N. 234 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 2015
Ordinanza del 30 giugno 2015 del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana sul ricorso proposto da Marina di Punta Ala Spa contro il Comune di Castiglione della Pescaia ed altri. Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Strutture dedicate alla nautica da diporto - Rideterminazione del canone per la realizzazione e la gestione - Applicazione anche ai canoni concessori in corso - Violazione del principio di uguaglianza per l'irragionevole eguale trattamento di situazioni non omogenee e per lesione del principio di legittimo affidamento - Lesione del principio di liberta' di iniziativa economica privata - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 302 del 2010. - Legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 252. - Costituzione, artt. 3 e 41.(GU n.45 del 11-11-2015 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TOSCANA Sezione Terza Ha pronunciato la presente Ordinanza sul ricorso numero di registro generale 570 del 2015, proposto da: Marina di Punta Ala s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Filippo Donati ed Edoardo Brusco, con domicilio eletto presso Filippo Donati in Firenze, via dei Servi, 49; contro Comune di Castiglione della Pescaia, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Daniele Falagiani, con domicilio eletto presso Simone Nocentini in Firenze, via dei Rondinelli 2; Regione Toscana, in Persona del Presidente in carica; Agenzia del Demanio, in Persona del Direttore in carica; Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro in carica, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, ivi domiciliataria in via degli Arazzieri 4; per l'annullamento previa sospensiva e previa eventuale rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' dell'art. 1, comma 252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296; della nota del Comune di Castiglion della Pescaia prot. n. 1519 del 21 gennaio 2015 con relativi allegati, trasmessa a mezzo pec in data 21 gennaio 2015 ed avente ad oggetto: «Richiesta di pagamenti: - canone demaniale marittimo anno 2015 - imposta regionale sulle concessioni dei beni del demanio marittimo», di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e/o comunque consequenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Castiglion della Pescaia, dell'Agenzia del Demanio e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 giugno 2015 la dott.ssa Rosalia Messina e uditi per le parti i difensori avvocati P. Milazzo, delegato dall'avv. F. Donati, e D. Iaria, delegato dall'avv. D. Falagiani; 1. Con il ricorso in esame la societa' Marina di Punta Ala s.p.a. impugna la nota, di estremi specificati in epigrafe, con la quale Comune di Castiglione della Pescaia ha ricordato alla predetta societa' di provvedere al versamento dei canoni e dell'imposta regionale relativa alla concessione demaniale per la costruzione e la gestione di un porto turistico rilasciata il 16 aprile 1976 dalla Capitaneria di Porto di Livorno. Con il primo motivo di censura la societa' ricorrente deduce l'illegittimita' della nota impugnata derivata dall'illegittimita' costituzionale della normativa applicata (art. 1, commi 251 e 252 della legge n. 296/2006) per violazione degli artt. 3, 41, 53, 3 e 117 Cost. Parte ricorrente deduce con ulteriori motivi altri profili di illegittimita' per violazione di legge ed eccesso di potere, che attengono o ad aspetti formali e procedimentali (terzo e quarto motivo di ricorso: difetto di partecipazione e carenza di motivazione), ovvero all'inapplicabilita' alla fattispecie della disciplina contestata, ratione temporis (secondo motivo di ricorso). Si sono costituiti in resistenza il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, l'Agenzia del Demanio e il Comune di Castiglione della Pescaia, contestando le deduzioni avversarie. Alla camera di consiglio del 21 aprile 2015 e' stata disposta l'acquisizione di documentazione riguardante il riequilibrio del piano economico - finanziario richiamata nel ricorso; l'ulteriore trattazione della lite cautelare e' stata rinviata alla camera di consiglio del 3 giugno 2015. 