N. 208 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 giugno 2015

Ordinanza del 4 giugno  2015  del  Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
proposto da Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore  dei
dottori commercialisti CNPADC, Guffini Renzo e Anedda  Walter  contro
Ministero dell'economia e delle finanze  e  Ministero  del  lavoro  e
delle politiche sociali. 
 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Riduzione delle spese  degli  enti
  pubblici non territoriali - Previsione che gli enti e gli organismi
  costituiti  anche  in  forma  societaria,   dotati   di   autonomia
  finanziaria, che non  ricevono  trasferimenti  dal  bilancio  dello
  Stato (nella specie, le Casse di Previdenza, ed in particolare,  la
  Cassa  Nazionale  di  previdenza  ed  assistenza  per   i   dottori
  commercialisti), adottano interventi di  razionalizzazione  per  la
  riduzione della spesa per consumi intermedi in modo  da  assicurare
  risparmi corrispondenti alle misure indicate nel periodo precedente
  e che le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente
  ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato entro il
  30 giugno di ciascun anno e  che  per  l'anno  2012  il  versamento
  avviene entro  il  30  settembre  -  Violazione  del  principio  di
  solidarieta' sociale -  Lesione  del  principio  di  uguaglianza  -
  Violazione del principio di fissazione per legge delle  prestazioni
  patrimoniali - Violazione dei principi di tutela del lavoro,  della
  retribuzione anche differita proporzionata ed  adeguata  -  Lesione
  della  garanzia  previdenziale  -  Violazione  del   principio   di
  capacita' contributiva - Lesione dei principi  di  imparzialita'  e
  buon andamento della pubblica amministrazione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 8, comma 3. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53 e 97. 
(GU n.42 del 21-10-2015 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
                       In sede giurisdizionale 
                           Sezione Quarta 
 
Ha pronunciato la presente 
 
                              Ordinanza 
 
    Sul ricorso numero di registro generale 1046 del  2014,  proposto
da: Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei  Dottori
Commercialisti - Cnpadc, Guffanti Renzo  in  proprio  quale  iscritto
alla Cnpadc, Anedda Walter, quale iscritto alla Cnpadc, rappresentati
e difesi dall'avv.  Aristide  Police,  con  domicilio  eletto  presso
Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti n. 11; 
    Contro Ministero dell'economia e  delle  finanze,  Ministero  del
lavoro e delle politiche sociali; rappresentati e  difesi  per  legge
dall'Avvocatura gen.  dello  Stato,  domiciliata  in  Roma,  via  dei
Portoghesi n. 12; 
    Per la riforma della sentenza del TAR Lazio - Roma:  Sezione  III
n. 06103/2013, resa tra le parti, concernente bilancio di  previsione
per l'esercizio 2013 - riduzione della spesa consumi intermedi e  per
acquisto di mobili ed arredi. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio   di   Ministero
dell'economia e delle finanze e  di  Ministero  del  lavoro  e  delle
politiche sociali; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  27  gennaio  2015  il
Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le  parti  gli  avvocati  Aristide
Police e gli Avvocati dello Stato Vittorio Cesaroni e Elefante; 
    1. Con l'appello in esame, la Cassa nazionale  di  previdenza  ed
assistenza a favore dei dottori commercialisti e gli  altri  soggetti
indicati in epigrafe impugnano la sentenza 18 giugno  2013  n.  6103,
con la quale il TAR per il Lazio, Sez. III, ha rigettato  il  ricorso
proposto avverso i provvedimenti applicativi dell'art. 8 del  decreto
legge 6 luglio 2012 n. 95, conv. in legge 7 agosto 2012 n. 135. 
