N. 70 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 20 giugno 2015

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 25 giugno  2015  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Commercio - Norme della Regione Puglia - Codice del Commercio - Orari
  di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita  al
  dettaglio - Previsione che la Regione e i Comuni promuovono accordi
  volontari tra gli operatori sugli orari delle attivita' commerciali
  - Previsione di progetti di valorizzazione  commerciale  -  Ricorso
  del  Governo   -   Denunciato   contrasto   con   i   principi   di
  liberalizzazione di cui al decreto-legge n. 201 del 2011 -  Assenza
  di qualsiasi criterio direttivo della discrezionalita'  dei  Comuni
  nell'elaborare i progetti di valorizzazione commerciale - Contrasto
  con le norme statali che pongono il divieto di  intese  restrittive
  della liberta' di concorrenza - Inosservanza degli obblighi europei
  in materia di concorrenza nell'attivita'  legislativa  anche  delle
  Regioni - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale
  in materia di tutela della concorrenza. 
- Legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24, artt. 9, comma 4,
  e 13, comma 7, lett. c). 
- Costituzione,  art.  117,  commi  primo  e   secondo,   lett.   e);
  decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 31; legge
  10 ottobre  1990,  n.  287,  art.  2;  Trattato  sul  funzionamento
  dell'Unione europea, art. 101. 
Commercio - Norme della Regione  Puglia  -  Codice  del  Commercio  -
  Sviluppo e promozione del commercio -  Progetto  di  valorizzazione
  commerciale -  Previsione  della  possibilita'  per  il  Comune  di
  vietare  la  vendita   di   particolari   merceologie   o   settori
  merceologici - Ricorso del Governo -  Contrasto  con  la  normativa
  statale  che  pone  il  divieto  di  limitazioni  merceologiche   -
  Violazione  della  competenza  legislativa  esclusiva  statale   in
  materia di tutela della concorrenza. 
- Legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24, art. 13, comma 7,
  lett. a). 
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett.  e);  decreto-legge  6
  dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,  dalla  legge
  22 dicembre 2011, n. 214, art. 31; legge 24 marzo 2012, n. 27, art.
  1. 
Commercio - Norme della Regione  Puglia  -  Codice  del  Commercio  -
  Modalita' di apertura, trasferimento e ampliamento degli esercizi -
  Previsione che l'apertura, il trasferimento di sede, il cambiamento
  di settore di vendita e l'ampliamento della superficie di una media
  o grande struttura  di  vendita  sono  soggetti  ad  autorizzazione
  commerciale - Previsione che l'apertura, il trasferimento di  sede,
  il cambiamento di settore di vendita e l'ampliamento di  un  Centro
  commerciale o di un'Area Commerciale  Integrata  sono  soggetti  ad
  autorizzazione per l'intero Centro e di autorizzazione  o  SCIA  (a
  seconda della dimensione) per ciascuno degli esercizi al  dettaglio
  presenti nel Centro Commerciale - Ricorso del Governo -  Denunciato
  contrasto con i  principi  di  semplificazione  e  liberalizzazione
  espressi dalla normativa  statale  -  Violazione  della  competenza
  legislativa esclusiva statale in materia di livelli essenziali e in
  materia di tutela della concorrenza. 
- Legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24, art. 17, commi  3
  e 4. 
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. m) e lett. e); legge 7
  agosto 1990, n. 241, art. 19; decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.
  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22  dicembre  2011,
  n. 214, artt. 31 e 34; legge 24 marzo 2012, n. 27, art. 1. 
Commercio - Norme della Regione  Puglia  -  Codice  del  Commercio  -
  Pianificazione  territoriale  e  urbanistica   degli   insediamenti
  commerciali - Previsione che i Comuni individuano  le  aree  idonee
  all'insediamento  di  strutture  commerciali  attraverso  i  propri
  strumenti   urbanistici,    con    particolare    riferimento    al
  dimensionamento della funzione commerciale - Ricorso del Governo  -
  Denunciata predeterminazione di nuovi  divieti  di  localizzazione,
  avulsa  da  una  verifica  del  territorio  e  priva  di  forme  di
  coinvolgimento popolare e delle garanzie del  giusto  procedimento,
  in contrasto con la normativa statale e con  quella  comunitaria  -
  Inosservanza degli  obblighi  europei  in  materia  di  concorrenza
  nell'attivita' legislativa anche delle Regioni -  Violazione  della
  competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della
  concorrenza - Violazione del principio della liberta' di iniziativa
  economica  e  del  principio  di  buon   andamento   dell'attivita'
  amministrativa. 
- Legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24, art. 18. 
- Costituzione, artt. 3, 41, 97 e 117, commi primo e  secondo,  lett.
  e);  decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201,  convertito,   con
  modificazioni, dalla legge 22 dicembre  2011,  n.  214,  artt.  31,
  comma 2, e 34, comma 3;  legge  24  marzo  2012,  n.  27,  art.  1;
  Direttiva 123/2006/CE del 12 dicembre 2006. 
Commercio - Norme della Regione  Puglia  -  Codice  del  Commercio  -
  Tipologie e attivita'  commerciali  integrative  -  Previsione  che
  tutti i nuovi impianti devono essere dotati almeno di  un  prodotto
  ecocompatibile GPL o metano, a condizione che non vi siano ostacoli
  tecnici o  oneri  economici  eccessivi  e  non  proporzionali  alle
  finalita'  dell'obbligo  -  Ricorso  del   Governo   -   Denunciata
  introduzione di vincoli all'accesso al mercato della  distribuzione
  di carburanti in rete rappresentata dall'obbligo asimmetrico  (solo
  ai nuovi entranti) di fornire almeno un prodotto eco-compatibile  -
  Potenziale  restrizione  della  concorrenza  -  Contrasto  con   la
  normativa statale in  materia  -  Inosservanza  delle  disposizioni
  dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza
  - Violazione della  competenza  legislativa  esclusiva  statale  in
  materia di tutela della concorrenza. 
- Legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24, art. 45. 
- Costituzione, art.117, commi primo e secondo, lett. e). 
(GU n.36 del 9-9-2015 )
    Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e  difeso  dalla  Avvocatura  Generale  dello  Stato  presso  cui  e'
domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12 contro Regione Puglia  in
persona del Presidente della Giunta  regionale  pro  tempore  per  la
declaratoria di illegittimita' costituzionale degli artt. 9, comma 4;
13 comma 7 lett. a) e c); 17 commi 3 e 4, 18 e 45 della  legge  della
Regione Puglia n. 24 del  16  aprile  2015  «Codice  del  Commercio»,
pubblicata sul B.U. Puglia n. 56 del 22 aprile 2015, supplemento. 
    Con la legge 16 aprile 2014 n. 24 la  Regione  Puglia  disciplina
l'esercizio dell'attivita' commerciale. 