2. Si precisa, in fatto, che la concessione n. 4232 del 16 aprile 1976 ha per oggetto l'occupazione da parte della societa' Marina di Punta Ala di un'area demaniale marittima e specchio acqueo di complessivi 168.243 mq. Con atto suppletivo n. 467 del 6 luglio 2006, intervenuto tra la Capitaneria di Porto di Livorno e la societa' predetta la durata del rapporto concessorio, originariamente stabilita in cinquant'anni, veniva prolungata di dieci anni. Ancora in fatto, si rammenta che la ricorrente ha proposto in precedenza dinanzi a questo Tribunale il ricorso n. 1984/2012 e successivi motivi aggiunti, aventi per oggetto la misura dei canoni demaniali dovuti dal 2007 al 2014; il giudizio e' tuttora pendente. 3. Come si e' accennato nel paragrafo 1), la questione che innanzitutto la ricorrente sottopone al vaglio del Tar e' quella della legittimita' costituzionale della normativa applicata dal Comune di Castiglion della Pescaia nella rideterminazione dei canoni concessori. Con il primo motivo di ricorso, infatti, la societa' Marina di Punta Ala richiama l'ordinanza della VI Sezione del Consiglio di Stato n. 2810/2012, con la quale la questione e' stata gia' sollevata (si veda, per una ricognizione della giurisprudenza in materia di costituzionalita' dell'art. 1, comma 252 della legge n. 296/2006, il paragrafo successivo). Le altre censure dedotte, come pure si e' detto, attengono o ad aspetti formali e procedimentali (terzo e quarto motivo di ricorso: difetto di partecipazione e carenza di motivazione), ovvero all'inapplicabilita' ratione temporis della disciplina contestata alla fattispecie, (secondo motivo di ricorso); la stessa ricorrente, tuttavia, ricorda che con sentenza n. 852/2011 questa Sezione ha gia' ritenuto solo limitatamente inapplicabile alla concessioni rilasciate in data anteriore al 31 dicembre 1997, ovvero con riguardo alla sola applicazione retroattiva dell'aggiornamento ISTAT (art. 10, comma primo, legge n. 449/1997, lasciato in vita dalla legge finanziaria del 2007). E' quindi evidente l'interesse della ricorrente alla disamina immediata del primo motivo di ricorso e, pertanto, della dedotta questione di illegittimita' costituzionale, poiche' la piena tutela delle situazioni giuridiche azionate dinanzi a questo Tribunale puo' essere conseguita dall'interessata solo nel caso in cui la disciplina applicata venga ritenuta dalla Corte costituzionale in contrasto con le disposizioni costituzionali invocate; tanto piu' che la medesima questione e' stata gia' sollevata, di recente, dalla VI Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 454 del 13 gennaio 2015, e da questa Sezione del Tar Toscana con ordinanza n. 751 del 14 maggio 2015; deve anche tenersi conto del fatto che, come osservato dalla difesa erariale (memoria depositata il 15 aprile 2015), la disposizione di legge in forza della quale si quantifica il canone concessorio indica in modo la misura del parametro numerico da applicare alle superfici oggetto di concessione, senza che in capo all'amministrazione residui alcuna discrezionalita' e quindi alcun potere di scegliere il criterio di calcolo da applicare. In altri termini, anche per la natura assolutamente vincolata dei provvedimenti che l'amministrazione adotta in materia, l'interesse principale della ricorrente e' diretto a contestare la legittimita' costituzionale della norma che ha introdotto il criterio di calcolo, sicche' la definizione della lite impone al Collegio di esaminare prioritariamente la sussistenza dei presupposti (rilevanza e non manifesta infondatezza) per sottoporre la questione al vaglio della Corte costituzionale. 