N. 234 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 2015

Ordinanza del 30 giugno 2015 del Tribunale  amministrativo  regionale
per la Toscana sul ricorso proposto da Marina di Punta Ala Spa contro
il Comune di Castiglione della Pescaia ed altri. 
 
Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Strutture dedicate
  alla nautica da  diporto  -  Rideterminazione  del  canone  per  la
  realizzazione  e  la  gestione  -  Applicazione  anche  ai   canoni
  concessori in corso - Violazione del principio di  uguaglianza  per
  l'irragionevole eguale trattamento di situazioni non omogenee e per
  lesione del  principio  di  legittimo  affidamento  -  Lesione  del
  principio di liberta' di iniziativa economica  privata  -  Richiamo
  alla sentenza della Corte costituzionale n. 302 del 2010. 
- Legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 252. 
- Costituzione, artt. 3 e 41. 
(GU n.45 del 11-11-2015 )
 
        IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TOSCANA 
 
 
                            Sezione Terza 
 
    Ha pronunciato la presente 
 
                              Ordinanza 
 
    sul ricorso numero di registro generale 570  del  2015,  proposto
da: Marina di Punta Ala s.p.a., in persona del legale  rappresentante
in carica, rappresentata  e  difesa  dagli  avv.  Filippo  Donati  ed
Edoardo  Brusco,  con  domicilio  eletto  presso  Filippo  Donati  in
Firenze, via dei Servi, 49; 
    contro Comune  di  Castiglione  della  Pescaia,  in  persona  del
Sindaco  in  carica,  rappresentato  e   difeso   dall'avv.   Daniele
Falagiani, con domicilio eletto presso Simone Nocentini  in  Firenze,
via dei Rondinelli 2; Regione Toscana, in Persona del  Presidente  in
carica; Agenzia del Demanio, in  Persona  del  Direttore  in  carica;
Ministero delle  Infrastrutture  e  dei  Trasporti,  in  persona  del
Ministro in carica, rappresentati e difesi per legge  dall'Avvocatura
Distrettuale dello Stato di Firenze, ivi domiciliataria in via  degli
Arazzieri 4; 
 
