AUTORITA' NAZIONALE ANTICORRUZIONE

DETERMINA 23 settembre 2015 

Ulteriori indirizzi interpretativi  sugli  adempimenti  ex  art.  33,
comma 3-bis, decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163  e  ss.mm.ii.
(Determina n. 11). (15A07666) 
(GU n.239 del 14-10-2015)

 
                L'AUTORITA' NAZIONALE ANTICORRUZIONE 
 
1. Ragioni dell'intervento dell'Autorita'. 
  A seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge 24 aprile  2014,
n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014,  n.
89, e del successivo art. 23-bis della legge 11 agosto 2014, n.  114,
con la determinazione n. 3  del  25  febbraio  2015,  l'Autorita'  ha
fornito   le   prime   indicazioni    interpretative    relativamente
all'applicazione del novellato art. 33, comma 3-bis  del  Codice  dei
contratti. 
  Nonostante  questo  primo  intervento  regolatorio,  l'applicazione
della disposizione de qua ha  portato  all'attenzione  dell'Autorita'
ulteriori dubbi interpretativi su una serie di tematiche  concernenti
i diversi aspetti di seguito trattati, tenendo  conto,  naturalmente,
del quadro normativo vigente,  che  potrebbe,  verosimilmente  subire
mutamenti in forza delle previsioni contenute nel  disegno  di  legge
recante  la  delega  al  Governo  per  l'attuazione  delle  direttive
2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di
concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli
enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti  e
dei servizi postali, nonche' per il riordino della disciplina vigente
in materia  di  contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e
forniture (approvato al Senato con atto  n.  S1678)  attualmente,  in
seconda lettura, alla Camera (atto n. C 3194). 
  Il citato disegno di legge, infatti, nella formulazione attualmente
approvata dal Senato, prevede, all'art. 1, comma 1, lettera v),  «...
l'obbligo, per i comuni non capoluogo di provincia,  di  ricorrere  a
forme  di   aggregazione   o   centralizzazione   delle   committenze
prevedendo, per gli affidamenti di importo superiore alle  soglie  di
rilevanza comunitaria, un livello di aggregazione almeno regionale  o
di provincia autonoma e, per gli affidamenti di importo  superiore  a
100.000  euro  e  inferiore  alle  medesime   soglie   di   rilevanza
comunitaria,  aggiudicati  da  comuni  non  capoluogo  di  provincia,
livelli di aggregazione subprovinciali definendo a  tal  fine  ambiti
ottimali territorialmente omogenei e garantendo la tutela dei diritti
delle minoranze linguistiche come prevista dalla Costituzione e dalle
disposizioni vigenti». 
  Il presente intervento regolatorio si rende,  pertanto,  necessario
per fornire ulteriori chiarimenti e orientamenti  interpretativi,  ai
soggetti destinatari della nuova disciplina, in materia  di  acquisti
aggregati/centralizzati, in modo da garantire la corretta ed uniforme
applicazione  delle  disposizioni  di   riferimento   e   l'opportuno
coordinamento con quelle gia' vigenti in tema di spending review. 
  A tal  fine,  l'architettura  dell'atto  di  regolazione,  dopo  un
generale  inquadramento  normativo,  e'  articolata   sulle   diverse
criticita' emerse dalla prassi applicativa e trattate  per  tematiche
di carattere generale. 
  Una  prima  serie  di  quesiti  riguarda  l'ambito  soggettivo   di
applicazione della novella normativa.  Al  riguardo  e'  stata  posta
l'interessante  questione  connessa  al   proliferare   di   societa'
partecipate  dai  comuni  (ci  si  riferisce,  in  particolare,  alle
societa'  c.d.  in  house)  e  alla  possibilita'  che  esse  possano
rappresentare un mezzo per  eludere  l'applicazione  della  norma  in
esame. 
  Altri quesiti riguardano l'ambito oggettivo di  applicazione  della
medesima novella normativa, di cui in parte si e' gia'  trattato  con
la richiamata determinazione n. 3/2015. 
  E' stato chiesto, in particolare, se debbano essere ricondotte  nel
perimetro  delle  fattispecie  soggette   all'obbligo   di   acquisto
aggregato/centralizzato anche i servizi cui all'allegato  IIB  ovvero
eventuali  contributi  integrazioni  concessi  dai  comuni  (per  es.
l'acquisto dei libri di testo per gli alunni frequentanti  le  scuole
dell'obbligo),  il  servizio  di  visura  delle  targhe  offerto  dal
Ministero delle infrastrutture e dei  trasporti,  Direzione  generale
della motorizzazione. 
  Molti quesiti pervenuti all'Autorita' riguardano, poi,  l'idoneita'
di forme di aggregazione preesistenti all'entrata in vigore del comma
3-bis a soddisfare l'obbligo introdotto dalla norma. 
  Un  certo  numero  di  quesiti  e'  volto,  invece,   ad   ottenere
chiarimenti circa le modalita' organizzative da adottare al  fine  di
dare corretta attuazione al disposto  normativo  (individuazione  del
RUP - in capo alla centrale di committenza o ai singoli  comuni  -  e
individuazione del personale dipendente) e agli eventuali adempimenti
necessari per certificare la nuova funzione  di  stazione  appaltante
del  soggetto  cui  sono  affidate  le  funzioni   di   centrale   di
committenza. 
  Anche l'ambito di applicazione delle deroghe (v. appalti dei comuni
delle zone terremotate che possono considerarsi  esenti  dall'obbligo
di centralizzazione) e la possibilita' di prorogare  i  contratti  in
corso  nelle  more  dell'adesione  ad  una  convenzione  in  via   di
perfezionamento, come pure il rapporto tra il nuovo regime introdotto
dal comma 3-bis e i previgenti obblighi di acquisto  tramite  mercato
elettronico sono tra le questioni poste all'attenzione dell'Autorita'
nonche' l'idoneita' di forme di aggregazione preesistenti all'entrata
in vigore del comma 3-bis a  soddisfare  l'obbligo  introdotto  dalla
norma. 
2. Considerato in diritto. 
2.1. Quadro normativo di riferimento. 
  La  nuova  versione  del  comma  3-bis  dell'art.  33  del  decreto
legislativo n. 163/2006, originariamente introdotto dal decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201, ha attualmente il seguente tenore: «I comuni
non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni
e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'art. 32  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267,  ove  esistenti,  ovvero
costituendo un apposito accordo consortile tra i  comuni  medesimi  e
avvalendosi  dei  competenti  uffici  anche  delle  province,  ovvero
ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della
legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi comuni possono
acquisire beni e servizi  attraverso  gli  strumenti  elettronici  di
acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore  di
riferimento. L'Autorita' per la vigilanza sui contratti  pubblici  di
lavori, servizi e forniture non  rilascia  il  codice  identificativo
gara (CIG)  ai  comuni  non  capoluogo  di  provincia  che  procedano
all'acquisizione di  lavori,  beni  e  servizi  in  violazione  degli
adempimenti previsti dal presente comma. Per  i  comuni  istituiti  a
seguito di fusione l'obbligo di cui  al  primo  periodo  decorre  dal
terzo anno successivo a quello di istituzione». 
  La disposizione, dettata all'evidente scopo di  contenimento  della
spesa pubblica, e' finalizzata a  realizzare  un  accorpamento  della
domanda di lavori, beni e servizi da parte dei comuni  attraverso  il
doveroso  utilizzo  di  forme  di   aggregazione   (unioni,   accordi
consortili, soggetti aggregatori e province) ai fini dell'affidamento
dei contratti pubblici. Lo scopo e' quello di canalizzare la  domanda
di lavori, beni e servizi proveniente da una miriade di comuni, anche
di dimensioni estremamente ridotte (si pensi  ai  cosiddetti  «comuni
polvere»), verso strutture aggregatrici, con l'effetto di concentrare
le procedure di acquisto, aumentando, di conseguenza, i volumi  messi
a gara e riducendo le spese e i rischi connessi alla  gestione  delle
procedure, garantendo,  cosi'  nel  contempo,  l'accrescimento  della
specializzazione,  in  capo  ai  soggetti  piu'  qualificati,   nella
gestione delle procedure di procurement. 
  Il sistema di centralizzazione degli acquisti introdotto dal  nuovo
comma  3-bis  dell'art.  33   -   che,   rispetto   alla   precedente
formulazione,  oltre  ad   ampliare   la   platea   dei   destinatari
(estendendola dai soli comuni con popolazione non superiore  a  5.000
abitanti a tutti i comuni non capoluogo di  provincia),  ha  ampliato
anche la gamma dei  soggetti  con  funzioni  di  aggregazione  -  era
previsto che entrasse in vigore dal  1°  gennaio  2015  limitatamente
all'acquisizione  di  beni  e  servizi  e  dal  1°  luglio  2015  per
l'acquisizione di lavori (art. 23-ter, decreto-legge 24 giugno  2014,
n. 90, convertito, con  modifiche,  dalla  legge  di  conversione  11
agosto 2014, n. 114). 
  Successivamente, l'art. 8, comma  3-ter  della  legge  27  febbraio
2015, n. 11, modificando l'art. 23-ter, sopra richiamato, ha  fissato
al 1° settembre 2015 l'entrata in vigore della disposizione  de  qua,
sia per i lavori che per i servizi e le forniture. 
  Da ultimo, l'art. 1, comma 169 della legge 13 luglio 2015, n.  107,
ha previsto che «all'art.  23-ter,  comma  1,  del  decreto-legge  24
giugno 2014, n. 90, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  11
agosto 2014, n. 114,  e  successive  modificazioni,  le  parole:  "1º
settembre 2015" sono sostituite dalle seguenti: "1º novembre 2015"». 
  Le uniche deroghe all'obbligo di procedere agli acquisti  in  forma
aggregata sono riconosciute a favore degli  enti  pubblici  impegnati
nella  ricostruzione  delle  localita'  colpite  da  eventi   sismici
(Abruzzo e province di  Bologna,  Modena,  Ferrara,  Mantova,  Reggio
Emilia e Rovigo) e dei comuni  con  popolazione  superiore  a  10.000
abitanti per acquisti  di  lavori,  servizi  e  forniture  di  valore
inferiore a 40.000 euro (art. 23-ter, commi 2 e 3,  decreto-legge  n.
90/2014). 
2.2. Centrali di committenza, soggetti  aggregatori  e  obblighi  dei
  comuni. 
  L'inserimento  dell'obbligo  di  acquisto  dei  comuni   in   forma
aggregata  nell'ambito  dell'art.  33  del  Codice,   dedicato   alla
disciplina  delle  centrali  di  committenza,  pone  un  problema  di
relazione tra i soggetti deputati ad attrarre la domanda  di  lavori,
beni e servizi dei comuni, in particolare i «soggetti aggregatori», e
le centrali di committenza di cui al comma 1 dell'art. 33   (1) . 
  Recependo l'art. 11 della direttiva 2004/18/CE, che facoltizzava  i
Paesi  membri  a  prevedere  tecniche   di   centralizzazione   delle
committenze -  tecniche  viste  con  favore  dall'Unione  europea  in
quanto, dato il volume degli acquisti, consentono  un  aumento  della
concorrenza e dell'efficacia della  commessa  pubblica  (considerando
15) - il  legislatore  nazionale  ha  introdotto  con  l'art.  33  la
possibilita', per stazioni appaltanti ed enti aggiudicatori, di  fare
ricorso alle centrali di committenza (con cio' riconoscendo a livello
normativo  un  fenomeno  che  con  Consip  S.p.A.  e  altre  centrali
d'acquisto regionali, in Italia aveva gia' trovato attuazione). 
  Le centrali di committenza sono definite nell'art. 3, comma 34, del
Codice, come amministrazioni aggiudicatrici che acquistano  forniture
e servizi destinati ad altre amministrazioni o aggiudicano appalti di
lavori, forniture e servizi destinati ad altre amministrazioni. 
  Cio' che e'  espresso  in  termini  di  facolta'  nel  primo  comma
dell'art.  33  a  vantaggio  di  ogni  stazione  appaltante  ed  ente
aggiudicatore, come visto, e' espresso  in  termini  di  obbligo  nei
confronti dei comuni non capoluogo di provincia nel comma 3-bis, dove
sono altresi' elencati, si ritiene  in  modo  tassativo,  i  soggetti
destinati ad esercitare tali funzioni di acquisto centralizzato. 
  Non ogni centrale  di  committenza  puo',  infatti,  legittimamente
svolgere procedure di gara in forma aggregata per i  comuni  ma  solo
quelle individuate nel comma 3-bis; ovvero, oltre a unioni di comuni,
accordi consortili e province, i soggetti aggregatori  e  per  questi
ultimi, deve ritenersi, nei limiti delle  competenze  loro  assegnate
dalla normativa (spesso regionale) di riferimento. 