    L'art. 9 della predetta legge dispone  in  materia  di  orari  di
apertura e di chiusura al  pubblico  degli  esercizi  di  vendita  al
dettaglio. 
    In particolare l'art. 9 comma 4 prevede «La Regione  e  i  comuni
promuovono accordi volontari fra operatori volti a garantire che  gli
orari  delle  attivita'  commerciali   concorrano   al   rispetto   e
all'attuazione delle disposizioni di cui ai capi I e VII della  legge
8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternita'  e
della paternita', per il diritto alla cura e alla formazione e per il
coordinamento dei tempi della citta') e dell'art. 50,  comma  7,  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle  leggi
sull'ordinamento degli enti locali)». 
    L'art. 13  dispone  in  materia  di  sviluppo  e  promozione  del
commercio,  prevede  che  il  Comune  puo'  elaborare   progetti   di
valorizzazione commerciale, e al comma 7, lettera c) dispone  che  Il
progetto di valorizzazione commerciale puo' prevedere  interventi  in
materia di orari d'apertura, vendite straordinarie e  di  occupazione
di suolo pubblico; 
    L'art.  13  comma  7  lettera  a)  dispone,  a  sua  volta,   che
nell'ambito dei predetti progetti di  valorizzazione  commerciale,  i
Comuni possano  prevedere  «il  divieto  di  vendita  di  particolari
merceologie o settori merceologici». 
    L'art. 17 disciplina le modalita' di  apertura,  trasferimento  e
ampliamento degli esercizi. 
    Al comma 3 prevede: L'apertura,  il  trasferimento  di  sede,  il
cambiamento di settore di vendita e l'ampliamento della superficie di
una  media  o  grande  struttura  di   vendita   sono   soggetti   ad
autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio. 
    Al comma 4 dispone: L'apertura,  il  trasferimento  di  sede,  il
cambiamento di settore di vendita e l'ampliamento della superficie di
un centro commerciale e di un'area commerciale integrata  necessitano
di: 
        a) autorizzazione per il centro come tale, in quanto media  o
grande struttura di vendita, che e' richiesta dal suo promotore o, in
assenza,  congiuntamente  da  tutti   i   titolari   degli   esercizi
commerciali che vi danno vita, purche' associati per la creazione del
centro commerciale; 
        b) autorizzazione o SCIA, a  seconda  delle  dimensioni,  per
ciascuno degli esercizi al dettaglio presenti nel centro. 
    L'art. 18 disciplina la Pianificazione territoriale e urbanistica
degli insediamenti commerciali. 
    «1. I comuni  individuano  le  aree  idonee  all'insediamento  di
strutture commerciali attraverso i propri strumenti  urbanistici,  in
conformita'  alle  finalita'  di  cui  all'art.  2,  con  particolare
riferimento  al  dimensionamento  della  funzione  commerciale  nelle
diverse articolazioni previste all'art. 16. 
    2. L'insediamento di grandi  strutture  di  vendita  e  di  medie
strutture di vendita di tipo M3. e' consentito solo  in  aree  idonee
sotto il profilo urbanistico e oggetto di piani urbanistici attuativi
anche al fine di prevedere le opere  di  mitigazione  ambientale,  di
miglioramento dell'accessibilita' e/o di riduzione dell'impatto socio
economico, ritenute necessarie.». 
    L'art.  45  disciplina  le  Tipologie  e  attivita'   commerciali
integrative. 
    «1.  Al  fine  del  miglioramento  delle  condizioni   ambientali
attraverso   la   promozione   della   diffusione   dei    carburanti
ecocompatibili, tutti i nuovi impianti devono essere dotati almeno di
un prodotto ecocompatibile GPL o metano,  a  condizione  che  non  vi
siano  ostacoli  tecnici  o   oneri   economici   eccessivi   e   non
proporzionali  alle  finalita'  dell'obbligo,   come   definiti   nei
provvedimenti di cui all'art. 3. 
    2. Tutti gli impianti devono essere  dotati  dell'apparecchiatura
self-service prepagamento. 
    3. I nuovi  impianti,  nonche'  quelli  esistenti  ristrutturati,
possono  inoltre  essere  dotati,  oltre  che  di  autonomi   servizi
all'automobile  e  all'automobilista,  autolavaggio,  auto   parking,
officine, anche di  autonome  attivita'  commerciali  integrative  su
superfici non  superiori  a  quelle  definite  per  gli  esercizi  di
vicinato, di attivita' di somministrazione  alimenti  e  bevande,  di
attivita' artigianali, di rivendite di tabacchi e  di  punti  vendita
non esclusivi di stampa quotidiana  e  periodica.  L'esercizio  delle
rivendite di tabacco e' subordinato al rispetto delle norme  e  delle
prescrizioni  tecniche  che  disciplinano  lo  svolgimento  di   tali
attivita' presso impianti di distribuzione dei carburanti. 
    4. I provvedimenti di cui all'art. 3, possono prevedere ulteriori
specificazioni in ordine alle attrezzature dell'area di rifornimento,
alla  dotazione  di  pensiline  di  copertura  con   sistemi   idonei
all'efficienza energetica e  all'utilizzo  delle  fonti  rinnovabili,
alla presenza di adeguati servizi igienico-sanitari  per  gli  utenti
anche in condizioni di disabilita', di locali necessari  al  ricovero
del gestore, di sistemi di  sicurezza  pubblica  (videosorveglianza),
nonche' di aree a parcheggio per gli autoveicoli.». 
    Le disposizioni di tutti gli articoli sopra riportati, 9 comma 4,
13 comma 7 lettera c) e comma 7 lettera a), 17 commi 3 e 4,  e  degli
artt. 18 e  45,  appaiono  costituzionalmente  illegittime,  sotto  i
profili che verranno ora evidenziati, e pertanto il Governo -  giusta
delibera del Consiglio dei ministri  del  19  giugno  2015  (che  per
estratto autentico si  produce)  ai  sensi  dell'art.  127  Cost.  la
impugna con il presente ricorso per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
Violazione dell'art.  117,  comma  1  e  comma  2  lettera  e)  della
Costituzione 
    Le disposizioni degli artt. 9 comma 4 e 13  comma  7  lettera  c)
prevedono, come si e' detto, il  potere  del  Comune  di  intervenire
sugli orari di apertura e di chiusura degli esercizi commerciali. 
    Le disposizioni contrastano con quanto stabilito dall'art. 31 del
decreto-legge n.  201/2011  (c.d.  decreto  Salva  Italia)  il  quale
modificando l'art. 3, comma  1,  lett.  d-bis,  del  decreto-legge  4
luglio 2006, n. 223 (c.d.  decreto  Bersani),  ha  disposto  che  «le
attivita' commerciali, come individuate dal  decreto  legislativo  31
marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono
svolte, tra l'altro, senza i seguenti limiti e prescrizioni: [...] d)
il rispetto degli orari di apertura e di  chiusura,  l'obbligo  della
chiusura domenicale e festiva, nonche' quello della mezza giornata di
chiusura infrasettimanale dell'esercizio». 
