N. 7 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 17 luglio 2015

Ricorso per conflitto tra enti depositato in cancelleria il 17 luglio
2015 (della Regione Puglia). 
 
Energia - Decreto del Ministro dello sviluppo economico recante norme
  di attuazione dell'art. 38 del  decreto-legge  n.  33  del  2014  -
  Procedimento per il conferimento del titolo concessorio unico  alle
  attivita' di  ricerca  e  coltivazione  di  idrocarburi  liquidi  e
  gassosi sulla terraferma - Previsione della necessita' di acquisire
  l'intesa con la Regione nella sede della conferenza  di  servizi  -
  Previsione, nel caso di mancato raggiungimento  dell'intesa,  della
  applicabilita' dei meccanismi di cui all'art. 1, comma 8-bis, della
  legge n. 239 del 2004 e all'art. 14-quater, comma 3, della legge n.
  241 del 1990 - Ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla
  Regione Puglia - Denunciata attribuzione della decisione finale  ad
  un atto unilaterale dello Stato in contrasto con  il  "contesto  di
  paritarieta'"  richiesto  dalla  giurisprudenza  costituzionale   -
  Lesione  delle  competenze  legislative  regionali  nella   materia
  concorrente della produzione, trasporto e  distribuzione  nazionale
  dell'energia - Lesione delle  competenze  amministrative  regionali
  spettanti alla Regione in base al  principio  di  sussidiarieta'  -
  Denunciata introduzione di norme  di  rango  regolamentare  per  la
  disciplina delle procedure di superamento della  mancata  intesa  -
  Violazione del principio di legalita',  secondo  quanto  precisato,
  con riguardo alla chiamata in sussidiarieta' dalla sentenza n.  303
  del 2003 della Corte costituzionale - Istanza di sospensione. 
- Decreto del Ministro dello sviluppo economico 25 marzo 2015,  artt.
  3, comma 12, e 17, comma 1. 
- Costituzione, artt. 97, comma secondo, 117,  comma  terzo,  e  118,
  commi primo e secondo; decreto-legge 12  settembre  2014,  n.  133,
  convertito, con modificazioni, dalla legge  11  novembre  2014,  n.
  164, art. 38, comma 6, lett. a) e b); legge 7 agosto 1990, n.  241,
  art. 14-quater. 
(GU n.35 del 2-9-2015 )
    Ricorso per conflitto di attribuzione della  Regione  Puglia,  in
persona del Presidente  pro  tempore  della  Giunta  regionale  dott.
Nicola Vendola, a cio' autorizzato  con  deliberazione  della  Giunta
regionale  n.  1492  del  25  giugno  2015,  rappresentato  e  difeso
dall'avv.  prof.  Marcello  Cecchetti  del  Foro  di  Firenze   (pec:
marcellocecchetti@pec.ordineavvocatifirenze.it)   ed    elettivamente
domiciliato presso lo studio di quest'ultimo  in  Roma,  Via  Antonio
Mordini n. 14, come da, mandato a margine del presente atto; 
    Contro lo Stato, in persona  del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri pro tempore, per la dichiarazione che non spetta allo Stato,
e per esso  al  Ministro  dello  sviluppo  economico,  il  potere  di
adottare gli articoli 3, comma 12, e 17, comma  1,  del  decreto  del
Ministro dello sviluppo economico 25 marzo  2015  (Aggiornamento  del
disciplinare tipo in attuazione dell'art.  38  del  decreto-legge  12
settembre 2014, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge  11
novembre 2014, n. 164), pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica italiana, serie generale, n. 103 del  6  maggio  2015,  in
quanto contrastanti con gli articoli 117, terzo comma, e 118, primo e
secondo comma, della Costituzione, nonche' con quanto affermato dalla
giurisprudenza costituzionale a partire dalla  sentenza  n.  303  del
2003. 
I. - Premessa. Il quadro normativo in cui si inserisce il decreto del
Ministro dello sviluppo economico 25 marzo 2015 e il contenuto  delle
disposizioni impugnate. 
    I.1. - Il decreto indicato in epigrafe contiene - per quel che e'
qui di piu' prossimo  interesse  -  una  normativa  di  attuazione  e
sviluppo di quanto disposto dall'art. 38 del d.l. n.  133  del  2014,
convertito, con modificazioni, ad opera della legge n. 164 del  2014,
in tema di procedimento per il rilascio del titolo concessorio  unico
alle attivita' di ricerca e coltivazione  di  idrocarburi  liquidi  e
gassosi sulla terraferma, ed in particolare dei suoi commi 5 e 6. 
    I.2. - L'art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133  del  2014,  cosi'
come risultante a seguito dell'entrata in vigore della legge  n.  190
del 2014, prevede che il Ministro dello sviluppo  economico,  sentito
il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e  del  mare,
predisponga un Piano delle aree in cui sono consentite  le  attivita'
di prospezione, ricerca e coltivazione di  idrocarburi  e  quelle  di
stoccaggio sotterraneo di gas naturale, e  che  tale  Piano,  per  le
attivita' sulla  terraferma,  sia  «adottato  previa  intesa  con  la
Conferenza unificata», disponendosi altresi' che «in caso di  mancato
raggiungimento dell'intesa, si  provvede  con  le  modalita'  di  cui
all'articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239». 
    I.3. - Tale previsione e' stata impugnata  dalla  Regione  Puglia
con ricorso a questa Ecc.ma Corte  costituzionale  iscritto  al  Reg.
ric. n. 40 del 2015 e pubblicato in G.U. n. 17 del  29  aprile  2015,
per violazione degli articoli 117, terzo comma, e 118,  primo  comma,
Cost., nella parte in cui, attribuendo  al  Ministro  dello  sviluppo
economico il compito di predispone il suddetto Piano, prevede,  quale
strumento  collaborativo,  una  previa  intesa  con   la   Conferenza
unificata - per di piu' per le  sole  attivita'  sulla  terraferma  -
anziche' la necessaria acquisizione dell'intesa con ciascuna  Regione
territorialmente interessata ad ogni  attivita',  anche  destinata  a
svolgersi  nel  mare  continentale,  a  causa  della  lesione   delle
competenze legislative regionali in materia di «produzione, trasporto
e  distribuzione  nazionale   dell'energia»   e   di   «governo   del
territorio»,  nonche'  delle  competenze  amministrative   che   alla
medesima spettano in base al principio di sussidiarieta' ex art. 118,
primo comma, Cost. 
    I contenuti e le ragioni di tale censura possono essere in questa
sede sommariamente richiamati. 
    Versandosi nel caso di specie nelle  materie  della  «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e del «governo  del
territorio», e' sufficiente ricordare che la ben nota  sent.  n.  303
del 2003 di questa ecc.ma Corte - seguita dall'altrettanto conosciuta
sent. n. 6 del 2004 e da numerose pronunce successive -  ha  chiarito
che la legge statale che intervenga ad  avocare  al  centro  funzioni
amministrative in  materie  di  competenza  legislativa  concorrente,
provvedendo anche a  regolarne  l'esercizio,  deve,  per  aspirare  a
superare  il  vaglio  di   legittimita'   costituzionale,   prevedere
necessariamente l'intesa  con  la  singola  Regione  interessata  dal
singolo intervento,  non  essendo  al  riguardo  sufficienti  diversi
meccanismi collaborativi con  la  singola  Regione  o  anche  con  il
sistema delle Regioni considerato unitariamente. 
    La disposizione legislativa impugnata in quella sede, quindi,  si
pone in contrasto con l'art. 117, terzo  comma,  e  con  l'art.  118,
primo comma, Cost., nella parte in cui prevede una previa intesa  con
la  Conferenza  unificata,  anziche'   la   necessaria   acquisizione
dell'intesa con ciascuna  delle  Regioni  specificamente  interessate
dalle  «attivita'  di  prospezione,   ricerca   e   coltivazione   di
idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale». 
    I.4. - La medesima disposizione e' stata censurata dalla  odierna
ricorrente anche per una seconda ragione. 
    Come sopra ricordato, l'art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del
2004, nel testo sostituito dall'art. 1, comma 554, della legge n. 190
del 2014, ha inoltre previsto  che  nel  caso  in  cui  l'intesa  (in
Conferenza unificata)  non  venga  raggiunta,  «si  provvede  con  le
modalita' di cui all'articolo 1, comma 8-bis, della legge  23  agosto
2004, n. 239». La  procedura  di  superamento  della  mancata  intesa
predisposta da tale  norma,  tuttavia,  limitandosi  a  prevedere  un
ulteriore invito a provvedere entro trenta giorni, e - in fine  -  il
semplice deferimento della decisione ad  un  atto  unilaterale  della
Presidenza del Consiglio dei ministri, con la  mera  "partecipazione"
della  Regione  interessata,  non  rispetta  i  criteri  forniti   al
legislatore  statale  dalla   giurisprudenza   costituzionale   sopra
richiamata. Alla medesima si puo' infatti fare  ricorso,  secondo  la
sent. n. 239 del 2013 di  questa  ecc.ma  Corte,  solo  a  fronte  di
«condotte meramente  passive»  della  Regione,  e  non  per  superare
autentiche divergenze tra le parti. Anche la previsione in parola  e'
stata dunque impugnata dalla  Regione  Puglia,  in  ragione  del  suo
contrasto con gli ara. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. 