    Nell'ambito  della  razionalizzazione  e  riduzione  della  spesa
pubblica, il decreto legge ora citato ha esteso  «agli  enti  e  agli
organismi anche costituiti in forma societaria, dotati  di  autonomia
finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato»
gli obiettivi di contenimento della finanza pubblica con una serie di
prescrizioni che indicano le finalita' da raggiungere e i risparmi di
spesa. Tra  queste,  l'art.  8,  comma  3,  dispone  che  detti  enti
provvedano ad una riduzione della spesa in misura pari al 5 per cento
nell'anno 2012 e al 10 per cento a  decorrere  dall'anno  2013  della
spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010. 
    Piu' in particolare, l'art. 8, comma 3 (dei cui atti  applicativi
si duole la Cassa ricorrente),  stabilisce  che  «Ferme  restando  le
misure di  contenimento  della  spesa  gia'  previste  dalle  vigenti
disposizioni, al fine di assicurare  la  riduzione  delle  spese  per
consumi intermedi, i trasferimenti dal bilancio dello Stato agli enti
e agli organismi anche costituiti  in  forma  societaria,  dotati  di
autonomia finanziaria, inseriti nel conto economico consolidato della
pubblica amministrazione, come individuati dall'Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge  31
dicembre 2009,  n.  196,  nonche'  alle  autorita'  indipendenti  ivi
inclusa la Commissione nazionale per le societa' e la borsa  (Consob)
con esclusione delle regioni, delle province autonome di Trento e  di
Bolzano,  degli  enti  locali,  degli  enti  del  servizio  sanitario
nazionale, e delle  universita'  e  degli  enti  di  ricerca  di  cui
all'allegato n. 3, sono  ridotti  in  misura  pari  al  5  per  cento
nell'anno 2012 e al 10 per cento a  decorrere  dall'anno  2013  della
spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010. Nel caso in cui
per effetto delle operazioni di gestione la  predetta  riduzione  non
fosse possibile, per gli enti interessati si applica la  disposizione
di cui  ai  periodi  successivi.  Gli  enti  e  gli  organismi  anche
costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria,  che
non  ricevono  trasferimenti  dal  bilancio  dello   Stato   adottano
interventi di razionalizzazione per  la  riduzione  della  spesa  per
consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti  alle
misure indicate nel periodo precedente; le somme  derivanti  da  tale
riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo  dell'entrata
del bilancio dello Stato entro il 30  giugno  di  ciascun  anno.  Per
l'anno 2012 il versamento avviene entro il 30 settembre. Il  presente
comma non si applica agli enti e organismi  vigilati  dalle  regioni,
dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali». 
    La sentenza  impugnata  afferma  la  natura  di  «amministrazioni
pubbliche» delle Casse di previdenza, richiamando,  a  tal  fine,  la
sentenza 8 novembre 2012 n. 6014 della VI Sezione  del  Consiglio  di
Stato, secondo  la  quale  «la  trasformazione  operata  dal  decreto
legislativo  n.  509/1994   ha   lasciato   immutato   il   carattere
pubblicistico dell'attivita' istituzionale di previdenza e assistenza
svolto dagli  Enti  in  esame  (previdenziali),  che  conservano  una
funzione strettamente correlata all'interesse  pubblico,  costituendo
la  privatizzazione  una  innovazione  di  carattere   essenzialmente
organizzativo». 