    La normativa nazionale prevede che le attivita'  commerciali  non
possono essere soggette a  nessun  limite  in  materia  di  orari  di
apertura e chiusura. 
    Le norme regionali,  pertanto,  si  pongono  in  primo  luogo  in
contrasto con i principi di liberalizzazione di cui al  decreto-legge
n. 201/2011, convertito in legge 22 dicembre 2011 n. 214 (cd. decreto
Salva Italia). 
    La disposizione contenuta nell'art. 9, comma 4,  in  particolare,
promuovendo  esplicitamente  la  conclusione  di  accordi   tra   gli
operatori, volte  a  creare  un  coordinamento  consapevole  tra  gli
esercenti su una variabile concorrenziale (quali appunto gli orari di
apertura e chiusura), legittima intese che  risultano  potenzialmente
vietate ai sensi dell'art. 2 della legge n.  287/1990,  che  pone  il
divieto di intese restrittive della liberta'  di  concorrenza  e  con
l'art. 101 TFUE. 
    Le   norme   regionali   pertanto,    presentano    profili    di
incostituzionalita' per violazione  dell'art.  117,  comma  1,  della
Costituzione,  che  impone  il  rispetto   degli   obblighi   europei
nell'attivita' legislativa anche delle Regioni; e dell'art. 117 comma
2,  lettera  e),  della  Costituzione,  che  riserva  allo  Sato   la
competenza  legislativa  esclusiva  in  materia  di   «tutela   della
concorrenza». 
    In tal senso si e' ripetutamente espressa la giurisprudenza della
Corte costituzionale (sentenze n. 65/2013; n. 27/2013;  n.  299/2012)
stabilendo che l'art. 31 del decreto-legge n.  201/2011,  poiche'  si
qualifica come norma di liberalizzazione, si inquadra  nella  materia
della tutela della concorrenza, riservata alla  competenza  esclusiva
statale, ed  e'  direttamente  vincolante  anche  nei  confronti  dei
legislatori regionali. 
    Le regioni non possono quindi adottare  norme  legislative,  come
quelle impugnate, il cui effetto sia quello di limitare  o  escludere
del tutto la portata liberalizzatrice  della  norma  statale  citata.
Cio'  si  tradurrebbe,  infatti,  in  un  diretto  intervento   della
legislazione regionale nella materia della concorrenza. 
    Ne', a legittimare l'intervento  legislativo  regionale,  possono
valere i riferimenti che l'art. 9 comma 4 impugnato fa ai  capi  I  e
VII della legge n. 53/2000 sulla tutela della maternita' e sui  tempi
delle citta', e all'art. 50 comma 7 del testo unico degli enti locali
(decreto legislativo n. 267/2000). 
    Il primo riferimento va  inteso  come  rivolto,  in  particolare,
all'art. 22 comma 5 della legge n. 53/2000, giusta il  quale  «5.  Le
leggi regionali di cui al comma 1 indicano: 
        a) criteri generali di amministrazione e coordinamento  degli
orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e  privati,  degli
uffici  della  pubblica  amministrazione,   dei   pubblici   esercizi
commerciali  e  turistici,  delle   attivita'   culturali   e   dello
spettacolo, dei trasporti;». 
    Il secondo riferimento e'  rivolto  all'art.  50  comma  7  TUEL,
giusta il quale «7. Il sindaco,  altresi',  coordina  e  riorganizza,
sulla  base  degli  indirizzi  espressi  dal  consiglio  comunale   e
nell'ambito dei criteri eventualmente  indicati  dalla  regione,  gli
orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi
pubblici,  nonche',  d'intesa  con  i  responsabili  territorialmente
competenti delle amministrazioni interessate, gli orari  di  apertura
al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine
di armonizzare l'espletamento dei servizi con le esigenze complessive
e generali degli utenti.». 
    Queste  previsioni  di  legge  statale  furono   adottate   tutte
anteriormente alla riforma del Titolo V  della  Costituzione,  quando
ancora non si erano  chiaramente  inseriti  in  Costituzione  ne'  il
vincolo della legislazione anche regionale ai  principi  del  diritto
europeo, ne' la competenza statale esclusiva  in  materia  di  tutela
della concorrenza.  Esse  vanno  quindi  considerate  superate  dalla
legislazione statale sopravvenuta,  e  in  particolare  dall'art.  31
decreto-legge n. 201/2011. 
    Con  questa  disposizione  si  e'  inteso,  da  un   lato,   dare
consistenza  al  profilo  «promozionale»   della   disciplina   della
concorrenza, ripetutamente ammesso dalla  giurisprudenza  di  codesta
Corte, stabilendo con  valutazione  legislativa  non  sindacabile  in
questa sede (e, comunque, gia' positivamente  scrutinata  da  codesta
Corte), che l'abolizione delle limitazioni orarie nell'apertura degli
esercizi commerciali costituisce uno strumento  di  promozione  dello
sviluppo economico e non contrasta con l'utilita'  sociale  (art.  41
Cost.) sotto alcun profilo. 
    Dall'altro, si e' inteso ottemperare, sotto il profilo  «tutorio»
o «repressivo» della disciplina della  concorrenza,  al  fondamentale
principio  europeo  del   divieto   di   intese   restrittive   della
concorrenza. E' infatti noto (per lo meno a  partire  dalla  sentenza
della Corte di giustizia CE nel caso «Consorzio italiano fiammiferi»)
che   anche   decisioni   pubbliche,   come   atti   legislativi    o
amministrativi,  incidenti  sulle  condizioni  di   esercizio   delle
attivita' di impresa, nella  misura  in  cui  privino  gli  operatori
economici di qualsiasi discrezionalita' nell'adottare i comportamenti
conseguenti, possono costituire elemento di  una  intesa  restrittiva
della concorrenza, illegittima alla stregua dell'art. 101 TFUE. 
    Le   previsioni   legislative   o   amministrative    comportanti
limitazioni imperative alla liberta' degli imprenditori del commercio
di  determinare   gli   orari   di   apertura   degli   esercizi   si
inquadrerebbero  in  tale   ipotesi,   perche'   comporterebbero   un
contingentamento necessario  dei  tempi  di  erogazione  dell'offerta
commerciale  al  pubblico,   cioe'   una   restrizione   quantitativa
dell'offerta o una misura equivalente ad una simile  restrizione.  E'
del resto ben noto che, a qualificare  un  accordo  restrittivo  come
illegittimo dal punto di vista concorrenziale, non e' necessario  che
questo  abbia  come  effetto  la  restrizione,   p.es.   quantitativa
dell'offerta;  e'  infatti  sufficiente  che  l'accordo  abbia   tale
restrizione  come  proprio  oggetto,  a  prescindere  dagli   effetti
restrittivi concretamente prodotti, che possono anche non sussistere.
