2  della  legge  n.
475/1968, stabilisce che «[...] Ogni comune deve avere un  numero  di
farmacie in rapporto a quanto disposto dall'articolo l  [della  legge
n. 475/1968 ai sensi del quale "Il  numero  delle  autorizzazioni  e'
stabilito in modo che vi sia una farmacia ogni 3.300 abitanti" (comma
2)]. Al fine di assicurare una maggiore  accessibilita'  al  servizio
farmaceutico, il  comune,  sentiti  l'azienda  sanitaria  e  l'Ordine
provinciale dei farmacisti competente per territorio,  identifica  le
zone nelle quali collocare le nuove farmacie, al fine  di  assicurare
un'equa  distribuzione  sul  territorio,   tenendo   altresi'   conto
dell'esigenza di garantire l'accessibilita' del servizio farmaceutico
anche a quei cittadini residenti in  aree  scarsamente  abitate".  Il
comma 2 del medesimo articolo 11 aggiunge che "Ciascun comune,  sulla
base dei dati ISTAT sulla popolazione residente al 31 dicembre 2010 e
dei  parametri  di  cui  al  comma  1,  individua   le   nuove   sedi
farmaceutiche disponibili nel proprio territorio e invia i dati  alla
regione entro e non oltre trenta giorni  dalla  data  di  entrata  in
vigore della legge di conversione del presente decreto». 
    Ne deriva che, ferma  restando  una  peculiare  competenza  delle
regioni o  delle  provincie  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  ad
assicurare  l'espletamento  del  concorso  straordinario  finalizzato
all'assegnazione  delle   sedi   farmaceutiche   disponibili,   viene
espressamente attribuita ai Comuni la competenza ad individuare dette
sedi. Cio' trova  ulteriore  conferma  nel  successivo  comma  9  del
richiamato articolo 11, il quale espressamente prevede  che  «Qualora
il comune non provveda a comunicare alla  regione  o  alla  provincia
autonoma di Trento e di Bolzano  l'individuazione  delle  nuove  sedi
disponibili entro il termine di cui al comma 2 del presente articolo,
la regione provvede con proprio atto a tale  individuazione  entro  i
successivi sessanta giorni». 
    Dal tenore  letterale  di  quest'ultima  disposizione  si  evince
manifestamente   che   una   possibile   competenza   della   regione
all'individuazione delle  sedi  farmaceutiche  riveste  un  carattere
eccezionale che si giustifica solo innanzi ad una  eventuale  inerzia
da parte del comune, contrariamente a quanto  espressamente  previsto
all'articolo 239 della legge regionale citata. 
    Pertanto l'art. 239 della legge regionale in esame, nel  derogare
alle richiamate norme statali (art. 11 del decreto-legge n. 1/2012  e
articolo 1 della  legge  n.  475/1968)  che  affidano  ai  comuni  le
predette funzioni amministrative, volte ad  assicurare  una  maggiore
accessibilita' al servizio farmaceutico, anche da parte dei cittadini
residenti in aree scarsamente abitate, nonche'  a  garantire  un'equa
distribuzione sul territorio delle sedi farmaceutiche,  viola  l'art.
117, terzo comma, della Costituzione,  in  materia  di  tutela  della
salute. 
    Per  tali  motivi  viene  proposto  il  presente  ricorso,   come
deliberato dal Consiglio dei Ministri in data 11 giugno 2015. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si conclude pertanto affinche'  sia  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale nei sensi sopra  esposti  della  legge  della  Regione
Umbria n. 11 del 9 aprile 2015, pubblicata nel B.U.R. n.  21  del  15
aprile 2015. 
        Roma, 12 giugno 2015 
 
              Avvocato dello Stato: Enrico De Giovanni