                         per l'annullamento 
 
    previa  sospensiva  e  previa  eventuale  rimessione  alla  Corte
costituzionale della questione di  legittimita'  dell'art.  1,  comma
252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296; 
    della nota del Comune di Castiglion della Pescaia prot.  n.  1519
del 21 gennaio 2015 con relativi allegati, trasmessa a mezzo  pec  in
data 21 gennaio 2015 ed avente ad oggetto: «Richiesta di pagamenti: -
canone demaniale  marittimo  anno  2015  -  imposta  regionale  sulle
concessioni dei beni del  demanio  marittimo»,  di  ogni  altro  atto
presupposto, connesso, collegato e/o comunque consequenziale. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del  Comune  di
Castiglion della Pescaia, dell'Agenzia del Demanio  e  del  Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 3  giugno  2015  la
dott.ssa Rosalia Messina e uditi per le parti i difensori avvocati P.
Milazzo, delegato dall'avv. F. Donati, e D. Iaria, delegato dall'avv.
D. Falagiani; 
    1. Con il ricorso in esame la societa' Marina di Punta Ala s.p.a.
impugna la nota, di estremi specificati in  epigrafe,  con  la  quale
Comune di  Castiglione  della  Pescaia  ha  ricordato  alla  predetta
societa' di  provvedere  al  versamento  dei  canoni  e  dell'imposta
regionale relativa alla concessione demaniale per la costruzione e la
gestione di un porto turistico rilasciata il  16  aprile  1976  dalla
Capitaneria di Porto di Livorno. 
    Con il primo motivo di  censura  la  societa'  ricorrente  deduce
l'illegittimita' della nota  impugnata  derivata  dall'illegittimita'
costituzionale della normativa applicata (art. 1,  commi  251  e  252
della legge n. 296/2006) per violazione degli artt. 3, 41,  53,  3  e
117 Cost. Parte ricorrente deduce con ulteriori motivi altri  profili
di illegittimita' per violazione di legge ed eccesso di  potere,  che
attengono o ad aspetti  formali  e  procedimentali  (terzo  e  quarto
motivo  di  ricorso:  difetto  di   partecipazione   e   carenza   di
motivazione),  ovvero  all'inapplicabilita'  alla  fattispecie  della
disciplina contestata, ratione temporis (secondo motivo di ricorso). 
    Si   sono   costituiti   in   resistenza   il   Ministero   delle
Infrastrutture e dei Trasporti, l'Agenzia del Demanio e il Comune  di
Castiglione della Pescaia, contestando le deduzioni avversarie. 
    Alla camera di consiglio del 21 aprile  2015  e'  stata  disposta
l'acquisizione di  documentazione  riguardante  il  riequilibrio  del
piano economico - finanziario  richiamata  nel  ricorso;  l'ulteriore
trattazione della lite cautelare e' stata  rinviata  alla  camera  di
consiglio del 3 giugno 2015. 
    2. Si precisa, in fatto, che la concessione n. 4232 del 16 aprile
1976 ha per oggetto l'occupazione da parte della societa'  Marina  di
Punta Ala  di  un'area  demaniale  marittima  e  specchio  acqueo  di
complessivi 168.243 mq. Con atto suppletivo n. 467 del 6 luglio 2006,
intervenuto tra la Capitaneria di Porto  di  Livorno  e  la  societa'
predetta  la  durata  del   rapporto   concessorio,   originariamente
stabilita in cinquant'anni, veniva prolungata di dieci anni. 
    Ancora in fatto, si rammenta che la  ricorrente  ha  proposto  in
precedenza dinanzi a questo  Tribunale  il  ricorso  n.  1984/2012  e
successivi motivi aggiunti, aventi per oggetto la misura  dei  canoni
demaniali dovuti dal 2007 al 2014; il giudizio e' tuttora pendente. 
    3. Come si e'  accennato  nel  paragrafo  1),  la  questione  che
innanzitutto la ricorrente sottopone al  vaglio  del  Tar  e'  quella
della  legittimita'  costituzionale  della  normativa  applicata  dal
Comune di Castiglion della Pescaia nella rideterminazione dei  canoni
concessori. 
    Con il primo motivo di ricorso, infatti, la  societa'  Marina  di
Punta Ala richiama l'ordinanza della  VI  Sezione  del  Consiglio  di
Stato n. 2810/2012, con la quale la questione e' stata gia' sollevata
(si veda, per una ricognizione della  giurisprudenza  in  materia  di
costituzionalita' dell'art. 1, comma 252 della legge n. 296/2006,  il
paragrafo successivo). 
    Le altre censure dedotte, come pure si e' detto, attengono  o  ad
aspetti formali e procedimentali (terzo e quarto motivo  di  ricorso:
difetto  di  partecipazione  e  carenza   di   motivazione),   ovvero
all'inapplicabilita' ratione  temporis  della  disciplina  contestata
alla fattispecie, (secondo motivo di ricorso); la stessa  ricorrente,