4. A tal fine, appare opportuno premettere una sintetica ricognizione delle precedenti pronunce della Corte costituzionale in materia di canoni di concessione dei beni pubblici. Nel 2010 la Corte, con sentenza n. 302, aveva dichiarato l'infondatezza della questione di legittimita' della norma della finanziaria del 2006 sollevata dal Tribunale di Sanremo con ordinanza del 5 gennaio 2009 in relazione agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione; la fattispecie esaminata riguardava le cosiddette pertinenze demaniali. La Corte aveva richiamato il proprio orientamento circa la lesione dell'affidamento dei privati nei rapporti di durata, gia' espresso con sentenza n. 264 del 2005 (in senso conforme, tra molte, le sentenze n. 236 e n. 206 del 2009), in cui si era statuito che «nel nostro sistema costituzionale non e' affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi pedetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall'att. 25, secondo comma, della Costituzione). Unica condizione essenziale e' che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto». La Corte ha quindi proseguito affermando che «la variazione dei criteri di calcolo dei canoni dovuti dai concessionari di beni demaniali, in particolare di beni appartenenti al demanio marittimo, non e' frutto di una decisione improvvisa ed arbitraria del legislatore, ma si inserisce in una precisa linea evolutiva della disciplina dell'utilizzazione dei beni demaniali. Alla vecchia concezione, statica e legata ad una valutazione tabellare e astratta del valore del bene, si e' progressivamente sostituita un'altra, tendente ad avvicinare i valori di tali beni a quelli - di mercato, sulla base cioe' delle potenzialita' degli stessi di produrre reddito in un contesto specifico.» La Corte ha precisato che tale processo evolutivo «e' in corso da diversi decenni ed ha indotto questa Corte ad osservare che gli interventi legislativi, volti ad adeguare i canoni di godimento dei beni pubblici, hanno lo scopo, conforme agli art. 3 e 97 Cost., di consentire allo Stato una maggiorane delle entrate e di rendere i canoni piu' equilibrati rispetto a quelli pagati in favore di locatori privati (sentenza n. 88 del 1997). Del resto, un consistente aumenta dei canoni in questione era gia' stato disposto dall'art. 32, commi 21, 22 e 23, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni «genti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326. La concreta applicazione degli aumenti disposti dalle norme citate e' stata successivamente rinviata sino a quando la legge finanziaria del 2007 (art. 1, comma 256) ha disposto la loro abrogazione, mentre contestualmente introduceva i nuovi criteri di calcolo. Questi ultimi hanno sostituito gli aumenti generalizzati dei canoni annui per concessioni demaniali marittime, disposti con il citato d.l. n. 269 del 2003, con un nuovo meccanismo, che incide soprattutto sulle aree maggiormente produttive di reddito, cioe' quelle su cui insistono pertinenze destinate ad attivita' commerciali, terziario - direzionali e di produzione di beni e servizi. Non si puo' dire pertanto che l'aumento dei canoni, disposto dalla previsione legislativa censurata, sia giunto inaspettato, giacche' esso si e' sostituito ad un precedente aumento, di notevole entita', non applicato per effetto di successive proroghe, ma rimasto tuttavia in vigore sino ad essere rimosso, a favore di quello vigente, dalla norma oggetto di censura. Ne' l'incremento puo' essere considerato filato di irragionevole arbitrio del legislatore, tale da indurre questa Corte a sindacare una scelta di indirizzo politico - economico, che sfugge, in via generale, ad una valutazione di legittimita- costituzionale. Si tratta infatti di una linea di valorizzazione dei beni pubblici, che mira ad una loro maggiore redditivita' per lo Stato, vale a dire per la generalita' dei cittadini, diminuendo proporzionalmente i vantaggi dei soggetti particolari che assumono la veste di concessionari. Si deve ricordare in proposito la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, laddove sottolinea che una mutazione dei rapporti di durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli stessi «in modo improvviso e imprevedibile», senza che lo scopo perseguito dal legislatore ne imponesse l'intervento (sentenza 29 aprile 2004, in cause C-487/01 e C-7/02). Per i motivi illustrati sopra, l'intervento del legislatore non e' stato ne' improvviso e imprevedibile, ne' ingiustificato rispetto allo scopo perseguito di assicurare maggiori entrate all'erano e di