    Una  volta  riconosciuta  la  detta  natura  di   amministrazione
pubblica, la sentenza afferma: 
    non si rileva illogicita'  nella  scelta  legislativa  diretta  a
imporre alle Casse di previdenza il versamento  annuale  delle  somme
derivanti da tale riduzione ad  apposito  capitolo  dell'entrata  del
bilancio dello Stato»; 
    «il finanziamento connesso con gli sgravi  e  la  fiscalizzazione
degli oneri sociali, insieme alla obbligatorieta' della iscrizione  e
della contribuzione, garantiti agli Enti  previdenziali  privatizzati
dall'art. 1 comma 3 dal decreto  legislativo  n.  509/94,  valgono  a
configurare un sistema di finanziamento pubblico, sia pure  indiretto
e mediato attraverso risorse comunque distolte dal cumulo  di  quelle
destinate  a  fini  generali,  che  giustifica  la   previsione   del
versamento obbligatorio dei  risparmi  nelle  casse  erariali  e  che
esclude la lamentata violazione degli artt. 38 e 97 Cost. Infatti, e'
da escludere che i fondi presenti presso le  Casse  di  Previdenza  e
alimentati dai versamenti obbligatori  abbiano  natura  privatistica,
per le ragioni sopra esposte.  Ne'  puo'  conseguentemente  ritenersi
violato  l'art.  97  Cost.  per  distrazione  di  somme  destinate  a
finalita' pubblicistiche, in quanto  il  versamento  obbligatorio  al
bilancio  dello  Stato  disposto  dal  cit.  art.  8   comma   3   e'
funzionalizzato esso  stesso  al  perseguimento  di  fini  di  natura
pubblicistica»; 
        «con riguardo agli elenchi ISTAT richiamati nel  ricorso,  e'
da dire che il  legislatore  ha  legificato  i  predetti  elenchi  e,
pertanto,  in  assenza  di  specifiche  censure   di   illegittimita'
costituzionale avverso le normative che a detti elenchi fanno rinvio,
non  si  puo'  che  limitarsi  a  prendere  atto   di   tale   scelta
legislativa». 
    Per una pluralita' di ragioni espressamente indicate (v. pagg. 10
- 11 sent.), la sentenza ha  dunque  escluso  qualunque  dubbio  (pur
prospettato dalla ricorrente) di  legittimita'  costituzionale  delle
norme indicate. 
    Avverso tale decisione, vengono proposti  i  seguenti  motivi  di
appello: 
        a) error in iudicando conseguente  alla  palese  illogicita',
irragionevolezza  e  contraddittorieta'   della   motivazione   della
sentenza, nella parte in cui si afferma l'esistenza di un sistema  di
finanziamento pubblico indiretto e  mediato  a  favore  della  Cassa;
error in iudicando derivante dalla falsa  applicazione  dell'art.  8,
comma  3,  secondo  periodo,  decreto  legge  n.  95/2012;  error  in
iudicando per effetto della palese  illogicita',  irragionevolezza  e
contraddittorieta' della motivazione della sentenza  nella  parte  in
cui si esclude la natura privata dei  fondi  della  Cassa;  error  in
iudicando derivante dalla falsa applicazione dell'art. 1, comma  142,
legge n.  238/2012;  cio'  in  quanto:  a1)  "e'  innegabile  come  i
contributi  versati  dagli  iscritti   alle   Casse   di   previdenza
privatizzate siano da  considerarsi  quale  forma  di  accantonamento
obbligatorio di una quota del reddito  professionale,  ossia  abbiano
natura retributiva e, quindi, si  debbano  ritenere  privati  (e  non
pubblici),  chiara  essendo  -  nella  giurisprudenza   della   Corte
costituzionale  e  della  Corte  di  Giustizia   -   la   natura   di
«retribuzione differita» della pensione; a2) «la  Cassa  e'  un  ente
previdenziale finanziato a ripartizione», cioe' ha «un meccanismo  di
finanziamento  in  virtu'  del  quale  i  contributi  incassati  sono
destinati al finanziamento delle prestazioni in essere»; 
        b) error in procedendo in conseguenza  dell'omessa  pronuncia
sul motivo di ricorso diretto  a  censurare  la  violazione  e  falsa
applicazione da parte dei provvedimenti impugnati degli artt. 3, 23 e
53 Cost., per effetto  dell'imposizione  degli  iscritti  alle  casse
privatizzate di un nuovo  tributo  ed  all'attribuzione  agli  organi
amministrativi della Cassa della funzione di concreta  determinazione
dell'entita' del tributo da versare allo Stato; cio' in  quanto:  b1)
«Il trasferimento delle somme al di fuori del rapporto sinallagmatico
contributivo  con  la  Cnpadc  per   finalita'   di   stabilizzazione
finanziaria delle casse dello  Stato  concretizza  un  depauperamento
della  massa  gestita»;  b2)  «la  misura   del   prelievo   non   e'
predeterminata   in   misura   fissa   dalla   legge,   ma    dipende
sostanzialmente dall'attivita' degli organi degli enti  privatizzati,
per di piu' individuata ex post: quanto piu'  la  spesa  per  consumi
intermedi nell'anno 2010 e' risultata elevata, tanto piu' il prelievo
e' stato consistente», con cio' violando l'art. 23 Cost.. La Cassa di
previdenza ha quindi riproposto i motivi gia' articolati in  I  grado
(pagg. 24 - 39 app.). 