    I.5. - A loro volta, i commi 5 e 6 dell'art. 38 del d.l.  n.  133
del 2014, che il decreto qui in  discussione  intende  specificamente
attuare, prevedono quanto segue. 
    Ai sensi del comma 5, «le attivita' di ricerca e coltivazione  di
idrocarburi liquidi  e  gassosi  (...)  sono  svolte  a  seguito  del
rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di  un  programma
generale di lavori articolato in una prima fase di  ricerca,  per  la
durata di sei anni, prorogabile due volte per un periodo di tre  anni
nel caso sia  necessario  completare  le  opere  di  ricerca,  a  cui
seguono, in caso di rinvenimento di  un  giacimento  tecnicamente  ed
economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo
economico, la fase di  coltivazione  della  durata  di  trenta  anni,
prorogabile per una o piu' volte per un periodo  di  dieci  anni  ove
siano  stati  adempiuti  gli  obblighi  derivanti  dal   decreto   di
concessione e il giacimento risulti ancora coltivabile, e  quella  di
ripristino finale». In base al comma 6, invece, il menzionato  titolo
concessorio unico viene accordato «a seguito di un procedimento unico
svolto nel termine di centottanta giorni tramite apposita  conferenza
di servizi, nel cui ambito e' svolta anche la valutazione  ambientale
preliminare del programma  complessivo  dei  lavori  espressa,  entro
sessanta giorni, con parere della  Commissione  tecnica  di  verifica
dell'impatto ambientale VIA/VAS del Ministero dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare» (lett. a), con decreto ministeriale
e «previa intesa con la regione o la provincia autonoma di  Trento  o
di Bolzano territorialmente interessata, per le attivita' da svolgere
in terraferma» (lett. b). 
    In  considerazione  dell'appena  menzionata  previsione  di   una
"intesa  forte"  con  la  singola  Regione   o   Provincia   autonoma
interessata, l'odierna ricorrente - in sede di impugnazione dell'art.
38 del d.l. n. 133 del 2014 (nel testo risultante  dalla  conversione
in legge), proposta con altro ricorso iscritto al n. 5 del Reg.  ric.
2015 - non ha ritenuto di dover proporre alcuna censura nei confronti
del procedimento di rilascio del titolo  concessorio  unico  riferito
alle  attivita'  di  ricerca  e  coltivazione  di  idrocarburi  sulla
terraferma, ritenendolo pienamente conforme alle indicazioni  fornite
dalla  giurisprudenza  costituzionale  concernente  l'avocazione   in
sussidiarieta'  di  funzioni  in  ambiti  afferenti  a   materie   di
competenza concorrente. 
    I.6. - In attuazione delle  specifiche  disposizioni  legislative
appena richiamate sono stati adottati gli articoli 3, comma 12, e 17,
comma 1, del decreto del Ministro dello sviluppo economico  25  marzo
2015 indicato in epigrafe, i quali pero' mutano significativamente il
quadro normativo della disciplina del procedimento in  questione,  in
detrimento  della  posizione  costituzionale  della   Regione.   Tali
disposizioni prevedono quanto segue. 
    L'art. 3, comma 12, del  decreto  dispone  che  «il  procedimento
unico per il conferimento del titolo concessorio unico e' svolto  nel
termine di 180 giorni, tramite apposita conferenza  di  servizi,  nel
cui ambito  e'  svolta  la  valutazione  ambientale  preliminare  del
programma lavori complessivo espressa,  entro  sessanta  giorni,  con
parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto  ambientale
VIA/VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del  territorio  e
del mare e il rilascio dell'intesa di cui al comma 6». Tale intesa e'
- per l'appunto - quella della singola Regione o  Provincia  autonoma
territorialmente interessata  dal  rilascio  del  titolo  concessorio
unico prevista dall'art. 38, comma 6, lett. b), del d.l. n.  133  del
2014, e richiamata dal menzionato comma 6 dell'art. 3 del decreto  in
esame. 
    In base all'art. 17, comma 1,  di  tale  decreto,  inoltre,  «nei
procedimenti del presente decreto in cui e' richiesta l'intesa con le
Regioni, in caso di mancato raggiungimento della stessa, si  provvede
con le modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis della legge 23 agosto
2004, n. 239, nonche' con le modalita'  di  cui  all'art.  14-quater,
comma 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241». 
    Tali previsioni devono ritenersi costituzionalmente illegittime e
lesive della posizione costituzionale della Regione  -  e,  pertanto,
non spettanti al potere normativo dello Stato - per i seguenti motivi
di 
 
                               Diritto 
 
II. - Sull'ammissibilita' del presente conflitto. 
    II.1 - In generale. 
    Come e' noto, nella sede del conflitto  di  attribuzione  davanti
alla Corte costituzionale non  possono  essere  invocati  profili  di
vulnerazione delle competenze regionali che si atteggino  quali  mere
attuazioni, prive di  autonoma  attitudine  lesiva,  di  quanto  gia'
previsto dalla legge nella quale l'atto in  esame  trovi  il  proprio
fondamento di legittimita'. 
    Certamente, dunque, non possono essere proposte  in  questa  sede
ne' censure corrispondenti a quelle gia' individuate e  fatte  valere
nell'ambito del giudizio in via principale proposto avverso la  sopra
citata disposizione del d.l. n. 133 del  2014,  ne',  in  ogni  caso,
lesioni derivanti da previsioni del decreto indicato in epigrafe  non
contenenti  autentici  margini   di   innovativita'   rispetto   alle
previsioni  legislative  corrispondenti.  Possono  viceversa   essere
denunciate  soltanto  quelle  parti  del  sopra  citato  decreto  che
rappresentino un novum rispetto alle disposizioni legislative di  cui
costituiscono attuazione, ossia nella misura in cui, limitatamente  a
tale novum, siano in grado di determinare  una  lesione  della  sfera
competenziale di livello costituzionale  della  Regione  che  risulti
ulteriore e autonoma rispetto alle predette disposizioni legislative. 
    II.2.  -  Il  novum  delle  impugnate  disposizioni  del  decreto
ministeriale 25 marzo  2015  rispetto  alle  previsioni  legislative.
Dalla lettura degli articoli 3,  comma  12,  e  17,  comma  1,  sopra
richiamati,  risulta  chiaramente  che  il  quid   novi   determinato
nell'ordinamento dall'approvazione del decreto in esame  puo'  essere
indicato - per quel  che  qui  specificamente  interessa  -  nei  due
seguenti aspetti: 
    a) la  previsione  secondo  la  quale  l'intesa  della  specifica
Regione o Provincia autonoma territorialmente interessata deve essere
assunta nella sede della conferenza di servizi; 
    b)  la  previsione  secondo  la  quale,  nel  caso   di   mancato
raggiungimento di tale intesa, per superare la situazione  di  stallo
siano applicabili i meccanismi previsti  dall'art.  1,  comma  8-bis,
della legge 23 agosto 2004, n. 239, e dall'art. 14-quater,  comma  3,
della legge 7 agosto 1990, n. 241. 
    Che l'intesa prescritta dall'art. 38, comma 6, lett. b), del d.l.
n. 133 del 2014 debba necessariamente  essere  acquisita  nella  sede
della conferenza di servizi di  cui  alla  precedente  lett.  a)  del
medesimo comma 6, evidentemente, non rientra nel contenuto precettivo
delle disposizioni legislative appena  menzionate,  le  quali,  anzi,
prescrivono chiaramente che all'interlocuzione con la  Regione  debba
essere data autonoma evidenza,  dovendo  quest'ultima  intervenire  a
valle dello svolgimento della conferenza di servizi e a  ridosso  del
decreto ministeriale di rilascio del titolo concessorio.  Tanto  meno
vi rientra, ovviamente, la prescrizione secondo la quale in  caso  di
dissenso con la Regione  espresso  nella  predetta  conferenza  debba
applicarsi la procedura di cui all'art. 14-quater della legge n.  241
del 1990. Come accennato piu' sopra, l'odierna ricorrente  non  aveva
ritenuto di dover proporre alcuna censura - sotto i predetti  profili
- nei confronti dei commi 5 e 6 dell'art. 38  del  d.l.  n.  133  del
2014,  ritenendo   tali   disposizioni   rispettose   delle   proprie
prerogative costituzionali con riferimento al rilascio dei titoli per
le attivita' di ricerca e coltivazione sulla terraferma (cfr. il gia'
richiamato ricorso  n.  5  del  2015,  censura  n.  IX).  Le  novita'
introdotte dalle citate norme del decreto  ministeriale  in  epigrafe
determinano invece, come si mostrera' di seguito,  chiare  lesioni  a
tali prerogative. Da qui l'ammissibilita' delle censure,  di  seguito
esposte, nei confronti degli articoli 3, comma 12, e 17, comma 1,  di
tale decreto. 