perequare le situazioni dei soggetti che svolgono attivita' commerciali, avvalendosi di beni pubblici, e quelle di altri soggetti che svolgono le identiche attivita', ma assoggettati ai prezzi di mercato relativi all'utilizzazione di beni di proprieta' privata.» Con riguardo alla discriminazione tra utilizzatori di pertinenze demaniali marittime e soggetti locatari di aree di' proprieta' privata la Corte ha ritenuto che non solo non vi e' discriminazione nel tendenziale- avvicinamento delle due situazioni, dal punto di vista del costo dell'utilizzazione, «ma si deve riconoscere che l'intervenuto aumento dei canoni riduce l'ingiustificata posizione di vantaggio di chi possa, nel medesimo contesto territoriale, usufruire di concessioni demaniali rispetto a chi, invece, sia costretto a rivolgersi al mercato immobiliare.» La Corte sminuisce anche l'argomentazione che sul concessionario pesano alcuni oneri che non gravano sui locatari privati, rilevando che la norma censurata prevede un metodo di calcolo dei canoni che non fa coincidere, puramente e semplicemente, i canoni stessi e i prezzi praticati nel mercato. Infatti - osserva la Corte - il canone e' determinato moltiplicando la superficie complessiva del manufatto per la media dei valori mensili unitari minimi e massimi indicati dall'Osservatorio del mercato immobiliare per la zona di riferimento, concludendo: «L'importo ottenuto e' moltiplicato per un coefficiente pari a 6,5. Il canone annuo cosi' ottenuto e' ulteriormente ridotto in misura inversamente proporzionale alla superficie del manidatto. Le due situazioni sono da ritenersi pertanto equilibrate; anzi, puo' dirsi che viene posto rimedio ad un precedente squilibrio, senza tuttavia arrivare ad una completa parificazione.» Infine, la Corte ha respinto ulteriori profili di incostituzionalita', cosi' motivando: «3.3. - Non e' condivisibile neppure l'osservazione, formulata dal rimettente e dalla parte privata, che vi sarebbe una discriminazione tra concessionari di pertinenze demaniali marittime destinate ad attivita' commerciali, terziario - direzionali e di produzione di beni e servizi e concessionari di beni pubblici dello stesso tipo destinati ad altre utilizzazioni, ad esempio abitative. La dfferenza di trattamento trova giustificazione nella diversa attitudine dei beni pubblici a produrre reddito per i concessionari, che certamente e' maggiore se gli stessi vengono destinati alle attivita' considerate dalla norma censurata, piuttosto che a destinazioni diverse, che ne implicano il mero godimento, senza un attivo sfruttamento economico. 3.4. - Occorre infine rimarcare che la determinazione del canone per le pertinenze demaniali marittime e' affidata alle stime dell'Osservatorio del mercato immobiliare, organismo tecnico, gestito dall'Agenzia del territorio, ai sensi dell'art. 64, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma - dell'art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), che offre le necessarie garanzie di obiettivita'. 3.4. - Occorre infine rimarcare che la determinazione del canone per le pertinenze demaniali marittime e' affidata alle stime dell'Osservatorio del mercato immobiliare, organismo tecnico, gestito dallAgenzia del territorio, ai sensi dell'ari. 64, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), che offre le necessarie garanzie di obiettivita'. 4. - La censura riferita all'art. 53 Cost., contenuta sia nell'atto introduttivo del giudizio, sia nella memoria della parte privata interveniente, e' del tutto infindata, giacche' i canoni demaniali marittimi non hanno natura tributaria, ma sono corrispettivi dell'uso di un bene di proprieta' dello Stato e costituiscono quindi un prezzo pubblico calcolato in base a criteri stabiliti dalla legge (ex plurimis, sentenze n. 174 del 1998 e n. 311 del 1995).» Ma tutte le predette considerazioni non possono essere automaticamente applicate a qualsivoglia tipo di concessione di beni demaniali: Come meglio si dira' in seguito, lo stesso legislatore, prima della legge finanziaria del 2007, aveva sempre differenziato il regime delle concessioni di beni demaniali destinate