N. 70 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 20 giugno 2015
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 25 giugno 2015 (del Presidente del Consiglio dei ministri). Commercio - Norme della Regione Puglia - Codice del Commercio - Orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio - Previsione che la Regione e i Comuni promuovono accordi volontari tra gli operatori sugli orari delle attivita' commerciali - Previsione di progetti di valorizzazione commerciale - Ricorso del Governo - Denunciato contrasto con i principi di liberalizzazione di cui al decreto-legge n. 201 del 2011 - Assenza di qualsiasi criterio direttivo della discrezionalita' dei Comuni nell'elaborare i progetti di valorizzazione commerciale - Contrasto con le norme statali che pongono il divieto di intese restrittive della liberta' di concorrenza - Inosservanza degli obblighi europei in materia di concorrenza nell'attivita' legislativa anche delle Regioni - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza. - Legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24, artt. 9, comma 4, e 13, comma 7, lett. c). - Costituzione, art. 117, commi primo e secondo, lett. e); decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 31; legge 10 ottobre 1990, n. 287, art. 2; Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, art. 101. Commercio - Norme della Regione Puglia - Codice del Commercio - Sviluppo e promozione del commercio - Progetto di valorizzazione commerciale - Previsione della possibilita' per il Comune di vietare la vendita di particolari merceologie o settori merceologici - Ricorso del Governo - Contrasto con la normativa statale che pone il divieto di limitazioni merceologiche - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza. - Legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24, art. 13, comma 7, lett. a). - Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. e); decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 31; legge 24 marzo 2012, n. 27, art. 1. Commercio - Norme della Regione Puglia - Codice del Commercio - Modalita' di apertura, trasferimento e ampliamento degli esercizi - Previsione che l'apertura, il trasferimento di sede, il cambiamento di settore di vendita e l'ampliamento della superficie di una media o grande struttura di vendita sono soggetti ad autorizzazione commerciale - Previsione che l'apertura, il trasferimento di sede, il cambiamento di settore di vendita e l'ampliamento di un Centro commerciale o di un'Area Commerciale Integrata sono soggetti ad autorizzazione per l'intero Centro e di autorizzazione o SCIA (a seconda della dimensione) per ciascuno degli esercizi al dettaglio presenti nel Centro Commerciale - Ricorso del Governo - Denunciato contrasto con i principi di semplificazione e liberalizzazione espressi dalla normativa statale - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di livelli essenziali e in materia di tutela della concorrenza. - Legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24, art. 17, commi 3 e 4. - Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. m) e lett. e); legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 19; decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, artt. 31 e 34; legge 24 marzo 2012, n. 27, art. 1. Commercio - Norme della Regione Puglia - Codice del Commercio - Pianificazione territoriale e urbanistica degli insediamenti commerciali - Previsione che i Comuni individuano le aree idonee all'insediamento di strutture commerciali attraverso i propri strumenti urbanistici, con particolare riferimento al dimensionamento della funzione commerciale - Ricorso del Governo - Denunciata predeterminazione di nuovi divieti di localizzazione, avulsa da una verifica del territorio e priva di forme di coinvolgimento popolare e delle garanzie del giusto procedimento, in contrasto con la normativa statale e con quella comunitaria - Inosservanza degli obblighi europei in materia di concorrenza nell'attivita' legislativa anche delle Regioni - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza - Violazione del principio della liberta' di iniziativa economica e del principio di buon andamento dell'attivita' amministrativa. - Legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24, art. 18. - Costituzione, artt. 3, 41, 97 e 117, commi primo e secondo, lett. e); decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, artt. 31, comma 2, e 34, comma 3; legge 24 marzo 2012, n. 27, art. 1; Direttiva 123/2006/CE del 12 dicembre 2006. Commercio - Norme della Regione Puglia - Codice del Commercio - Tipologie e attivita' commerciali integrative - Previsione che tutti i nuovi impianti devono essere dotati almeno di un prodotto ecocompatibile GPL o metano, a condizione che non vi siano ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalita' dell'obbligo - Ricorso del Governo - Denunciata introduzione di vincoli all'accesso al mercato della distribuzione di carburanti in rete rappresentata dall'obbligo asimmetrico (solo ai nuovi entranti) di fornire almeno un prodotto eco-compatibile - Potenziale restrizione della concorrenza - Contrasto con la normativa statale in materia - Inosservanza delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza. - Legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24, art. 45. - Costituzione, art.117, commi primo e secondo, lett. e).(GU n.36 del 9-9-2015 )
Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato presso cui e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12 contro Regione Puglia in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli artt. 9, comma 4; 13 comma 7 lett. a) e c); 17 commi 3 e 4, 18 e 45 della legge della Regione Puglia n. 24 del 16 aprile 2015 «Codice del Commercio», pubblicata sul B.U. Puglia n. 56 del 22 aprile 2015, supplemento. Con la legge 16 aprile 2014 n. 24 la Regione Puglia disciplina l'esercizio dell'attivita' commerciale. L'art. 9 della predetta legge dispone in materia di orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio. In particolare l'art. 9 comma 4 prevede «La Regione e i comuni promuovono accordi volontari fra operatori volti a garantire che gli orari delle attivita' commerciali concorrano al rispetto e all'attuazione delle disposizioni di cui ai capi I e VII della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternita' e della paternita', per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della citta') e dell'art. 50, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali)». L'art. 13 dispone in materia di sviluppo e promozione del commercio, prevede che il Comune puo' elaborare progetti di valorizzazione commerciale, e al comma 7, lettera c) dispone che Il progetto di valorizzazione commerciale puo' prevedere interventi in materia di orari d'apertura, vendite straordinarie e di occupazione di suolo pubblico; L'art. 13 comma 7 lettera a) dispone, a sua volta, che nell'ambito dei predetti progetti di valorizzazione commerciale, i Comuni possano prevedere «il divieto di vendita di particolari merceologie o settori merceologici». L'art. 17 disciplina le modalita' di apertura, trasferimento e ampliamento degli esercizi. Al comma 3 prevede: L'apertura, il trasferimento di sede, il cambiamento di settore di vendita e l'ampliamento della superficie di una media o grande struttura di vendita sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio. Al comma 4 dispone: L'apertura, il trasferimento di sede, il cambiamento di settore di vendita e l'ampliamento della superficie di un centro commerciale e di un'area commerciale integrata necessitano di: a) autorizzazione per il centro come tale, in quanto media o grande struttura di vendita, che e' richiesta dal suo promotore o, in assenza, congiuntamente da tutti i titolari degli esercizi commerciali che vi danno vita, purche' associati per la creazione del centro commerciale; b) autorizzazione o SCIA, a seconda delle dimensioni, per ciascuno degli esercizi al dettaglio presenti nel centro. L'art. 18 disciplina la Pianificazione territoriale e urbanistica degli insediamenti commerciali. «1. I comuni individuano le aree idonee all'insediamento di strutture commerciali attraverso i propri strumenti urbanistici, in conformita' alle finalita' di cui all'art. 2, con particolare riferimento al dimensionamento della funzione commerciale nelle diverse articolazioni previste all'art. 16. 2. L'insediamento di grandi strutture di vendita e di medie strutture di vendita di tipo M3. e' consentito solo in aree idonee sotto il profilo urbanistico e oggetto di piani urbanistici attuativi anche al fine di prevedere le opere di mitigazione ambientale, di miglioramento dell'accessibilita' e/o di riduzione dell'impatto socio economico, ritenute necessarie.». L'art. 45 disciplina le Tipologie e attivita' commerciali integrative. «1. Al fine del miglioramento delle condizioni ambientali attraverso la promozione della diffusione dei carburanti ecocompatibili, tutti i nuovi impianti devono essere dotati almeno di un prodotto ecocompatibile GPL o metano, a condizione che non vi siano ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalita' dell'obbligo, come definiti nei provvedimenti di cui all'art. 3. 2. Tutti gli impianti devono essere dotati dell'apparecchiatura self-service prepagamento. 3. I nuovi impianti, nonche' quelli esistenti ristrutturati, possono inoltre essere dotati, oltre che di autonomi servizi all'automobile e all'automobilista, autolavaggio, auto parking, officine, anche di autonome attivita' commerciali integrative su superfici non superiori a quelle definite per gli esercizi di vicinato, di attivita' di somministrazione alimenti e bevande, di attivita' artigianali, di rivendite di tabacchi e di punti vendita non esclusivi di stampa quotidiana e periodica. L'esercizio delle rivendite di tabacco e' subordinato al rispetto delle norme e delle prescrizioni tecniche che disciplinano lo svolgimento di tali attivita' presso impianti di distribuzione dei carburanti. 4. I provvedimenti di cui all'art. 3, possono prevedere ulteriori specificazioni in ordine alle attrezzature dell'area di rifornimento, alla dotazione di pensiline di copertura con sistemi idonei all'efficienza energetica e all'utilizzo delle fonti rinnovabili, alla presenza di adeguati servizi igienico-sanitari per gli utenti anche in condizioni di disabilita', di locali necessari al ricovero del gestore, di sistemi di sicurezza pubblica (videosorveglianza), nonche' di aree a parcheggio per gli autoveicoli.». Le disposizioni di tutti gli articoli sopra riportati, 9 comma 4, 13 comma 7 lettera c) e comma 7 lettera a), 17 commi 3 e 4, e degli artt. 18 e 45, appaiono costituzionalmente illegittime, sotto i profili che verranno ora evidenziati, e pertanto il Governo - giusta delibera del Consiglio dei ministri del 19 giugno 2015 (che per estratto autentico si produce) ai sensi dell'art. 127 Cost. la impugna con il presente ricorso per i seguenti Motivi Violazione dell'art. 117, comma 1 e comma 2 lettera e) della Costituzione Le disposizioni degli artt. 9 comma 4 e 13 comma 7 lettera c) prevedono, come si e' detto, il potere del Comune di intervenire sugli orari di apertura e di chiusura degli esercizi commerciali. Le disposizioni contrastano con quanto stabilito dall'art. 31 del decreto-legge n. 201/2011 (c.d. decreto Salva Italia) il quale modificando l'art. 3, comma 