N. 174 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 aprile 2015
Ordinanza dell'8 aprile 2015 emessa dal Tribunale di Trento nel procedimento civile promosso da R.E. contro Pubblico ministero presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Trento. Stato civile - Rettificazione giudiziale di attribuzione di sesso - Possibilita' subordinata alle intervenute modificazioni dei caratteri sessuali della persona istante - Conseguente ritenuta necessita' che quest'ultima si sottoponga previamente alla modificazione dei propri caratteri sessuali primari mediante intervento chirurgico demolitivo e ricostruttivo - Ingiustificata limitazione dell'esercizio del diritto della persona all'identita' di genere (ossia di scegliere l'identita' sessuale, femminile o maschile, cui sente di appartenere a prescindere dal dato biologico) - Violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, sancito dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU) come interpretata dalla Corte di Strasburgo - Contrasto con la garanzia costituzionale dei diritti inviolabili della persona - Lesione del diritto di ognuno ad ottenere il riconoscimento della propria identita' sessuale - Irragionevolezza - Compromissione del diritto alla salute (attesa l'invasivita' e pericolosita' dei trattamenti sanitari per l'adeguamento del sesso "biologico"). - Legge 14 aprile 1982, n. 164, art. 1, primo comma. - Costituzione, artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU); Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza 11 luglio 2002, n. 28.957 (Christine Goodwin contro Regno Unito).(GU n.37 del 16-9-2015 )
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO Sezione civile Composto dagli Ill.mi sigg.ri Magistrati: dott. Roberto Beghini - presidente relatore; dott. Giuseppe Barbato - giudice; dott. Giuliana Segna - giudice; Letti gli atti del proc. n. 5143/2013 RG, pronunzia la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla eccellentissima Corte costituzionale in relazione alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164; 1. La rilevanza della questione. La rilevanza della questione risiede nel fatto che, nel presente giudizio, la ricorrente, avente sesso anagrafico femminile, premesso di non avere figli e di aver non contratto matrimonio, ha chiesto a questo Tribunale le rettificazione di attribuzione di sesso ai sensi dell'art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164, mediante ordine all'ufficiale di stato civile del comune di residenza, di modificare l'atto di nascita, nel senso che risulti quale genere quello maschile e quale prenome uno dello stesso tipo. Aggiunge di aver percepito, sin da quando aveva 14 anni, un'identita' maschile, anche facendosi chiamare con un nome del genere. Precisa di essersi gia' sottoposta al trattamento con testosterone nonche' a tutti gli interventi chirurgici demolitivi possibili per il genere biologico femminile, precisamente mastectomia bilaterale e isterectomia. Allega certificato medico da cui ella risulta "affetta" da "transessualismo" [F 64.0 secondo ICD 9]. Il Procuratore della Repubblica e' rimasto inizialmente contumace. Con ordinanza del 19-20 agosto 2014, questo Tribunale ha disposto la sospensione impropria del presente giudizio, in attesa della decisione della assai simile questione di costituzionalita' sollevata da questo stesso Collegio con ordinanza 19-20 agosto 2014 pronunziata nel proc. n. 1471/2013 (pendente tra altra parte ed il medesimo Procuratore della Repubblica). Con ricorso in riassunzione depositato il 15 ottobre 2014, la ricorrente ha ora insistito nuovamente, previa revoca di detta ordinanza di sospensione impropria; per l'accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso. All'udienza del 16 dicembre 2014, la causa e' stata riservata per la decisione ed il pubblico ministero ha espresso parere favorevole all'accoglimento della predetta domanda giudiziale. Delineato in tal modo l'oggetto del giudizio, questo Tribunale, richiamando qui la cit. ordinanza 19-20 agosto 2014 di rinnessione gia' pronunziata nel predetto proc. 1471/2013, evidenzia che la rilevanza della nuova questione di costituzionalita' che ora viene sollevata, risiede nel fatto che anche in questo caso la domanda giudiziale deve essere decisa sulla base del cit. art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164 (come