  Secondo quanto disposto dall'art. 9, commi 1 e 2, del decreto-legge
24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge  23
giugno 2014, n. 89, i soggetti aggregatori - previsti  in  un  numero
massimo totale di 35 (in base al comma 5  del  medesimo  articolo)  -
sono  centrali  di  committenza  iscritte   in   un   elenco   tenuto
dall'Autorita'  nell'ambito  dell'Anagrafe   unica   delle   stazioni
appaltanti, di  cui  fanno  parte  Consip  S.p.A.,  una  centrale  di
committenza per ogni regione, qualora costituita, ed  altri  soggetti
che svolgono attivita' di  centrale  di  committenza  e  che  abbiano
ottenuto l'iscrizione nell'elenco dei soggetti aggregatori. 
  I requisiti per l'iscrizione, come previsto dal comma 2 del  citato
art. 9, sono stati definiti con decreto del Presidente del  Consiglio
dei ministri 11 novembre 2014 (pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica italiana in data 20 gennaio 2015) (2) . 
  In attuazione dell'art. 3, comma 1, del decreto del Presidente  del
Consiglio dei ministri, l'Autorita', con determinazione n. 2  dell'11
febbraio  2015,  ha  stabilito  le   modalita'   operative   per   la
presentazione delle richieste di iscrizione all'elenco. I soggetti in
possesso dei requisiti potevano presentare all'Autorita' la richiesta
di iscrizione entro quarantacinque giorni dalla  pubblicazione  della
richiamata  determinazione  (art.  3,  comma  2,  del   decreto   del
Presidente   del   Consiglio   dei   ministri).   Termine   riaperto,
successivamente, con il comunicato del Presidente del 4 giugno 2015. 
  I  soggetti  aggregatori  sono  dunque  centrali   di   committenza
«qualificate» tramite l'iscrizione all'elenco tenuto  dall'Autorita',
istituito con la delibera n. 58 del 22 luglio 2015. 
  I comuni non capoluogo di  provincia  sono  abilitati  a  procedere
all'acquisto di lavori, servizi e forniture tramite unioni di comuni,
accordi consortili o province che, ai sensi dell'art.  1,  comma  88,
della legge 7 aprile 2014, n. 56,  d'intesa  con  i  comuni,  possono
esercitare le funzioni  di  stazione  appaltante  e,  intervenuta  la
creazione  dell'elenco  dei  soggetti  aggregatori,  tramite   questi
ultimi. Mentre e' da escludersi la sussistenza di un ambito, sia  pur
residuale, di operativita' in favore dei suddetti comuni da parte  di
centrali  di  committenza  non  iscritte  nell'elenco  dei   soggetti
aggregatori, stante la formulazione letterale del comma 3-bis. 
  Sono  fatti  salvi,  inoltre,  gli  acquisti  di  «beni  e  servizi
attraverso gli strumenti elettronici di acquisto  gestiti  da  Consip
S.p.A o da altro soggetto aggregatore di riferimento». 
  I  soggetti  aggregatori,  oltre  ad  essere  centrali  uniche   di
committenza per i comuni non capoluogo di provincia,  secondo  quanto
previsto dall'art. 9, comma 3 (3) , del decreto-legge 24 aprile 2014,
n. 66, svolgono, naturalmente,  anche  la  funzione  di  centrali  di
acquisto di beni e servizi per altre amministrazioni. Infatti, per le
categorie  di  beni  e  di  servizi,  individuate  con  decreto   del
Presidente del Consiglio  dei  ministri  da  adottarsi  entro  il  31
dicembre di ogni anno, che superano le soglie  fissate  dal  medesimo
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, le amministrazioni
statali centrali e periferiche, le regioni, gli enti  regionali  e  i
loro consorzi e associazioni,  e  gli  enti  del  Servizio  sanitario
nazionale ricorrono a Consip S.p.A. o agli altri soggetti aggregatori
di cui ai commi 1 e 2 del citato art. 9,  per  lo  svolgimento  delle
relative procedure. Sono  escluse  dall'obbligo  gli  istituti  e  le
scuole di  ogni  ordine  e  grado,  le  istituzioni  educative  e  le
istituzioni universitarie. 
  Si evidenzia che non risultano soggetti  al  richiamato  obbligo  i
comuni capoluogo di provincia, gia' esenti dall'obbligo  di  acquisto
in forma aggregata di cui al comma 3-bis (che invece  e'  rivolto  ai
comuni non capoluogo di provincia). 
  Deve, tuttavia, ammettersi,  in  termini  di  possibilita',  che  i
comuni capoluogo di provincia costituiscano o partecipino ad  accordi
consortili, associazioni, unioni di comuni cui  gia'  prendono  parte
comuni non capoluogo  di  provincia  (questi  ultimi  in  adempimento
dell'obbligo  loro  imposto  dal  comma  3-bis),   cio'   soprattutto
nell'ottica di  realizzare  una  concentrazione  delle  procedure  di
acquisto e di accrescere i livelli di specializzazione nella gestione
delle gare d'appalto, nonche' di dar vita a centrali  di  committenza
diverse dalle forme aggregative  e  di  centralizzazione  contemplate
nell'art. 33, comma 3-bis, fermo restando quanto  disposto  dall'art.
9, commi 1 e 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, sul numero e le
caratteristiche dei soggetti aggregatori. 
  Per l'adempimento dell'obbligo imposto dal comma 3-bis dell'art. 33
del Codice,  oltre  alle  unioni  di  comuni,  accordi  consortili  e
province, i comuni non capoluogo di provincia ricorrono  ai  soggetti
aggregatori di cui all'elenco tenuto dall'Autorita', istituito con la
delibera n. 58 del 22 luglio 2015  e  non  a  qualsiasi  centrale  di
committenza;  resta  salvo,  nei  limiti  previsti   dalla   relativa
disciplina, l'utilizzo di sistemi elettronici di acquisto gestiti  da
Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. 
  Per i comuni capoluoghi di provincia sussiste  la  possibilita'  di
procedere ad acquisti tramite i  moduli  organizzativi  ed  operativi
individuati dal citato comma 3-bis. 
2.2.1. Obblighi dei comuni e mercato elettronico. 
  In relazione al rapporto tra il nuovo regime introdotto  dal  comma
3-bis e i previgenti obblighi di acquisto tramite mercato elettronico
si e' posto  un  problema  di  coordinamento  tra  le  diverse  fonti
normative, che ha messo in dubbio i reali adempimenti  cui  sarebbero
soggette le pubbliche  amministrazioni  gia'  tenute  all'obbligo  di
procedere ad acquisti sotto soglia tramite Mepa (mercato  elettronico
della pubblica amministrazione di cui  all'art.  328,  comma  1,  del
regolamento adottato con decreto del Presidente  della  Repubblica  5
ottobre 2010, n. 207) o altri mercati elettronici. 
  Come noto, ai sensi dell'art. 1, comma 450 (4) , legge n. 296/2006,
le  amministrazioni  pubbliche  di  cui  all'art.   1   del   decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  -  diverse  dalle  amministrazioni
statali centrali e periferiche (che invece sono tenute a fare ricorso
al solo Mepa) -, tra cui sono annoverati  anche  i  comuni,  per  gli
acquisti di beni e servizi di valore inferiore alla soglia di  rilevo
comunitario, devono fare ricorso al mercato elettronico della PA o ad
altri mercati elettronici, istituiti ai sensi del citato art. 328,  o
al sistema telematico messo a disposizione dalla  centrale  regionale
di riferimento, per lo svolgimento delle relative procedure. 
  Dunque, gia' da prima  della  novella  del  comma  3-bis,  per  gli
acquisti sotto la soglia di rilevanza comunitaria, i  comuni  (tutti,
indipendentemente  dal  numero  di  residenti  e  dalla  funzione  di
capoluogo di provincia) erano tenuti a ricorrere ad una modalita'  di
acquisto in senso lato centralizzata  e  segnatamente  attraverso  il
ricorso a sistemi basati su piattaforme elettroniche  sulle  quali  i
fornitori presentano i loro cataloghi di prodotti e/o servizi  (Mepa,
mercati elettronici o diversi sistemi telematici regionali). 
  La Corte dei conti ha espressamente  ritenuto  riferibile  siffatto
obbligo a tutte le procedure di acquisto al di sotto della soglia  di
rilievo comunitaria, ivi inclusi gli  acquisiti  in  economia,  senza
deroghe di sorta  (Corte  dei  conti,  sez.  Controllo  Piemonte,  n.
211/2013/PAR;  sez.  Controllo  Lombardia  n.  112/2013/PAR).   Unica
eccezione a tale obbligo incondizionato e' rappresentata dall'ipotesi
di non reperibilita' ovvero inidoneita' dei beni o  servizi  rispetto
alle  necessita'  dell'ente  locale,  e  cio'  previa  istruttoria  e
adeguata motivazione di tale evenienza nella  determina  a  contrarre
(ex  plurimis,  Corte  dei  conti,  sez.  Marche  n.   169/2012/PAR).
Nell'ambito delle suddette eccezioni, viene inclusa  anche  l'ipotesi
in cui, all'esterno  dei  mercati  elettronici  e  telematici,  siano
reperibili condizioni di acquisto migliorative (Corte dei conti, sez.
Toscana, n. 151/2013/PAR). 
  Nella specifica evenienza dell'irreperibilita'  o  dell'inidoneita'
oggettiva e non opinabile, del bene sul mercato  elettronico,  dovra'
essere   prudentemente   valutata   dall'amministrazione   anche   la
possibilita' di richiedere tramite richieste di offerta (RdO)  (5)  ,
invitando almeno cinque fornitori, modifiche o integrazioni  rispetto
a quanto pubblicato sul catalogo, cio' che dovra' trovare,  comunque,
compiuta evidenza nella motivazione della determinazione a contrarre. 
  Relativamente all'introduzione del nuovo comma 3-bis, si  e'  posto
il problema del rapporto tra la facolta' di  ricorso  agli  strumenti
elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro  soggetto
aggregatore di riferimento previsti dal medesimo  comma  e  l'obbligo
imposto anche ai comuni (dal comma 450 dell'art.  1  della  legge  n.
296/2006), per gli acquisti di beni e servizi  di  importo  inferiore
alla soglia di rilievo comunitario, di fare ricorso al Mepa, ad altri
mercati elettronici istituiti ai sensi  del  medesimo  art.  328  del
decreto del Presidente della  Repubblica  5  ottobre  2010,  n.  207,
ovvero al sistema telematico  messo  a  disposizione  dalla  centrale
regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure. 
  Preliminarmente si osserva come  il  mercato  elettronico,  la  cui
disciplina e' attualmente delineata dall'art.  328  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica   n.   207/2010   (che   ha   abrogato,
sostituendolo, il decreto del Presidente della Repubblica n. 101/2002
sulla materia), sia  uno  strumento  per  l'acquisizione  di  beni  e
servizi di valore  inferiore  alla  soglia  di  rilievo  comunitario,
prevedendo forme di pubblicita' che non  sono  in  linea  con  quanto
richiesto per le procedure sopra  soglia.  Ai  sensi  dell'art.  328,
comma  3,  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  207/2010,
infatti, «i bandi di  abilitazione  sono  pubblicati  in  conformita'
della disciplina applicabile per le procedure  sotto  soglia  di  cui
all'art. 124, comma 5, del codice». 
  Inoltre le  due  modalita'  procedurali  di  acquisto  sul  mercato
elettronico (RdO  e  OdA)  non  sono  compatibili  con  le  procedure
previste per l'affidamento di contratti sopra soglia. 
  Da tali circostanze deriva che, sulla base della vigente normativa,
la  previsione  del  comma  3-bis   non   puo'   essere   sicuramente
interpretata come estensione dell'utilizzo del  mercato  elettronico,
in regime di facolta', anche agli acquisti sopra soglia, in quanto si
porrebbe in violazione con la normativa comunitaria di riferimento. 
  Cio' premesso, resta il dubbio se l'obbligo di  cui  al  comma  450
debba  ritenersi  superato  dal   regime   facoltativo   (in   quanto
alternativo al nuovo sistema di acquisti in forma aggregata)  di  cui
al successivo comma 3-bis. 
  Sul punto si e' espressa la Corte dei conti in  un  recente  parere
(6) , con riferimento alla versione del comma 3-bis antecedente  alla
novella del decreto-legge n.  66/2014  (che  disponeva  l'obbligo  di
ricorso alla centrale unica di committenza  in  capo  ai  comuni  con
popolazione non superiore ai 5.000 abitanti  e,  in  alternativa,  la
possibilita' di ricorrere agli strumenti elettronici di acquisto). In
questa circostanza la Corte ha ritenuto che «il comma  3-bis  tipizza
il ricorso agli strumenti elettronici gestiti da  altre  centrali  di
committenza di riferimento e/o al mercato elettronico della  pubblica
amministrazione, non come obbligo  autonomo,  ma  come  modalita'  di
acquisto accentrato alternativa al ricorso alle  centrali  uniche  di
committenza». Cio' coerentemente con la ratio della novella normativa
nella quale non e'  rinvenibile  alcuna  intenzione  di  superare  il