alla realizzazione e gestione delle infrastrutture per la nautica da diporto. In ragione delle peculiari caratteristiche di siffatte concessioni, la questione di legittimita' costituzionale della normativa del 2006 era gia' stata proposta dalla VI Sezione del Consiglio di Stato (ordinanza n. 2810/2012) ed e' stata dichiarata inammissibile per omessa dimostrazione della specifica rilevanza della questione nel caso concreto. La questione e' stata di recente riproposta dalla medesima VI Sezione, con ordinanza n. 454 del 30 gennaio 2015, nell'ambito del giudizio d'appello proposto da una societa' nei confronti della sentenza di questo Tar n. 3856/2009, in relazione alla determinazione dei canoni relativi a una concessione demaniale marittima per la costruzione e la gestione per cinquant'anni di un porto turistico. La predetta decisione di prime cure aveva ritenuto infondato il ricorso sulla base della natura vincolata del provvedimento impugnato, applicativo della normativa vigente, giudicata non illegittima costituzionalmente in quanto la determinazione dei parametri di calcolo dei canoni concessori, rientrerebbe nella discrezionalita' del legislatore e tale discrezionalita' nella specie sarebbe stata esercitata in modo non irragionevole. Sospesa in appello l'esecutivita' della sentenza su menzionata, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dedotta dall'appellante. Sotto il primo profilo, l'ordinanza n. 454 del 30 gennaio 2015 ha accertato che l'aumento degli importi dei canoni, applicato negli anni 2007 - 2048, renderebbe il margine negativo, pari a € 8.124.134, che, dato il conseguente aumento dell'imposta regionale, risulterebbe pari a € 12.578.872. Sotto il secondo profilo, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha richiamato la precedente ordinanza n. 2810 del 2012 e le argomentazioni in essa contenute, riguardanti: la sostanziale diversita' fra le concessioni di cui al comma 251 dell'art. 1 della legge n. 296/2006, aventi finalita' turistico - ricreative, e quelle di cui al successivo comma 252, con finalita' di realizzazione e gestione di strutture per la nautica da diporto; in particolare, e' stato posto l'accento sulla modesta entita' degli investimenti richiesti dalle prime, a fronte degli ingenti investimenti richiesti dalle seconde, caratterizzate anche da notevole impegno gestionale e dalla necessita' di un piano di equilibrio economico - finanziario di lungo periodo, nell'ambito del quale l'importo del canone, come individuato nell'atto di concessione, costituisce elemento determinante definito alla stregua della rilevanza degli investimenti; la violazione, sulla base delle premesse appena esposte, dell'art. 3 della Costituzione, sia sotto il profilo del trattamento uguale di situazioni diseguali, sia sotto il profilo della lesione del legittimo affidamento delle imprese; la normativa previgente, ispirata a un chiaro favore, per ragioni di incentivazione, nei confronti del secondo tipo di concessioni (quelle di cui al comma 252 gia' richiamato); l'affidamento ingenerato nei concessionari sulla stabilita' dell'equilibrio economico - finanziario di lungo periodo impostato da tempo per le concessioni di cui trattasi, tenuto conto del fatto che l'aumento dei canoni disposto con i commi 21, 22 e 23 del d.l. n. 69/2003, convertito in legge n. 326/2003 e rinviato fino alla piu' volte citata legge finanziaria del 2007, era stato disposto solo nei confronti delle concessioni con finalita' turistico - ricreative; l'analogia con la pur diversa materia dei compensi da corrispondere ai custodi dei veicoli sequestrati, oggetto della pronuncia della Corte costituzionale n. 92/2013, che ha riconosciuto la lesione del principio di affidamento «in un fascio di situazioni giuridiche ed economiche) iscritte in un rapporto convenzionale»; l'ordinanza n. 454/2015 sottolinea l'analogia della fattispecie oggetto di detta decisione della Corte con il regolamento dei rapporti concessori di beni pubblici, improntato alla paritarieta' delle posizioni del privato e del potere pubblico, salva l'autotutela spettante alla p.a.; la violazione dell'art. 41 della Cost., sotto il profilo dell'irragionevole frustrazione delle scelte imprenditoriali attraverso la modificazione degli elementi costitutivi dei rapporti contrattuali gia' costituiti. 