L'illecito anticoncorrenziale,  nella  pacifica  ricostruzione  della
giurisprudenza  europea  e  interna,  e'  infatti  illecito  di  mero
pericolo. 
    La norma regionale impugnata si pone quindi in  contrasto  con  i
parametri  evocati  perche',  come  illustrato,  impedisce  il  pieno
dispiegamento degli effetti di una norma statale vertente in  materia
di disciplina della concorrenza, e costituisce, o pone il presupposto
perche'  sia  costituita,  una  forma  di  intesa  restrittiva  della
concorrenza contraria all'art. 101 TFUE e, tramite  questo,  all'art.
117 comma 1 Cost. 
    Quanto, poi, all'art. 13 comma 7 lett. c) impugnato,  oltre  alle
considerazioni sopra svolte, deve aggiungersi la censura basata sulla
totale assenza di qualsiasi criterio direttivo della discrezionalita'
dei Comuni nell'elaborare i progetti di valorizzazione commerciale e,
in particolare, nell'inserire  in  questi  le  previste  (e  comunque
inammissibili) misure in materia di orari di apertura. 
    L'illimitata discrezionalita' che  in  tal  modo  si  attribuisce
all'ente locale comporta un ulteriore elemento  di  incertezza  nella
disciplina dell'attivita' commerciale,  e  sotto  questo  profilo  un
ulteriore vulnus al corretto svolgimento della  concorrenza  sotto  i
due concorrenti profili sopra illustrati. 
    L'art. 13, comma 7 lettera a) della legge in esame dispone,  come
si e' detto, che il Comune nell'ambito dei progetti di valorizzazione
commerciale possa vietare la vendita  di  particolari  merceologie  o
settori merceologici. 
    Le limitazioni merceologiche sono vietate dall'art. 3 della legge
n. 148/2011 e dall'art. 34 della legge n. 214/2011. 
    Gli artt. 3, comma 9, lett. f) della legge n. 148/2011  e  l'art.
34, comma 3,  lett.  d)  della  legge  n.  214/2011  hanno  stabilito
l'abrogazione  di  qualsiasi  restrizione,  tra  cui  la  limitazione
dell'esercizio di una attivita' economica ad alcune  categorie  o  il
divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di
taluni prodotti. 
    Il legislatore nazionale con progressivi e  graduali  interventi,
ha  infatti  da  tempo  avviato  un  processo  di  regolazione  delle
attivita'  economiche,   con   il   passaggio   da   una   disciplina
pianificatoria ad una completa liberalizzazione  (art.  31  legge  n.
214/2011 e art. 1 legge  n.  27/2012),  disponendo  l'abrogazione  di
norme che a vario titolo e in  diverso  modo  prevedono  limitazioni,
condizioni o divieti che ostacolano l'iniziativa economica o limitano
l'ingresso nel mercato di nuovi operatori. 
    In questo contesto, la legge regionale  eccede  dalle  competenze
regionali, perche' incide direttamente sul confronto concorrenziale e
sull'assetto del mercato; oltre a vincolare e aggravare, in luogo  di
semplificare,  l'esercizio  dell'attivita'  commerciale,  in   quanto
introduce a danno della  liberta'  di  iniziativa  economica,  limiti
inutili, gravosi e non previsti nella Costituzione. 
    La Corte  costituzionale,  chiamata  piu'  volte  a  pronunciarsi
sull'obbligo degli Enti locali di adeguare i  propri  ordinamenti  ai
principi  di  liberalizzazione  e  semplificazione  delle   attivita'
economiche (art. 1 legge n.  27/2012),  ha  affermato  che  affinche'
l'obiettivo perseguito dal legislatore  possa  ottenere  gli  effetti
sperati,   in   termini   di   snellimento   degli   oneri   gravanti
sull'esercizio dell'attivita'  economica,  occorre  che  l'azione  di
tutte le pubbliche amministrazioni - centrali, regionali e  locali  -
sia improntata ai medesimi  principi,  per  evitare  che  le  riforme
introdotte a un determinato livello  di  governo  siano,  nei  fatti,
vanificate dal  diverso  orientamento  dell'uno  o  dell'altro  degli
ulteriori enti che compongono l'articolato  sistema  delle  autonomie
(Corte cost., 23 gennaio 2013 n. 8). 
    La norma regionale reintroducendo limitazioni gia'  abrogate  dal
legislatore   statale   nell'esercizio   della   propria   competenza
legislativa esclusiva in materia di tutela della  concorrenza,  viola
pertanto l'art. 117, comma 2, lett. e) Cost. 
    A rendere evidente la violazione commessa dalla  norma  impugnata
e' sufficiente considerare, oltre alla  materia  su  cui  interviene,
chiaramente  riconducibile  alla  disciplina  della  concorrenza,  il
contenuto di essa: la norma prefigura infatti la possibilita'  che  i
comuni introducano addirittura dei divieti di commercializzazione  di
particolari merceologie o settori merceologici,  cioe'  prefigura  la
possibilita' di introdurre  vincoli  assoluti  e  inderogabili  nelle
liberta' di scelta dell'imprenditore del commercio. 
    Anche a questo riguardo,  quindi,  oltre  alla  violazione  della
competenza statale esclusiva,  si  configura  l'introduzione  di  una
misura  legislativa  indebitamente  anticoncorrenziale,   avente   ad
oggetto   restrizioni   quantitative   o   qualitative   dell'offerta
commerciale. 
Violazione dell'art. 117, comma 2 lettera m) e lettera e) Cost. 
    L'art. 17 come si e' detto  dispone  le  modalita'  di  apertura,
trasferimento ed ampliamento degli esercizi. 
    In particolare i commi  3  e  4  prevedono  rispettivamente,  che
l'apertura, il trasferimento di sede, il cambiamento  di  settore  di
vendita e l'ampliamento  della  superficie  di  una  media  o  grande
struttura di vendita siano soggetti ad autorizzazione  commerciale  e
che l'apertura, il trasferimento di sede, il cambiamento  di  settore
di vendita e l'ampliamento di un  Centro  Commerciale  o  di  un'Area
Commerciale Integrata  necessitano  di  autorizzazione  per  l'intero
Centro e di autorizzazione o SCIA (a seconda  della  dimensione)  per
ciascuno degli esercizi al dettaglio presenti nel Centro Commerciale. 
    Le  disposizioni  si  pongono  in  contrasto  con   principi   di
semplificazione e liberalizzazione espressi:  dall'art  19  legge  n.