III. - Sulla illegittimita' costituzionale degli  articoli  3,  comma
12, e 17, comma 1, del decreto del Ministro dello sviluppo  economico
25 marzo 2015. 
    III.1. - Illegittimita' costituzionale degli  articoli  3,  comma
12, e 17, comma 1, del decreto del Ministro dello sviluppo  economico
25 marzo 2015 (Aggiornamento  del  disciplinare  tipo  in  attuazione
dell'art. 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 33,  convertito,
con modificazioni,  dalla  legge  11  novembre  2014,  n.  164),  per
violazione degli articoli 117, terzo comma, e 118,  primo  e  secondo
comma, Cost.,  in  quanto,  prevedendo  la  necessita'  di  acquisire
l'intesa con la Regione per il rilascio del titolo concessorio  unico
in conferenza di servizi, assieme alla possibilita'  di  superare  il
suo mancato raggiungimento «con le modalita' di cui  all'articolo  1,
comma 8-bis, della legge 23 agosto  2004,  n.  239,  nonche'  con  le
modalita' di cui all'articolo  14-quater,  comma  3,  della  legge  7
agosto 1990, n. 241», ledono le competenze legislative della  Regione
in  materia  di  «produzione,  trasporto  e  distribuzione  nazionale
dell'energia» e di «governo del territorio»,  nonche'  le  competenze
amministrative che alla medesima spettano in  base  al  principio  di
sussidiarieta'  ex  art.  118,  primo  comma,  Cost.,  ponendosi   in
contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale  a
partire dalla sent. n. 303 del 2003. Violazione dell'art.  38,  comma
6, lettere a) e b), del d.l. n. 133 del  2014.  Violazione  dell'art.
14-quater della legge n. 241 del 1990. 
    Non spettanza allo Stato del potere  di  adottare  le  menzionate
disposizioni. 
    III.1.1. - Come si e' visto, l'art. 3, comma 12, del decreto  del
Ministro per lo sviluppo economico che qui si  contesta  prevede  che
l'intesa della singola Regione o Provincia autonoma  interessata  dal
titolo concessorio unico prevista dall'art. 38, comma  6,  lett.  b),
del d.l. n. 133  del  2014,  e  richiamata  dal  menzionato  comma  6
dell'art. 3 del decreto in esame, venga rilasciata nella  sede  della
conferenza di servizi,  mentre  l'art.  17,  comma  1,  del  medesimo
decreto dispone che, in caso di' mancato raggiungimento  dell'intesa,
debbano essere attivate le procedure di cui all'art. 1, comma  8-bis,
della legge n. 239 del 2004 e del  gia'  menzionato  art.  14-quater,
comma 3, della legge n. 241 del 1990. 
    Ambedue tali  previsioni  sono  -  innanzi  tutto  -  ictu  oculi
illegittime, per contrasto evidente con le norme legislative  che  ne
costituiscono il fondamento. Tale illegittimita',  peraltro,  ridonda
anche in una lesione  della  posizione  costituzionalmente  garantita
della Regione, ed in una illegittimita' costituzionale delle medesime
previsioni, come tale rilevante nella sede del presente giudizio  per
conflitto di attribuzione tra enti. 
    III.1.2. - Come risulta  chiaramente  da  quanto  osservato  piu'
sopra, l'art. 38, comma 6, del d.l. n. 133 del  2014  stabilisce,  ai
fini del rilascio del titolo concessorio unico per  le  attivita'  di
ricerca  e  coltivazione  di  idrocarburi  liquidi  e  gassosi  sulla
terraferma, la necessarieta'  dell'acquisizione  dell'intesa  con  la
Regione interessata, senza prevedere alcun  possibile  meccanismo  di
superamento  della  mancata  intesa,   a   tutela   della   posizione
costituzionale della Regione. Al contrario, la citata  previsione  di
cui all'art. 3, comma 12, del decreto indicato in  epigrafe  comporta
"in automatico" l'applicabilita' della disciplina che la legge n. 241
del 1990 detta, in via generale, per la conferenza di servizi ai suoi
artt. 14 e ss. In particolare, per quel che qui  piu'  specificamente
interessa,  comporta  l'applicabilita'  al  caso  de  quo   dell'art.
14-quater   della   medesima   legge   generale   sul    procedimento
amministrativo. 
    Tale disposizione, come e' noto, prevede, per il caso di motivato
dissenso espresso nella sede della conferenza «da una  regione  o  da
una provincia autonoma in una delle materie di  propria  competenza»,
un procedimento nel cui ambito sono necessarie articolate trattative,
destinato  tuttavia  a  concludersi,  nel  caso  di  permanenza   del
dissenso, con una  «deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri»  da
adottare «con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o  delle
Province autonome interessate». 
    E'  dunque  evidente  che,   nonostante   l'attenzione   prestata
dall'art. 14-quater alla collaborazione con la  Regione  interessata,
l'art. 3, comma 12, del d.m. in questione rinvia,  implicitamente  ma
chiaramente, alla  possibilita'  di  un  superamento  sostanzialmente
unilaterale della mancata  intesa.  Cio'  in  palese  violazione  del
disposto, piu' sopra citato, dell'art. 38, comma 6, del d.l.  n.  133
del  2014,  nel  cui  contesto  la   mancanza   dell'intesa   risulta
chiaramente non superabile. 
    Tale illegittimita' "ordinaria", tuttavia, comporta evidentemente
anche  una  illegittimita'  costituzionale  della   disposizione   in
questione, con conseguente  lesione  della  posizione  costituzionale
della Regione, innanzi tutto per violazione degli articoli 117, comma
terzo, e 118, commi primo e secondo, Cost., cosi'  come  interpretati
da questa ecc.ma Corte a partire dalla ben  nota  sent.  n.  303  del
2003. 
    III.1.3. - Per illustrare tale censura conviene prendere le mosse
dalla individuazione delle materie sulle quali intervengono le  norme
prese in esame. Esse, disciplinando il procedimento di  rilascio  del
titolo concessorio unico per le attivita' di ricerca  e  coltivazione
di  idrocarburi  liquidi  e  gassosi  sulla   terraferma,   rientrano
chiaramente  nelle   materie   della   «produzione,   tra   porto   e
distribuzione nazionale dell'energia» e del «governo del territorio»,
affidate  dall'art.  117,  terzo  comma,   Cost.,   alla   competenza
legislativa concorrente tra Stato e Regioni. 
    Come e' ampiamente noto, la sent. n. 303 del 2003 e la successiva
sent. n. 6 del 2004  di  questa  ecc.ma  Corte  hanno  affermato  che
condizione imprescindibile di legittimita' costituzionale della legge
statale che intervenga ad avocare al centro  funzioni  amministrative
in materie di competenza legislativa concorrente, provvedendo anche a
regolarne l'esercizio, e' quella della previsione dell'intesa con  la
Regione  specificamente  interessata  dal  singolo   intervento.   In
attuazione di questo precetto costituzionale,  l'art.  38,  comma  6,
lett. b), del d.l. n. 133 del 2014 ha infatti previsto  che,  per  il
rilascio  del  titolo  concessorio  unico   sopra   menzionato,   sia
necessaria l'acquisizione di una tale intesa.  In  considerazione  di
cio', l'odierna ricorrente, che pure  -  come  gia'  ricordato  -  ha
contestato la legittimita' costituzionale di altre parti  del  citato
art. 38 nella sede del giudizio di legittimita' costituzionale in via
principale (Reg. ric. n. 5 del 2015), non  ha  ritenuto  di  proporre
censure avverso il comma 6 di tale disposizione sotto  tale  profilo,
limitandosi a contestare la mancata estensione  del  medesimo  regime
procedimentale  alle  attivita'  di   ricerca   e   coltivazione   di
idrocarburi da svolgersi nel mare continentale. 
    La possibilita' di superare la mancata acquisizione dell'intesa a
mezzo della procedura di cui all'art. 14-quater della  legge  n.  241
del 1990 - implicata, come si e' visto, dall'art. 3, comma 12, qui in
discussione - comporta invece la lesione dei parametri costituzionali
sopra richiamati. 