regime previgente. 
  Il comma 3-bis dell'art. 33 del Codice ammette la possibilita'  del
generale ricorso agli strumenti elettronici di  acquisto  gestiti  da
Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore  di  riferimento,  come
alternativa alle altre forme di acquisto  centralizzato/aggregato  da
effettuarsi con i moduli associativi degli  enti  locali,  senza  che
cio' comporti l'introduzione di un regime giuridico speciale rispetto
alla disciplina generale sull'utilizzo  degli  strumenti  elettronici
ne' il superamento del regime di obbligatorieta'  imposto  dal  comma
450 dell'art. 1 della legge  n.  296/2006,  che  continua  ad  essere
riferito anche ai comuni non capoluogo di provincia. 
2.2.2. Obblighi dei comuni e acquisti in economia. 
  Altro tema connesso agli  obblighi  previsti  dall'art.  33,  comma
3-bis del Codice nonche' alla  facolta'  prevista  dall'art.  23-ter,
comma 3, della legge n. 114/2014, per i soli comuni  con  popolazione
superiore a 10.000 abitanti (i quali possono  procedere  ad  acquisti
autonomi di importo inferiore a 40.000 euro), e' quello dei  rapporti
tra le norme appena richiamate e la disposizione  dell'art.  125  del
Codice dei contratti, concernente gli acquisti in economia. 
  Il quadro normativo che emerge da  una  lettura  sistematica  delle
disposizioni del citato comma  3-bis  dell'art.  33  e  del  comma  3
dell'art. 23-ter, sopra richiamato - tenuto conto delle  esigenze  di
consolidamento dei conti  pubblici  e  di  contenimento  della  spesa
pubblica, sottese all'introduzione  e  alle  modifiche  apportate  al
citato comma 3-bis, e considerato, in particolare, il contenuto della
modifica introdotta dall'art. 9 del decreto-legge 24 aprile 2014,  n.
66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n.  89
- induce a ritenere che per i  comuni  con  popolazione  inferiore  a
10.000 abitanti non  possano  trovare  applicazione  le  disposizioni
dell'art. 125 del Codice, relative agli acquisti in economia. Solo  i
comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, possono procedere
ad acquisti  autonomi,  secondo  le  regole  dettate  per  la  soglia
inferiore all'importo di 40.000 euro. Naturalmente,  resta  salva  la
facolta' di procedere,  da  parte  dei  soggetti  aggregatori,  delle
unioni  o  tramite  il   modulo   dell'accordo   consortile   (previa
aggregazione della domanda di piu' comuni) agli acquisti  secondo  le
procedure disciplinate dall'art. 125 del Codice,  laddove  sussistano
le condizioni (relative all'importo e all'oggetto  dell'acquisto)  in
esso contemplate, salvo sempre il ricorso agli strumenti di  acquisto
elettronici che siano nella loro disponibilita'. 
  Tale lettura della novella normativa in argomento  trova  conforto,
non solo nel collegamento sistematico tra il comma 3-bis e il comma 3
dell'art. 23-ter, della  legge  n.  114/2014  ma  anche  nella  reale
intenzione del legislatore che puo' essere ricavata dalla successione
delle disposizioni normative che sono intervenute  a  modifica  della
prima versione del comma 3-bis citato. 
  A seguito della modifica apportata dall'art. 1,  comma  343,  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilita'  2014)  il  comma
3-bis dell'art. 33 del codice recava, alla fine, il seguente periodo:
«Le disposizioni di cui al  presente  comma  non  si  applicano  alle
acquisizioni di lavori, servizi e forniture, effettuate  in  economia
mediante amministrazione diretta, nonche' nei casi di cui al  secondo
periodo del comma 8 e al secondo periodo del comma 11 dell'art. 125».
Con tale formulazione, la norma recava due inferenze: 
  la disposizione del  comma  3-bis  aveva  (e  ha  )  un  ambito  di
applicazione che coinvolge anche gli acquisti in economia ex art. 125
del Codice (nonostante sia inserita nella  parte  II,  titolo  I  del
Codice, riferita ai contratti di rilevanza comunitaria); 
  ad esclusione dei commi 8 e  11  dell'art.  125  e  delle  relative
disposizioni  concernenti  l'amministrazione  diretta,  le   restanti
disposizioni del  citato  articolo  non  trovavano  applicazione  nei
confronti dei comuni (con popolazione non superiore a 5.000 abitanti,
essendo all'epoca limitata ad essi l'applicazione della  disposizione
in argomento). 
  L'intervenuta modifica di  cui  all'art.  9  del  decreto-legge  n.
66/2014 ha espunto  l'ultimo  periodo  sopra  riportato,  ma  mutatis
mutandis, il quadro normativo e' stato sostanzialmente confermato per
altra via. Ci si riferisce alla previsione dell'art. 23-ter, comma  3
della legge n. 114/2014 che,  di  fatto,  corrisponde  all'eccezione,
precedentemente, posta dal riferimento al secondo periodo dei commi 8
e 11 dell'art. 125 del Codice: acquisti inferiori a 40.000  euro  nei
lavori e nei servizi. Del resto, diversamente  opinando,  l'eccezione
posta agli acquisti inferiori all'importo da ultimo  richiamato,  non
avrebbe ragione d'essere. Solo presupponendo una limitazione,  per  i
comuni non capoluoghi di provincia,  della  portata  espansiva  delle
disposizioni di cui all'art. 125 (operata dall'art. 33, comma  3-bis)
del Codice si puo' attribuire, infatti, senso normativo all'eccezione
di cui al richiamato art. 23-ter. Eccezione che, in quanto  tale,  e'
di stretta applicazione e non puo' che valere per l'ambito soggettivo
e oggettivo in essa individuati: comuni con popolazione  superiore  a
10.000 abitanti e acquisti inferiori a 40.000 euro. 
  Una piu' agevole applicazione della disposizione del  comma  3-bis,
per quanto concerne soprattutto gli acquisti di piccolo valore  anche
per i comuni  con  popolazione  inferiore  ai  10.000  abitanti  puo'
derivare da un'adeguata  programmazione  della  spesa,  da  porre  in
essere anche  nei  servizi  e  nelle  forniture,  in  modo  da  poter
coordinare gli acquisti in base alle esigenze di ciascun comune e nel
contempo soddisfare,  senza  particolari  difficolta',  l'obbligo  di
aggregazione. 
  Le disposizioni dell'art. 125 del Codice, relativo agli acquisti in
economia,  non  puo'  ritenersi  norma  speciale  che   continua   ad
applicarsi ai comuni non capoluogo di provincia. Solo  i  comuni  con
popolazione superiore a 10.000 abitanti possono procedere ad acquisti
autonomi,  secondo  le  regole  dettate  per  la   soglia   inferiore
all'importo di 40.000 euro. 
2.3. Ambito soggettivo di applicazione. 
2.3.1. Affidamenti delle societa' in house. 
  Con riferimento all'affidamento a societa'  partecipate/controllate
dai comuni (ivi comprese le ipotesi di in house) e alla  possibilita'
che possano rappresentare un mezzo per eludere  l'applicazione  della
novella normativa in esame, si osserva quanto segue. 
  Come noto, in presenza di precisi elementi (possesso del  100%  del
capitale sociale (7)  e  potere  di  controllo,  da  parte  dell'ente
controllante, piu' penetrante di quello  che  il  diritto  societario
riconosce   alla   maggioranza   dei   soci,   idoneo   a   vincolare
effettivamente le decisioni  strategiche  e  di  maggiore  importanza
adottate dagli amministratori della societa'  nonche'  gli  indirizzi
dell'ente; svolgimento dell'attivita' prevalente a  favore  dell'ente
di appartenenza), espressivi del principio di c.d.  autorganizzazione
della p.a., il  rapporto  tra  una  societa'  pubblica  e  l'ente  di
appartenenza e' riconducibile alla delegazione  interorganica  (Cons.
Stato,  Ad.  plen.  3  marzo  2008,  n.  1)  (8)  .  Cio'   determina
l'esclusione dell'alterita' del rapporto  ai  fini  dell'applicazione
della disciplina relativa all'affidamento  di  appalti  pubblici.  In
presenza di  tali  presupposti,  la  societa'  pubblica  puo'  essere
destinataria diretta di affidamenti dall'ente controllante.  Infatti,
per  la  giurisprudenza  comunitaria  e  nazionale,  il  rapporto  di
immedesimazione tra ente affidante ed ente affidatario giustifica  la
mancata applicazione delle norme  dell'evidenza  pubblica  senza  che
cio' comporti la violazione dei principi di  non  discriminazione  in
base alla nazionalita', di parita' di trattamento tra offerenti e  di
trasparenza al cui presidio  le  norme  dell'evidenza  pubblica  sono
poste (c.d. in house providing). Perche' cio' tuttavia non si traduca
in una violazione dell'obbligo di indizione di procedure ad  evidenza
pubblica, e' principio consolidato,  ed  altresi'  codificato  per  i
servizi pubblici locali (cfr. art. 3-bis, comma 6,  decreto-legge  13
agosto 2011, n. 138 (9) , convertito, con modificazioni, dalla  legge
14 settembre 2011, n. 148) che la societa' in house  che  non  esegua
direttamente  i  servizi  o  i  lavori   affidatigli   dall'ente   di
riferimento  sia  tenuta  al  rispetto  della   medesima   disciplina
dell'evidenza  pubblica  cui  e'  vincolato  l'ente  di  appartenenza
nell'affidamento di contratti di appalti pubblici a terzi. 
  A prescindere da ogni valutazione circa i limiti agli affidamenti a
societa' in-house (10) , cio' che  rileva,  ai  fini  della  presente
determinazione, e' il regime giuridico relativo ai  rapporti  esterni
(con i terzi) cui sono sottoposte dette societa'. 
  Dalle  disposizioni  e  dagli  orientamenti  giurisprudenziali   in
materia (per la cui piu' ampia disamina si rinvia alla relazione AIR)
emerge chiaramente una tendenza ad una sempre maggiore  accentuazione
dell'assimilazione delle suddette societa' all'ente  di  appartenenza
quanto al regime giuridico di riferimento, seppur con  gli  opportuni
distinguo tra societa'  in  house  che  gestiscono  servizi  pubblici
locali di rilevanza  economica  (che  risentono  di  un  regime  piu'
alleggerito  sotto  il  profilo  dell'attrazione  alle   disposizioni
dettate per la p.a., tranne che  per  l'espresso  assoggettamento  al
Codice dei contratti)  e  societa'  in  house  che  svolgono  servizi
strumentali all'attivita' dell'amministrazione (in ogni  caso  tenute
al rispetto del Codice dei contratti ma  sottoposte  a  vincoli  piu'
stringenti (11) ). 
  Nel contempo, tuttavia non si puo' tralasciare di  considerare  che
lo stesso art. 4, comma 13,  ultimo  periodo,  del  decreto-legge  n.
95/2012, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  135/2012,
prevede che  «Le  disposizioni  del  presente  articolo  e  le  altre
disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di  societa'  a
totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano  nel  senso
che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe  espresse,
si applica comunque la disciplina del codice  civile  in  materia  di
societa' di capitali». 
  Come  si  vede  il  ricostruito  quadro  normativo,  da  un   lato,
sembrerebbe far propendere  per  una  possibile  assimilazione  delle
societa', soprattutto quelle strumentali, ai comuni di riferimento  e
al conseguente obbligo di aggregazione  imposto  loro  dall'art.  33,
comma 3-bis, dall'altro non essendo le  medesime  societa'  in  house
espressamente contemplate da nessuna norma in tema di aggregazione  e
obbligo di centralizzazione  (eccezion  fatta  per  alcune  categorie
merceologiche - energia elettrica, gas, carburanti rete e  carburanti
extra-rete,  combustibili  per  riscaldamento,  telefonia   fissa   e
telefonia mobile -, previste dall'art. 1, comma 7  del  decreto-legge
n.  95/2012),  ne'  nel  citato  3-bis,  non  sembrano  sussistere  i
presupposti per attrarle nell'obbligo di cui  alla  norma  da  ultimo
citato. 
  Ciononostante, tenuto conto  della  ratio  sottesa  alla  norma  da
ultimo citata - quella di riduzione dei centri di spesa anche al fine
di contenimento della spesa pubblica -, le  societa'  strumentali  o,
nei casi consentiti dalla legge,  quelle  preposte  allo  svolgimento
esternalizzato di funzioni amministrative di  competenza  degli  enti
locali, in  forza  degli  stringenti  poteri  di  direttiva  connessi
all'housing, devono ritenersi assoggettate  agli  stessi  vincoli  di
aggregazione dei comuni controllanti. Per quanto riguarda, invece, le
societa'  in  house  preposte  all'erogazione  dei  servizi  pubblici
locali, ivi compresi quelli a rete, -  gli  enti  locali  interessati
dalla disposizione in argomento,  nell'ambito  della  loro  autonomia