    Ha inoltre sia chiesto che questo Giudice voglia  rimettere  alla
Corte Costituzionale  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 8, comma 3, decreto legge n. 95/2012, per violazione  degli
artt. 2, 3, 23, 53 e 97 Cost., sia chiesto, in subordine,  il  rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia  delle  Comunita'  Europee  per
contrasto con l'art. 48 del TFUE, con il Regolamento  n.  883/2004  e
con la Direttiva n. 2004/18/UE. 
    Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'economia e delle
finanze e il Ministero del lavoro  e  delle  politiche  sociali,  che
hanno preliminarmente ritenuto insussistenti  i  presupposti  per  la
rimessione alla Corte Costituzionale e per  il  rinvio  pregiudiziale
alla  Corte  di  Giustizia,  ed  hanno  concluso   per   il   rigetto
dell'appello, stante la sua infondatezza. 
    All'udienza di  trattazione,  la  causa  e'  stata  riservata  in
decisione. 
    2. Questo Consiglio di Stato ritiene  rilevante,  ai  fini  della
definizione del giudizio in corso, e non manifestamente infondata  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  8,  comma  3,
decreto legge 6 luglio 2012 n. 95, conv. in legge 7  agosto  2012  n.
135, nella  parte  in  cui,  anche  con  riferimento  alle  Casse  di
previdenza, ed in particolare alla Cassa nazionale di  previdenza  ed
assistenza per i dottori commercialisti, prevede che (terzo e  quarto
periodo): «Gli  enti  e  gli  organismi  anche  costituiti  in  forma
societaria,  dotati  di  autonomia  finanziaria,  che  non   ricevono
trasferimenti  dal  bilancio  dello  Stato  adottano  interventi   di
razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi  intermedi
in modo da assicurare risparmi corrispondenti  alle  misure  indicate
nel periodo precedente; le somme derivanti  da  tale  riduzione  sono
versate annualmente ad apposito capitolo  dell'entrata  del  bilancio
dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno. Per  l'anno  2012  il
versamento avviene entro il 30 settembre.» E  cio'  in  relazione  al
primo periodo del medesimo art. 8, comma 3,  laddove  la  misura  del
versamento e' fissata «in misura pari al 5 per cento nell'anno 2012 e
al 10 per cento a decorrere dall'anno 2013 della spesa sostenuta  per
consumi intermedi nell'anno 2010.». 
    La rilevanza ai fini della decisione sulla presente  controversia
appare evidente. Ed infatti, gli atti impugnati, sia con  il  ricorso
instaurativo del giudizio di I grado, sia con il ricorso  per  motivi
aggiunti, costituiscono atti applicativi del piu' volte  citato  art.
8,  comma  3,  decreto  legge  n.  95/2012,  per  la  parte  in   cui
assoggettano anche la Cassa di previdenza  appellante  al  regime  di
versamento previsto dalla predetta norma. 