1, lett. d-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (c.d. decreto Bersani), ha disposto che «le attivita' commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte, tra l'altro, senza i seguenti limiti e prescrizioni: [...] d) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonche' quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio». La normativa nazionale prevede che le attivita' commerciali non possono essere soggette a nessun limite in materia di orari di apertura e chiusura. Le norme regionali, pertanto, si pongono in primo luogo in contrasto con i principi di liberalizzazione di cui al decreto-legge n. 201/2011, convertito in legge 22 dicembre 2011 n. 214 (cd. decreto Salva Italia). La disposizione contenuta nell'art. 9, comma 4, in particolare, promuovendo esplicitamente la conclusione di accordi tra gli operatori, volte a creare un coordinamento consapevole tra gli esercenti su una variabile concorrenziale (quali appunto gli orari di apertura e chiusura), legittima intese che risultano potenzialmente vietate ai sensi dell'art. 2 della legge n. 287/1990, che pone il divieto di intese restrittive della liberta' di concorrenza e con l'art. 101 TFUE. Le norme regionali pertanto, presentano profili di incostituzionalita' per violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, che impone il rispetto degli obblighi europei nell'attivita' legislativa anche delle Regioni; e dell'art. 117 comma 2, lettera e), della Costituzione, che riserva allo Sato la competenza legislativa esclusiva in materia di «tutela della concorrenza». In tal senso si e' ripetutamente espressa la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 65/2013; n. 27/2013; n. 299/2012) stabilendo che l'art. 31 del decreto-legge n. 201/2011, poiche' si qualifica come norma di liberalizzazione, si inquadra nella materia della tutela della concorrenza, riservata alla competenza esclusiva statale, ed e' direttamente vincolante anche nei confronti dei legislatori regionali. Le regioni non possono quindi adottare norme legislative, come quelle impugnate, il cui effetto sia quello di limitare o escludere del tutto la portata liberalizzatrice della norma statale citata. Cio' si tradurrebbe, infatti, in un diretto intervento della legislazione regionale nella materia della concorrenza. Ne', a legittimare l'intervento legislativo regionale, possono valere i riferimenti che l'art. 9 comma 4 impugnato fa ai capi I e VII della legge n. 53/2000 sulla tutela della maternita' e sui tempi delle citta', e all'art. 50 comma 7 del testo unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267/2000). Il primo riferimento va inteso come rivolto, in particolare, all'art. 22 comma 5 della legge n. 53/2000, giusta il quale «5. Le leggi regionali di cui al comma 1 indicano: a) criteri generali di amministrazione e coordinamento degli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici della pubblica amministrazione, dei pubblici esercizi commerciali e turistici, delle attivita' culturali e dello spettacolo, dei trasporti;». Il secondo riferimento e' rivolto all'art. 50 comma 7 TUEL, giusta il quale «7. Il sindaco, altresi', coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonche', d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l'espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti.». Queste previsioni di legge statale furono adottate tutte anteriormente alla riforma del Titolo V della Costituzione, quando ancora non si erano chiaramente inseriti in Costituzione ne' il vincolo della legislazione anche regionale ai principi del diritto europeo, ne' la competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza. Esse vanno quindi considerate superate dalla legislazione statale sopravvenuta, e in particolare dall'art. 31 decreto-legge n. 201/2011. Con questa disposizione si e' inteso, da un lato, dare consistenza al profilo «promozionale» della disciplina della concorrenza, ripetutamente ammesso dalla giurisprudenza di codesta Corte, stabilendo con valutazione legislativa non sindacabile in questa sede (e, comunque, gia' positivamente scrutinata da codesta Corte), che l'abolizione delle limitazioni orarie nell'apertura degli esercizi commerciali costituisce uno strumento di promozione dello sviluppo economico e non contrasta con l'utilita' sociale (art. 41 Cost.) sotto alcun profilo. Dall'altro, si e' inteso ottemperare, sotto il profilo «tutorio» o «repressivo» della disciplina della concorrenza, al fondamentale principio europeo del divieto di intese restrittive della concorrenza. E' infatti noto (per lo meno a partire dalla sentenza della Corte di giustizia CE nel caso «Consorzio italiano fiammiferi») che anche decisioni pubbliche, come atti legislativi o amministrativi, incidenti sulle condizioni di esercizio delle attivita' di impresa, nella misura in cui privino gli operatori economici di qualsiasi discrezionalita' nell'adottare i comportamenti conseguenti, possono costituire elemento di una intesa restrittiva della concorrenza, illegittima alla stregua dell'art. 101 TFUE. Le previsioni legislative o amministrative comportanti limitazioni imperative alla liberta' degli imprenditori del commercio di determinare gli orari di apertura degli esercizi si inquadrerebbero in tale ipotesi, perche' comporterebbero un contingentamento necessario dei tempi di erogazione dell'offerta commerciale al pubblico, cioe' una restrizione quantitativa dell'offerta o una misura equivalente ad una simile restrizione. E' del resto ben noto che, a qualificare un accordo restrittivo come illegittimo dal punto di vista concorrenziale, non e' necessario che questo abbia come effetto la restrizione, p.es. quantitativa dell'offerta; e' infatti sufficiente che