organizzativa, dovranno porre in essere  ogni  misura  idonea  ad  un
adeguato  coinvolgimento  delle  medesime  societa'  nelle  soluzioni
aggregative imposte all'ente controllante. In ogni caso  le  societa'
in  house  non  possono  acquisire  lavori,  beni   e   servizi   per
l'amministrazione  che  le  controlla,  in  elusione  alla  normativa
sull'obbligo di centralizzazione imposto ai comuni. 
  Alle societa' in house strumentali  dei  comuni  non  capoluogo  di
provincia nonche' a quelle preposte allo  svolgimento  esternalizzato
di funzioni amministrative di  competenza  dei  medesimi,  stante  il
regime piu' stringente di operativita' cui sono sottoposte  dall'art.
13, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con
modificazioni, dalla legge 4 agosto  2006,  n.  248,  si  applica  lo
stesso regime giuridico dei comuni controllanti,  dettato  dal  comma
3-bis dell'art. 33 del Codice. 
2.3.2. Regioni a statuto speciale. 
  Altra tematica  correlata  all'ambito  soggettivo  di  applicazione
della norma in  parola  si  e'  posta  in  relazione  ai  comuni  non
capoluogo di provincia delle regioni a statuto speciale. 
  Sulla questione e' di recente intervenuta la  Corte  costituzionale
che,  con  sentenza  n.  220  del  3   luglio   2013,   ha   ritenuto
«condivisibile l'interpretazione, ...,  proposta  in  via  principale
dalla regione autonoma Friuli-Venezia Giulia: infatti, alla luce  del
combinato disposto dell'art. 4, comma 5, e dell'art. 33  del  decreto
legislativo n. 163 del 2006 (come modificato dalla norma  impugnata),
deve escludersi l'applicabilita' di quest'ultima norma alle regioni a
statuto speciale» (cfr. punto  7.2.  della  parte  in  diritto  della
sentenza richiamata). Di  talche'  e'  stata  ritenuta  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23, comma  4,  del
decreto-legge n. 201 del  2011  che  ha  introdotto  il  comma  3-bis
all'art. 33 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.  163  (la  cui
portata, peraltro e' stata  attenuata  dall'intervenuto  art.  1  del
decreto-legge  n.  95  del  2012,  convertito,   con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 135 del 2012, che ha  introdotto
l'alternativa del ricorso agli strumenti elettronici)». 
  La Corte ha pertanto chiarito che  l'art.  33  del  Codice  non  si
applica alle regioni a statuto speciale. 
  Le statuizioni dalla Corte costituzionale si fondano  sul  disposto
dell'art. 4, comma 5 del Codice, a tenore del  quale  «Le  regioni  a
statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano  adeguano
la propria  legislazione  secondo  le  disposizioni  contenute  negli
statuti e nelle relative norme di attuazione», laddove le  regioni  a
statuto speciale abbiano adeguato la propria legislazione  attraverso
norme di attuazione che rinviino al Codice dei contratti mediante  un
rinvio dinamico (come accaduto, per es., per  la  Regione  siciliana,
con la legge 12  luglio  2011,  n.  12,  che  all'art.  1,  comma  1,
recepisce le diposizioni del  Codice  e  le  sue  modificazioni),  le
disposizioni del Codice dei contratti trovano applicazione con  tutte
le modifiche che le stesse subiscono nel  tempo.  Non  si  applicano,
naturalmente, le disposizioni espressamente eccettuate. 
  In base al combinato disposto dell'art. 4, comma 5, e dell'art.  33
del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni ed
integrazioni, e' esclusa l'applicazione di  quest'ultima  norma  alle
regioni  a  statuto  speciale   e   di   conseguenza   l'obbligo   di
aggregazione/centralizzazione di cui  al  comma  3-bis  del  medesimo
articolo. 
2.4. Ambito oggettivo di applicazione. 
  Sono pervenuti numerosi quesiti finalizzati ad ottenere chiarimenti
in ordine all'esatta  individuazione  delle  acquisizioni  rientranti
nell'ambito di applicazione della norma. 
  Riguardo a tutte le diverse tipologie  di  acquisti,  tenuto  conto
della collocazione della norma nel Codice (nella parte  II,  relativa
ai contratti pubblici di  lavori  servizi  e  forniture  nei  settori
ordinari)  il  criterio  principe  per  individuare  le   fattispecie
rientranti nel perimetro della  disposizione  si  ritiene  che  possa
essere individuato nella riconducibilita' dell'acquisto alla  nozione
di appalto pubblico secondo la definizione fornita dall'art. 3  comma
6, di lavori (art. 3, comma 7), forniture (art. 3, comma 9) e servizi
(art. 3, comma 10) e nel suo pieno assoggettamento alle  disposizioni
del Codice dei contratti. 
  Devono, pertanto, ritenersi sottratti all'obbligo  di  acquisizione
in  forma  aggregata  gli  appalti  esclusi  in  tutto  o  in   parte
dall'applicazione del Codice (articoli 19-26), cui si applicano  solo
pochissimi articoli del medesimo, tra i quali non e' contemplato, per
l'appunto, l'art. 33. Tra questi sono inclusi anche i servizi di  cui
all'allegato  IIB,  ai  quali,  pertanto,   non   si   applicano   le
disposizioni dell'art. 33, comma 3-bis del Codice. 
  Va comunque considerato  che  la  disciplina  giuridica  di  questi
ultimi subira' diverse modifiche per effetto  del  recepimento  della
nuova direttiva e 2014/24/UE (si vedano, in particolare gli  articoli
74 e seguenti). 
  Per quanto  attiene  all'ambito  oggettivo  di  applicazione  della
disposizione in esame, infatti, non puo' non rilevarsi, da  un  lato,
le finalita' con cui la disposizione de qua  e'  stata  introdotta  e
successivamente modificata  -  finalita'  strettamente  correlate  ad
esigenze di consolidamento dei conti pubblici e di contenimento della
spesa -, dall'altro, il dato letterale  secondo  cui  «i  comuni  non
capoluogo di provincia procedono alle acquisizioni ...». Entrambi gli
elementi depongono per una limitazione oggettiva della norma ai  soli
contratti di appalto. 
  Tuttavia, sarebbe opportuno che i comuni in sede di  programmazione
valutassero l'opportunita' - pur non essendovi obbligati - di offrire
congiuntamente determinati servizi. 
  Infatti,  il  modulo  concessorio  non  puo'  essere   tecnicamente
riferito agli acquisti della pubblica amministrazione sicuramente per
la concessione di servizi (art.  30  del  Codice),  che  peraltro  e'
sottratta  all'applicazione  delle  disposizioni  del   Codice,   ivi
compreso l'art. 33. 
  L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 7 maggio 2013,  n.  13,
ha precisato, infatti, che: «la concessione di servizi viene definita
dalla direttiva 2004/18/CE, nonche' dal Codice dei contratti pubblici
(art. 3,  comma  12)  come  "il  contratto  che  presenta  le  stesse
caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad  eccezione  del
fatto che  il  corrispettivo  della  fornitura  di  servizi  consiste
unicamente nel diritto  di  gestire  i  servizi  o  in  tale  diritto
accompagnato da  un  prezzo".  Piu'  specificamente,  l'art.  30  del
medesimo Codice al comma 2 afferma che nella concessione  di  servizi
la controprestazione a favore del concessionario consiste  unicamente
nel diritto di gestire funzionalmente e di  sfruttare  economicamente
il servizio. La distinzione attiene alla struttura del rapporto,  che
nell'appalto di servizi intercorre tra due soggetti  (la  prestazione
e'  a  favore  dell'amministrazione),  mentre  nella  concessione  di
servizi pubblici intercorre  tra  tre  soggetti,  nel  senso  che  la
prestazione e' diretta al pubblico  o  agli  utenti».  Non  sussiste,
pertanto, un acquisto destinato al comune. 
  Per quanto attiene ai lavori, invece, da un punto di vista  formale
rileva il fatto che in forza di quanto disposto dall'art. 142,  comma
3, del Codice, «alle concessioni di  lavori  pubblici,  nonche'  agli
appalti di  lavori  pubblici  affidati  dai  concessionari  che  sono
amministrazioni aggiudicatrici, si applicano,  salvo  che  non  siano
derogate nel presente capo, le disposizioni del presente codice», tra
le quali e' contenuto  l'art.  33,  la  cui  applicazione  non  viene
derogata da nessuna disposizione del capo II (del titolo  III,  della
parte II del Codice). 
  Vero e', tuttavia, che il  rinvio  operato  all'art.  33  e'  stato
previsto in un momento storico in cui la sua formulazione  non  aveva
ricevuto l'integrazione del comma 3-bis. 
  Anche in questo caso, al di la' di quest'ultima  precisazione,  non
possono non rilevarsi le difficolta' applicative che esso comporta se
riferito alle concessioni di lavori, tenuto conto della  specificita'
degli stessi e della necessita' di un raccordo molto stretto  che  la
gestione di un rapporto concessorio impone  all'eventuale  pluralita'
di enti concedenti. Si pensi a titolo esemplificativo alle: 
  difficolta' di aggregazione degli interventi da realizzare,  avendo
riferimento alla  specificita'  dei  lavori,  per  i  quali  e'  piu'
facilmente  ipotizzabile   una   centralizzazione   della   procedure
piuttosto che un'aggregazione dell'acquisti (che puo',  invece,  piu'
agevolmente avvenire per servizi e forniture); 
  difficolta'  connesse  alla  gestione  dell'intera  procedura   che
implica un coinvolgimento attivo dell'amministrazione  (e  l'esigenza
di una piena concordanza di azioni), il riferimento va alla richiesta
di  modifica  al  progetto  preliminare  e,  in   caso   di   mancata
accettazione del promotore, all'interpello di quelli che  seguono  in
graduatoria (art. 153, comma 3 del Codice), alla fissazione  in  sede
di gara anche di un prezzo (art. 143, comma 4); 
  difficolta' connesse alla gestione del piano economico finanziario,
intorno a cui ruota l'intero rapporto concessorio (art. 143, commi  5
e 8). 
  Tuttavia, occorre effettuare un bilanciamento con  i  vantaggi  che
possono derivare dalla centralizzazione in termini di programmazione,
progettazione, mancata duplicazione degli interventi,  riduzione  dei
costi, anche nell'ambito delle concessioni di lavori  e  del  project
financing. 
  A tal fine i comuni  dovrebbero  valutare  la  possibilita',  e  le
connesse utilita', di porre in essere strutture  specializzate  nella
gestione di gare  per  l'affidamento  di  concessioni  e  di  project
financing, in possesso in un  know  how  adeguato  alla  gestione  di
simili procedure. 
  Un'utile indicazione in tal senso si puo'  ricavare  dell'art.  37,
comma  4  della  direttiva  2014/24/UE  che  prevede,  accanto   alla
possibilita' di aggiudicare a una centrale di committenza un  appalto
pubblico di servizi per la fornitura di attivita' di centralizzazione
delle committenze anche quello  per  la  fornitura  di  attivita'  di
committenza ausiliaria (12) ,  senza  applicare  le  procedure  della
medesima direttiva. L'istituto della committenza ausiliaria risponde,
infatti, all'esigenza di garantire la messa a disposizione di un know
how  che   solo   le   stazioni   appaltanti   piu'   strutturate   e
professionalizzate (quali sono le centrali di  committenza)  sono  in
grado  di  fornire  alle  amministrazioni  aggiudicatrici  di  minori
dimensioni (come, nel caso  in  esame,  i  comuni  non  capoluogo  di
provincia e non solo). 
  Per quel che attiene, poi, ai servizi tecnici,  regolati  dal  capo
IV, sezione I, articoli 90 e seguenti  del  Codice,  si  rileva  come
l'art. 33 del Codice, ivi compreso il comma 3-bis, trovi applicazione
in forza del richiamo operato dall'art. 91, comma 1 alle disposizioni
di cui alla parte II, titolo  I  e  titolo  II  del  codice  per  gli
affidamenti di importo pari o superiore all'importo di euro  100.000;
fermo restando, ovviamente, l'affidamento interno all'amministrazione
ai sensi dell'art. 90, comma 1, lettera b),  secondo  cui  i  servizi
attinenti all'ingegneria e all'architettura possono essere  espletati
dagli uffici consortili di progettazione e di  direzione  dei  lavori
che i comuni, i rispettivi consorzi e unioni, le  comunita'  montane,
le  aziende  unita'  sanitarie  locali,  i  consorzi,  gli  enti   di
industrializzazione e gli enti di bonifica possono costituire con  le
modalita' di cui agli articoli 30, 31 e 32 del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267. 
  Pertanto,  anche  per  l'affidamento  all'esterno  dei  servizi  di