modificato dall'art. 110, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396), in virtu' del quale, come noto «la rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali». Dal tenore letterale della norma, emerge che la rettificazione puo' aver luogo solo previa modificazione dei caratteri sessuali, per tali dovendosi necessariamente intendere i caratteri sessuali primari (vale a dire l'apparato genitale, in base all'esame del quale, al momento della nascita, si e' soliti individuare il sesso della persona). In assenza della modificazione dei caratteri sessuali primari, la rettificazione non puo' aver luogo. E' ben vero infatti che l'art. 31, comma quarto, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, prevedendo che «quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato», ammette che il trattamento medico-chirurgico possa essere solo eventuale (come lascia intendere l'avverbio «quando»); ma cio' non gia' perche' possa ottenersi la rettificazione di attribuzione di sesso a prescindere dall'adeguamento dei caratteri sessuali primari, bensi' solo perche' possono esservi casi concreti nei quali i caratteri sessuali primari risultano gia' modificati (ad esempio, in caso di intervento gia' praticato all'estero o per ragioni congenite). Se cosi' non fosse, non si comprenderebbe l'espressione «a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali», di cui al cit. art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164. Se il legislatore avesse inteso consentire alla persona la rettificazione di attribuzione di sesso a prescindere dalla modificazione dei suoi caratteri sessuali primari, non avrebbe menzionato tale modificazione nella parte finale della norma in esame. Il suo tenore letterale sarebbe stato diverso, verosimilmente uguale a «la rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita», senza alcun riferimento alla modificazione dei caratteri sessuali della persona. Il legislatore del 1982 ha dunque richiesto che vi sia piena corrispondenza tra gli organi sessuali primari della persona, e la nuova identita' sessuale a costei attribuita dall'autorita' giudiziaria. Il cit. art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164, esclude che sia ammessa la rettificazione di attribuzione di sesso, in assenza della modificazione dei caratteri sessuali primari della persona (modificazioni che possono essere congenite, fortuite o realizzate mediante intervento medico-chirurgico). Il tenore letterale della norma, non consente alcun altra interpretazione. Sia pure con una certa riluttanza, il Collegio ricorda che talune interpretazioni ritengono sufficienti le terapie ormonali; altre richiedono interventi sulle masse muscolari, sulla laringe, oppure sulle mammelle; altre ancora esigono l'asportazione completa di entrambi i testicoli. Tali interpretazioni, tuttavia, non sembrano trovare alcun sostegno nel diritto positivo, atteso che il cit. art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164, non prevede alcuna ipotesi e/o distinzione del genere (e sotto tale profilo, l'assoluta genericita-indeterminatezza della nozione di «modificazione di caratteri sessuali», sembra confliggere con l'art. 3 Cost.). Dette interpretazioni appaiono inoltre meno persuasive di quello che - a prima vista - si potrebbe pensare, perche' «accontentandosi» di terapie o interventi chirurgici meno invasivi, finiscono per ritenerli comunque necessari, evitando di affrontare il problema di fondo sotteso alla materia, vale a dire l'esistenza o meno del diritto di ogni persona alla propria identita' sessuale, a prescindere da qualsivoglia terapia o intervento chirurgico, sia pure non troppo invasivo (ammesso che ne possa esistere qualcuno). La lettera del cit. art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164, non precisa in che cosa consistano le modificazioni dei caratteri sessuali necessarie per ottenere la rettificazione dell'attribuzione di sesso, sicche' pare ragionevole ritenere che alcuna distinzione possa essere neppure effettuata dall'interprete circa tali modificazioni. Il legislatore sembra allora esigere che l'aspetto esteriore del soggetto che chiede la rettificazione, sia - almeno apparentemente - il piu' possibile anatomicamente uguale a quello del diverso genere sessuale al quale chiede di appartenere. Come perspicacemente evidenziato dal Tribunale di Potenza nella