    Nella sent. n.  33  del  2011  questa  ecc.ma  Corte  ha  infatti
evidenziato -come gia' in alcuni casi precedenti (cfr. sentt. nn. 383
del  2005  e  278  del  2010)  -  che  il  legislatore  statale  puo'
predisporre meccanismi  di  superamento  del  mancato  raggiungimento
dell'intesa dovuto a divergenze  sostanziali  tra  le  parti.  Questa
stessa  Corte  ha  tuttavia  ritenuto  che  tali  meccanismi  possono
aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo ove
garantiscano lo svolgimento di reiterate trattative tra le  parti  in
un  generale  contesto  di  paritarieta'  tra  di  esse,  al   limite
devolvendo la decisione  ad  un  organo  terzo.  In  particolare,  la
normativa allora scrutinata e' stata ritenuta non contrastante con le
norme costituzionali rilevanti sul punto solo in quanto  predisponeva
«l'attivazione di un procedimento volto a consentire  lo  svolgimento
di ulteriori trattative attraverso la  costituzione  di  un  soggetto
terzo nominato dalle parti in modo paritario». 
    Ebbene, non vi e' chi non veda come i requisiti individuati dalla
giurisprudenza costituzionale perche'  i  meccanismi  di  superamento
dell'intesa   necessaria   nell'ambito   dell'istituto   della   c.d.
"sussidiarieta' legislativa" siano costituzionalmente  legittimi  non
ricorrono nel caso di specie. 
    Certamente, in base all'art. 14-quater della  legge  n.  241  del
1990, le Regioni che esprimono dissenso nella conferenza  di  servizi
devono essere coinvolte in un procedimento di  articolate  trattative
da parte dell'amministrazione statale. Tale coinvolgimento, tuttavia,
non e' affatto sufficiente a far si' che la disposizione de qua possa
passare indenne il  vaglio  di  legittimita'  costituzionale.  Appare
dirimente al riguardo la considerazione secondo la  quale  in  questo
caso, ove permangano le divergenze, la decisione e' infine attribuita
a un atto unilaterale dello Stato, adottato con una deliberazione del
Consiglio dei ministri, con la mera «partecipazione»  del  Presidente
dell'ente   regionale   (o   provinciale   speciale)   specificamente
interessato. In tale ipotesi, dunque, la previsione di una  procedura
di "superamento unilaterale" della mancata intesa  rappresenta  -  in
realta' - una vera e propria negazione della  medesima.  I  requisiti
richiesti dalla  giurisprudenza  costituzionale  (ed  in  particolare
dalla gia' citata sent. n. 33 del 2011) affinche' la disciplina volta
al  superamento  della   mancata   intesa   superi   il   vaglio   di
costituzionalita' non sono dunque rispettati, poiche'  l'attribuzione
della decisione finale a un atto unilaterale dello  Stato  rende  del
tutto inesistente quel "contesto di paritarieta'" richiesto  da  tale
giurisprudenza. In particolare, non vi e' chi non veda come la  norma
qui  contestata  predisponga  un  procedimento  per  nulla  «volto  a
consentire lo  svolgimento  di  ulteriori  trattative  attraverso  la
costituzione di un  soggetto  terzo  nominato  dalle  parti  in  modo
paritario», come invece richiede la sent. n. 33 del 2011. 
    III.1.4. - Come si accennava piu' sopra, anche l'art.  17,  comma
1,  del  decreto  in  epigrafe  e'  caratterizzato  da  una  evidente
illegittimita' "ordinaria" che  ridonda  in  una  sua  illegittimita'
costituzionale,   con    conseguente    lesione    della    posizione
costituzionale della Regione. Il menzionato  art.  17,  comma  1,  e'
strettamente legato al precedente art.  3,  comma  12,  approfondendo
peraltro le lesioni derivanti da tale ultima disposizione. Cio' per i
motivi di seguito illustrati. 
    L'art. 17, comma 1, del decreto qui contestato  prevede  che,  in
caso di mancata acquisizione dell'intesa della  Regione  o  Provincia
autonoma interessata dalla rilascio del titolo concessorio unico,  si
debba procedere «con le modalita' di cui all'articolo 1, comma 8-bis,
della legge 23 agosto 2004, n. 239, nonche' con le modalita'  di  cui
all'articolo 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241». 
    L'art. 1, comma 8-bis, della  legge  n.  239  del  2004,  d'altra
parte, cosi' dispone: «Fatte salve  le  disposizioni  in  materia  di
valutazione di impatto ambientale, nel caso di mancata espressione da
parte delle amministrazioni regionali degli  atti  di  assenso  o  di
intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui ai commi 7
e 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta  giorni
dalla richiesta nonche' nel caso di mancata  definizione  dell'intesa
di cui al comma 5 dell'articolo 52-quinquies del testo unico  di  cui
al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n.  327,  e
nei casi di cui all'articolo 3, comma 4, del decreto  legislativo  1°
giugno 2011, n. 93, il Ministero dello sviluppo economico  invita  le
medesime a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni.
In caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali
interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del
Consiglio  dei  Ministri,  la  quale,  entro  sessanta  giorni  dalla
rimessione, provvede in merito con la  partecipazione  della  regione
interessata». Come si vede, si tratta di un meccanismo di superamento
della mancata intesa caratterizzato da accenti di unilateralita'  ben
piu' forti di quello - comunque insoddisfacente dal  punto  di  vista
del diritto costituzionale, come piu'  sopra  evidenziato  -  di  cui
all'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990. 
    Ebbene, ove si ritenesse -  nonostante  le  considerazioni  sopra
esposte - che l'intesa di cui all'art. 38, comma 6, del d.l.  n.  133
del 2014, in base alla stessa disciplina  legislativa  in  questione,
debba essere acquisita nell'ambito della conferenza di servizi,  cio'
comporterebbe, per ogni caso di mancata acquisizione della  medesima,
l'applicazione  del  sopra  richiamato  art.  14-quater,  e  non   la
possibilita'  di  applicare  in  talune  circostanze  la  drastica  e
unilaterale procedura di cui all'art. 8-bis della legge  n.  239  del
2004. Da qui,  dunque,  l'illegittimita'  "ordinaria"  dell'art.  17,
comma 1, del decreto in epigrafe. 
    III.1.5. - Risulta evidente, peraltro,  che  tale  illegittimita'
"ordinaria"   ridonda   automaticamente   in    una    illegittimita'
costituzionale  della  disposizione  de  qua.  L'art.  17,  comma  1,
infatti, intervenendo  anch'esso  nelle  materie  della  «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e del «governo  del
territorio»,  affidate  dall'art.  117,  terzo  comma,   Cost.   alla
competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, approfondisce
la violazione  ai  parametri  costituzionali  piu'  sopra  richiamati
(artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma,  Cost.)  e  la
conseguente lesione alla posizione costituzionale della Regione. 
    La prima ragione che sostiene  questa  affermazione  e'  talmente
evidente che e' sufficiente, in questa sede, limitarsi ad esporla. 
    Gia' si e' mostrato piu' sopra come la possibilita'  di  superare
la mancata acquisizione dell'intesa della singola Regione interessata
tramite la procedura di cui all'art. 14-quater della legge n. 241 del
1990 rappresenti una chiara violazione dei  parametri  costituzionali
sopra  richiamati  in  quanto  non  rispondente  agli  approdi  della
giurisprudenza   costituzionale   in    tema    di    "chiamata    in
sussidiarieta'",  a  causa  della  sostanziale  "unilateralita'"  del
procedimento. Dal momento che le  modalita'  di  cui  all'art.  8-bis
sopra menzionato sono, come si e' visto, ancor  meno  "collaborative"
di quelle contemplate dall'art. 14-quater,  e'  chiaro  che  la  loro
possibile utilizzazione di per se stessa rende piu' grave e  profonda
la violazione sopra denunciata. 
    Il  punto  merita  pero'  di  essere  approfondito,  tramite   la
individuazione dei casi in cui, in base all'art.  17,  comma  1,  qui
contestato, sarebbe necessario fare ricorso  alla  procedura  di  cui
all'art. 8-bis, e i casi in cui, invece, bisognerebbe ricorrere  alle
modalita' dell'art. 14-quater. 
    Una prima soluzione interpretativa che e'  possibile  fornire  al
riguardo fa leva sul riferimento, contenuto nell'ultima  disposizione
citata, ai casi in cui «venga espresso motivato dissenso da parte  di
un'amministrazione     preposta     alla      tutela      ambientale,
paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico  o  alla
tutela della salute e  della  pubblica  incolumita'».  Cio'  potrebbe
essere ritenuto limitativo del campo di  applicazione  -  almeno  nel
contesto dell'art. 17, comma 1, del decreto  che  qui  si  impugna  -
dell'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990. 
    In  tale  quadro,  una  lettura  combinata  delle  norme  evocate
potrebbe essere la seguente: 
    i)  la  norma  generale,  in  caso  di   mancato   raggiungimento
dell'intesa in relazione al singolo  procedimento  concessorio  unico
sarebbe quella che fa rinvio all'art. 1, comma 8-bis, della legge  n.