architettura e di ingegneria, i comuni  non  capoluogo  di  provincia
sono tenuti al rispetto degli obblighi prescritti dall'art. 33, comma
3-bis del Codice. 
  L'ambito oggettivo di applicazione dell'art. 33,  comma  3-bis  del
Codice e' riferito ai contratti di appalto pubblico di  lavori  (art.
3, comma 7), forniture (art. 3, comma 9) e  servizi  (art.  3,  comma
10), ivi compresi  i  servizi  tecnici,  pienamente  assoggetti  alle
disposizioni del Codice dei contratti. 
  Sono sottratti all'obbligo di acquisizione in forma  aggregata  gli
appalti esclusi in tutto o  in  parte  dall'applicazione  del  Codice
(articoli 19-26), tra cui i servizi dell'allegato IIB. E'  sottratta,
altresi', la concessione di servizi cui si applica solo l'art. 30 del
Codice. 
  Per la concessione di lavori, pur esistendo un rinvio formale anche
all'art. 33, operato dall'art. 142, comma 3, del Codice, tenuto conto
del fatto che il comma 3-bis costituisce una sopravvenienza normativa
rispetto al richiamato rinvio, nonche' delle difficolta'  applicative
connesse alle specificita' del modulo concessorio - anche se attivato
sotto forma  di  project  financing  -  i  comuni  non  capoluogo  di
provincia  devono  valutare  la  possibilita'  di  porre  in   essere
strutture specializzate nella gestione delle suddette  procedure,  in
possesso del know how tecnico piu' adeguato. 
3. Forme di aggregazione preesistenti e prescrizioni del comma 3-bis. 
3.1. Convenzioni, consorzi e unioni di comuni. 
  Numerose incertezze  interpretative  sono  emerse  con  riferimento
all'idoneita' di forme di aggregazione  preesistenti  all'entrata  in
vigore del comma 3-bis a soddisfare l'obbligo introdotto dalla norma. 
  Al riguardo si osserva che, tra le forme associative  previste  dal
decreto legislativo n. 267/2000 - convenzioni, consorzi e  unioni  di
comuni - le convenzioni sono quelle in cui il vincolo  tra  i  comuni
partecipanti e'  meno  stretto,  essendo  limitato  all'esercizio  di
funzioni (o servizi) in modo coordinato. 
  Il comma 3-bis fa espresso riferimento alle unioni di cui  all'art.
32 del decreto legislativo n. 267/2000 e,  piu'  genericamente,  agli
accordi  consortili  tra  i  comuni.  Invero  l'espressione  «accordi
consortili» sembra sottendere un tipo di accordi che non si  limitano
alla figura del consorzio. In relazione allo  schema  di  convenzione
messo  a  disposizione  dei  comuni  da  parte  dell'ANCI,  e'  stato
puntualizzato che «numerose interpretazioni hanno evidenziato come il
termine "accordo consortile" riportato nell'art. 33, comma 3-bis  del
decreto legislativo n. 163/2006 costituisca un'espressione  atecnica,
con la quale il legislatore ha inteso  genericamente  riferirsi  alle
convenzioni definibili in base all'art. 30 del decreto legislativo n.
267/2000 come strumento alternativo all'unione dei comuni» e che  «in
tale ottica interpretativa l'espressione "accordi  consortili"  debba
essere intesa non gia' come accordi istitutivi di un vero  e  proprio
consorzio (quindi ai sensi dell'art. 31 del  decreto  legislativo  n.
267/2000)  bensi'  come  atti  convenzionali   volti   ad   adempiere
all'obbligo normativo di istituire una centrale  di  committenza,  in
modo da evitare la costituzione di organi ulteriori  e  con  essi  le
relative spese, risultando peraltro la convenzione  per  la  gestione
associata un modello di organizzazione che sembra  conciliare,  ancor
piu' del consorzio e dell'unione, i vantaggi del coordinamento con il
rispetto delle peculiarita' di ciascun ente». 
  Milita  a  favore  dell'interpretazione  sopra  richiamata,   oltre
all'applicazione dei correnti criteri ermeneutici, l'art. 2, comma 1,
lettera b), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  11
novembre  2014  che  prevede  espressamente  che  possano  presentare
istanza per  l'iscrizione  all'elenco  dei  soggetti  aggregatori  le
associazioni, unioni e consorzi di  enti  locali  «ivi  compresi  gli
accordi tra gli stessi comuni resi in forma  di  convenzione  per  la
gestione delle attivita' ai sensi del decreto legislativo  18  agosto
2000, n. 267». 
  Analoga problematica  interpretativa  si  e'  posta  per  i  comuni
facenti parte di unioni di comuni gia' costituite che intendano  dare
vita ad accordi consortili con alcuni comuni (anche non facenti parte
dell'unione) al fine di adempiere all'obbligo di cui al comma  3-bis.
In tal caso, tenuto conto del dato letterale della norma  di  cui  al
comma 3-bis che impone di procedere agli acquisti  nell'ambito  delle
unioni di comuni «ove esistenti» ovvero ricorrendo alle  altre  forme
di aggregazione, potrebbe apparire che alle  unione  gia'  costituite
sia attribuita una sorta di prevalenza rispetto alle altre  forme  di
aggregazione. 
  Sul  punto,  si  rileva   che,   effettivamente,   il   legislatore
sembrerebbe aver messo a disposizione dei comuni  una  pluralita'  di
opzioni in modo da consentire  la  scelta  della  modalita',  che  in
ragione  della  peculiare  situazione  del  singolo  comune,   meglio
soddisfi le esigenze di procurement del comune stesso. Il riferimento
all'unione di comuni «ove esistenti» pare dettato  dal  rispetto  dei
generali  principi   di   economicita'   ed   efficacia   dell'azione
amministrativa    piuttosto    che    dall'intento    di    stabilire
categoricamente il primato delle unioni rispetto alle altre modalita'
di aggregazione. 
  Sul tema, tuttavia, risulta determinante la previsione dell'art. 2,
comma 28 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria 2008).  La
norma appena richiamata prevede che: «Ai fini  della  semplificazione
della varieta' e della diversita' delle forme associative comunali  e
del processo di riorganizzazione  sovracomunale  dei  servizi,  delle
funzioni e delle  strutture,  ad  ogni  amministrazione  comunale  e'
consentita l'adesione ad una unica forma associativa per ciascuna  di
quelle previste dagli articoli 31, 32 e 33 del citato testo unico  di
cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267,  fatte  salve  le
disposizioni di legge in materia di  organizzazione  e  gestione  del
servizio idrico integrato e del servizio  di  gestione  dei  rifiuti.
Dopo il 1° gennaio 2010, se permane  l'adesione  multipla  ogni  atto
adottato dall'associazione tra comuni e' nullo ed e', altresi', nullo
ogni atto attinente all'adesione o allo svolgimento di essa da  parte
dell'amministrazione comunale interessata. Il presente comma  non  si
applica per l'adesione delle  amministrazioni  comunali  ai  consorzi
istituiti o resi obbligatori da leggi nazionali e regionali». 
  Ai sensi dell'art. 1, comma 130-bis, della legge 7 aprile 2014,  n.
56, «Non si applica ai consorzi socio-assistenziali  quanto  previsto
dal comma 28 dell'art. 2 della legge 24  dicembre  2007,  n.  244,  e
successive modificazioni». 
  Da una lettura di tipo sistematico del comma 3-bis dell'art. 33 del
Codice e della disposizione della finanziaria 2008, sopra citata,  e'
possibile ricavare la volonta' del legislatore non solo di ovviare ad
un diseconomico ricorso alle suddette forme aggregative ma  anche  di
indurre i singoli comuni ad una stabilizzazione  delle  medesime,  in
modo da evitare un  utilizzo  di  «moduli  aggregativi  di  scopo»  e
dall'assetto variabile, per singoli affidamenti, che si rivelerebbero
una formale attuazione del disposto normativo del  Codice,  con  cio'
vanificando gli effetti cui il previsto obbligo  di  centralizzazione
della domanda mira, in termini di specializzazione del buyer pubblico
e di conseguente efficientamento del sistema. 
  Il riferimento del comma 3-bis all'unione di comuni «ove esistenti»
non puo' intendersi come volto a stabilire un  primato  delle  unioni
rispetto alle altre modalita' di aggregazione.  A  conferma  di  tale
lettura risulta determinante la  previsione  dell'art.  2,  comma  28
della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria 2008) che  ad  ogni
amministrazione comunale  consente  l'adesione  ad  una  unica  forma
associativa per ciascuna di quelle previste dagli articoli 31,  32  e
33. Cio' che comporta non solo di evitare un dispendioso utilizzo  di
«moduli  aggregativi  di  scopo»   ma   altresi'   di   favorire   la
specializzazione del buyer pubblico, con conseguente  efficientamento
del sistema. 
3.2. Utilizzo delle societa' in house quale organo operativo. 
  Quanto alla possibilita' che le  societa'  interamente  partecipate
dai comuni possano ritenersi  moduli  operativi  compatibili  con  la
ratio del comma 3-bis dell'art. 33, per la gestione  delle  procedure
di affidamento di contratti pubblici in modo centralizzato  da  parte
dei comuni soggetti al relativo obbligo, si osserva quanto segue. 
  Esclusivamente ai fini di  cui  all'art.  33,  comma  3-bis,  anche
societa' interamente pubbliche istituite quale soggetto operativo  di
associazioni di comuni o di accordi consortili tra i medesimi  ovvero
costituite  dalle  unioni,  in  rapporto  di  stretta  strumentalita'
rispetto all'associazione, all'unione e  all'accordo  consortile,  in
ordine all'affidamento di contratti pubblici  per  i  comuni  facenti
parte  delle  suddette  forme,  possono  ritenersi  moduli  operativi
compatibili con la ratio del comma 3-bis dell'art. 33. 
  Esse possono rappresentare, infatti, lo strumento attraverso cui si
individua l'ufficio dell'unione, dell'associazione o dell'accordo tra
piu' comuni che curi i loro acquisti in modo centralizzato. Cio'  che
si impone come doveroso e' che non diventino lo strumento per eludere
la centralizzazione, non potendo  il  singolo  comune  facente  parte
dell'associazione, unione o consorzio commissionare  singoli  appalti
alla eventuale societa' controllata in modo collettivo.  Diversamente
opinando si eluderebbe la forma aggregata dell'acquisto.  Va  da  se'
che  l'utilizzo  di  un  tale  sistema   operativo   di   affidamento
centralizzato presuppone un'adeguata programmazione degli  interventi
e degli acquisti, da operarsi in  seno  allo  strumento  associativo,
coinvolgendo   l'eventuale    societa'    controllata    dall'Unione,
dall'associazione  o  attraverso  l'accordo  consortile  in   maniera
congiunta da parte dei comuni. 
  Esclusivamente ai fini di cui all'art. 33, comma  3-bis,  anche  le
societa' interamente pubbliche istituite quale soggetto operativo  di
associazioni di comuni o di accordi consortili tra i medesimi  ovvero
costituite  dalle  unioni,  in  rapporto  di  stretta  strumentalita'
rispetto  all'associazione,  all'unione  e  all'accordo   consortile,
possono svolgere le  funzioni  di  relativo  ufficio  competente  per
l'espletamento delle procedure di affidamento dei contratti pubblici. 
4. Modalita' organizzative dei nuovi soggetti. 
  Per quanto concerne le modalita' organizzative da adottare al  fine
di dare correttamente  attuazione  alla  norma,  tenuto  conto  delle
criticita' emerse dalla prassi, si rende necessario un  inquadramento
generale di sistema per, poi, affrontare nello specifico le  ricadute
applicative della nuova disposizione, soprattutto per quanto riguarda
l'individuazione  dell'unita'  organizzativa   responsabile   e   del
responsabile unico del procedimento. 
  Dal quadro normativo  dettato  in  materia  di  contratti  pubblici
nonche' dalle disposizioni della  legge  7  agosto  1990,  n.  241  e
successive modificazioni  ed  interpretazioni,  emergono  i  seguenti
principi di carattere generale: 
  1) il responsabile  del  procedimento  deve  essere  unico  per  le
diverse fasi dell'affidamento (13) ; 
  2) il responsabile  del  procedimento  deve  essere  un  dipendente
dell'amministrazione (14) ; 
  3) la responsabilita' dell'istruttoria e di ogni altro  adempimento
procedimentale deve essere posta in seno ad una unita'  organizzativa
responsabile  (la  cui  individuazione  e'  rimessa  alla  legge,  ai
regolamenti o in difetto alle amministrazioni pubbliche mediante atti
a carattere generale) (15) ; 
  4) deve sussistere un necessario collegamento tra  il  responsabile
del procedimento e l'unita' organizzativa responsabile (16) . 
  In via astratta il principio della nomina di un responsabile  unico