sentenza n. 157 del 20 febbraio 2015, richiedendo la modificazione dei caratteri sessuali, la norma intende attribuire rilevanza alla percezione esterna dell'identita' sessuale da parte dei terzi nella sfera sociale, apparendo prevalente «la considerazione del sesso anatomico (tale risultante per conformazione naturale o per adeguamento chirurgico), che porta - ad esempio - la persona ad essere scelta come partner maschile o femminile secondo l'orientamento di un terzo. E tanto vale a maggior ragione quando vengono in rilievo le risultanze degli atti dello stato civile che, proprio in ragione della loro funzione pubblicitaria a garanzia dei diritti dei terzi, non possono registrare un dato soggettivo in luogo di un dato oggettivo, documentando la realta' psicologica a preferenza della realta' biologica, la psicosessualita' a discapito del sesso anatomico, l'identita' di genere al posto dell'identita' sessuale (in senso stretto)». La norma pare quindi richiedere interventi non solo «demolitivi», ma anche «ricostruitivi», al fine di rendere la conformazione anatomica della persona il piu' possibile esteriormente corrispondente a quella del diverso sesso da attribuire anagraficamente. Ad avviso di questo Tribunale, dall'assoluto assordante silenzio normativa, nessun altra interpretazione - costituzionalmente orientata - sembra possibile. Nella fattispecie concreta, allora, il Collegio dovrebbe rigettare la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso proposta dalla ricorrente, in quanto, come accennato, ella si e' sottoposta a trattamento con testosterone nonche' agli interventi chirurgici demolitivi (precisamente mastectomia bilaterale e isterectomia), ma non all'intervento chirurgico ricostruttivo dell'organo genitale maschile. Di qui la rilevanza della questione di costituzionalita' del cit. art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164, nella parte in cui subordina la rettificazione di attribuzione di sesso alle intervenute modificazioni dei caratteri sessuali della persona istante (dovendosi interpretare la norma nel senso che essa impone modificazioni anche ricostruttive). 2. La non manifesta infondatezza. Ritiene il Collegio che l'inciso «a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali», di cui al cit. art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164, richiedendo interventi chirurgici anche ricostruttivi, si ponga in contrasto con gli artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, Cost. (l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, di seguito CEDU). Per una esaustiva comprensione della fattispecie, puo' essere utile premettere che, come di recente evidenziato dalla dottrina, ogni persona ha un sesso «anagrafico» attribuitogli al momento della nascita in base a un esame morfologico degli organi genitali. In questo modo, il sesso anagrafico viene fatto coincidere col sesso «biologico». Tuttavia, se per la maggior parte degli individui tale attribuzione rispecchia fedelmente tutte le componenti sessuali, facendo cosi' coincidere il sesso «legale» con quello reale, possono verificarsi ipotesi nelle quali questa coincidenza non sussiste. In questi casi, il sesso attribuito anagraficamente, diventa una mera finzione, perche' la componente psicologica si discosta dal dato biologico. Quando cio' avviene, si manifestano le molteplici componenti della sessualita' umana, la quale e' al contempo genetica, fenotipica, endocrinica, psicologica, culturale e sociale. Il dato fondamentale non e' piu' il sesso biologico o anagrafico, ma il genere, che si puo' definire quale «variabile socio-culturale», vale a dire «qualita' della persona in base alla quale della stessa si puo' dire che e' maschile o femminile». Il genere puo' discostarsi dal sesso biologico e cambiare col tempo in varie declinazioni e direzioni, nel qual caso si puo' parlare di «espressione» o «ruolo» di genere. Quando vi e' una «percezione» di non collimazione tra il genere assegnato alla nascita (sulla base del sesso «biologico») e il genere cui la persona acquista la consapevolezza di appartenere, tale mutamento opera sul piano dell'identita' di genere. Nel passato, la medicina riteneva che ogni dissociazione tra il sesso e il genere, configurasse una vera e propria patologia (il c.d. «disturbo dell'identita' di genere», DIG), risolvibile solo attraverso il mutamento, verso