    In sostanza, gli atti impugnati, nella misura in cui  determinano
l'imposizione del versamento anche da parte della  Cassa  appellante,
trovano il loro  diretto  e  completo  presupposto  nella  previsione
normativa della  cui  costituzionalita'  si  dubita,  e,  dunque,  il
problema della loro legittimita' (in parte qua)  non  discende  dalla
presenza di eventuali vizi di legittimita', bensi' dalla legittimita'
costituzionale del loro fondamento normativo. 
    Ne' la questione appare ex se risolvibile affermando o negando la
natura pubblicistica delle Casse di  previdenza,  posto  che  -  come
afferma la sentenza impugnata (e per le ragioni che si esporranno  in
seguito) - «con riguardo agli elenchi ISTAT richiamati  nel  ricorso,
e' da dire che il legislatore ha legificato  i  predetti  elenchi  e,
pertanto,  in  assenza  di  specifiche  censure   di   illegittimita'
costituzionale avverso le normative che a detti elenchi fanno rinvio,
non  si  puo'  che  limitarsi  a  prendere  atto   di   tale   scelta
legislativa». 
    3. Attesa la rilevanza, questo Consiglio di Stato ritiene inoltre
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale del citato art. 8, comma 3, decreto legge  n.  95/2012
(nei limiti normativi innanzi precisati), per le ragioni  di  seguito
esposte. 
    Occorre, innanzi tutto, osservare che, questo Giudice non ritiene
dirimente, ai fini dei  profili  di  non  manifesta  infondatezza  di
seguito prospettati, la questione  della  natura  della  personalita'
giuridica (di diritto pubblico o privato) delle Casse di  previdenza,
e segnatamente della Cassa di previdenza appellante (ovvero della sua
«assimilazione»,  normativamente   disposta,   alle   amministrazioni
pubbliche). 
    E cio' in quanto, quale che sia la tipologia  della  personalita'
giuridica,  cio'  che  appare  centrale,  ai  fini   della   presente
controversia   (e   della   connessa   questione   di    legittimita'
costituzionale) e', per un verso, la provenienza da soggetti  privati
della contribuzione volta a  costituire  le  risorse  per  il  futuro
trattamento pensionistico da erogarsi ai medesimi; per  altro  verso,
l'incidenza della previsione  normativa  non  gia'  sulla  misura  di
trasferimenti  a  carico  della  finanza   pubblica,   bensi'   sulla
definizione di un prelievo percentualmente determinato  sulla  misura
di consumi intermedi che - proprio in quanto non traenti  la  propria
fonte da trasferimenti statali, bensi' dalla destinazione a  cio'  di
parte delle somme percepite dai propri  iscritti  -  rientrava  nella
piena ed autonoma determinazione della Cassa di previdenza. 
    Che la costituzione  delle  risorse  delle  Casse  di  previdenza
derivi dai contributi degli iscritti non appare  dubbio,  cosi'  come
affermato: 
        sia dalla sentenza impugnata (v. pag. 10), benche' la  stessa
ritenga che la obbligatorieta' della iscrizione e della contribuzione
«valgono a configurare un sistema di finanziamento pubblico, sia pure
indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte  dal  cumulo
di quel destinate a fini  generali»,  laddove  sembra  piu'  corretto
affermare che ci  si  trovi  di  fronte  a  contribuzioni  (prelievi)
normativamente  imposi  a  soggetti  privati  (e   quindi   a   somme
coattivamente  prelevate  a privati)  per   finalita'   di   pubblico
interesse (costituzione del trattamento pensionistico),  il  che  non
sembra assimilabile ad un «sistema di finanziamento  pubblico».  Ne',
d'altra parte, risulta condivisibile l'affermazione che si tratti  di
somme «comunque distolte  dal  cumulo  di  quelle  destinate  a  fini
generali», posto  che  non  e'  dato  comprendere  quale  sarebbe  la
destinazione «generale», e da quale norma imposta, che in  ogni  caso