del procedimento, nei termini precisati  dalla  giurisprudenza  della
Corte costituzionale (17) , e tenuto conto anche  di  quanto  prevede
piu'  in  generale  la  legge  n.  241/1990,   circa   l'obbligo   di
individuarlo, trova  applicazione  anche  nei  confronti  dei  comuni
interessati dal comma 3-bis dell'art. 33 del Codice dei contratti. 
  Rileva, altresi', il principio di cui all'art. 2, comma 1,  lettera
d) del decreto legislativo n. 30 marzo 2001, n. 165, secondo  cui  le
amministrazioni  pubbliche  definiscono  le  linee  fondamentali   di
organizzazione degli  uffici,  individuano  gli  uffici  di  maggiore
rilevanza e i modi di conferimento della  titolarita'  dei  medesimi;
determinano le dotazioni organiche complessive, ispirandosi, tra  gli
altri, al criterio di  garantire  l'imparzialita'  e  la  trasparenza
dell'azione  amministrativa,  anche   attraverso   l'istituzione   di
apposite strutture per l'informazione ai cittadini  e  l'attribuzione
ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della  responsabilita'
complessiva dello stesso. 
  E' evidente, tuttavia,  che  la  particolarita'  che  introduce  la
disposizione di cui all'art. 33, comma 3-bis reca inevitabilmente con
se' la necessita' di una lettura  sistematica  delle  norme,  in  cui
assume un ruolo determinante  la  norma  da  ultimo  richiamata  che,
infatti,  comporta  l'affidamento   del   procedimento   a   distinte
amministrazioni.  Cio'  implica  che,   in   mancanza   di   apposite
disposizioni speciali, ogni struttura amministrativa coinvolta dovra'
individuare la propria  unita'  organizzativa  (in  seno  alla  quale
dovra'  operare   il   relativo   RUP)   competente   per   la   fase
sub-procedimentale alla stessa affidata ex lege. 
  Sul versante applicativo, dovra', pertanto, essere fatta un'analisi
dei diversi casi che possono prospettarsi, tenendo distinti i casi in
cui l'entita' che gestisce la gara possieda i connotati di una vera e
propria struttura amministrativa, che assurge a  centro  autonomo  di
imputazione - distinta dai soggetti che alla medesima  danno  vita  -
dai casi in cui si da' luogo, semplicemente,  alla  creazione  di  un
organo comune, e,  nel  contempo,  distinguendo  i  casi  in  cui  la
gestione delle diverse fasi del procedimento sia diviso tra i singoli
comuni (programmazione, progettazione,  esecuzione)  e  la  struttura
svolgente funzioni di stazione appaltante (scelta del contraente), da
quelli in cui l'intero processo sia gestito da quest'ultima. 
  Il miglior raccordo tra le diverse amministrazioni coinvolte  nelle
diverse fasi del medesimo procedimento, per definire le modalita'  di
conduzione dello stesso, puo', in generale  avvenire  attraverso  gli
accordi ex art. 15 della legge n. 241/1990, ma nel  caso  di  specie,
tale funzione sara' necessariamente assolta dai moduli  convenzionali
dell'associazionismo locale  (accordi  consortili,  associazioni  tra
comuni ecc.), quali  strumenti  non  solo  volti  ad  individuare  la
struttura o l'ufficio preposto alla gestione centralizzata della gara
ma a formalizzare e regolamentare anche la disciplina che assicurera'
il suo legittimo e  corretto  funzionamento,  alla  luce  del  quadro
normativo di riferimento. 
  Al riguardo e' necessario premettere come l'individuazione del  RUP
debba essere differentemente modulata in rapporto al ruolo esercitato
dalla struttura che svolge le attivita' di committenza (sia  esso  un
comune capofila o una struttura dedicata); a  tal  fine,  seppur  non
esaustivamente,  possono  essere  individuate  le  seguenti   diverse
modalita': 
  1) soggetto che gestisce una  singola  gara  su  richiesta  di  uno
specifico comune (cio' che e' piu' frequente e probabile  nell'ambito
dei  lavori,  che  sono   centralizzabili   ma   piu'   difficilmente
aggregabili); 
  2) soggetto che gestisce le procedure riguardanti piu'  o  tutti  i
comuni aderenti all'accordo (acquisto aggregato); 
  3) soggetto che gestisce la gara su richiesta di due o piu'  comuni
aggregando piu' interventi volti a soddisfare le esigenze  di  ognuno
in un  unico  intervento,  che  risultera'  programmato,  progettato,
affidato e realizzato per loro conto (18) . 
  Nel caso sub 1) l'individuazione  del  RUP  da  parte  del  singolo
comune dovra' sicuramente avvenire per le fasi di propria  competenza
(progettazione ed esecuzione). In ossequio al principio  di  unicita'
del RUP per le diverse fasi, lo stesso potra'  essere  designato,  in
seno al modulo aggregativo per la gestione  della  gara,  secondo  le
modalita' piu' consone, in base  all'ordinamento  del  personale,  al
caso e per il tempo necessario all'espletamento della medesima  gara.
In tale ipotesi il RUP dovra' profilarsi sui  sistemi  dell'Autorita'
anche come RUP del modulo aggregativo per cui gestisce  la  procedura
di gara e in relazione ai relativi centri di costo,  specificando  di
volta  in  volta  per  conto  di  quale  soggetto  (comune  o  modulo
aggregativo) agisce. 
  In tal modo, il medesimo RUP curera' gli altri adempimenti di legge
che riguardano l'acquisizione del CIG, le comunicazioni dell'art.  7,
comma 8 del Codice. La verifica dei  requisiti  sul  sistema  AVCpass
seguira' le regole di cui alla deliberazione n. 111/2012 e successive
modificazioni ed integrazioni, e il versamento del contributo di gara
all'Autorita' sara' disposto dal modulo aggregativo che  bandisce  la
gara. 
  Nell'ipotesi sub  2)  venendo  in  rilevo  un  acquisto  aggregato,
secondo lo schema della convezione o dell'accordo  quadro  (stipulati
dall'entita' che svolge  attivita'  di  committenza  in  qualita'  di
organismo di raccordo  dei  fabbisogni),  cui  aderiscono  i  singoli
comuni,  questi  ultimi  dovrebbero  individuare  un  RUP  ai   sensi
dell'art. 274 (19) del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  5
ottobre 2010, n. 207, e tra questi, mediante accordo  tra  i  diversi
comuni, dovrebbe essere scelto e designato il RUP che presso l'organo
comune o il comune capofila svolga le relative funzioni per  la  fase
della procedura di gara.  Nel  caso  in  cui  il  modulo  aggregativo
prescelto sia strutturato quale autonomo centro  di  imputazione,  il
RUP sara' individuato, per la sola  fase  di  gara,  direttamente  da
quest'ultimo. 
  Successivamente alla gara i RUP dei singoli comuni  individuati  ex
art. 274 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  207/2010
seguono la fase esecutiva, laddove non sia obbligatoria la nomina  di
un direttore dell'esecuzione diverso dal  RUP,  in  conformita'  alla
normativa vigente. 
  Per quanto riguarda l'acquisizione del CIG, il sistema  informatico
dell'Autorita' prevede gia' la  possibilita'  di  acquisire  dei  CIG
derivati, al momento dell'adesione  alla  convenzione  o  all'accordo
quadro, rispetto al CIG padre attribuito a questi ultimi e  richiesto
dal RUP che gestisce la fase di gara. 
  Per la comunicazione dei dati ex art. 7, comma 8 del Codice, i  RUP
comunicheranno i dati concernenti la fase di riferimento. 
  Anche in tal caso, la verifica dei requisiti  sul  sistema  AVCpass
seguira'  le  regole  di  cui  alla  deliberazione  n.   111/2012   e
sssuccessive modificazioni  ed  integrazioni,  e  il  versamento  del
contributo  di  gara  all'Autorita'   sara'   disposto   dal   modulo
aggregativo che bandisce la gara. 
  Nell'ipotesi sub 3) non v'e' dubbio come la riferibilita' di  tutte
le fasi ad un unico  centro  decisionale  e  gestionale  implichi  la
necessaria individuazione di un unico RUP da  parte  della  struttura
che gestisce la gara  (che  per  sua  stessa  funzione  difficilmente
potra'  essere  un  mero  organo  di  una   forma   associativa   non
strutturata): in tale ipotesi il RUP sara',  di  regola,  individuato
tra i dipendenti in servizio presso la medesima oppure,  in  caso  di
carenza in organico, potrebbe  essere  assegnato  alla  struttura  un
dipendente dei comuni interessati, previa intesa e nel  rispetto  del
principio di rotazione e di competenza tecnica con  riferimento  agli
acquisti che man mano si succedono nel tempo. Resta fermo  che  anche
in tal caso il RUP dovra' profilarsi sui sistemi dell'Autorita' anche
come RUP del modulo aggregativo per  cui  gestisce  la  procedura  di
gara. 
  In  tal  modo  individuato,  egli,  provvedera'  agli   adempimenti
relativi all'acquisizione del CIG nonche' alla comunicazione dei dati
ex art. 7, comma 8 del Codice. 
  La verifica dei requisiti sul sistema AVCpass e il  versamento  del
contributo di gara seguiranno le regole sopra gia' richiamate. 
  I diversi moduli aggregativi dovranno, inoltre  registrarsi  presso
l'Anagrafe unica  delle  stazioni  appaltanti  (AUSA).  Nel  caso  di
soggetti con codice fiscale coincidente con quello di altro  soggetto
(si pensi  al  caso  in  cui  piu'  comuni  individuino  il  soggetto
aggregatore di riferimento in una struttura della  regione)  potrebbe
semplicemente essere individuato un altro centro di costo nell'ambito
della pre-esistente iscrizione AUSA  dell'ente  titolare  del  codice
fiscale. 
  Sara' cura di ciascun modulo aggregativo assicurare la  trasparenza
dei processi e dei finanziamenti per la gestione delle  procedure  di
affidamento dallo stesso gestite. 
  In ragione della previsione del comma 3-bis dell'art. 33 del Codice
ciascuna fase del procedimento di acquisto puo' risultare affidata  a
diverse  amministrazioni:  singolo  comune   e   modulo   associativo
prescelto. In tal caso ogni struttura  amministrativa  coinvolta  nel
procedimento di acquisto, in quanto competente  ex  legeper  la  fase
sub-procedimentale  alla  stessa  affidata,  dovra'  individuare   la
propria unita' organizzativa preposta alla  gestione  della  relativa
fase e procedere alla nomina del Responsabile della  medesima,  salvo
l'ipotesi in cui tutte le diverse fasi procedimentali  siano  gestite
dal  modulo  associativo  prescelto,  nel  qual   caso   quest'ultimo
nominera' un unico responsabile dell'intero procedimento. 
5. Deroghe e proroghe dei contratti in essere. 
  Con riferimento all'ambito di  applicazione  delle  deroghe  (quali
appalti dei comuni delle zone terremotate possono considerarsi esenti
dall'obbligo di centralizzazione)  e  la  possibilita'  di  prorogare
contratti in corso nelle more dell'adesione ad una convenzione in via
di perfezionamento nonche' riguardo alla  possibilita'  di  prevedere
un'operativita' graduale  della  centrale  di  committenza  di  nuova
costituzione, si osserva quanto segue. 
  Il  comma  2  dell'art.  23-ter  del  decreto-legge   n.   90/2014,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014,  puo'  essere
interpretato nel senso di esentare dall'applicazioni del comma  3-bis
tutte le acquisizioni di lavori, servizi e forniture dei comuni delle
zone terremotate indipendentemente dal collegamento delle stesse  con
le attivita' inerenti la ricostruzione. Cio', evidentemente,  fino  a
che la ricostruzione non potra' dirsi terminata. 
  Quanto alla possibilita' di fare ricorso ad una proroga tecnica dei
contratti  in  scadenza,  da  piu'  parti  sollevata  in  termini  di
questione molto avvertita, si ritiene che,  essendo  intervenuto,  da
ultimo - ai sensi dell'art. 1, comma 169 della legge 13 luglio  2015,
n. 107  -  un  ulteriore  differimento,  al  1º  novembre  2015,  per
l'entrata in vigore della  disposizione  in  argomento,  la  tematica
della proroga dei contratti in essere non si ponga piu' in termini di
attualita'. 
  L'unica      deroga       ammessa       al       regime       della
centralizzazione/aggregazione prevista dal comma 3-bis  dell'art.  33
e' quella prevista dal comma 2 dell'art. 23-ter del decreto-legge  n.
90/2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014. 
  Stante  l'ulteriore  proroga  del  termine  di  applicazione  della
disposizione del comma 3-bis, che ha, di  fatto,  fornito  piu'  ampi
margini di adeguamento alla  novella  normativa  in  parola,  non  si
ritengono giustificate proroghe dei contratti in essere  al  fine  di
dare  piena   attuazione   all'obbligo   contemplato   dalla   citata
disposizione. 
  Tutto cio' premesso e considerato 
 