il sesso opposto, di tutto cio' che era possibile cambiare. Attraverso la c.d. «triadic therapy», infatti, alla persona veniva chiesto di portare a conclusione un processo in tre fasi: un'esperienza reale nel ruolo del sesso desiderato, il trattamento ormonale e la riassegnazione chirurgica dei caratteri sessuali (cd. RCS). Solo chi completava tutti e tre questi steps, poteva considerarsi «guarito» e dunque ammesso tra i soggetti meritevoli di considerazione come persone del sesso opposto. Il cit. art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164, nella parte in cui subordina la rettificazione di attribuzione di sesso alla intervenuta modificazione dei caratteri sessuali della persona istante, richiedendo interventi chirurgici anche ricostruttivi, costituisce la piena e matura espressione di tale mentalita'. L'imposizione di un determinato trattamento medico, sia esso ormonale ovvero di RCS, costituisce tuttavia una grave ed inammissibile limitazione al riconoscimento del diritto all'identita' di genere (maschile o femminile). Infatti, il fine del raggiungimento dello stato di benessere psico-fisico della persona, al quale tende il riconoscimento sociale, e' la rettificazione di attribuzione di sesso, e non la riassegnazione sessuale sul piano anatomico (dalla persona non sempre voluta). In altra prospettiva, al fine di identificare una persona come femmina o maschio, non si procede ad un esame dei suoi organi genitali - atto che costituirebbe una grave intromissione nella vita privata della persona - bensi' dei suoi documenti. Ne deriva che il trattamento clinico non influisce, sotto un profilo generale, sul riconoscimento sociale nella stessa misura nella quale vi contribuisce, invece, il mutamento di sesso anagrafico. Va poi evidenziato che, come riferisce la scienza medica, sia il trattamento ormonale sia la RCS, sono - notoriamente - molto rischiosi per la salute umana. La transizione da donna a uomo (c.d. Female to Male, F2M) comporta ipercoagulabilita' del sangue con rischio di embolia polmonare, infertilita', aumento di peso, patologie epatiche e labilita' emotiva; la transizione opposta (Male to Female, M2F), puo' portare a infertilita', acne e malattie cardiovascolari. Non puo' nemmeno trascurarsi che vanno in ogni caso considerate anche le preesistenti condizioni di salute della persona, le quali potrebbero sconsigliare ogni tipo di intervento chirurgico, con la conseguenza che, in casi del genere, ella non potrebbe mai ottenere la rettificazione dell'attribuzione di sesso (se non a completo discapito della propria salute). Cio' evidenziato in punto di fatto, e' noto che l'art. 8 della CEDU sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, prevedendo che «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non puo' esservi ingerenza di una autorita' pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una societa' democratica, e' necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle liberta' altrui». Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, il diritto all'identita' sessuale (rectius, diritto all'identita' di genere), rientra a pieno titolo nella tutela prevista dal cit. art. 8 della CEDU. Ad esempio, nella sentenza 11 luglio 2002, n. 28.957 (Christine Goodwin contro Regno Unito), la Corte ha affermato che «77. Occorre anche riconoscere che puo' sussistere un grave pregiudizio alla vita privata quando il diritto nazionale e' incompatibile con un aspetto importante dell'identita' personale (v., mutatis mutandis, la sentenza 22 ottobre 1981 nel caso Dudgeon contro Regno Unito, serie A n. 45, par. 41). La tensione e lo squilibrio emotivo provocati dalla divergenza tra il ruolo ricoperto nella societa' da un transessuale operato e la condizione imposta dal diritto che rifiuta di riconoscerne il mutamento di sesso non possono essere considerati, a giudizio della Corte, un inconveniente di secondaria importanza discendente da una formalita'. Vi e' conflitto tra la realta' sociale e il diritto che pone il transessuale in una situazione anomala, suscitandogli sensazioni di vulnerabilita', di umiliazione e di angoscia». Nella medesima sentenza, la Corte ha anche evidenziato che «90. Cio' posto, la dignita' e la liberta' dell'uomo costituiscono il nocciolo della Convenzione. In particolare, nel contesto dell'art. 8 della Convenzione, dove la nozione di