239 del 2004; 
    ii) la norma speciale, da applicare solo  ed  esclusivamente  nei
casi  in  cui  le  Regioni  intendano  far  valere  proprie  funzioni
amministrative      incidenti      sulla      tutela      ambientale,
paesaggistico-territoriale, sul patrimonio storico-artistico o  sulla
tutela della salute  e  della  pubblica  incolumita',  prescriverebbe
invece  l'applicazione   della   procedura   disciplinata   dall'art.
14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990. 
    Tale assetto normativo deve ritenersi incostituzionale  e  lesivo
delle attribuzioni  costituzionali  della  Regione  per  le  seguenti
ragioni. 
    Come  si  ricordava  piu'  sopra,   secondo   la   giurisprudenza
costituzionale ormai consolidata,  negli  ambiti  materiali  affidati
alla competenza legislativa concorrente di  Stato  e  Regioni,  quali
quelli che in questa circostanza vengono in rilievo, e' possibile per
lo  Stato  istituire  e   allocare   a   se   stesso   una   funzione
amministrativa,  disciplinandone  al  contempo  l'esercizio,  solo  a
condizione di prevedere  che  l'esercizio  di  detta  funzione  debba
essere portato a termine attraverso l'acquisizione di una intesa  con
la  Regione  specificamente  interessata  dal  singolo  provvedimento
(sentt. nn. 303 del 2003 e  6  del  2004).  Ebbene,  tanto  la  norma
generale  sub  i)  che  la  norma  speciale  sub  ii),  violano  tali
prescrizioni. 
    III.1.6. - In relazione alla prima, e' possibile osservare quanto
segue. 
    Come si e' visto piu' sopra, la procedura  di  superamento  della
mancata intesa qui considerata si limita a prevedere in  primo  luogo
un  ulteriore  invito   a   provvedere   entro   trenta   giorni,   e
successivamente il drastico deferimento della decisione  ad  un  atto
unilaterale della Presidenza del Consiglio dei ministri, adottato con
la mera "partecipazione" della  Regione  specificamente  interessata.
Tale norma non rispetta i  criteri  imposti  al  legislatore  statale
dalla giurisprudenza costituzionale ai fini della disciplina  di  una
mancata intesa ove questa sia resa  necessaria  dal  paradigma  della
c.d.  "sussidiarieta'  legislativa",  a   causa   della   sua   forte
unilateralita', e pertanto deve ritenersi in contrasto con gli  artt.
117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. 
    In particolare, rileva qui innanzi tutto la gia' citata  sentenza
della Corte costituzionale n. 239 del 2013, che ha scrutinato proprio
il meccanismo di superamento dell'intesa di cui al menzionato art. 1,
comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, cui fa rinvio la norma  che
qui si contesta. Tale decisione  ha  chiarito,  al  di  la'  di  ogni
possibile dubbio, che il procedimento "a forte unilateralita'" di cui
sopra, culminante in una decisione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri, si  deve  ritenere  costituzionalmente  legittimo  solo  in
quanto non venga predisposto al fine di  superare  mere  «divergenze»
tra le parti, bensi' a far fronte ai casi - che gia' di per se stessi
rappresentano una violazione, da parte regionale,  del  principio  di
leale collaborazione - in cui la Regione  interessata  si  limiti  ad
adottare «condotte meramente passive». 
    In questa prima soluzione interpretativa l'art.  17  del  decreto
ministeriale in  esame  dispone  invece  l'applicabilita'  di  queste
procedure a carattere unilaterale  a  tutti  i  casi  in  cui  manchi
un'intesa, e dunque anche al superamento dello  stallo  derivante  da
divergenze tra le parti, non imputabili in alcun modo a comportamenti
meramente "inerti" della Regione, configurandole anzi quali procedure
generali  per  far  fronte  al  mancato  raggiungimento  dell'intesa,
rimanendo esclusi solo i casi della "norma speciale" sub ii). 
    Come si ricordava piu' sopra, nella sent. n. 33 del 2011,  questa
Corte ha evidenziato  che  il  legislatore  statale  puo'  predispone
meccanismi di  superamento  del  mancato  raggiungimento  dell'intesa
dovuto a divergenze sostanziali tra le parti, ritenendo tuttavia  che
tali meccanismi possono essere ritenuti costituzionalmente  legittimi
solo a condizione di garantire lo svolgimento di reiterate trattative
tra le parti in un contesto di paritarieta' tra di  esse,  al  limite
devolvendo la decisione ad un organo terzo. Non vi e' dubbio  che  la
disposizione introdotta dall'art.  17  del  decreto  ministeriale  in
esame non  risponde  a  tali  caratteristiche.  Da  qui,  dunque,  la
ridondanza  della  illegittimita'  "ordinaria"  di  tale   norma   in
illegittimita'  costituzionale,  e  la  conseguente   lesione   delle
prerogative costituzionali della Regione. 
    III.1.7. - In relazione alla norma speciale sub ii), si impongono
invece le seguenti considerazioni. 
    Non si puo' non riconoscere che, nel  contesto  di  questa  prima
soluzione interpretativa, in base alla normativa qui presa  in  esame
le Regioni dovrebbero essere coinvolte in  un  procedimento  di  piu'
articolate  trattative  da  parte  dell'amministrazione  statale,  in
considerazione della peculiare rilevanza  degli  interessi  incidenti
sulla tutela ambientale e paesaggistico-territoriale, sul  patrimonio
storico-artistico o  sulla  tutela  della  salute  e  della  pubblica
incolumita' di cui in ipotesi siano portatrici. Come  si  argomentava
piu' sopra, tuttavia, tale "maggior coinvolgimento", tuttavia, non e'
affatto sufficiente a far  si'  che  la  disposizione  de  qua  possa
legittimamente considerarsi spettante alla potesta'  normativa  dello
Stato. Appare dirimente al  riguardo  la  considerazione  secondo  la
quale, anche in questo caso, ove permangano divergenze tra lo Stato e
la Regione interessata, la decisione e' infine attribuita ad un  atto
unilaterale dello Stato, adottato con una deliberazione del Consiglio
dei ministri, con la mera «partecipazione» del  Presidente  dell'ente
regionale (o provinciale speciale) specificamente interessato. 
    Anche in questa ipotesi, dunque, la previsione di  una  procedura
di "superamento unilaterale" della mancata intesa  rappresenta  -  in
realta' - una vera e propria negazione della medesima. Nonostante  la
disposizione  in  esame  preveda   lo   svolgimento   di   "reiterate
trattative", a differenza di quanto accade per  la  "norma  generale"
sub i), i requisiti richiesti dalla giurisprudenza costituzionale (ed
in particolare dalla gia' citata sent. n. 33 del 2011)  affinche'  la
disciplina volta al superamento della mancata intesa superi il vaglio
di costituzionalita'  non  sono  rispettati,  poiche'  l'attribuzione
della decisione finale ad un atto unilaterale dello Stato  rende  del
tutto inesistente quel "contesto di paritarieta'" richiesto  da  tale
giurisprudenza. In particolare, e' del tutto evidente come  la  norma
qui  contestata  predisponga  un  procedimento  per  nulla  «volto  a
consentire lo  svolgimento  di  ulteriori  trattative  attraverso  la
costituzione di un  soggetto  terzo  nominato  dalle  parti  in  modo
paritario», come invece richiede la sent. n. 33 del 2011. 
    III.1.8. - Deve tuttavia essere  segnalato  come  l'utilizzazione
degli strumenti dell'interpretazione adeguatrice potrebbe  consentire
di individuare una  seconda  soluzione  interpretativa  in  grado  di
sanare,  anche  se  solo  parzialmente,  i   vizi   di   legittimita'
costituzionale denunciati  sin  qui  con  riguardo  all'art.  17  del
decreto impugnato. Conformemente alle  indicazioni,  gia'  ricordate,
reperibili nella sentenza di questa ecc.ma Corte  n.  239  del  2013,
infatti, si potrebbe ritenere che il riferimento  alla  procedura  di
cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, vada inteso
quale norma speciale, rilevante solo con riguardo ai casi in  cui  la
mancanza dell'intesa dipende da una  inerzia  regionale  contrastante
con l'obbligo di leale cooperazione tra gli enti  che  compongono  la
Repubblica, e non ai casi in cui, invece,  vi  sia  un  autentico  ed
effettivo dissenso sul merito della scelta  da  adottare.  In  questo
quadro,  la  norma  generale  per  il   superamento   del   dissenso,
nell'ambito dell'art. 17, comma 1, del decreto in epigrafe,  dovrebbe
essere rinvenuta nel richiamo  all'art.  14-quater,  comma  3,  della
legge n. 241 del 1990, conformemente del resto  al  quadro  normativo
sopra ricostruito in relazione alla previsione dell'art. 3, comma 12,
del medesimo decreto. 