                              Determina 
 
nei sensi di cui al considerato in diritto. 
  Approvata dal Consiglio nella seduta del 23 settembre 2015 
 
                                               Il Presidente: Cantone 
 
  Depositato presso la segreteria del Consiglio in  data  1°  ottobre
2015 
Il segretario: Esposito 

(1) «Le  stazioni  appaltanti  e  gli  enti   aggiudicatori   possono
    acquisire lavori, servizi e forniture facendo ricorso a  centrali
    di committenza, anche associandosi o consorziandosi». 

(2) Art. 2 (Requisiti per la richiesta di iscrizione  all'elenco  dei
    soggetti aggregatori). - 1.  Richiedono  l'iscrizione  all'elenco
    dei soggetti aggregatori, se in possesso dei requisiti di cui  al
    successivo comma 2, i seguenti soggetti  o  i  soggetti  da  loro
    costituiti che svolgano attivita' di centrale di  committenza  ai
    sensi dell'art. 33 del decreto legislativo  12  aprile  2006,  n.
    163, con  carattere  di  stabilita',  mediante  un'organizzazione
    dedicata  allo  svolgimento   dell'attivita'   di   centrale   di
    committenza, per il soddisfacimento di tutti i fabbisogni di beni
    e servizi dei  relativi  enti  locali:  a)  citta'  metropolitane
    istituite ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56 e del decreto
    legislativo  17  settembre  2010,  n.  156  e  le  province;   b)
    associazioni, unioni e consorzi di enti locali, ivi compresi  gli
    accordi tra gli stessi comuni resi in forma di convenzione per la
    gestione delle attivita' ai  sensi  del  decreto  legislativo  18
    agosto 2000, n. 267. 2. Ai fini  dell'iscrizione  all'elenco  dei
    soggetti aggregatori, i soggetti di cui alle lettere a) e b)  del
    comma 1, devono nei tre  anni  solari  precedenti  la  richiesta,
    avere  pubblicato  bandi  e/o  inviato  lettera  di  invito   per
    procedure finalizzate  all'acquisizione  di  beni  e  servizi  di
    importo a base di gara pari o superiore alla soglia  comunitaria,
    il cui valore complessivo sia superiore a  200.000.000  euro  nel
    triennio e comunque con un valore minimo di 50.000.000  euro  per
    ciascun anno. In sede di prima attuazione del  presente  decreto,
    rileva  ai  fini  del  possesso   del   requisito   il   triennio
    2011-2012-2013. 3. Ai fini del possesso del requisito relativo al
    valore delle procedure di cui al comma 2, si  tiene  conto  anche
    delle procedure avviate: a) per i soggetti di  cui  al  comma  1,
    lettera a), dagli enti locali rientranti  nell'area  territoriale
    della citta' metropolitana e delle province; b) per i soggetti di
    cui al comma 1, lettera b), dai singoli enti locali facenti parte
    dell'associazione, unione, consorzio o  accordi  tra  gli  stessi
    comuni resi  in  forma  di  convenzione  per  la  gestione  delle
    attivita'. 

(3) «Fermo restando quanto previsto all'art. 1, commi 449, 450 e 455,
    della legge 27 dicembre 2006, n.  296,  all'art.  2,  comma  574,
    della legge 24 dicembre  2007,  n.  244,  all'art.  1,  comma  7,
    all'art. 4, comma 3-quater e all'art. 15, comma  13,  lettera  d)
    del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95,   convertito,   con
    modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, con decreto del
    Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  di  concerto  con  il
    Ministro dell'economia e delle finanze,  da  adottarsi,  d'intesa
    con la Conferenza permanente per i  rapporti  tra  lo  Stato,  le
    regioni e le province autonome di Trento e  di  Bolzano,  sentita
    l'Autorita' per la vigilanza sui contratti  pubblici  di  lavori,
    servizi e forniture, entro il 31 dicembre  di  ogni  anno,  sulla
    base di analisi del Tavolo dei soggetti aggregatori e in  ragione
    delle risorse messe a disposizione ai sensi  del  comma  9,  sono
    individuate le categorie di beni e di servizi nonche'  le  soglie
    al superamento delle quali le amministrazioni statali centrali  e
    periferiche, ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine
    e  grado,  delle  istituzioni  educative  e   delle   istituzioni
    universitarie, nonche' le regioni, gli  enti  regionali,  nonche'
    loro consorzi e associazioni, e gli enti del  Servizio  sanitario
    nazionale  ricorrono  a  Consip  S.p.A.  o  agli  altri  soggetti
    aggregatori di cui ai commi  1  e  2  per  lo  svolgimento  delle
    relative  procedure.  Per  le  categorie  di   beni   e   servizi
    individuate dal decreto di cui al periodo precedente, l'Autorita'
    per la vigilanza sui contratti  pubblici  di  lavori,  servizi  e
    forniture non rilascia il codice identificativo gara  (CIG)  alle
    stazioni appaltanti che, in violazione degli adempimenti previsti
    dal presente comma, non ricorrano a  Consip  S.p.A.  o  ad  altro
    soggetto aggregatore. Con il decreto di  cui  al  presente  comma
    sono, altresi', individuate le relative modalita' di attuazione». 

(4) Il comma e' stato cosi' come novellato dal comma  2  dell'art.  7
    del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52 -  come  sostituito  dalla
    legge di conversione  6  luglio  2012,  n.  94  -  e  di  recente
    modificato dall'art. 22 del decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90,
    convertito, con modificazioni, dalla legge  11  agosto  2014,  n.
    114. Il suo tenore attuale e' il seguente: «Dal 1°  luglio  2007,
    le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad  esclusione
    degli istituti e delle scuole  di  ogni  ordine  e  grado,  delle
    istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, per  gli
    acquisti di beni e servizi al di sotto della  soglia  di  rilievo
    comunitario, sono tenute a fare ricorso  al  mercato  elettronico
    della pubblica amministrazione di cui all'art. 328, comma 1,  del
    regolamento di cui al decreto del Presidente della  Repubblica  5
    ottobre 2010, n. 207. Fermi restando gli obblighi e  le  facolta'
    previsti  al  comma  449  del   presente   articolo,   le   altre
    amministrazioni  pubbliche  di  cui  all'art.   1   del   decreto
    legislativo  30  marzo  2001,  n.  165,  nonche'   le   autorita'
    indipendenti, per gli acquisti  di  beni  e  servizi  di  importo
    inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute  a  fare
    ricorso al mercato  elettronico  della  pubblica  amministrazione
    ovvero ad  altri  mercati  elettronici  istituiti  ai  sensi  del
    medesimo  art.  328  ovvero  al  sistema   telematico   messo   a
    disposizione dalla  centrale  regionale  di  riferimento  per  lo
    svolgimento delle relative  procedure.  Per  gli  istituti  e  le
    scuole di ogni ordine e grado,  le  istituzioni  educative  e  le
    universita' statali, tenendo conto delle rispettive specificita',
    sono  definite,  con  decreto   del   Ministro   dell'istruzione,
    dell'universita' e della ricerca, linee  guida  indirizzate  alla
    razionalizzazione e al coordinamento degli  acquisti  di  beni  e
    servizi omogenei per natura merceologica  tra  piu'  istituzioni,
    avvalendosi delle procedure di cui al presente comma. A decorrere
    dal 2014 i risultati conseguiti dalle  singole  istituzioni  sono
    presi in considerazione ai fini della distribuzione delle risorse
    per il funzionamento». 

(5) Gli acquisti sul Mercato elettronico della  P.A.  possono  essere
    effettuati  mediante  «Ordini  diretti  di  Acquisto»   (OdA)   o
    «Richieste di  Offerta»  (RdO).  Si  puo'  ricorrere  alla  prima
    ipotesi per importi inferiori a 40.000,00 €, IVA esclusa (caso di
    affidamento diretto), alla seconda per importi fino a 207.000  €,
    invitando almeno 5 fornitori ad offrire. Mentre l'ordine  diretto
    consente l'acquisto senza la possibilita' di modificare prezzi  e
    condizioni previsti in catalogo, la richiesta di offerta consente
    la personalizzazione delle offerte presenti in catalogo dal punto
    di vista del prezzo e delle condizioni. 

(6) Sez.  regionale   di   controllo   per   la   Basilicata-Potenza,
    deliberazione n. 67/2014/PAR. 