l'accordo abbia tale restrizione come proprio oggetto, a prescindere dagli effetti restrittivi concretamente prodotti, che possono anche non sussistere. L'illecito anticoncorrenziale, nella pacifica ricostruzione della giurisprudenza europea e interna, e' infatti illecito di mero pericolo. La norma regionale impugnata si pone quindi in contrasto con i parametri evocati perche', come illustrato, impedisce il pieno dispiegamento degli effetti di una norma statale vertente in materia di disciplina della concorrenza, e costituisce, o pone il presupposto perche' sia costituita, una forma di intesa restrittiva della concorrenza contraria all'art. 101 TFUE e, tramite questo, all'art. 117 comma 1 Cost. Quanto, poi, all'art. 13 comma 7 lett. c) impugnato, oltre alle considerazioni sopra svolte, deve aggiungersi la censura basata sulla totale assenza di qualsiasi criterio direttivo della discrezionalita' dei Comuni nell'elaborare i progetti di valorizzazione commerciale e, in particolare, nell'inserire in questi le previste (e comunque inammissibili) misure in materia di orari di apertura. L'illimitata discrezionalita' che in tal modo si attribuisce all'ente locale comporta un ulteriore elemento di incertezza nella disciplina dell'attivita' commerciale, e sotto questo profilo un ulteriore vulnus al corretto svolgimento della concorrenza sotto i due concorrenti profili sopra illustrati. L'art. 13, comma 7 lettera a) della legge in esame dispone, come si e' detto, che il Comune nell'ambito dei progetti di valorizzazione commerciale possa vietare la vendita di particolari merceologie o settori merceologici. Le limitazioni merceologiche sono vietate dall'art. 3 della legge n. 148/2011 e dall'art. 34 della legge n. 214/2011. Gli artt. 3, comma 9, lett. f) della legge n. 148/2011 e l'art. 34, comma 3, lett. d) della legge n. 214/2011 hanno stabilito l'abrogazione di qualsiasi restrizione, tra cui la limitazione dell'esercizio di una attivita' economica ad alcune categorie o il divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti. Il legislatore nazionale con progressivi e graduali interventi, ha infatti da tempo avviato un processo di regolazione delle attivita' economiche, con il passaggio da una disciplina pianificatoria ad una completa liberalizzazione (art. 31 legge n. 214/2011 e art. 1 legge n. 27/2012), disponendo l'abrogazione di norme che a vario titolo e in diverso modo prevedono limitazioni, condizioni o divieti che ostacolano l'iniziativa economica o limitano l'ingresso nel mercato di nuovi operatori. In questo contesto, la legge regionale eccede dalle competenze regionali, perche' incide direttamente sul confronto concorrenziale e sull'assetto del mercato; oltre a vincolare e aggravare, in luogo di semplificare, l'esercizio dell'attivita' commerciale, in quanto introduce a danno della liberta' di iniziativa economica, limiti inutili, gravosi e non previsti nella Costituzione. La Corte costituzionale, chiamata piu' volte a pronunciarsi sull'obbligo degli Enti locali di adeguare i propri ordinamenti ai principi di liberalizzazione e semplificazione delle attivita' economiche (art. 1 legge n. 27/2012), ha affermato che affinche' l'obiettivo perseguito dal legislatore possa ottenere gli effetti sperati, in termini di snellimento degli oneri gravanti sull'esercizio dell'attivita' economica, occorre che l'azione di tutte le pubbliche amministrazioni - centrali, regionali e locali - sia improntata ai medesimi principi, per evitare che le riforme introdotte a un determinato livello di governo siano, nei fatti, vanificate dal diverso orientamento dell'uno o dell'altro degli ulteriori enti che compongono l'articolato sistema delle autonomie (Corte cost., 23 gennaio 2013 n. 8). La norma regionale reintroducendo limitazioni gia' abrogate dal legislatore statale nell'esercizio della propria competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza, viola pertanto l'art. 117, comma 2, lett. e) Cost. A rendere evidente la violazione commessa dalla norma impugnata e' sufficiente considerare, oltre alla materia su cui interviene, chiaramente riconducibile alla disciplina della concorrenza, il contenuto di essa: la norma prefigura infatti la possibilita' che i comuni introducano addirittura dei divieti di commercializzazione di particolari merceologie o settori merceologici, cioe' prefigura la possibilita' di introdurre vincoli assoluti e inderogabili nelle liberta' di scelta dell'imprenditore del commercio. Anche a questo riguardo, quindi, oltre alla violazione della competenza statale esclusiva, si configura l'introduzione di una misura legislativa indebitamente anticoncorrenziale, avente ad oggetto restrizioni quantitative o qualitative dell'offerta commerciale. Violazione dell'art. 117, comma 2 lettera m) e lettera e) Cost. L'art. 17 come si e' detto dispone le modalita' di apertura, trasferimento ed ampliamento degli esercizi. In particolare i commi 3 e 4 prevedono rispettivamente, che l'apertura, il trasferimento di sede, il cambiamento di settore di vendita e l'ampliamento della superficie di una media o grande struttura di vendita siano soggetti ad autorizzazione commerciale e che l'apertura, il trasferimento di sede, il cambiamento di settore di vendita e l'ampliamento di un Centro Commerciale o di un'Area Commerciale Integrata necessitano di autorizzazione per l'intero Centro e di autorizzazione o SCIA (a seconda della dimensione) per ciascuno degli esercizi al dettaglio presenti nel Centro Commerciale. Le disposizioni si pongono in contrasto con principi di semplificazione e liberalizzazione espressi: dall'art 19 legge n. 241/1990 (come modificato dall'art. 13, comma 1, decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83) in