autonomia personale riflette un importante principio sotteso all'interpretazione delle garanzie di tale disposizione, la sfera personale di ciascun individuo e' protetta, compreso il diritto per ciascuno di decidere i particolari della propria identita' di essere umano (vedi, specialmente, la sentenza 29 aprile 2002 nel caso Pretty c. Regno Unito, ricorso n. 2346/02, par. 62). Nel XXI secolo, la facolta' per i transessuali di godere pienamente, al pari dei loro concittadini, del diritto allo sviluppo personale e all'integrita' fisica e morale, non puo' essere considerata una questione controversa che richiede del tempo per poter comprendere piu' chiaramente i problemi in gioco». Come noto, per giurisprudenza costante, la contrarieta' di una norma interna alla CEDU, da' luogo ad un incidente di costituzionalita' con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. (v. Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007, nn. 311 e 317 del 2009, n. 93 del 2010, nn. 1, 113, 236 e 303 del 2011, e nn. 15 e 78 del 2012). Passando quindi alla Costituzione italiana, il suo art. 2 sancisce il fondamentale principio secondo cui «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo», ed eleva «a regola fondamentale dello Stato, per tutto quanto attiene ai rapporti tra la collettivita' e i singoli, il riconoscimento di quei diritti che formano patrimonio irretrattabile della persona umana [e che...) appartengono all'uomo inteso come essere libero» (v. sentenza della Corte costituzionale n. 11 del 1956): diritti che, stante il loro «carattere fondante rispetto al sistema democratico voluto dal costituente» (v. Corte cost. n. 366 del 1991), non possono «essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali» (v. Corte cost. n. 1146 del 1988), perche' «appartengono all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana».. Nell'alveo dei diritti inviolabili la Corte costituzionale ha ricondotto sia «il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identita' sessuale, da ritenere aspetto e fattore di svolgimento della personalita'», che gli altri membri della collettivita' sono tenuti a riconoscere «per dovere di solidarieta' sociale» (v. Corte cost. n. 161 del 1985); sia il diritto alla liberta' sessuale, poiche', «essendo la sessualita' uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente e' senza dubbio un diritto soggettivo assoluto» (v. Corte cost. n. 561 del 1987). Anche l'art. 2 Cost., come il cit. art. 8 CEDU, riconosce e tutela il diritto all'identita' sessuale (rectius, diritto all'identita' di genere), nel senso che ogni persona ha il diritto di scegliere la propria identita' sessuale, femminile o maschile, a prescindere dal dato biologico. Il sospetto di incostituzionalita' del cit. art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164, sorge in quanto, tale norma, pur riconoscendo il diritto della persona di scegliere la propria identita' sessuale, femminile o maschile, subordina l'esercizio di tale diritto alla modificazione dei propri caratteri sessuali primari (da effettuarsi tramite intervento chirurgico demolitivo e ricostruttivo). Ad avviso di questo Tribunale, subordinando il diritto di scegliere la propria identita' sessuale alla modificazione dei propri caratteri sessuali primari da effettuarsi tramite un doloroso e pericoloso intervento chirurgico sia demolitivo che ricostruttivo, si finisce col pregiudicare irreparabilmente l'esercizio del diritto stesso, vanificandolo integralmente, considerando anche che le condizioni di salute della persona potrebbero sconsigliare ogni terapia ed intervento chirurgico, con la conseguenza che in casi del genere la persona, senza alcuna colpa, non potrebbe mai ottenere la rettificazione dell'attribuzione di sesso. Pare evidente il conflitto tra il diritto individuale all'identita' sessuale (e la relativa autodeterminazione), e l'imposizione del requisito della modifica dei caratteri sessuali primari, necessario per ottenere la rettificazione dell'attribuzione di sesso. La concezione per cui al fine di vedersi riconosciuto il proprio diritto all'identita' sessuale, una persona debba - per forza - sottoporsi a trattamenti chirurgici altamente invasivi, tali da mettere in pericolo la propria salute, confligge insanabilmente sia con il cita art. 8 CEDU, sia con l'art. 2 Cost., i quali entrambi, come visto, consentono