    Ove   si   optasse   per   tale   ricostruzione   interpretativa,
evidentemente, l'odierna ricorrente non avrebbe ragioni di  doglianza
in  relazione  al  rinvio,  contenuto  nell'art.  17,  comma  1,  qui
impugnato, alla procedura di cui al comma  8-bis  sopra  citato,  che
andrebbe  correttamente  ritenuta  applicabile  ai   soli   casi   di
comportamenti meramente "inerti" della Regione. Permarrebbero  invece
del tutto immutate le ragioni di incostituzionalita' sopra esposte in
relazione al rinvio, contenuto nella medesima disposizione,  all'art.
14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990. 
    III.2. - Illegittimita' costituzionale degli  articoli  3,  comma
12, e 17, comma 1, del decreto del Ministro dello sviluppo  economico
25 marzo 2015 (Aggiornamento  del  disciplinare  tipo  in  attuazione
dell'art. 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 33,  convertito,
con modificazioni;  dalla  legge  11  novembre  2014,  n.  164),  per
violazione degli articoli 117, terzo  comma,  118,  primo  e  secondo
comma, nonche' del principio di legalita', secondo quanto  precisato,
con riguardo alla "chiamata in sussidiarieta'", dalla  sent.  n.  303
del 2003, anche in riferimento all'art. 97, secondo comma, Cost.,  in
quanto, ponendo norme di rango secondario concernenti le modalita' di
superamento della mancata intesa necessaria ai fini  della  legittima
"avocazione in sussidiarieta'" della funzione amministrativa  di  cui
all'art. 38, commi 5 e 6, del d.l. n. 133 del 2014,  contrastano  con
il   precetto   secondo   il   quale   l'esercizio   delle   funzioni
amministrative avocate in sussidiarieta' deve essere  regolato  dalla
legge. 
    Non spettanza allo Stato del potere  di  adottare  le  menzionate
disposizioni. 
    III.2.1. - Un ulteriore profilo di incostituzionalita' grava  sia
sull'art. 3, comma 12, che sull'art. 17, comma  1,  del  decreto  del
Ministro per lo sviluppo economico indicato in epigrafe, prescindendo
anche dall'interpretazione che si ritenga di offrire di  tale  ultima
disposizione. Per illustrarlo e' ancora un volta necessario  prendere
le mosse dalla sent. n. 303 del 2003. 
    In tale decisione, infatti,  si  afferma  che  «il  principio  di
legalita' impone che anche le  funzioni  assunte  per  sussidiarieta'
siano organizzate  e  regolate  dalla  legge»:  cio'  che  conduce  a
ritenere che «solo la legge statale possa» attendere  al  compito  di
«organizzare e regolare funzioni amministrative  attratte  a  livello
nazionale». Questa ecc.ma Corte, dunque, con la sentenza  citata,  ha
avuto  modo  di  precisare  la  specifica  portata  che  assumono  il
principio di legalita' dell'azione amministrativa  e  la  riserva  di
legge di cui all'art.  97,  secondo  comma,  Cost.,  con  particolare
riguardo al fenomeno della c.d. "chiamata in sussidiarieta'" da parte
dello Stato di funzioni amministrative in materie diverse  da  quelle
affidate alla competenza legislativa esclusiva di quest'ultimo. 
    Cosa  comporta,  con  specifico  riferimento  al  caso  de   quo,
l'affermazione secondo la quale la legge deve «regolare»  l'esercizio
delle funzioni in questione? 
    Al riguardo, non si puo' che ritenere che anche le  modalita'  di
eventuale superamento della mancanza dell'intesa  facciano  parte  di
quegli aspetti che solo la legge puo' «regolare»,  poiche',  come  e'
evidente, si tratta del punto centrale  della  normativa  statale  di
avocazione  delle  funzioni  in  sussidiarieta',  alla  cui  corretta
configurazione  e'   subordinata   la   legittimita'   costituzionale
dell'intero  intervento  legislativo.  In  sintesi,  trattandosi  del
"cuore" della legge che effettui  la  "chiamata  in  sussidiarieta'",
l'acquisizione  dell'intesa  e  le  modalita'   del   suo   eventuale
superamento non possono mai, in nessun caso, essere  disciplinate  da
una fonte regolamentare, essendo viceversa sempre necessaria la fonte
primaria. 
    Anche la giurisprudenza costituzionale successiva, del resto,  ha
in piu' di una occasione confermato tali assunti. 
    In tutti i  casi  in  cui  questa  ecc.ma  Corte  ha  evidenziato
l'opportunita'  di  meccanismi  volti  ad  evitare  il  formarsi   di
situazioni di stallo, ha contestualmente  ribadito  la  necessarieta'
della fonte legislativa per disciplinare tali meccanismi.  Cosi',  ad
esempio, nella sent. n. 383 del 2005, secondo  la  quale  «l'esigenza
che il conseguimento di queste  intese  sia  non  solo  ricercato  in
termini effettivamente ispirati alla reciproca leale  collaborazione,
ma anche agevolato per evitare situazioni  di  stallo,  potra'  (...)
ispirare  l'opportuna  individuazione,  sul  piano  legislativo,   di
procedure  parzialmente  innovative  volte  a   favorire   l'adozione
dell'atto finale nei casi in cui siano insorte facolta' a  conseguire
l'intesa». In senso analogo possono essere richiamate la sent. n. 278
del 2010 - che auspica «una  puntuale  disciplina  legislativa  delle
modalita' di esercizio dell'intesa e delle  eventuali  procedure  per
ulteriormente ricercarla in caso di diniego o comunque  per  supplire
alla sua carenza» - e la sent. n. 331 del 2010, che in una materia di
competenza legislativa concorrente (come quelle delle quali in questa
sede si discute) afferma che «determinare le forme ed  i  modi  della
collaborazione,  nonche'  le  vie  per  superare  l'eventuale  stallo
ingenerato dal perdurante dissenso tra le parti, caratterizza,  quale
principio fondamentale,  l'assetto  normativo  vigente  e  le  stesse
opportunita' di efficace conseguimento  degli  obiettivi  prioritari,
affidati dalla Costituzione alle cure del legislatore statale». 
    III.2.2. - In sintesi, da questo punto di vista,  sia  l'art.  3,
comma 12, che l'art. 17, comma 1, del decreto  del  Ministro  per  lo
sviluppo economico 25  marzo  2015  indicato  in  epigrafe,  sono  da
ritenere costituzionalmente  illegittimi  perche'  disciplinano,  con
norme di rango  regolamentare,  le  procedure  di  superamento  della
mancata intesa mentre -  a  prescindere  dalle  specifiche  procedure
prescelte - tali temi possono essere  regolati  esclusivamente  dalla
legge o da atti aventi forza di legge, secondo quanto previsto  dalla
statuto costituzionale della "chiamata in  sussidiarieta'"  elaborato
dalla giurisprudenza di questa ecc.ma Corte. 
    III.3. - Gli effetti delle diverse interpretazioni dell'art.  38,
comma 6, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014 sui  prospettati  profili
di  illegittimita'  costituzionale  e  di  lesione  della   posizione
costituzionale della Regione. 
    III.3.1. - Come gia' evidenziato, gli articoli 3, comma 12, e 17,
comma 1, del decreto del Ministro per lo sviluppo economico  che  qui
si contesta intendono attuare l'art. 38, comma 6, del d.l. n. 133 del
2014. Tale disposizione, tuttavia, e' suscettibile di due  differenti
interpretazioni.  L'accoglimento  dell'una   o   dell'altra   avrebbe
significativi   effetti   sia   sui   profili    di    illegittimita'
costituzionale del decreto indicato in epigrafe  appena  prospettati,
sia sulle questioni proposte dall'odierna ricorrente, nella sede  del
giudizio in via principale, in relazione al comma  1-bis  del  citato
art. 38 (cfr. ricorso n. 40 del 2015).  Trattandosi  di  due  aspetti
strettamente legati tra loro, si passa ad illustrarli congiuntamente. 
    A  questo   fine,   e'   opportuno   richiamare   brevemente   la
ricostruzione del quadro normativo gia' piu' sopra accennata. 
    Il comma 1-bis dell'art. 38  del  d.l.  n.  133  prevede  che  il
Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro  dell'ambiente
e della tutela del territorio e del mare, predisponga un Piano  delle
aree in cui sono consentite le attivita' di  prospezione,  ricerca  e
coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas
naturale, senza prevedere al  riguardo  la  necessaria  intesa  delle
singole Regioni interessate dalle attivita' del Piano. Il  successivo
comma 5 prevede invece che «le attivita' di ricerca e coltivazione di
idrocarburi liquidi e gassosi» siano «svolte a seguito  del  rilascio
di un titolo concessorio unico»  che,  in  base  al  comma  6,  viene
accordato (per quel che qui specificamente rileva) «previa intesa con
la  regione  o  la  provincia  autonoma  di  Trento  o   di   Bolzano
territorialmente  interessata,  per  le  attivita'  da  svolgere   in
terraferma» (lett. b). 