determinerebbe (per altri fini diversi da quello di costituzione  del
trattamento pensionistico), un prelievo coattivo di pari misura; 
        sia dalle stesse Amministrazioni costituite (v. pagg. 8 -  11
memoria del 24 dicembre 2014), benche' le stesse  ritengano  (citando
una sentenza di questo  Consiglio  di  Stato,  n.  184/2006),  che  i
contributi obbligatori versati da parte  dei  dottori  commercialisti
alla Cassa «possono essere a tutti  gli  effetti  definiti  come  dei
tributi», di modo che «se si e' di fronte ad un tributo, le  relative
risorse non possono che avere carattere pubblico». E cio' laddove  la
sentenza citata afferma,  piu'  precisamente,  che  la  contribuzione
obbligatoria «pur non assurgendo  di  per  se'  ad  una  obbligazione
formalmente tributaria, in realta' ne partecipa di tutti gli aspetti,
di talche', concretandosi in un'erogazione di denaro  necessitata  ex
lege, realizza  lo  schema  di  finanziamento  pubblico  della  Cassa
ancorche'  non  nell'esclusivo  interesse  di  questa,  ma  pure  per
soddisfare esigenze solidaristiche», il che e' diverso  dal  definire
il contributo previdenziale direttamente  un  «tributo»  (esatto  non
gia' dallo Stato ma, per cosi' dire per «delegazione amministrativa»,
dalla Cassa previdenziale, e dunque nella piena disponibilita'  dello
Stato medesimo). 
    Tanto precisato, le ragioni di non manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale rilevate da  questo  Giudice
sono le seguenti: 
        a) innanzi  tutto,  violazione  dell'art.  23  Cost,  poiche'
appare evidente come - se, nel caso  di  specie,  non  si  tratta  di
trasferimenti dello Stato destinati a far fronte ai consumi intermedi
delle amministrazioni, bensi' di  contributi  (pur  obbligatori)  dei
privati iscritti volti a finalita' previdenziali  (cui  quei  consumi
intermedi  sono  strumentalmente  connessi)  -  l'imposizione  di  un
versamento obbligatorio di parte delle somme  cosi'  versate  finisce
con il distrarre dette somme in dotazione alla Cassa dalla loro causa
tipica  e  dalla  ragione,  normativamente   prevista,   legittimante
l'imposizione. E  cio'  in  chiara  violazione  dell'art.  23  Cost.,
poiche' la previsione normativa primaria che giustifica  il  prelievo
ai  sensi  di  detta  norma  costituzionale,  e  che,  in  tal  modo,
funzionalizza  e,  per  cosi'  dire,   «vincola»   dette   somme   al
perseguimento delle finalita' che  ne  giustificano  (normativamente)
l'imposizione  coattiva  del  versamento/prelievo,  viene   aggirata,
mediante altra e successiva previsione normativa (appunto, l'art.  8,
comma 3 cit.), che distrae dette somme dalla loro finalita' tipica  a
esigenze generali di finanza pubblica; 
        b) in secondo luogo, violazione degli artt. 35, 36, 38, comma
secondo, Cost., poiche', distraendo le somme  destinate  a  finalita'
previdenziali (come desumibile dalla natura coattiva  del  contributo
imposto), per esigenze diverse e generali  di  finanza  pubblica,  il
legislatore incide sulla misura del trattamento pensionistico, inteso
(e garantito) come «retribuzione  differita»  (tra  le  altre,  Corte
Cost., 13 gennaio 2004 n. 30; 3 giugno 2013 n. 116);  sulla  esigenza
di  assicurare  «mezzi  adeguati»  per  le  esigenze  connesse   alla
vecchiaia del lavoratore; piu' in generale incide sulla finalita'  di
tutela  del  lavoro  «in  tutte  le  sue  forme   ed   applicazioni»,
costituzionalmente garantita; 
        c) in terzo luogo, violazione degli artt.  2,  3,  97  Cost.,
poiche', incidendo la  misura  del  prelievo  normativamente  imposto
dall'art.  8,  comma  3,  in  percentuale  sul  totale  delle   somme
destinate, in annualita' precedente, a  far  fronte  ai  cd.  consumi