5. Prima di approfondire l'aspetto della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' della normativa applicata alla fattispecie controversa (per violazione degli artt. 3 e 41 della Carta, nei termini che saranno successivamente meglio illustrati), il Collegio deve indagare sulla rilevanza, nel presente giudizio, della questione medesima. Dall'esame degli atti di causa emerge che la societa' ricorrente ha realizzato, in forza della concessione n. 423/1976 rilasciata dalla Capitaneria di Porto di Livorno, tre bacini protetti da una diga foranea e da due dighe sotto flutto, con 13 pontili e banchine per un'estensione di 1.200 metri, 893 posti di ormeggio e servizi necessari alla gestione del porto turistico (stazione carburanti, cantiere navale, direzione, torre di controllo etc.). La concessione verra' a scadenza il 15 giugno 2033. Nell'atto di concessione e negli atti integrativi di esso la societa' Marina di Punta Ala e l'autorita' concedente hanno stabilito una misura dei canoni concessori idonea a garantire al concessionario il recupero degli investimenti effettuati; proprio per assicurare tale finalita' la societa' ha ottenuto il prolungamento dell'originario termine di durata del rapporto, che era di cinquant'anni ed e' stato prolungato, come si' e' detto nel paragrafo 2), di ulteriori dieci anni. Cio' per consentire l'ammortamento degli ulteriori investimenti necessari a garantire la corretta gestione e la riqualificazione del bene demaniale di cui trattasi. L'art. 4 della concessione del 1976 prevedeva un corrispettivo annuo, a carico della societa' concessionaria, di 2.500.000; l'art. 5 il versamento di una cauzione di 49.000.000 a garanzia degli obblighi assunti. L'art. 16 della concessione prevede che, alla scadenza del rapporto ovvero in caso di decadenza ai sensi dell'art. 47 del codice della navigazione o di rinuncia da parte del concessionario, le opere realizzate, con accessori e pertinenze fisse e in buono stato di manutenzione, resteranno in proprieta' assoluta dello Stato; al concessionario nulla sara' dovuto e l'amministrazione potra' decidere di demolire le opere e rimettere in pristino stato i luoghi a cura e spese del concessionario senza per cio' corrispondergli alcunche', mentre, in caso di revoca della concessione, e' riconosciuto un indennizzo al concessionario secondo i criteri stabiliti nel medesimo articolo; infine, ove le opere destinate a rimanere in proprieta' dello Stato fossero in cattivo stato di manutenzione, la concessionaria, previa diffida con fissazione del termine da parte dell'amministrazione, dovra' rimettere le opere in efficienza. La concessionaria e' pure tenuta ad assicurare i beni per i danni presso una compagnia assicurativa gradita all'amministrazione. Come attestato nella relazione del Direttore generale del Ministero Infrastrutture e Trasporti - SIIT Servizio integrato Infrastrutture e Trasporti Toscana e Umbria prot. n. 294 del 13 gennaio 2006, sulla base della perizia giurata depositata presso il Tribunale di Bergamo il 20 febbraio 1978, il valore complessivo delle opere alla data della perizia veniva stimato in 13.877.290.000, pari a € 7.167.022,16. L'autorita' predetta riteneva congruo il valore, attualizzato con gli indici ISTAT in € 42.156.424,35. L'ammontare degli interventi di miglioramento qualitativo e di adeguamento alle normative sopraggiunte veniva quantificato, in valore attualizzato, in € 5.517.521, 70. Complessivamente, quindi, le opere realizzate dalla societa' concessionaria sono state quantificate dal SIIT Toscana e Umbria in € 47.673.946,05. L'applicazione della nuova misura dei canoni concessori, come prevista dalla legge finanziaria del 2007, ha comportato un aumento di € 1.783.182,61 (da € 549.443,10 a € 2.332.625,71) delle somme a tale titolo dovute dalla societa' Marina di Punta Ala. L'incremento teste' descritto ha inciso in modo repentino sui piani finanziari della