241/1990 (come modificato dall'art. 13,  comma  1,  decreto-legge  22
giugno 2012 n. 83) in base al quale ogni  atto  di  autorizzazione  o
licenza per l'esercizio di un'attivita' commerciale, imprenditoriale,
e' sostituito dalla SCIA presentata dall'interessato; dagli artt.  31
e 34 della legge n. 214/2011 e dall'art. 1  della  legge  n.  27/2012
che, in un'ottica di semplificazione, hanno abolito le autorizzazioni
espresse, con  la  sola  esclusione  degli  interessi  pubblici  piu'
sensibili indicati dalla direttiva n. 123/2006/CE. 
    Le norme statali introducono una sostanziale liberalizzazione per
cui le autorizzazioni non costituiscono piu' la regola, ma un'ipotesi
del tutto residuale, in quanto possono essere  previste  o  mantenute
solo se giustificati da motivi di interesse  generale,  nel  rispetto
dei principi di non discriminazione e di proporzionalita'. 
    Come ha affermato dalla Corte costituzionale  nella  sentenza  n.
164/2012,  la  disciplina   della   SCIA,   con   il   principio   di
semplificazione ad esso sotteso, ha  un  ambito  applicativo  diretto
alla generalita' dei cittadini e costituisce livello essenziale delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. 
    «Il  titolo  di  legittimazione  dell'intervento  statale   nella
specifica  disciplina  della  SCIA  si   ravvisa   nell'esigenza   di
determinare livelli essenziali di prestazioni concernenti  i  diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto  il  territorio
nazionale.» (cfr sent. 164/2012). 
    La norma regionale pertanto ai  sensi  dell'art.  117,  comma  2,
lett. m) Cost), viola la competenza esclusiva statale in  materia  di
livelli essenziali. 
    La Corte costituzionale inoltre ha recentemente  affermato  nella
sentenza n. 125/2014, in materia di vincoli all'apertura di  esercizi
commerciali, la portata abrogativa e la immediata vincolativita'  dei
principi di liberalizzazione contenuti nell'art. 31  della  legge  n.
214/2011 secondo cui «costituisce principio generale dell'ordinamento
nazionale la liberta' di apertura di nuovi esercizi  commerciali  sul
territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli  di
qualsiasi altra natura, esclusi quelli  connessi  alla  tutela  della
salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano,
e dei beni culturali»; e nell'art. 1 della legge n. 27/2012,  che  ha
stabilito in attuazione  del  principio  di  liberta'  di  iniziativa
economica sancito dall'art. 41 Cost. e del principio  di  concorrenza
sancito dal Trattato dell'Unione europea, che sono  abrogate  «a)  le
norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni,  licenze,  nulla
osta o  preventivi  atti  di  assenso  dell'amministrazione  comunque
denominati per l'avvio di un'attivita' economica non giustificati  da
un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con
l'ordinamento   comunitario   nel   rispetto   del    principio    di
proporzionalita'; b) le norme che pongono divieti e restrizioni  alle
attivita' economiche non adeguati o non proporzionati alle  finalita'
pubbliche perseguite, nonche' le  disposizioni  di  pianificazione  e
programmazione territoriale o temporale autoritativa  con  prevalente
finalita' economica o prevalente  contenuto  economico,  che  pongono
limiti, programmi e controlli non ragionevoli,  ovvero  non  adeguati
ovvero non proporzionati rispetto alle finalita' pubbliche dichiarate
e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l'avvio di
nuove attivita' economiche o l'ingresso di nuovi operatori  economici
ponendo un trattamento differenziato  rispetto  agli  operatori  gia'
presenti sul mercato, operanti in  contesti  e  condizioni  analoghi,
ovvero impediscono, limitano o condizionano l'offerta di  prodotti  e
servizi al consumatore, nel tempo nello  spazio  o  nelle  modalita',
ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli  operatori
economici oppure limitano o condizionano le  tutele  dei  consumatori
nei loro confronti». 
    La Corte ha quindi ribadito  ancora  una  volta  l'illegittimita'
costituzionale delle  norme  regionali  che  reintroducono  limiti  e
vincoli in contrasto con la normativa statale di liberalizzazione. 
    Le previsioni regionali  in  esame  risultano  pertanto  invasive
della potesta' legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela
della concorrenza e violano pertanto anche l'art. 117, secondo comma,
lett. e) della Costituzione. 
    In particolare, va osservato che le  disposizioni  regionali  qui
impugnate non si inquadrano in alcuna delle ipotesi  tuttora  atte  a
consentire il mantenimento di poteri  autorizzatori  preventivi  allo
svolgimento di attivita' economiche. 
    Nessuna delle disposizioni dell'art. 17 qui impugnate  chiarisce,
infatti, quali siano  le  finalita'  pubbliche  che  il  reintrodotto
potere   autorizzatorio   vorrebbe   tutelare,   o   gli    interessi
costituzionalmente   rilevanti   che   l'applicazione   del    regime
liberalizzato alla materia dei centri commerciali e  delle  strutture
commerciali di  media  o  grande  dimensione  pregiudicherebbe;  ne',
infine, quali siano i criteri atti a garantire  che  l'esercizio  del
potere autorizzatorio in questione non si traduca in una  limitazione
sproporzionata e discriminatoria della liberta' economica. Tanto piu'
che la specifica materia dei centri e strutture in questione e',  dal
punto  di  vista  della  compatibilita'   generale   delle   relative
iniziative, gia' oggetto dei poteri amministrativi «di  settore»,  in
particolare dal punto di vista della  pianificazione  urbanistica,  o
della tutela dell'ambiente e del paesaggio. Non si comprende, quindi,
la necessita'  di  reintrodurre,  aggiuntivamente,  specifici  poteri
autorizzatori necessariamente  basati  su  valutazioni  pubbliche  di
carattere strettamente economico. 
    Evidente e', quindi, che  la  finalita',  o  comunque  l'effetto,
delle disposizioni impugnate  si  risolve  nel  vanificare  le  sopra
illustrate  norme  statali  di   liberalizzazione   delle   attivita'
economiche rispetto agli adempimenti amministrativi preliminari;  con
palese  invasione  della  competenza  statale  esclusiva  nei   sopra
indicati settori (livelli minimi; disciplina della concorrenza). 
Violazione degli artt. 3, 41, 97, 117 comma 1 e comma  2  lettera  e)
Cost. 
    L'art. 18 disciplina la pianificazione territoriale e urbanistica
degli insediamenti commerciali. Prevede  al  comma  1  che  i  Comuni
individuano le aree idonee all'insediamento di' strutture commerciali
attraverso  i  propri  strumenti  urbanistici,  in  conformita'  alle
finalita'  di  cui  all'art.  2,  con  particolare   riferimento   al
dimensionamento   della   funzione    commerciale    nelle    diverse
articolazioni previste all'art. 16; al comma 2 che l'insediamento  di
grandi strutture di vendita e di medie strutture di vendita  di  tipo
M3, e' consentito solo in aree idonee sotto il profilo urbanistico  e
oggetto di piani urbanistici attuativi anche al fine di prevedere  le
opere di mitigazione ambientale, di miglioramento dell'accessibilita'
e/o di riduzione dell'impatto socio economico, ritenute necessarie. 