tuttavia, ricorda che con sentenza n. 852/2011 questa Sezione ha gia'
ritenuto solo limitatamente inapplicabile alla concessioni rilasciate
in data anteriore al 31 dicembre 1997, ovvero con riguardo alla  sola
applicazione retroattiva dell'aggiornamento  ISTAT  (art.  10,  comma
primo, legge n. 449/1997, lasciato in vita  dalla  legge  finanziaria
del 2007). 
    E' quindi evidente l'interesse  della  ricorrente  alla  disamina
immediata del primo motivo di  ricorso  e,  pertanto,  della  dedotta
questione di illegittimita' costituzionale, poiche' la  piena  tutela
delle situazioni giuridiche azionate dinanzi a questo Tribunale  puo'
essere conseguita dall'interessata solo nel caso in cui la disciplina
applicata venga ritenuta dalla Corte costituzionale in contrasto  con
le disposizioni costituzionali invocate; tanto piu' che  la  medesima
questione e' stata gia' sollevata, di recente, dalla VI  Sezione  del
Consiglio di Stato, con ordinanza n. 454 del 13 gennaio  2015,  e  da
questa Sezione del Tar Toscana con ordinanza n.  751  del  14  maggio
2015; deve anche tenersi conto del fatto che,  come  osservato  dalla
difesa  erariale  (memoria  depositata  il  15   aprile   2015),   la
disposizione di legge in forza della quale si  quantifica  il  canone
concessorio indica in modo  la  misura  del   parametro  numerico  da
applicare alle superfici oggetto di concessione, senza  che  in  capo
all'amministrazione residui alcuna discrezionalita'  e  quindi  alcun
potere di scegliere il criterio di calcolo  da  applicare.  In  altri
termini,  anche   per   la   natura   assolutamente   vincolata   dei
provvedimenti che l'amministrazione adotta  in  materia,  l'interesse
principale della ricorrente e' diretto a contestare  la  legittimita'
costituzionale della norma che ha introdotto il criterio di  calcolo,
sicche' la definizione della lite impone  al  Collegio  di  esaminare
prioritariamente la sussistenza  dei  presupposti  (rilevanza  e  non
manifesta infondatezza) per sottoporre la questione al  vaglio  della
Corte costituzionale. 
    4.  A  tal  fine,  appare  opportuno  premettere  una   sintetica
ricognizione delle precedenti pronunce della Corte costituzionale  in
materia di canoni di concessione dei beni pubblici. 
    Nel  2010  la  Corte,  con  sentenza  n.  302,  aveva  dichiarato
l'infondatezza della questione  di  legittimita'  della  norma  della
finanziaria del 2006 sollevata dal Tribunale di Sanremo con ordinanza
del 5 gennaio  2009  in  relazione  agli  artt.  3,  53  e  97  della
Costituzione; 
    la fattispecie  esaminata  riguardava  le  cosiddette  pertinenze
demaniali. 
    La Corte  aveva  richiamato  il  proprio  orientamento  circa  la
lesione dell'affidamento dei privati nei  rapporti  di  durata,  gia'
espresso con sentenza n. 264 del 2005 (in senso conforme, tra  molte,
le sentenze n. 236 e n. 206 del 2009), in cui  si  era  statuito  che
«nel nostro sistema  costituzionale  non  e'  affatto  interdetto  al
legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare  in
senso sfavorevole per i beneficiari la  disciplina  dei  rapporti  di
durata, anche se  l'oggetto  di  questi  sia  costituito  da  diritti
soggettivi pedetti (salvo, ovviamente, in caso di norme  retroattive,
il limite imposto in materia  penale  dall'att.  25,  secondo  comma,
della  Costituzione).  Unica  condizione  essenziale  e'   che   tali
disposizioni  non   trasmodino   in   un   regolamento   irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto». 
    La Corte ha quindi proseguito affermando che «la  variazione  dei
criteri di calcolo  dei  canoni  dovuti  dai  concessionari  di  beni
demaniali, in particolare di beni appartenenti al demanio  marittimo,
non  e'  frutto  di  una  decisione  improvvisa  ed  arbitraria   del
legislatore, ma si inserisce in una  precisa  linea  evolutiva  della
disciplina  dell'utilizzazione  dei  beni  demaniali.  Alla   vecchia
concezione, statica e legata ad una valutazione tabellare e  astratta
del valore del bene,  si  e'  progressivamente  sostituita  un'altra,
tendente ad avvicinare i valori di tali beni a quelli -  di  mercato,
sulla base cioe' delle potenzialita' degli stessi di produrre reddito
in un contesto specifico.» 
    La Corte ha precisato che tale processo evolutivo «e' in corso da
diversi decenni ed ha indotto  questa  Corte  ad  osservare  che  gli
interventi legislativi, volti ad adeguare i canoni di  godimento  dei