societa', squilibrandolo. Come osserva parte ricorrente, nella parificazione operata dalla legge finanziaria del 2007, sotto il profilo dei canoni, tra concessioni per strutture turistico - ricettive e concessioni per la realizzazione e la gestione di porti turistici, non si e' tenuto conto della rilevanza degli investimenti necessari per la realizzazione di tali porti. La questione sara' approfondita al paragrafo successivo, ai fini della valutazione circa la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' di cui trattasi; con riguardo alla rilevanza di tale questione nel presente giudizio, il Collegio ritiene che dagli atti di causa emerga con sufficiente chiarezza l'alterazione dell'equilibrici economico - finanziario che la societa' ricorrente subisce a causa dell'applicazione dei criteri di calcolo dei canoni concessori di cui all'art. 1, comma 252, della legge finanziaria del 2007. 6. Con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' che il Collegio intende sollevare, occorre prendere le mosse dalla considerazione, cui piu' volte s'e' fatto cenno, della diversa misura che prima del 2007 i canoni concessori hanno avuto per le concessione di beni demaniali destinate alla realizzazione e gestione di infrastrutture per la nautica da diporto rispetto a quelle con finalita' turistico - ricreative, va subito rilevato che i due tipi di concessione presentano alcune rilevanti differenze, che con la gia' richiamata ordinanza n. 454/2015 la VI Sezione del Consiglio di Stato ha messo in luce: le prime sono caratterizzate dall'immediata redditivita' dei minori investimenti richiesti rispetto al piu' complesso quadro di lungo periodo per il calcolo di convenienza finanziaria proprio delle seconde, destinate a durare decenni, non solo per la rilevanza degli investimenti ma anche per l'impegno gestionale, sicche' le imprese devono approntare un quadro economico - finanziario «nel cui ambito il criterio di fissazione dell'importo del canone, individuato all'atto della concessione, e' elemento determinante definito tenendo conto della avanza degli investimenti.» Ma un'ulteriore considerazione va fatta. Evitare che le imprese concessionarie di beni demaniali operino in condizioni di sofferenza economico - finanziaria risponde pure a importanti esigenze di rilievo pubblicistico, poiche' esse devono anche affrontare spese rilevanti di manutenzione e innovazione tecnologica, e cio' a salvaguardia della sicurezza della navigazione e dell'incolumita' pubblica. Di tali differenze aveva tenuto conto il legislatore prima della legge finanziaria del 2007, tanto e' vero che erano previsti canoni di minore entita' per le iniziative comportanti investimenti per la realizzazione di opere di difficile rimozione, con fissazione del canone a metro quadrato in misura inversa alla maggiore rilevanza delle opere stesse (art. 10, comma quarto, della legge n. 449 del 1997, e art. 1, commi primo e terzo, del D.M. n. 343 del 1998). Nella disciplina introdotta con la legge n. 296 del 2006 la tendenza si e' invertita, con previsione di una maggiore misura del canone per le opere di difficile rimozione, proprie delle concessioni per la nautica da diporto piu' che di quelle per finalita' turistico - ricreative. Cio', come rilevato gia' dalla VI Sezione del Consiglio di Stato, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, innanzitutto sotto il profilo dell'uguale irragionevole trattamento di situazioni, come si e' detto, diseguali. Ma l'art. 3 della Carta costituzionale appare violato anche sotto il profilo del principio della sicurezza giuridica costitutivo di legittimo affidamento, proprio per l'imprevista e imprevedibile inversione di tendenza della normativa in materia di canoni concessori, prima, come s'e' appena detto, ispirata da finalita' incentivanti per le imprese operanti nel settore della nautica da diporto, mentre con la legge finanziaria del 2007 i canoni vennero d'improvviso notevolmente aumentati e per di piu' applicati alle concessioni demaniali gia' in essere. Cio' veniva a sconvolgere le previsioni di stabilita' dell'equilibrio economico - finanziario pianificato