base al quale ogni atto di autorizzazione o licenza per l'esercizio di un'attivita' commerciale, imprenditoriale, e' sostituito dalla SCIA presentata dall'interessato; dagli artt. 31 e 34 della legge n. 214/2011 e dall'art. 1 della legge n. 27/2012 che, in un'ottica di semplificazione, hanno abolito le autorizzazioni espresse, con la sola esclusione degli interessi pubblici piu' sensibili indicati dalla direttiva n. 123/2006/CE. Le norme statali introducono una sostanziale liberalizzazione per cui le autorizzazioni non costituiscono piu' la regola, ma un'ipotesi del tutto residuale, in quanto possono essere previste o mantenute solo se giustificati da motivi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalita'. Come ha affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 164/2012, la disciplina della SCIA, con il principio di semplificazione ad esso sotteso, ha un ambito applicativo diretto alla generalita' dei cittadini e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. «Il titolo di legittimazione dell'intervento statale nella specifica disciplina della SCIA si ravvisa nell'esigenza di determinare livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.» (cfr sent. 164/2012). La norma regionale pertanto ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. m) Cost), viola la competenza esclusiva statale in materia di livelli essenziali. La Corte costituzionale inoltre ha recentemente affermato nella sentenza n. 125/2014, in materia di vincoli all'apertura di esercizi commerciali, la portata abrogativa e la immediata vincolativita' dei principi di liberalizzazione contenuti nell'art. 31 della legge n. 214/2011 secondo cui «costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali»; e nell'art. 1 della legge n. 27/2012, che ha stabilito in attuazione del principio di liberta' di iniziativa economica sancito dall'art. 41 Cost. e del principio di concorrenza sancito dal Trattato dell'Unione europea, che sono abrogate «a) le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell'amministrazione comunque denominati per l'avvio di un'attivita' economica non giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario nel rispetto del principio di proporzionalita'; b) le norme che pongono divieti e restrizioni alle attivita' economiche non adeguati o non proporzionati alle finalita' pubbliche perseguite, nonche' le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalita' economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalita' pubbliche dichiarate e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l'avvio di nuove attivita' economiche o l'ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori gia' presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi, ovvero impediscono, limitano o condizionano l'offerta di prodotti e servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalita', ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici oppure limitano o condizionano le tutele dei consumatori nei loro confronti». La Corte ha quindi ribadito ancora una volta l'illegittimita' costituzionale delle norme regionali che reintroducono limiti e vincoli in contrasto con la normativa statale di liberalizzazione. Le previsioni regionali in esame risultano pertanto invasive della potesta' legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e violano pertanto anche l'art. 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione. In particolare, va osservato che le disposizioni regionali qui impugnate non si inquadrano in alcuna delle ipotesi tuttora atte a consentire il mantenimento di poteri autorizzatori preventivi allo svolgimento di attivita' economiche. Nessuna delle disposizioni dell'art. 17 qui impugnate chiarisce, infatti, quali siano le finalita' pubbliche che il reintrodotto potere autorizzatorio vorrebbe tutelare, o gli interessi costituzionalmente rilevanti che l'applicazione del regime liberalizzato alla materia dei centri commerciali e delle strutture commerciali di media o grande dimensione pregiudicherebbe; ne', infine, quali siano i criteri atti a garantire che l'esercizio del potere autorizzatorio in questione non si traduca in una limitazione sproporzionata e discriminatoria della liberta' economica. Tanto piu' che la specifica materia dei centri e strutture in questione e', dal punto di vista della compatibilita' generale delle relative iniziative, gia' oggetto dei poteri amministrativi «di settore», in particolare dal punto di vista della pianificazione urbanistica, o della tutela dell'ambiente e del paesaggio. Non si comprende, quindi, la necessita' di reintrodurre, aggiuntivamente, specifici poteri autorizzatori necessariamente basati su valutazioni pubbliche di carattere strettamente economico. Evidente e', quindi, che la finalita', o comunque l'effetto, delle disposizioni impugnate si risolve nel vanificare le sopra illustrate norme statali di liberalizzazione delle attivita' economiche rispetto agli adempimenti amministrativi preliminari; con palese invasione della competenza statale esclusiva nei sopra indicati settori (livelli minimi; disciplina della concorrenza). Violazione degli artt. 3, 41, 97, 117 comma 1 e comma 2 lettera e) Cost. L'art. 18 disciplina la pianificazione territoriale e urbanistica degli insediamenti commerciali. Prevede al comma 1 che i Comuni individuano le aree idonee all'insediamento di' strutture commerciali attraverso i propri strumenti urbanistici, in conformita' alle finalita' di cui all'art. 2, con particolare riferimento al dimensionamento della funzione commerciale nelle diverse articolazioni previste all'art. 16; al comma 2 che l'insediamento di grandi strutture di vendita e di medie strutture di