    La predeterminazione con legge  regionale  di  nuovi  divieti  di
localizzazione - avulsa  da  una  verifica  del  territorio  e  senza
prevedere forme di coinvolgimento, di partecipazione popolare,  senza
le  garanzie  del  giusto  procedimento,  non  puo'  essere  compresa
nell'esercizio del potere di pianificazione urbanistica perche' opera
come limite allo sviluppo del commercio, in contrasto con  gli  artt.
3, 41 e 97  Cost.,  oltre  che  con  l'ordinamento  comunitario,  con
conseguente violazione dell'art. 117, comma  1  Cost.,  in  relazione
alla direttiva 123/2006/CE. 
    L'art.  18  e'  una   norma   di   programmazione   economica   e
territoriale,  che  limita  e  condiziona  l'insediamento  di   nuove
attivita' commerciali e, per tale ragione, si pone in  contrasto  con
gli artt. 31, comma 2,  legge  n.  214/2011  (Secondo  la  disciplina
dell'Unione Europea e nazionale in materia di  concorrenza,  liberta'
di  stabilimento  e  libera  prestazione  di   servizi,   costituisce
principio generale dell'ordinamento nazionale la liberta' di apertura
di nuovi  esercizi  commerciali  sul  territorio  senza  contingenti,
limiti territoriali  o  altri  vincoli  di  qualsiasi  altra  natura,
esclusi quelli connessi alla tutela  della  salute,  dei  lavoratori,
dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei  beni  culturali.
Le Regioni e gli enti  locali  adeguano  i  propri  ordinamenti  alle
prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre  2012,  potendo
prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche
aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree
dove possano  insediarsi  attivita'  produttive  e  commerciali  solo
qualora vi sia la necessita' di garantire la tutela della salute, dei
lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei  beni
culturali) e dell'art. 34, comma 3, legge n. 214/2011 (Sono  abrogate
le seguenti restrizioni disposte dalle norme vigenti: 
        a) il divieto di esercizio di una attivita' economica  al  di
fuori di una certa area geografica  e  l'abilitazione  a  esercitarla
solo all'interno di una determinata area; 
        b) l'imposizione di distanze  minime  tra  le  localizzazioni
delle sedi deputate all'esercizio di una attivita' economica; 
        c) il divieto di esercizio di una attivita' economica in piu'
sedi oppure in una o piu' aree geografiche; 
        d) la limitazione dell'esercizio di una  attivita'  economica
ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie,  di
commercializzazione di taluni prodotti; 
        e) la limitazione dell'esercizio di una  attivita'  economica
attraverso l'indicazione tassativa della  forma  giuridica  richiesta
all'operatore; l'imposizione di prezzi minimi o  commissioni  per  la
fornitura di beni o servizi; 
        g) l'obbligo di fornitura di specifici servizi  complementari
all'attivita' svolta.) nonche' con l'art. 1 della  legge  n.  27/2012
(recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo  sviluppo  delle
infrastrutture e la competitivita'). 
    In  sostanza,  dalle  trascritte  norme  statali  si  ricava   il
principio che nel nucleo essenziale delle liberta' economiche rientra
quella di localizzare senza divieti e limiti preventivi le  attivita'
commerciali, che sono in linea di principio  considerate  compatibili
con qualsiasi parte del territorio, quali che siano il loro oggetto o
la loro struttura e dimensione organizzativa. Solo  in  questo  modo,
nell'apprezzamento legislativo,  e'  possibile  consentire  il  pieno
svolgimento  della  concorrenza,   ed   evitare   discriminazioni   e
disparita'  di  trattamento  tra  operatori   economici   basate   su
differenti    discipline    della    possibilita'    di     insediare
territorialmente attivita' commerciali identiche o analoghe. 
    Le trascritte norme statali  configurano,  quindi,  un  legittimo
intervento legislativo  statale  nel  campo  della  disciplina  della
concorrenza, a tutela della piena espansione della liberta' economica
anche nel campo del commercio. 
    La normativa regionale impugnata si pone in insanabile  contrasto
con tali disposizioni,  e  quindi  viola  le  norme  a  tutela  della
liberta' economica (artt. 3 e 41 Cost.), quelle  sulla  riduzione  al
minimo  dei  vincoli   amministrativi   alle   attivita'   economiche
(semplificazione, rilevante ex art.  97  Cost.),  e,  infine,  ancora
quelle  sulla  competenza  statale  esclusiva  a  dettare  norme   di
disciplina della concorrenza (art. 117 comma 2 lett. e) Cost.). 
    In  particolare,  il  comma  1  dell'impugnato  art.  18  prevede
indiscriminatamente che qualunque struttura commerciale, quali che ne
siano l'oggetto e la dimensione alla stregua  dei  commi  3,  5  e  7
dell'art. 16 della  medesima  legge  regionale  (dagli  «esercizi  di
vicinato» con superficie non superiore a 250 mq,  fino  alle  «grandi
strutture  di  vendita»  estese  fino  a  15.000  mq,  e  alle  «aree
commerciali  integrate  di  interesse  provinciale»  con   estensione
superiore a 5 ettari) possano insediarsi nel territorio solo se  cio'
sia previsto in uno strumento urbanistico comunale. 
    Il  che,  palesemente,  significa  condurre   la   pianificazione
urbanistica  oltre  il  proprio  limite  naturale  di  strumento   di
disciplina dell'assetto  del  territorio,  e  attribuirle,  contro  i
richiamati principi di legge statale ed europei, una funzione diretta
di programmazione dell'attivita' economica costituita dal commercio. 
    Le  prescrizioni  di  zonizzazione  urbanistica  contenute  negli
strumenti comunali  debbono  infatti,  alla  stregua  dei  richiamati
concetti,  in  linea  di  principio  limitarsi   a   prescrivere   le
destinazioni generali  del  territorio  (destinazioni  abitative,  di
servizi,  produttive,  di  espansione,  ecc.),  mentre  non   possono
spingersi  fino  a  prescrivere  il  tipo  di  attivita'   economiche
(commerciali, di servizi, industriali) che nelle  diverse  zone  sono
abilitate a svolgersi. Cio' che la  pianificazione  urbanistica  puo'
fare, come ribadiscono anche le citate  norme  statali,  e'  solo  la
eventuale prescrizione del divieto  di  insediamento  di  determinate
attivita'  economiche  (si  pensi   alle   industrie   pericolose   o
inquinanti) in talune zone del territorio, o anche, nei congrui casi,
nell'intero territorio oggetto della pianificazione. Abilitazioni «in
positivo» allo svolgimento di attivita' economiche (commerciali o  di
altra specie)  in  determinate  zone,  con  il  connesso  divieto  di
svolgimento in tutte le altre  zone,  non  possono  invece  rientrare
negli  obiettivi  della  pianificazione   urbanistica   correttamente
intesa. 