anticipatamente e per il lungo periodo nella giustificata aspettativa di un appropriato tempo di ammortamento degli investimenti effettuati; come osservato dall'ordinanza n. 454/2015, «questo equilibrio e' infatti sostanzialmente modificato nel momento in cui la nuova normativa viene ad incidere su concessioni gia' rilasciate, in corro e di lunga durata nel futuro, disponendo il rilevante e repentino aumento dell'importo dei canoni (l'aumento dei canoni disposto nel frattempo con i commi 21, 22 e 23 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326 del 2003, rinviato fino alla legge finanziaria 2007, aveva riguardato le concessioni per finalita' turistico - ricreative), nonche' la loro maggiore misura per le opere di difficile rimozione.» Negli accordi che accompagnano la concessione il privato ha tenuto conto di una certa situazione di equilibrio economico - finanziario e, alla luce di essa, ha aderito a una regolamentazione convenzionale dei propri diritti e dei propri obblighi; l'irragionevole equiparazione delle concessioni in corso alle nuove espone repentinamente i titolari di concessioni rilasciate in epoca anteriore al 2007 agli effetti di una normativa fortemente incidente sui calcoli di convenienza calibrati su una diversa disciplina dei canoni, mentre gli imprenditori richiedenti concessioni dopo- il 2007 possono, al contrario, adeguatamente ponderare tali effetti. La normativa considerata, come gia' ritenuto dal Consiglio di Stato con la citata ordinanza n. 454/2015 (e ancor prima con l'ordinanza n. 2810/2012), appare altresi' contrastante con l'art. 41 Cost. e con il principio di libera iniziativa economica, poiche', in quanto applicata alle concessioni rilasciate prima del 2007, produce l'effetto irragionevole di frustrare le scelte -imprenditoriali modificando gli elementi costitutivi dei relativi rapporti contrattuali in essere. Pertanto, ritenuti rilevanti per il giudizio in esame e non manifestamente infondati i dubbi di costituzionalita' relativi all'applicazione del comma 252 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006 alle concessioni demaniali per la realizzazione e la gestione delle infrastrutture destinate alla nautica da diporto in corso alla data di entrata in vigore della legge, il Collegio sospende il giudizio cautelare e di merito per la rimessione della questione di costituzionalita' sopra illustrata all'esame della Corte costituzionale e dispone che, a cura della Segreteria, sia trasmessa alla Corte la presente ordinanza unitamente agli atti di causa e che la presente ordinanza venga notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Ogni statuizione in rito, in merito e sulle spese e' riservata alla decisione definitiva, che sara' assunta a seguito della fissazione dell'udienza di trattazione successiva alla decisione della Corte costituzionale sulla predetta questione di costituzionalita'.
P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) con pronuncia non definitiva sul ricorso in epigrafe cosi' statuisce: a) visti gli artt. 134 Cost., 1 l.c. n. 1/1948, 23 legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 252, della legge n. 296/2006, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., nella parte in cui si applica alle concessioni per la realizzazione e la gestione delle infrastrutture per la nautica da diporto gia' rilasciate alla data della sua entrata in vigore, nei sensi precisati in parte motiva; b) dispone la sospensione del presente giudizio cautelare e di merito; c) ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; d) dispone che la Segreteria della Sezione curi la notifica della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio Ministri e la comunicazione della stessa ordinanza ai Presidenti della Camera e del Senato; e) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, merito e sulle spese. Cosi' deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 3 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati: Maurizio Nicolosi, Presidente Rosalia Messina, Consigliere, Estensore Raffaello Gisondi, Primo Referendario. Il Presidente: Nicolosi L'Estensore: Messina