    A) La prima ipotesi interpretativa di tale ultima disposizione e'
quella secondo la quale  la  singola  Regione  o  Provincia  autonoma
interessata puo' sempre rifiutare l'intesa  concernente  il  rilascio
del titolo concessorio unico, in base ad una valutazione affidata  al
suo   indirizzo   politico-amministrativo,   a   prescindere    dalla
collocazione dello specifico intervento de  quo  in  una  delle  aree
individuate nel Piano di cui al comma 1-bis del medesimo art. 38.  In
tale ottica, la Regione potrebbe dunque negare l'intesa  in  ragione,
ad  esempio,  di  una  diversa  destinazione  d'uso  che   intendesse
imprimere al suolo nell'area interessata. 
    B) In base ad una  seconda  ipotesi  interpretativa,  invece,  la
previa  individuazione  delle  aree  nelle   quali   realizzare   gli
interventi di prospezione,  ricerca  e  coltivazione  di  idrocarburi
mediante il Piano di cui al comma 1-bis e' in grado  di  pregiudicare
la destinazione d'uso  delle  prime,  finalizzandole  ai  secondi,  e
impedendo quindi che la Regione neghi l'intesa al rilascio del titolo
concessorio unico in ragione - ad esempio - dell'intento di imprimere
una diversa destinazione d'uso al suolo di tali aree. Il  rilascio  o
il  diniego  dell'intesa,   dunque,   potrebbe   avvenire   solo   in
considerazione  delle  specifiche   caratteristiche   dell'intervento
considerato. 
    Ebbene, ove si accogliesse l'interpretazione sub A), le doglianze
di incostituzionalita' proposte dalla Regione Puglia con  il  ricorso
n. 40 del 2015 nei confronti dell'art. 38, comma 1-bis, del  d.l.  n.
133 del 2014 (come novellato dalla legge n. 190 del 2014)  verrebbero
a cadere,  poiche'  la  predisposizione  del  Piano  delle  aree  non
pregiudicherebbe le politiche  regionali  volte  a  destinare  quella
parte del proprio suolo inclusa in tali aree  ad  usi  diversi  dalla
prospezione, ricerca e  coltivazione  di  idrocarburi.  Appare  pero'
evidente che, ove si accedesse  a  tale  ipotesi  interpretativa,  la
conformita'  a  Costituzione   dell'intera   disciplina   considerata
dipenderebbe in tutto e per tutto dall'intesa  di  cui  al  comma  6,
lett. b), dell'art. 38 de quo, ed in particolare dal suo carattere di
intesa forte, la cui assenza non potrebbe  in  alcun  modo  ritenersi
superabile mediante procedimenti che non assicurino  la  paritarieta'
delle parti coinvolte. In tale contesto, dunque, non si potrebbe  che
concludere nel senso accennato piu'  sopra,  ossia  per  la  radicale
incostituzionalita' delle previsioni contenute nell'art. 3, comma 12,
e nell'art. 17, comma 1,  del  decreto  ministeriale  in  esame,  con
conseguente non spettanza allo Stato  del  potere  di  adottare  tali
norme. Ove, invece,  si  accogliesse  l'interpretazione  sub  B),  il
quadro sarebbe parzialmente differente. Sarebbe, infatti, da ritenere
senz'altro costituzionalmente illegittimo l'art. 38, comma 1-bis, del
d.l. n. 133 del 2014, per le ragioni prospettate nel ricorso  in  via
principale e sopra sinteticamente richiamate. La evidente  situazione
di  incostituzionalita'  in  cui  si  verserebbe,  tuttavia,  sarebbe
ulteriormente aggravata e approfondita dagli articoli 3, comma 12,  e
17, comma 1,  del  decreto  ministeriale  in  esame.  Quella  residua
potesta' di controllo del proprio territorio connessa alla previsione
dell'intesa sul rilascio del titolo concessorio unico per  i  singoli
interventi che, nonostante tutto, ancora rimane in capo alle  Regioni
- potesta' fortemente dimidiata, e gravemente  impoverita  a  seguito
della possibilita', per lo Stato, di predisporre il Piano delle  aree
senza  acquisire  il  consenso   regionale   -   verrebbe,   infatti,
definitivamente e irrimediabilmente compromessa dal novum  introdotto
dal decreto indicato in epigrafe,  consistente,  come  si  e'  visto,
nella  possibilita'  di  superare  in  via  unilaterale  il   mancato
conseguimento dell'intesa di cui all'art. 38, comma 6, lett. b),  del
d.l. n. 133 del 2014. 
    III.4. - Conclusioni. 
    III.4.1. - In chiusura del presente  ricorso  la  Regione  Puglia
ritiene opportuno precisare quali effetti si dovrebbero produrre, sul
testo normativo oggetto del presente giudizio, nel caso in cui questa
ecc.ma Corte ritenesse di condividere  i  profili  di  illegittimita'
costituzionale del medesimo cosi' come sopra prospettati,  precisando
anche il petitum dell'odierna ricorrente in relazione a  ciascuno  di
essi. 
    III.4.2. -  Ove  si  ritenesse  fondata  la  censura  esposta  ai
precedenti parr. III.1.1-III.1.3. in relazione all'art. 3, comma  12,
del decreto in epigrafe, sarebbe necessario dichiarare che non spetta
allo Stato adottare la disposizione da  ultimo  citata  in  relazione
alle parole «e il rilascio dell'intesa di cui al comma 6», annullando
conseguentemente il citato art. 3, comma  12,  limitatamente  a  tali
parole. 
    III.4.3. -  Ove  si  ritenesse  fondata  la  censura  esposta  ai
precedenti parr. III.1.4-III.1.8 in relazione all'art. 17,  comma  1,
del decreto in epigrafe, sarebbe  invece  necessario  procedere  come
segue. 
    Nel caso in cui si ritenesse condivisibile  la  prima  delle  due
interpretazioni offerte di tale disposizione - quella a  mente  della
quale il rinvio alle modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis,  della
legge 23 agosto 2004,  n.  239,  rappresenta  la  norma  generale  da
seguire in caso di mancata intesa, e  il  rinvio  all'art.  14-quater
della legge n. 241 del 1990 la norma speciale  -  sarebbe  necessario
procedere senz'altro a dichiarare che non spetta allo Stato  adottare
il menzionato art. 17, comma 1, e, conseguentemente, procedere al suo
annullamento. 
    Ove   invece   si   ritenesse    preferibile    l'interpretazione
costituzionalmente orientata del  rinvio  all'art.  1,  comma  8-bis,
della legge  23  agosto  2004,  n.  239,  ritenendo  utilizzabile  la
procedura ivi disciplinata solo per il caso  di  "inerzia  colpevole"
della  Regione,  e  qualificando,  viceversa,  il   rinvio   all'art.
14-quater quale norma generale in caso  di  mancata  intesa,  sarebbe
invece necessario dichiarare  che  non  spetta  allo  Stato  adottare
l'art. 17, comma 1, del decreto de quo con  riferimento  alle  parole
«nonche' con le modalita' di cui  all'articolo  14-quater,  comma  3,
della legge 7 agosto 1990, n. 241»,  annullando  conseguentemente  il
citato art. 17 limitatamente a tali parole. 
    III.4.4. - Infine, ove si ritenesse fondata  la  censura  esposta
piu' sopra al par. III.2.,  sarebbe  necessario  dichiarare  che  non
spetta allo Stato adottare l'art. 3,  comma  12,  in  relazione  alle
parole «e il rilascio dell'intesa di  cui  al  comma  6»,  annullando
conseguentemente il citato art. 3, comma  12,  limitatamente  a  tali
parole, e che non spetta allo Stato adottare il menzionato  art.  17,
comma 1, e, conseguentemente, procedere al suo completo annullamento. 
IV. - Istanza per l'esercizio del potere cautelare di cui all'art. 40
della legge n. 87 del 1953. 
    IV.1.  -  Infine,  in  ragione  di  quanto  sin  qui  esposto   e
argomentato, l'odierna ricorrente chiede a questa ecc.ma  Corte  che,
nell'esercizio del potere cautelare di cui dispone in forza dell'art.
40 della legge n. 87 del 1953, sospenda, in  pendenza  del  giudizio,
l'efficacia delle norme statali impugnate con il presente ricorso. 
    Nel caso di specie, infatti, sussistono senza ombra di dubbio  le
«gravi ragioni» che legittimano, ai sensi  del  richiamato  art.  40,
l'attivazione di tale potere cautelare. In particolare,  ricorre  sia
il presupposto del fumus boni iuris che quello del periculum in mora. 