    Inoltre, il riferimento che l'art. 18 comma 1  fa  alle  «diverse
articolazioni dell'attivita' commerciale previste dall'art. 16»,  che
i comuni  dovrebbero  tenere  presenti  nel  prevedere,  in  sede  di
disciplina  urbanistica,  divieti  di   insediamento   di   attivita'
commerciali, contrasta con il divieto posto  dall'art.  34  legge  n.
214/2011  sopra  trascritto,  di  introdurre   «d)   la   limitazione
dell'esercizio di una  attivita'  economica  ad  alcune  categorie  o
divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di
taluni prodotti». 
    La  previsione  qui  impugnata  pone  quindi  i  presupposti  per
l'introduzione di vincoli, divieti e disparita' di trattamento a base
territoriale a carico di intere categorie di attivita' di  commercio,
o tra attivita' di commercio tra loro analoghe. 
    Chiara e', di conseguenza, attraverso il contrasto con le  citate
norme statali, la violazione dei parametri costituzionali indicati in
rubrica. 
    Il comma 2 dell'art.  18  impugnato  riguarda  specificamente  le
strutture  di  vendita  grandi  e  medie  di  tipo  M3,   giusta   la
classificazione contenuta nell'art. 16 comma 5 lett. b) n. 3) e lett.
c) della legge regionale. 
    Secondo la disposizione  qui  impugnata  tali  strutture  possono
insediarsi «solo in  aree  idonee  sotto  il  profilo  urbanistico  e
oggetto di piani attuativi anche al fine di  prevedere  le  opere  di
mitigazione ambientale, di miglioramento dell'accessibilita'  s/o  di
riduzione dell'impatto socio economico, ritenute necessarie». 
    E' evidente anche in questo  caso  la  strumentalizzazione  della
pianificazione urbanistica per finalita' di programmazione  economica
diretta  dell'esercizio  del  commercio  attraverso  strutture  cosi'
connotate, nei sensi sopra chiariti in relazione al comma 1. 
    La norma postula una idoneita' urbanistica specifica dell'area  a
ricevere  insediamenti  commerciali  che,  per  quanto  di   notevoli
dimensioni,  sono  comunque  assai  eterogenee  tra   loro,   perche'
costituite da strutture estese da un minimo di 1501 mq ad un  massimo
di 15000 mq. In cio' detta  una  prescrizione  particolare  a  carico
dell'attivita'  economica  rappresentata  dal  commercio   esercitato
attraverso tale specie di strutture,  e  confligge  con  l'illustrato
divieto di condizionare l'esercizio del commercio, cosi' come di ogni
altra attivita' economica, a previsioni urbanistiche  preventive  che
abbiano per oggetto specifico i diversi tipi di attivita'  economica,
anziche' la zonizzazione del territorio  ad  attivita'  economiche  a
prescindere dal tipo ed oggetto di queste. 
    Inoltre, il comma 2 aggrava il vincolo in esame rispetto a quanto
fatto dal comma precedente in relazione a tutte le possibili forme di
esercizio del commercio, perche' prevede che le  strutture  M3  e  le
grandi strutture  di  vendita  possano  insediarsi  non  solo  se  lo
strumento urbanistico generale lo prevede, ma, inoltre,  solo  se  lo
strumento generale sia altresi' integrato da  «un  piano  urbanistico
attuativo» che  preveda  le  misure  di  mitigazione  ambientale,  di
miglioramento dell'accessibilita' e di riduzione  dell'impatto  socio
economico dell'insediamento. 
    In  tal  modo,  il  condizionamento  dell'attivita'  economica  a
preliminari decisioni amministrative  latamente  discrezionali  viene
reso totale, perche' si condiziona la possibilita'  di  realizzare  i
suddetti insediamenti,  pur  contemplati  dallo  strumento  generale,
all'adozione, futura ed incerta, di  piani  attuativi.  Inoltre,  nel
prevedere che lo strumento attuativo della previsione dello strumento
generale sia necessariamente «un piano»,  la  disposizione  impugnata
esclude  ogni  possibilita'   di   attuazione   convenzionata   della
previsione dello strumento generale, cosi' ulteriormente  comprimendo
le   possibilita'   di   esplicazione   dell'autonomia   privata    e
assoggettando  del  tutto  l'esercizio  dell'impresa  alla  decisione
amministrativa unilaterale. 
    Inoltre, la previsione che il  piano  attuativo  contenga  misure
ambientali o, genericamente, socio-economiche, conferma l'estraneita'
della  disposizione  alla  materia  urbanistica,  e  l'impiego  dello
strumento urbanistico per finalita' estranee finanche alla competenza
regionale (come la tutela dell'ambiente). 
    La norma regionale viola pertanto l'art. 117, comma 1, che impone
il  rispetto  degli  obblighi  europei  in  materia  di   concorrenza
nell'attivita' legislativa anche delle Regioni; l'art. 117  comma  2,
lettera e), della Costituzione, che riserva allo Stato la  competenza
legislativa in materia di tutela della concorrenza; gli artt. 3 e  41
Cost. in quanto comprime  il  nucleo  essenziale  della  liberta'  di
iniziativa economica nella specifica materia disciplinata e  consente
discriminazioni su base territoriale tra operatori economici;  l'art.
97 Cost. in quanto finalizza l'attivita' amministrativa di disciplina
dell'assetto del territorio a finalita' di  programmazione  economica
ad essa del tutto estranee. 
Violazione dell'art. 117 comma 1 e comma 2 lettera e) Cost. 
    L'art. 45 disciplina le  tipologie  e  le  attivita'  commerciali
integrative in materia di impianti di distribuzione di carburante,  e
prevede al comma 1 che: «tutti i nuovi impianti devono essere  dotati
almeno di un prodotto ecocompatibile GPL o metano, a  condizione  che
non vi siano ostacoli tecnici  o  oneri  economici  eccessivi  e  non
proporzionali alle finalita' dell'obbligo». 
    La norma regionale introduce, dunque, una barriera all'accesso al
mercato della  distribuzione  di  carburanti  in  rete  rappresentata
dall'obbligo asimmetrico (solo ai nuovi entranti) di  fornire  almeno
un prodotto eco-compatibile. 
    Per questo motivo, la norma limita la concorrenza.  Gli  obblighi
asimmetrici limitano l'accesso al mercato di nuovi operatori, facendo
ricadere su questi ultimi degli oneri che non operano  in  capo  agli
incumbent del mercato. Peraltro, l'imposizione di tali  obblighi  non
e' giustificabile anche nell'ottica del perseguimento di obiettivi di
interesse generale quali la tutela ambientale dal momento  che,  come
detto,  si  tratta  di  vincoli  che  interessano  soltanto  i  nuovi
impianti. 