(7) In  realta',  la  giurisprudenza  comunitaria  in  materia,   pur
    ritenendo   il   possesso   totalitario    in    mano    pubblica
    dell'azionariato  della  societa'  in  house   quale   condizione
    imprescindibile, ritiene compatibile con  il  modello  l'apertura
    prevista nello statuto del capitale  ad  investitori  privati,  a
    condizione che non sussista  nessuna  prospettiva  concreta,  nel
    breve periodo, di una loro effettiva partecipazione  al  capitale
    (CGUE 10 settembre 2009, causa n. C-573/07). Sul tema,  tuttavia,
    alla  luce  della  recenti  direttive  sugli  appalti   e   sulle
    concessioni (v. art.  12  della  n.  2014/24/UE;  art.  28  della
    direttiva 2014/25/UE e art. 17 della  direttiva  2014/23/UE),  il
    Consiglio di Stato, nel parere 30 gennaio 2015, n. 298, considera
    non ostativa  all'applicazione  dei  principi  sull'in  house  la
    partecipazione di privati al capitale della societa'  controllata
    dalla mano pubblica, a condizione  che  tale  partecipazione  non
    comporti  controllo  o  potere  di  veto,  sia  prescritta  dalle
    disposizioni legislative nazionali in conformita'  dei  trattati,
    non  comporti  l'esercizio  di  un'influenza  determinante  sulla
    persona giuridica  controllata.  In  senso  contrario,  si  veda,
    tuttavia, la sentenza del Consiglio di Stato,  sez.  VI,  del  26
    maggio 2015, n. 2660. 

(8) Cfr. anche Corte Cost. 20 marzo 2013, n. 46 e 17  novembre  2010,
    n. 325, secondo cui si  tratta  di  «un'eccezione  rispetto  alla
    regola  generale  dell'affidamento  a  terzi  mediante  gara   ad
    evidenza pubblica. Tale eccezione viene giustificata dal  diritto
    comunitario con il rilievo  che  la  sussistenza  delle  suddette
    condizioni esclude  che  l'in  house  contract  configuri,  nella
    sostanza,   un   rapporto   contrattuale    intersoggetivo    tra
    aggiudicante ed affidatario, perche' quest'ultimo e', in realta',
    solo la longa manus del primo». 

(9) A tenore del quale: «Le societa' affidatarie in house sono tenute
    all'acquisto di beni e servizi secondo le disposizioni di cui  al
    decreto  legislativo  12  aprile  2006,  n.  163,  e   successive
    modificazioni.  Le  medesime  societa'   adottano,   con   propri
    provvedimenti,  criteri  e  modalita'  per  il  reclutamento  del
    personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto  dei
    principi di cui al comma 3 dell'art. 35 del  decreto  legislativo
    30 marzo 2001, n.  165,  nonche'  i  vincoli  assunzionali  e  di
    contenimento  delle  politiche  retributive  stabiliti  dall'ente
    locale controllante ai  sensi  dell'art.  18,  comma  2-bis,  del
    decreto-legge n. 112 del 2008». 

(10) In proposito non  puo'  non  rilevarsi  come  da  un'analisi  di
     sistema della normativa di riferimento emerga che la  disciplina
     dettata  per  le  societa'  strumentali  in   house   sia   piu'
     restrittiva  rispetto  a  quella  propria  delle  societa'   che
     gestiscono o erogano servizi pubblici. Il fondamento di una piu'
     agevole ammissibilita' del  modello  in  house  nei  servizi  di
     interesse generale trova sicuramente un  forte  addentellato  in
     ragioni  di  natura   economica,   che   spesso   sono   sottese
     all'autoproduzione in sostituzione del ricorso al  mercato,  cui
     lo stesso art. 106, comma 2 del TFUE da' rilevanza: «Le  imprese
     incaricate della gestione  di  servizi  di  interesse  economico
     generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte
     alle norme  dei  trattati,  e  in  particolare  alle  regole  di
     concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme  non
     osti all'adempimento, in linea di  diritto  e  di  fatto,  della
     specifica  missione  loro  affidata».  Mentre  l'art.  14,   del
     medesimo  Trattato,   prevede   che   «...   in   considerazione
     dell'importanza dei  servizi  di  interesse  economico  generale
     nell'ambito dei valori  comuni  dell'Unione,  nonche'  del  loro
     ruolo nella promozione della coesione  sociale  e  territoriale,
     l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze  e
     nell'ambito del campo di applicazione dei  trattati,  provvedono
     affinche'  tali  servizi  funzionino  in  base  a   principi   e
     condizioni,  in  particolare  economiche  e   finanziarie,   che
     consentano loro di assolvere i propri compiti». 

(11) Ai sensi dell'art. 13, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006,
     n. 223, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  4  agosto
     2006, n. 248, e successive modificazioni (decreto Bersani):  «Al
     fine di evitare alterazioni o distorsioni  della  concorrenza  e
     del mercato e di  assicurare  la  parita'  degli  operatori  nel
     territorio  nazionale,  le  societa',  a  capitale   interamente
     pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni
     pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi
     strumentali all'attivita' di tali enti in  funzione  della  loro
     attivita', con esclusione dei  servizi  pubblici  locali  e  dei
     servizi  di  committenza  o  delle   centrali   di   committenza
     apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di
     lucro e di amministrazioni aggiudicatrici  di  cui  all'art.  3,
     comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi  a  lavori,
     servizi e forniture, di cui al  decreto  legislativo  12  aprile
     2006, n. 163, nonche', nei casi consentiti dalla legge,  per  lo
     svolgimento esternalizzato di funzioni  amministrative  di  loro
     competenza,  devono  operare  con   gli   enti   costituenti   o
     partecipanti o affidanti, non  possono  svolgere  prestazioni  a
     favore di altri soggetti pubblici o privati, ne' in  affidamento
     diretto ne'  con  gara,  e  non  possono  partecipare  ad  altre
     societa' o  enti  aventi  sede  nel  territorio  nazionale  (...
     omissis ...)». 

(12) Ai sensi dell'art. 2 (recante le definizioni), comma  1,  n.  15
     della  direttiva  2014/24/UE,  le  attivita'   di   «committenza
     ausiliaria»  consistono  nella  prestazione  di  supporto   alle
     attivita' di committenza, in particolare nelle  forme  seguenti:
     a) infrastrutture tecniche che consentano  alle  amministrazioni
     aggiudicatrici di aggiudicare appalti pubblici o  di  concludere
     accordi quadro per lavori, forniture o  servizi;  b)  consulenza
     sullo svolgimento  o  sulla  progettazione  delle  procedure  di
     appalto; c) preparazione e gestione delle procedure  di  appalto
     in  nome  e  per   conto   dell'amministrazione   aggiudicatrice
     interessata. 

(13) Ai sensi dell'art. 10, comma 1  del  Codice  «per  ogni  singolo
     intervento da realizzarsi mediante  un  contratto  pubblico,  le
     amministrazioni aggiudicatrici nominano, ai sensi della legge  7
     agosto 1990, n. 241, un responsabile del procedimento, unico per
     le fasi della progettazione, dell'affidamento, dell'esecuzione». 

(14) Ai  sensi  dell'art.  10,  comma  5,  secondo  periodo  «per  le
     amministrazioni aggiudicatrici  deve  essere  un  dipendente  di
     ruolo. In caso di accertata carenza di dipendenti  di  ruolo  in
     possesso  di  professionalita'  adeguate,   le   amministrazioni
     aggiudicatrici nominano il responsabile del procedimento  tra  i
     propri dipendenti in servizio». 

(15) Ai sensi dell'art. 4 della legge n. 241/1990: «Ove non sia  gia'
     direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche
     amministrazioni sono tenute a determinare per  ciascun  tipo  di
     procedimento  relativo  ad  atti  di  loro  competenza  l'unita'
     organizzativa responsabile  dell'istruttoria  e  di  ogni  altro
     adempimento   procedimentale,    nonche'    dell'adozione    del
     provvedimento finale. Le  disposizioni  adottate  ai  sensi  del
     comma 1 sono rese pubbliche secondo quanto previsto dai  singoli
     ordinamenti». 

(16) Ai sensi dell'art. 5 della legge n. 241/1990 « Il  dirigente  di
     ciascuna unita' organizzativa provvede ad assegnare a se'  o  ad
     altro dipendente addetto  all'unita'  la  responsabilita'  della
     istruttoria e di ogni  altro  adempimento  inerente  il  singolo
     procedimento   nonche',   eventualmente,    dell'adozione    del
     provvedimento  finale.  Fino  a  quando   non   sia   effettuata
     l'assegnazione di cui al comma 1,  e'  considerato  responsabile
     del singolo procedimento il  funzionario  preposto  alla  unita'
     organizzativa determinata a  norma  del  comma  1  dell'art.  4.
     L'unita'  organizzativa   competente   e   il   nominativo   del
     responsabile del procedimento sono comunicati ai soggetti di cui
     all'art. 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia interesse». 

(17) Il principio relativo alla nomina di un  responsabile  unico  e'
     stato oggetto di attenzione da parte della Corte  costituzionale
     che, con la  storica  sentenza  n.  401/2007,  non  ha  ritenuto
     fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4,
     comma 2 del Codice, con riferimento all'art. 117, comma 4 Cost.,
     stante  la  formulazione  della   norma   che   stabilisce   una
     connessione tra l'organizzazione e i compiti nonche' i requisiti
     del responsabile del procedimento,  negli  appalti  pubblici  di
     lavori, servizi e forniture, la quale consente  di  interpretare
     la norma in senso conforme a Costituzione e  ritenere  che  essa
     non sia invasiva della sfera di competenza legislativa residuale
     delle regioni, collocandosi  invece,  in  funzione  strumentale,
     nell'ambito di procedimenti  che  appartengono  alla  competenza
     ripartita Stato-regioni e seguendone, in conseguenza, le  sorti.
     Quanto alla previsione del Codice dei contratti (art. 10,  comma
     1) secondo cui il responsabile deve essere unico, con la  stessa
     sentenza sopra citata la Corte ha avuto modo di affermare che la
     relativa  questione  di   costituzionalita',   con   riferimento
     all'art. 117, comma 4 Cost., sulla base di quanto  precisato  in
     ordine   all'organizzazione   degli   uffici    preposti    alla
     realizzazione delle opere pubbliche, non e' fondata dal  momento
     che  la  previsione  di  un  responsabile  unico  dei   relativi
     procedimenti non  reca  un  vulnus  alle  competenze  regionali.
     Competenze che, per quanto riguarda le  modalita'  organizzative
     dell'attivita' del responsabile unico del procedimento, la Corte
     ha, peraltro,  espressamente  ribadito  essere  residuali  delle
     regioni  ai  sensi  del  quarto  comma   dell'art.   117   della
     Costituzione, (cfr. Cort. cost. n. 43/2011). D'altra  parte,  la
     stessa legge 7 agosto 1990, n. 241, all'art.  29,  comma  2-bis,
     specifica che attengono ai livelli essenziali delle  prestazioni
     di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,   lettera   m),   della
     Costituzione le disposizioni della medesima  legge  concernenti,
     tra gli altri, l'obbligo  per  la  pubblica  amministrazione  di
     individuare un responsabile  del  procedimento;  precisando,  al
     successivo comma 2-quater che «Le regioni e gli enti locali, nel
     disciplinare i procedimenti amministrativi di  loro  competenza,
     non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate  ai
     privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle
     prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono  prevedere
     livelli ulteriori di tutela». 

(18) Si pensi al rifacimento di una strada che  collega  piu'  centri
     abitati, ogni tratto della quale appartiene  ai  diversi  comuni
     per conto dei quali l'unione, l'associazione o il consorzio  dei
     medesimi procede alla realizzazione dell'intervento in tutte  le
     sue fasi. 

(19) Ai sensi art. 274 del decreto del Presidente della Repubblica n.
     207/2010: «Le stazioni appaltanti e gli enti  aggiudicatori  che
     effettuano acquisti facendo ricorso a  centrali  di  committenza
     nominano per ciascuno dei detti  acquisti  un  responsabile  del
     procedimento, oltre all'eventuale direttore dell'esecuzione.  Il
     responsabile del procedimento, in coordinamento con il direttore
     dell'esecuzione ove nominato, assume specificamente in ordine al
     singolo acquisto i compiti di cura, controllo e vigilanza  nella
     fase di esecuzione contrattuale nonche' nella fase  di  verifica
     della conformita' delle prestazioni. Le centrali di committenza,
     previa sottoscrizione di appositi protocolli di  intesa  per  il
     collegamento informatico con l'osservatorio, acquisiscono in via
     telematica dati, informazioni e documentazione  in  ordine  alla
     fase di esecuzione del contratto, anche in  relazione  a  quanto
     stabilito al riguardo nelle disposizioni di cui al titolo IV».