incondizionatamente ad ogni soggetto di vedersi riconosciuta la propria identita' sessuale. Detta concezione confligge anche con l'art. 32 Cost., poiche', al fine dell'esercizio di un proprio diritto fondamentale (quale il diritto all'identita' sessuale), impone al soggetto di sottoporsi ad un trattamento chirurgico, del tutto non pertinente ne' necessario al fine del libero esercizio del diritto in esame. Imporre al soggetto di sottoporsi ad un trattamento chirurgico o sanitario doloroso e pericoloso per la propria salute, equivale a vanificare o rendere comunque eccessivamente gravoso l'esercizio del diritto alla propria identita' sessuale. Considerando che i citt. art. 8 CEDU e art. 2 Cost. tutelano la ricongiunzione dell'individuo con il proprio genere quale risultato del procedimento di rettificazione, non puo' non riconoscersi che - come ha fatto da tempo anche la scienza medica - la modificazioni dei caratteri sessuali primari non sempre e' necessaria e che, anzi, alla luce dei diritti «in gioco», la persona deve avere il diritto di rifiutarla. A questo Tribunale sembra che non vi sia ragionevolezza ne' logicita' nel condizionare il riconoscimento del diritto della personalita' in esame, ad un incommensurabile prezzo per la salute della persona (artt. 3 e 32 Cost.). Il Collegio si rende conto delle conseguenze pratiche che comporterebbe una declaratoria di incostituzionalita' (nel senso che, allora, l'esame «esteriore» della persona, sarebbe inidoneo a rilevare il suo sesso); ma cio', a ben osservare, non puo' ragionevolmente suscitare alcuna perplessita', perche' in un paese civile l'identita' sessuale viene accertata tramite i documenti di identita' e non certo per mezzo di un'ispezione corporale. Una volta che lo Stato riconosce il diritto della persona a cambiare il proprio sesso anagrafico (cio' che indubbiamente ha fatto la cit. legge 14 aprile 1982, n. 164), subordinare l'esercizio di tale diritto alla sottoposizione della persona a dolorosissimi e pericolosissimi trattamenti sanitari, significa pretendere da lei di commettere un atto di violenza sul proprio corpo. Una volta riconosciuto che il diritto alla rettificazione dell'attribuzione di sesso, costituisce un vero e proprio diritto della personalita', non sembra consentito al legislatore ordinario subordinarlo a restrizioni tali da pregiudicarne gravemente l'esercizio, fino a vanificarlo. Tali concetti sono stati ribaditi dal Parlamento europeo nella risoluzione del 12 marzo 2015 sulla relazione annuale di diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2013 e sulla politica dell'Unione europea in materia. Al punto n. 163, il Parlamento europeo ha invitato la Commissione e l'OMS ad eliminare i disturbi dell'identita' di genere dall'elenco dei disturbi mentali e comportamentali, auspicando altresi' l'intensificazione degli sforzi per porre fine alla patologizzazione delle identita' transgender. Al successivo n. 164, il Parlamento medesimo ha accolto con favore il crescente sostegno politico per la messa al bando della sterilizzazione quale requisito per il riconoscimento giuridico del genere, come espresso dal relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, condividendo il punto di vista secondo cui tali requisiti dovrebbero essere trattati e perseguiti come una violazione del diritto all'integrita' fisica nonche' della salute sessuale e riproduttiva e dei relativi diritti.
P.Q.M. Il Tribunale ordinario di Trento, sezione civile, revoca l'ordinanza 19-20 agosto 2014. Visto l'art. 134 Cost., e gli artt. 23 e ss. della legge 11 marzo 1957, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164, nella parte in cui subordina la rettificazione di attribuzione di sesso alla intervenuta modificazioni dei caratteri sessuali primari della persona istante, mediante intervento chirurgico demolitivo e ricostruttivo, con riferimento ai parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, Cost. Dispone la immediata trasmissione degli atti e della presente ordinanza, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni, alla eccellentissima Corte costituzionale e sospende il giudizio. Manda la cancelleria per la notificazione della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la sua comunicazione al Presidenti delle due Camere del Parlamento. Trento, 8 aprile 2015 Il Presidente estensore: dott. Roberto Beghini