beni pubblici, hanno lo scopo, conforme agli art. 3 e  97  Cost.,  di
consentire allo Stato una maggiorane delle entrate  e  di  rendere  i
canoni piu'  equilibrati  rispetto  a  quelli  pagati  in  favore  di
locatori privati (sentenza n. 88 del 1997). 
    Del resto, un consistente aumenta dei  canoni  in  questione  era
gia'  stato  disposto  dall'art.  32,  commi  21,  22   e   23,   del
decreto-legge 30 settembre 2003,  n.  269  (Disposizioni  «genti  per
favorire lo sviluppo e per la  correzione  dell'andamento  dei  conti
pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1  della
legge 24 novembre  2003,  n.  326.  La  concreta  applicazione  degli
aumenti disposti dalle norme citate e' stata successivamente rinviata
sino a quando la legge finanziaria del 2007 (art. 1,  comma  256)  ha
disposto la loro abrogazione, mentre  contestualmente  introduceva  i
nuovi criteri di calcolo. Questi ultimi hanno sostituito gli  aumenti
generalizzati dei canoni annui per concessioni  demaniali  marittime,
disposti con il citato d.l. n. 269 del 2003, con un nuovo meccanismo,
che incide soprattutto sulle aree maggiormente produttive di reddito,
cioe' quelle su  cui  insistono  pertinenze  destinate  ad  attivita'
commerciali, terziario -  direzionali  e  di  produzione  di  beni  e
servizi. 
    Non si puo' dire pertanto  che  l'aumento  dei  canoni,  disposto
dalla  previsione  legislativa  censurata,  sia  giunto  inaspettato,
giacche' esso si e' sostituito ad un precedente aumento, di  notevole
entita', non applicato per effetto di successive proroghe, ma rimasto
tuttavia in vigore  sino  ad  essere  rimosso,  a  favore  di  quello
vigente, dalla norma oggetto di censura. Ne' l'incremento puo' essere
considerato filato di irragionevole arbitrio del legislatore, tale da
indurre questa Corte a sindacare una scelta di indirizzo  politico  -
economico, che  sfugge,  in  via  generale,  ad  una  valutazione  di
legittimita- costituzionale.  Si  tratta  infatti  di  una  linea  di
valorizzazione dei beni pubblici,  che  mira  ad  una  loro  maggiore
redditivita' per lo  Stato,  vale  a  dire  per  la  generalita'  dei
cittadini,  diminuendo  proporzionalmente  i  vantaggi  dei  soggetti
particolari che assumono la veste di concessionari. 
    Si deve ricordare in proposito la giurisprudenza della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea, laddove sottolinea che  una  mutazione
dei rapporti di durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli
stessi «in modo improvviso  e  imprevedibile»,  senza  che  lo  scopo
perseguito dal legislatore ne  imponesse  l'intervento  (sentenza  29
aprile 2004, in cause C-487/01 e C-7/02).  Per  i  motivi  illustrati
sopra, l'intervento del legislatore non e'  stato  ne'  improvviso  e
imprevedibile, ne' ingiustificato rispetto allo scopo  perseguito  di
assicurare maggiori entrate all'erano e di  perequare  le  situazioni
dei soggetti che svolgono attivita' commerciali, avvalendosi di  beni
pubblici, e quelle  di  altri  soggetti  che  svolgono  le  identiche
attivita',  ma   assoggettati   ai   prezzi   di   mercato   relativi
all'utilizzazione di beni di proprieta' privata.» 
    Con riguardo alla discriminazione tra utilizzatori di  pertinenze
demaniali marittime  e  soggetti  locatari  di  aree  di'  proprieta'
privata la Corte ha ritenuto che non solo non vi  e'  discriminazione
nel tendenziale- avvicinamento delle due  situazioni,  dal  punto  di
vista del costo  dell'utilizzazione,  «ma  si  deve  riconoscere  che
l'intervenuto aumento dei canoni riduce l'ingiustificata posizione di
vantaggio di chi possa, nel medesimo contesto territoriale, usufruire
di concessioni demaniali rispetto a  chi,  invece,  sia  costretto  a
rivolgersi al mercato immobiliare.» 
    La Corte sminuisce anche l'argomentazione che sul  concessionario
pesano alcuni oneri che non gravano sui locatari  privati,  rilevando
che la norma censurata prevede un metodo di calcolo  dei  canoni  che
non fa coincidere, puramente e semplicemente, i  canoni  stessi  e  i
prezzi praticati nel mercato. Infatti - osserva la Corte - il  canone
e' determinato moltiplicando la superficie complessiva del  manufatto
per la media dei valori mensili unitari  minimi  e  massimi  indicati
dall'Osservatorio del mercato immobiliare per la zona di riferimento,
concludendo: «L'importo ottenuto e' moltiplicato per un  coefficiente
pari a 6,5. 