vendita di tipo M3, e' consentito solo in aree idonee sotto il profilo urbanistico e oggetto di piani urbanistici attuativi anche al fine di prevedere le opere di mitigazione ambientale, di miglioramento dell'accessibilita' e/o di riduzione dell'impatto socio economico, ritenute necessarie. La predeterminazione con legge regionale di nuovi divieti di localizzazione - avulsa da una verifica del territorio e senza prevedere forme di coinvolgimento, di partecipazione popolare, senza le garanzie del giusto procedimento, non puo' essere compresa nell'esercizio del potere di pianificazione urbanistica perche' opera come limite allo sviluppo del commercio, in contrasto con gli artt. 3, 41 e 97 Cost., oltre che con l'ordinamento comunitario, con conseguente violazione dell'art. 117, comma 1 Cost., in relazione alla direttiva 123/2006/CE. L'art. 18 e' una norma di programmazione economica e territoriale, che limita e condiziona l'insediamento di nuove attivita' commerciali e, per tale ragione, si pone in contrasto con gli artt. 31, comma 2, legge n. 214/2011 (Secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, liberta' di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012, potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attivita' produttive e commerciali solo qualora vi sia la necessita' di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali) e dell'art. 34, comma 3, legge n. 214/2011 (Sono abrogate le seguenti restrizioni disposte dalle norme vigenti: a) il divieto di esercizio di una attivita' economica al di fuori di una certa area geografica e l'abilitazione a esercitarla solo all'interno di una determinata area; b) l'imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all'esercizio di una attivita' economica; c) il divieto di esercizio di una attivita' economica in piu' sedi oppure in una o piu' aree geografiche; d) la limitazione dell'esercizio di una attivita' economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti; e) la limitazione dell'esercizio di una attivita' economica attraverso l'indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all'operatore; l'imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi; g) l'obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all'attivita' svolta.) nonche' con l'art. 1 della legge n. 27/2012 (recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita'). In sostanza, dalle trascritte norme statali si ricava il principio che nel nucleo essenziale delle liberta' economiche rientra quella di localizzare senza divieti e limiti preventivi le attivita' commerciali, che sono in linea di principio considerate compatibili con qualsiasi parte del territorio, quali che siano il loro oggetto o la loro struttura e dimensione organizzativa. Solo in questo modo, nell'apprezzamento legislativo, e' possibile consentire il pieno svolgimento della concorrenza, ed evitare discriminazioni e disparita' di trattamento tra operatori economici basate su differenti discipline della possibilita' di insediare territorialmente attivita' commerciali identiche o analoghe. Le trascritte norme statali configurano, quindi, un legittimo intervento legislativo statale nel campo della disciplina della concorrenza, a tutela della piena espansione della liberta' economica anche nel campo del commercio. La normativa regionale impugnata si pone in insanabile contrasto con tali disposizioni, e quindi viola le norme a tutela della liberta' economica (artt. 3 e 41 Cost.), quelle sulla riduzione al minimo dei vincoli amministrativi alle attivita' economiche (semplificazione, rilevante ex art. 97 Cost.), e, infine, ancora quelle sulla competenza statale esclusiva a dettare norme di disciplina della concorrenza (art. 117 comma 2 lett. e) Cost.). In particolare, il comma 1 dell'impugnato art. 18 prevede indiscriminatamente che qualunque struttura commerciale, quali che ne siano l'oggetto e la dimensione alla stregua dei commi 3, 5 e 7 dell'art. 16 della medesima legge regionale (dagli «esercizi di vicinato» con superficie non superiore a 250 mq, fino alle «grandi strutture di vendita» estese fino a 15.000 mq, e alle «aree commerciali integrate di interesse provinciale» con estensione superiore a 5 ettari) possano insediarsi nel territorio solo se cio' sia previsto in uno strumento urbanistico comunale. Il che, palesemente, significa condurre la pianificazione urbanistica oltre il proprio limite naturale di strumento di disciplina dell'assetto del territorio, e attribuirle, contro i richiamati principi di legge statale ed europei, una funzione diretta di programmazione dell'attivita' economica costituita dal commercio. Le prescrizioni di zonizzazione urbanistica contenute negli strumenti comunali debbono infatti, alla stregua dei richiamati concetti, in linea di principio limitarsi a prescrivere le destinazioni generali del territorio (destinazioni abitative, di servizi, produttive, di espansione, ecc.), mentre non possono spingersi fino a prescrivere il tipo di attivita' economiche (commerciali, di servizi, industriali) che nelle diverse zone sono abilitate a svolgersi. Cio' che la pianificazione urbanistica puo' fare, come ribadiscono anche le citate norme statali, e' solo la eventuale prescrizione del divieto di insediamento di determinate attivita' economiche (si pensi alle industrie pericolose o inquinanti) in talune zone del territorio, o anche, nei congrui casi, nell'intero territorio oggetto della pianificazione. Abilitazioni «in positivo» allo svolgimento di attivita' economiche (commerciali o di altra specie) in determinate zone, con il connesso divieto di svolgimento in tutte le altre zone, non possono invece rientrare negli obiettivi della pianificazione urbanistica