    In ordine al primo, e' sufficiente riportarsi alle considerazioni
svolte nell'ambito delle censure proposte  avverso  gli  articoli  3,
comma 12, e  17,  comma  1,  del  decreto  ministeriale  indicato  in
epigrafe che sono state prospettate nei paragrafi precedenti. 
    IV.2. - In relazione, invece, al periculum in mora, e'  possibile
osservare quanto segue. 
    Ad oggi il decreto del Ministro dello sviluppo economico che  qui
si contesta e' pienamente vigente  nell'ordinamento,  dispiegando  in
toto la sua efficacia. Il che comporta che sin da  subito  potrebbero
essere attivati i procedimenti di cui ai commi 5 e 6 dell'art. 38 del
d.l. n. 133 del 2014, volti al rilascio del titolo concessorio unico.
Procedimenti che - a diritto vigente - potrebbero  dunque  senz'altro
svolgersi mediante il (mero) tentativo di acquisire in conferenza  di
serviti  l'intesa  regionale  e  tramite  il  superamento  della  sua
eventuale mancanza per mezzo delle modalita' di cui agli articoli  1,
comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, e 14-quater della legge  n.
241 del 1990, secondo quanto espressamente consentito dagli  articoli
3, comma 12, e 17, comma 1, del decreto in epigrafe. 
    Evidentemente, la possibilita' che si svolgano e  si  concludano,
procedimenti amministrativi volti al rilascio del titolo  concessorio
unico per le attivita'  di  ricerca  e  coltivazione  di  idrocarburi
liquidi e gassosi sulla terraferma senta che sia rispettato il  ruolo
che l'ordinamento costituzionale riconosce alla  Regione  rischia  di
pregiudicare  irreparabilmente  le  prerogative   costituzionali   di
quest'ultima. Ben  poco  servirebbe  infatti  all'odierna  ricorrente
vedersi  riconoscere  la   fondatezza   delle   proprie   ragioni   -
nell'ipotesi di esito positivo del presente giudizio - ove tuttavia i
titoli concessori siano stati in  effetti  nel  frattempo  rilasciati
senza  la  dovuta  partecipazione  regionale,  a  causa   della   non
tempestivita' della decisione definitiva di questa ecc.ma Corte. 
    Si consideri, inoltre,  che  a  valle  del  rilascio  del  titolo
concessorio  unico  sono  destinate  a  prendere  avvio  le  concrete
operazioni di ricerca e coltivazione di  idrocarburi:  attivita'  che
sono in grado di incidere  profondamente  sulle  caratteristiche  del
territorio  nel  quale  si  inseriscono,  imponendovi  trasformazioni
estremamente significative e  sovente  non  reversibili,  o  comunque
reversibili  soltanto   a   costi   molto   elevati   e   con   tempi
particolarmente lunghi, e giungendo anche  ad  impedire  radicalmente
alcune utilizzazioni dei medesimi  territori.  Cio'  rappresenterebbe
insieme  una  grave  compromissione  del  suolo  e   del   sottosuolo
interessato dalle attivita' in questione ed una irreversibile lesione
delle prerogative costituzionali della Regione concernenti -  appunto
- le decisioni circa l'utilizzazione del suolo e del sottosuolo. 
    IV.3. - Anche alla luce delle considerazioni da  ultimo  esposte,
l'odierna ricorrente ritiene che sussistano senz'altro, nel  presente
caso, i requisiti tanto del fumus boni iuris quanto del periculum  in
mora, e dunque quelle «gravi ragioni»  che,  ai  sensi  dell'art.  40
della legge n. 87 del 1953, debbono supportare la decisione di questa
ecc.ma Corte di esercitare il proprio  potere  cautelare  sospendendo
l'efficacia delle norme impugnate nelle more del presente giudizio. 
    Cio' nondimeno,  in  via  subordinata,  nell'ipotesi  in  cui  si
ritenga che dall'adozione di tale misura possa discendere il  rischio
- in senso uguale e  contrario  a  quello  appena  prospettato  -  di
pregiudizi analoghi  a  quelli  che  deriverebbero  dall'applicazione
delle norme censurate e  non  si  ravvisi  la  prevalenza  del  danno
derivante dal perdurare dell'efficacia delle medesime (cfr.  ord.  n.
107 del 2010, ancorche' pronunciata nella diversa sede  del  giudizio
di legittimita' costituzionale in via principale), questa difesa,  in
considerazione  della  evidente  sussistenza   dei   pericula   sopra
paventati,  e  della   conseguente   necessita'   che   la   presente
controversia venga risolta nel piu' breve tempo possibile, chiede che
l'Ill.mo Presidente voglia quantomeno disporre, a  titolo  di  misura
cautelare minima, la fissazione  della  trattazione  del  merito  del
giudizio nel piu' breve termine possibile. 
    Tale  potere  cautelare,  infatti,  non  puo'  che   considerarsi
implicito  nel  piu'  ampio  potere  di   disporre   la   sospensione
dell'esecuzione degli atti di cui all'art. 40 della legge n.  87  del
1953, poiche' rispetto a quest'ultimo  costituisce  indubbiamente  un
minus. Il potere di fissare la trattazione del  merito  del  giudizio
nel piu' breve tempo possibile, peraltro, discende altresi' dall'art.
22 della legge n. 87 del 1953, il quale, per i giudizi costituzionali
diversi da quelli di accusa  nei  confronti  del  Capo  dello  Stato,
rinvia, «in quanto applicabili», alle norme concernenti la  procedura
innanzi al Consiglio di Stato in  sede  giurisdizionale,  ovvero,  da
ultimo, alle norme contenute nel codice del  processo  amministrativo
adottato con il d.lgs. n. 104 del 2010. Tra queste,  in  particolare,
viene in rilievo l'art. 55,  comma  10,  il  quale  prevede  che  «il
tribunale amministrativo regionale, in sede cautelare, se ritiene che
le  esigenze  del  ricorrente  siano  apprezzabili  favorevolmente  e
tutelabili adeguatamente con la sollecita fissazione del giudizio nel
merito, fissa con ordinanza collegiale la data della discussione  del
ricorso nel merito. Nello stesso senso puo' provvedere  il  Consiglio
di Stato, motivando  sulle  ragioni  per  cui  ritiene  di  riformare
l'ordinanza cautelare di primo grado; in tal caso,  la  pronuncia  di
appello e' trasmessa al tribunale  amministrativo  regionale  per  la
sollecita fissazione  dell'udienza  di  merito».  Si  tratta,  a  ben
vedere, di una disposizione pienamente compatibile con i giudizi  per
conflitto di attribuzione tra enti che si svolgono dinanzi  a  questa
Corte  e,  di  conseguenza,  applicabile  anche  ad   essi,   laddove
quest'ultima ritenga che le «gravi ragioni» di cui all'art. 40  della
legge n. 87  del  1953  -  nel  bilanciamento  con  eventuali  rischi
speculari - possano essere sufficientemente scongiurati ricorrendo  a
tale   strumento   piuttosto   che   a   quello   della   sospensione
dell'esecuzione delle disposizioni del decreto ministeriale  che  nel
caso di specie ha dato origine al conflitto. 
    In  tale  quadro,  la  Regione  Puglia  chiede  inoltre  che   il
Presidente di questa ecc.ma Corte, nell'esercizio dei poteri affidati
al suo prudente apprezzamento,  voglia  fissare  la  trattazione  del
ricorso proposto dalla medesima  Regione  avverso  il  testo  vigente
dell'art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014,  come  novellato
dalla legge n. 190  del  2014  (Reg.  ric.  n.  40  del  2015)  -  ed
eventualmente anche del ricorso proposto avverso il medesimo art.  38
nel testo risultante dalla conversione in legge (Reg. ric. n.  5  del
2015) - congiuntamente  alla  trattazione  del  merito  del  presente
giudizio, in considerazione degli evidenti profili di connessione che
legano tali impugnazioni. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Regione Puglia, come sopra rappresentata e difesa, chiede  che
questa ecc.ma Corte  costituzionale,  in  accoglimento  del  presente
ricorso e previa concessione di  idonea  misura  cautelare  ai  sensi
dell'art. 40 della legge n. 87 del 1953, dichiari che non spetta allo
Stato - e per esso al Ministro dello sviluppo economico -  l'adozione
degli articoli 3, comma 12, limitatamente alle parole «e il  rilascio
dell'intesa di cui al comma 6»,  e  17,  comma  1,  del  decreto  del
Ministro dello sviluppo economico 25 marzo  2015  (Aggiornamento  del
disciplinare tipo in attuazione dell'art.  38  del  decreto-legge  12
settembre 2014, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge  11
novembre 2014, n. 164), e li annulli conseguentemente, nei  limiti  e
nei termini sopra esposti. 
    Con ossequio. 
        Bari - Roma, 25 giugno 2015 
 
                    Avv. prof. Marcello Cecchetti