    La previsione regionale si pone in contrasto con quanto  disposto
dal comma 5 dell'art. 17 del decreto-legge 24  gennaio  2012,  n.  1,
(convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge  24
marzo 2012, n. 279, il quale, ha modificato l'art. 83-bis, comma  17,
del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.   112,   (convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6  agosto  2008,  n.
133), secondo cui «Al fine  di  garantire  il  pieno  rispetto  delle
disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela  della
concorrenza e di assicurare il corretto e uniforme funzionamento  del
mercato,  l'installazione   e   l'esercizio   di   un   impianto   di
distribuzione di carburanti non possono  essere  subordinati  ...  al
rispetto di vincoli, ... che prevedano obbligatoriamente la  presenza
contestuale di piu' tipologie di carburanti, ivi  incluso  il  metano
per autotrazione, se tale ultimo obbligo comporta ostacoli tecnici  o
oneri  economici  eccessivi  e  non  proporzionali   alle   finalita'
dell'obbligo.». 
    La norma statale, come si vede, prevede  che,  per  garantire  il
pieno rispetto delle  disposizioni  dell'ordinamento  comunitario  in
materia di tutela  della  concorrenza  e  assicurare  il  corretto  e
uniforme funzionamento del mercato, l'installazione e l'esercizio  di
un  impianto  di  distribuzione  di  carburanti  non  possono  essere
subordinati, tra  l'altro,  all'obbligo  della  erogazione  «di  piu'
tipologie di carburanti, ivi incluso il metano per  autotrazione,  se
tale ultimo obbligo  comporta  ostacoli  tecnici  o  oneri  economici
eccessivi e non proporzionali alle finalita' dell'obbligo». 
    La norma  statale  pone  dunque  un  divieto  condizionato  circa
l'offerta contestuale di  piu'  tipologie  di  carburanti  (in  altri
termini, la restrizione e' vietata se  comporta  ostacoli  tecnici  o
oneri economici eccessivi  e  non  proporzionali,  sicche'  e'  onere
dell'ente pubblico che intenda introdurre la restrizione provare  che
essa non e' eccessiva o sproprozionata); mentre l'art.  45  in  esame
impone  la  restrizione  come  regola,   salvo   che   l'imprenditore
interessato dimostri che essa  comporta  «ostacoli  tecnici  o  oneri
economici eccessivi e non proporzionali alle finalita' dell'obbligo». 
    Nel  primo  caso,  dunque,  l'obbligo   asimmetrico   rappresenta
l'eccezione (sara' l'Ente  a  dover  dimostrare  la  proporzionalita'
della restrizione) mentre nel  secondo  caso  rappresenta  la  regola
(sara' il richiedente l'autorizzazione che dovra' dimostrare  la  non
proporzionalita' della restrizione). 
    La disposizione regionale quindi, capovolgendo la  norma  statale
di principio, determina una potenziale restrizione della  concorrenza
con riferimento al citato art. 83-bis  del  decreto-legge  25  giugno
2008, n. 112, risultando in contrasto con l'art. 117, comma 1 e comma
2, lettera e) della Costituzione. 
    Sul punto, in fattispecie analoga, con la ricordata  sentenza  n.
125/2014 la Corte costituzionale ha ritenuto che «la norma  regionale
introduce vincoli piu' restrittivi all'apertura di nuovi impianti  di
distribuzione  di  carburanti,  prevedendo   l'obbligo   di   erogare
contestualmente gasolio e benzina in contrasto  con  quanto  previsto
dall'83-bis, comma 17, del decreto-legge n. 112 del  2008  che  vieta
restrizioni che prevedano obbligatoriamente la  presenza  contestuale
di piu' tipologie di carburanti. 
    In altri termini la norma  impugnata  introduce  significative  e
sproporzionate barriere all'ingresso nei  mercati,  non  giustificate
dal perseguimento di specifici interessi  pubblici,  condizionando  o
ritardando  l'ingresso  di  nuovi  operatori   e,   conseguentemente,
ingenerando ingiustificate discriminazioni a danno della concorrenza,
in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.». 
    Anche dell'odierna disposizione regionale deve darsi il  medesimo
giudizio. 
    Ne' potrebbe valere come  giustificazione  della  restrizione  la
finalita'  ambientale  dichiarata  dalla  disposizione,   in   quanto
finalita' comunque estranea alla  competenza  legislativa  regionale,
rientrando la tutela dell'ambiente nella competenza esclusiva statale
ai sensi dell'art. 117 comma 2 lett.  s)  Cost.;  e,  in  ogni  caso,
insussistente o sproporzionata rispetto alla gravita' della  barriera
all'ingresso che la disposizione  impugnata  pone,  poiche'  il  mero
fatto  della  presenza  di  numerosi  impianti  che   consentano   la
distribuzione del carburante ecocompatibile non ne incrementa di  per
se' il consumo.  Tra  le  ragioni  che  orientano  nella  scelta  del
carburante i consumatori e, soprattutto, gli operatori economici  che
utilizzano automezzi, la diffusione dei punti di vendita  e'  infatti
del tutto secondaria rispetto a  preponderanti  variabili  di  natura
tecnica o economica (quali l'idoneita' dei  mezzi  alimentati  con  i
diversi  tipi  di  carburante  a  servire  agli  specifici  usi   che
l'utilizzatore si propone; o il livello medio del prezzo dei  diversi
tipi di carburante). In tali condizioni,  l'imposizione  dell'obbligo
di offrire comunque una varieta' di carburanti, comprendente in  ogni
caso    quelli    ecocompatibili,    si    traduce    inevitabilmente
nell'imposizione legislativa agli operatori del settore di  incorrere
in perdite di esercizio nella vendita di tali carburanti, la  domanda
dei  quali  non  e'  pensabile  che,  per  effetto  dell'obbligo   in
questione, si accresca in misura tale da rendere certamente economica
la vendita degli stessi. 
    Evidente  e',  quindi,  l'eccessivita'  della  restrizione  della
liberta' concorrenziale cosi' apportata, rispetto agli obiettivi  che
la disposizione si propone. 
 
                               P.T.M. 
 
     Si chiede che venga dichiarata la illegittimita'  costituzionale
degli artt. 9, comma 4; 13 comma 7 lett. a) e c); 17, commi 3 e 4, 18
e 45 della legge della Regione Puglia n. 24 del 16 aprile 2015. 
    Si  produce  per  estratto  copia  conforme  della  delibera  del
Consiglio dei ministri del 19 giugno 2015 completa di relazione. 
      Roma, 20 giugno 2015 
 
               L'Avvocato dello Stato: Chiarina Aiello