correttamente intesa. Inoltre, il riferimento che l'art. 18 comma 1 fa alle «diverse articolazioni dell'attivita' commerciale previste dall'art. 16», che i comuni dovrebbero tenere presenti nel prevedere, in sede di disciplina urbanistica, divieti di insediamento di attivita' commerciali, contrasta con il divieto posto dall'art. 34 legge n. 214/2011 sopra trascritto, di introdurre «d) la limitazione dell'esercizio di una attivita' economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti». La previsione qui impugnata pone quindi i presupposti per l'introduzione di vincoli, divieti e disparita' di trattamento a base territoriale a carico di intere categorie di attivita' di commercio, o tra attivita' di commercio tra loro analoghe. Chiara e', di conseguenza, attraverso il contrasto con le citate norme statali, la violazione dei parametri costituzionali indicati in rubrica. Il comma 2 dell'art. 18 impugnato riguarda specificamente le strutture di vendita grandi e medie di tipo M3, giusta la classificazione contenuta nell'art. 16 comma 5 lett. b) n. 3) e lett. c) della legge regionale. Secondo la disposizione qui impugnata tali strutture possono insediarsi «solo in aree idonee sotto il profilo urbanistico e oggetto di piani attuativi anche al fine di prevedere le opere di mitigazione ambientale, di miglioramento dell'accessibilita' s/o di riduzione dell'impatto socio economico, ritenute necessarie». E' evidente anche in questo caso la strumentalizzazione della pianificazione urbanistica per finalita' di programmazione economica diretta dell'esercizio del commercio attraverso strutture cosi' connotate, nei sensi sopra chiariti in relazione al comma 1. La norma postula una idoneita' urbanistica specifica dell'area a ricevere insediamenti commerciali che, per quanto di notevoli dimensioni, sono comunque assai eterogenee tra loro, perche' costituite da strutture estese da un minimo di 1501 mq ad un massimo di 15000 mq. In cio' detta una prescrizione particolare a carico dell'attivita' economica rappresentata dal commercio esercitato attraverso tale specie di strutture, e confligge con l'illustrato divieto di condizionare l'esercizio del commercio, cosi' come di ogni altra attivita' economica, a previsioni urbanistiche preventive che abbiano per oggetto specifico i diversi tipi di attivita' economica, anziche' la zonizzazione del territorio ad attivita' economiche a prescindere dal tipo ed oggetto di queste. Inoltre, il comma 2 aggrava il vincolo in esame rispetto a quanto fatto dal comma precedente in relazione a tutte le possibili forme di esercizio del commercio, perche' prevede che le strutture M3 e le grandi strutture di vendita possano insediarsi non solo se lo strumento urbanistico generale lo prevede, ma, inoltre, solo se lo strumento generale sia altresi' integrato da «un piano urbanistico attuativo» che preveda le misure di mitigazione ambientale, di miglioramento dell'accessibilita' e di riduzione dell'impatto socio economico dell'insediamento. In tal modo, il condizionamento dell'attivita' economica a preliminari decisioni amministrative latamente discrezionali viene reso totale, perche' si condiziona la possibilita' di realizzare i suddetti insediamenti, pur contemplati dallo strumento generale, all'adozione, futura ed incerta, di piani attuativi. Inoltre, nel prevedere che lo strumento attuativo della previsione dello strumento generale sia necessariamente «un piano», la disposizione impugnata esclude ogni possibilita' di attuazione convenzionata della previsione dello strumento generale, cosi' ulteriormente comprimendo le possibilita' di esplicazione dell'autonomia privata e assoggettando del tutto l'esercizio dell'impresa alla decisione amministrativa unilaterale. Inoltre, la previsione che il piano attuativo contenga misure ambientali o, genericamente, socio-economiche, conferma l'estraneita' della disposizione alla materia urbanistica, e l'impiego dello strumento urbanistico per finalita' estranee finanche alla competenza regionale (come la tutela dell'ambiente). La norma regionale viola pertanto l'art. 117, comma 1, che impone il rispetto degli obblighi europei in materia di concorrenza nell'attivita' legislativa anche delle Regioni; l'art. 117 comma 2, lettera e), della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza legislativa in materia di tutela della concorrenza; gli artt. 3 e 41 Cost. in quanto comprime il nucleo essenziale della liberta' di iniziativa economica nella specifica materia disciplinata e consente discriminazioni su base territoriale tra operatori economici; l'art. 97 Cost. in quanto finalizza l'attivita' amministrativa di disciplina dell'assetto del territorio a finalita' di programmazione economica ad essa del tutto estranee. Violazione dell'art. 117 comma 1 e comma 2 lettera e) Cost. L'art. 45 disciplina le tipologie e le attivita' commerciali integrative in materia di impianti di distribuzione di carburante, e prevede al comma 1 che: «tutti i nuovi impianti devono essere dotati almeno di un prodotto ecocompatibile GPL o metano, a condizione che non vi siano ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalita' dell'obbligo». La norma regionale introduce, dunque, una barriera all'accesso al mercato della distribuzione di carburanti in rete rappresentata dall'obbligo asimmetrico (solo ai nuovi entranti) di fornire almeno un prodotto eco-compatibile. Per questo motivo, la norma limita la concorrenza. Gli obblighi asimmetrici limitano l'accesso al mercato di nuovi operatori, facendo ricadere su questi ultimi degli oneri che non operano in capo agli incumbent del mercato. Peraltro, l'imposizione di tali obblighi non e' giustificabile anche nell'ottica del