intermedi,  tale  misura  incide,  in  modo  non  ragionevole,  sulla
autonomia dell'ente e sulla sua disponibilita' e  destinazione  delle
somme derivanti da  contribuzioni  dei  propri  iscritti  a  esigenze
strumentali alla realizzazione della finalita' previdenziali. E  cio'
in quanto,  mentre  per  i  soggetti  amministrazioni  pubbliche  che
ricevono finanziamenti volti  a  coprire  (anche)  i  propri  consumi
intermedi, la misura determina una riduzione dei finanziamenti a tali
soggetti destinati, e dunque in  un  risparmio  per  le  casse  dello
Stato,  nel  caso  di  specie,  costituendo  dette  somme  parte  dei
contributi versati dagli iscritti  per  finalita'  previdenziali  (ed
essendo i consumi intermedi strumentalmente legati al  raggiungimento
di detta finalita'), la loro riduzione (per il tramite del versamento
imposto alla Cassa), determina non gia' un risparmio  per  lo  Stato,
bensi' una «entrata» supplementare per lo stesso, con  corrispondente
riduzione  delle  somme destinate  a  finalita'   previdenziali.   Il
prelievo disposto incide altresi' sul  principio  di  buon  andamento
delle  amministrazioni  pubbliche,  posto  che  esso   non   realizza
meditatamente  alcuna  economicita'  dell'azione  amministrativa,   e
determina altresi' una distrazione  di  somme  dalla  loro  finalita'
tipica; 
        d) in quarto luogo, violazione degli  artt.  3  e  53  Cost.,
poiche' (anche nella misura in cui vi puo' essere  assimilazione  dei
contributi  versati  dagli  iscritti  alle  Casse  a  «tributi»),  il
prelievo determinato dal versamento  imposto  alla  Cassa  in  misura
percentualmente  fissa   su   una   cifra   determinata   da   quanto
complessivamente speso per consumi  intermedi  nell'annualita'  2010,
non tiene in alcun conto ne' la capacita' contributiva del  soggetto,
ne' qualsivoglia criterio di  progressivita',  in  cio'  determinando
altresi' sia una disparita' di trattamento tra  soggetti  destinatari
di una medesima percentuale di esazione, indipendentemente dalla loro
soggettiva capacita' contributiva, sia  una  palese  irragionevolezza
della previsione normativa. 
    4. Per tutte  le  ragioni  esposte,  questo  Consiglio  di  Stato
ritiene rilevante e non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma  3,  decreto  legge  6
luglio  2012  n.  95,  conv.  in  legge  7  agosto  2012  n.135,  con
riferimento  alle  nonne  della  predetta  disposizione,  come  sopra
specificate, per violazione degli artt. 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53 e 97
Cost. 
    La rimessione degli atti alla Corte  Costituzionale  comporta  la
sospensione del processo in corso. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede  giurisdizionale  (Sezione  Quarta)
pronunciando sul ricorso in epigrafe, 
    Visti l'art. 134 della  Costituzione,  l'art.  1,  legge cost.  9
febbraio 1948, n. 1, e  l'art.  23,  legge  11  marzo  1953,  n.  87,
dichiara rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell' art. 8, comma 3,  decreto  legge  6
luglio 2012 n. 95, conv. in legge 7 agosto 2012 n. 135. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che, a cura della Segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in  causa  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera
dei Deputati e del Senato della Repubblica. 
 
    Cosi' deciso in Roma nella camera  di  consiglio  del  giorno  27
gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati: 
 
    Paolo Numerico, Presidente 
    Fabio Taormina, Consigliere 
    Antonio Bianchi, Consigliere 
    Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore 
    Leonardo Spagnoletti, Consigliere 
 
                       Il Presidente: Numerico 
 
 
                        L'Estensore: Forlenza