perseguimento di obiettivi di interesse generale quali la tutela ambientale dal momento che, come detto, si tratta di vincoli che interessano soltanto i nuovi impianti. La previsione regionale si pone in contrasto con quanto disposto dal comma 5 dell'art. 17 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 279, il quale, ha modificato l'art. 83-bis, comma 17, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133), secondo cui «Al fine di garantire il pieno rispetto delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e di assicurare il corretto e uniforme funzionamento del mercato, l'installazione e l'esercizio di un impianto di distribuzione di carburanti non possono essere subordinati ... al rispetto di vincoli, ... che prevedano obbligatoriamente la presenza contestuale di piu' tipologie di carburanti, ivi incluso il metano per autotrazione, se tale ultimo obbligo comporta ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalita' dell'obbligo.». La norma statale, come si vede, prevede che, per garantire il pieno rispetto delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e assicurare il corretto e uniforme funzionamento del mercato, l'installazione e l'esercizio di un impianto di distribuzione di carburanti non possono essere subordinati, tra l'altro, all'obbligo della erogazione «di piu' tipologie di carburanti, ivi incluso il metano per autotrazione, se tale ultimo obbligo comporta ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalita' dell'obbligo». La norma statale pone dunque un divieto condizionato circa l'offerta contestuale di piu' tipologie di carburanti (in altri termini, la restrizione e' vietata se comporta ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali, sicche' e' onere dell'ente pubblico che intenda introdurre la restrizione provare che essa non e' eccessiva o sproprozionata); mentre l'art. 45 in esame impone la restrizione come regola, salvo che l'imprenditore interessato dimostri che essa comporta «ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalita' dell'obbligo». Nel primo caso, dunque, l'obbligo asimmetrico rappresenta l'eccezione (sara' l'Ente a dover dimostrare la proporzionalita' della restrizione) mentre nel secondo caso rappresenta la regola (sara' il richiedente l'autorizzazione che dovra' dimostrare la non proporzionalita' della restrizione). La disposizione regionale quindi, capovolgendo la norma statale di principio, determina una potenziale restrizione della concorrenza con riferimento al citato art. 83-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, risultando in contrasto con l'art. 117, comma 1 e comma 2, lettera e) della Costituzione. Sul punto, in fattispecie analoga, con la ricordata sentenza n. 125/2014 la Corte costituzionale ha ritenuto che «la norma regionale introduce vincoli piu' restrittivi all'apertura di nuovi impianti di distribuzione di carburanti, prevedendo l'obbligo di erogare contestualmente gasolio e benzina in contrasto con quanto previsto dall'83-bis, comma 17, del decreto-legge n. 112 del 2008 che vieta restrizioni che prevedano obbligatoriamente la presenza contestuale di piu' tipologie di carburanti. In altri termini la norma impugnata introduce significative e sproporzionate barriere all'ingresso nei mercati, non giustificate dal perseguimento di specifici interessi pubblici, condizionando o ritardando l'ingresso di nuovi operatori e, conseguentemente, ingenerando ingiustificate discriminazioni a danno della concorrenza, in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.». Anche dell'odierna disposizione regionale deve darsi il medesimo giudizio. Ne' potrebbe valere come giustificazione della restrizione la finalita' ambientale dichiarata dalla disposizione, in quanto finalita' comunque estranea alla competenza legislativa regionale, rientrando la tutela dell'ambiente nella competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117 comma 2 lett. s) Cost.; e, in ogni caso, insussistente o sproporzionata rispetto alla gravita' della barriera all'ingresso che la disposizione impugnata pone, poiche' il mero fatto della presenza di numerosi impianti che consentano la distribuzione del carburante ecocompatibile non ne incrementa di per se' il consumo. Tra le ragioni che orientano nella scelta del carburante i consumatori e, soprattutto, gli operatori economici che utilizzano automezzi, la diffusione dei punti di vendita e' infatti del tutto secondaria rispetto a preponderanti variabili di natura tecnica o economica (quali l'idoneita' dei mezzi alimentati con i diversi tipi di carburante a servire agli specifici usi che l'utilizzatore si propone; o il livello medio del prezzo dei diversi tipi di carburante). In tali condizioni, l'imposizione dell'obbligo di offrire comunque una varieta' di carburanti, comprendente in ogni caso quelli ecocompatibili, si traduce inevitabilmente nell'imposizione legislativa agli operatori del settore di incorrere in perdite di esercizio nella vendita di tali carburanti, la domanda dei quali non e' pensabile che, per effetto dell'obbligo in questione, si accresca in misura tale da rendere certamente economica la vendita degli stessi. Evidente e', quindi, l'eccessivita' della restrizione della liberta' concorrenziale cosi' apportata, rispetto agli obiettivi che la disposizione si propone.
P.T.M. Si chiede che venga dichiarata la illegittimita' costituzionale degli artt. 9, comma 4; 13 comma 7 lett. a) e c); 17, commi 3 e 4, 18 e 45 della legge della Regione Puglia n. 24 del 16 aprile 2015. Si produce per estratto copia conforme della delibera del Consiglio dei ministri del 19 giugno 2015 completa di relazione. Roma, 20 giugno 2015 L'Avvocato dello Stato: Chiarina Aiello