    Il canone annuo cosi' ottenuto e' ulteriormente ridotto in misura
inversamente proporzionale alla  superficie  del  manidatto.  Le  due
situazioni sono da ritenersi pertanto equilibrate; anzi,  puo'  dirsi
che viene posto rimedio ad un precedente squilibrio,  senza  tuttavia
arrivare ad una completa parificazione.» 
    Infine,   la   Corte   ha   respinto   ulteriori    profili    di
incostituzionalita', cosi' motivando: 
        «3.3.  -  Non  e'   condivisibile   neppure   l'osservazione,
formulata dal rimettente e dalla parte privata, che  vi  sarebbe  una
discriminazione tra concessionari di pertinenze  demaniali  marittime
destinate ad attivita' commerciali,  terziario  -  direzionali  e  di
produzione di beni e servizi e concessionari di beni  pubblici  dello
stesso tipo destinati ad altre utilizzazioni, ad esempio abitative. 
        La  dfferenza  di  trattamento  trova  giustificazione  nella
diversa attitudine  dei  beni  pubblici  a  produrre  reddito  per  i
concessionari, che certamente  e'  maggiore  se  gli  stessi  vengono
destinati alle attivita' considerate dalla norma censurata, piuttosto
che a destinazioni diverse, che ne implicano il mero godimento, senza
un attivo sfruttamento economico. 
        3.4. - Occorre infine rimarcare  che  la  determinazione  del
canone per le pertinenze demaniali marittime e' affidata  alle  stime
dell'Osservatorio del mercato immobiliare, organismo tecnico, gestito
dall'Agenzia del territorio, ai sensi  dell'art.  64,  comma  3,  del
decreto   legislativo   30   luglio    1999,    n.    300    (Riforma
dell'organizzazione del Governo, a norma - dell'art. 11  della  legge
15  marzo  1997,  n.  59),  che  offre  le  necessarie  garanzie   di
obiettivita'. 3.4. - Occorre infine rimarcare che  la  determinazione
del canone per le pertinenze demaniali  marittime  e'  affidata  alle
stime dell'Osservatorio del mercato immobiliare,  organismo  tecnico,
gestito dallAgenzia del territorio, ai sensi dell'ari. 64,  comma  3,
del  decreto  legislativo   30   luglio   1999,   n.   300   (Riforma
dell'organizzazione del Governo, a norma dell'art. 11 della legge  15
marzo 1997, n. 59), che offre le necessarie garanzie di obiettivita'. 
    4. -  La  censura  riferita  all'art.  53  Cost.,  contenuta  sia
nell'atto introduttivo del giudizio, sia nella  memoria  della  parte
privata interveniente, e' del  tutto  infindata,  giacche'  i  canoni
demaniali  marittimi   non   hanno   natura   tributaria,   ma   sono
corrispettivi dell'uso  di  un  bene  di  proprieta'  dello  Stato  e
costituiscono quindi un prezzo pubblico calcolato in base  a  criteri
stabiliti dalla legge (ex plurimis, sentenze n. 174 del 1998 e n. 311
del 1995).» 
    Ma  tutte  le  predette   considerazioni   non   possono   essere
automaticamente applicate a qualsivoglia tipo di concessione di  beni
demaniali: Come meglio si dira' in seguito,  lo  stesso  legislatore,
prima della legge finanziaria del 2007, aveva sempre differenziato il
regime  delle  concessioni   di   beni   demaniali   destinate   alla
realizzazione e gestione  delle  infrastrutture  per  la  nautica  da
diporto. 
    In  ragione   delle   peculiari   caratteristiche   di   siffatte
concessioni,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale   della
normativa del 2006 era gia'  stata  proposta  dalla  VI  Sezione  del
Consiglio di Stato (ordinanza n. 2810/2012) ed  e'  stata  dichiarata
inammissibile per  omessa  dimostrazione  della  specifica  rilevanza
della questione nel caso concreto. 
    La questione e' stata di recente  riproposta  dalla  medesima  VI
Sezione, con ordinanza n. 454 del 30 gennaio  2015,  nell'ambito  del
giudizio d'appello proposto  da  una  societa'  nei  confronti  della
sentenza di questo Tar n. 3856/2009, in relazione alla determinazione
dei canoni relativi a una  concessione  demaniale  marittima  per  la
costruzione e la gestione per cinquant'anni di un porto turistico. 
    La predetta decisione di prime cure aveva ritenuto  infondato  il
ricorso  sulla  base  della  natura   vincolata   del   provvedimento
impugnato,  applicativo  della  normativa  vigente,   giudicata   non
illegittima  costituzionalmente  in  quanto  la  determinazione   dei
parametri  di  calcolo  dei  canoni  concessori,  rientrerebbe  nella
discrezionalita' del legislatore e tale discrezionalita' nella specie
sarebbe stata esercitata in modo non irragionevole. 
    Sospesa in appello l'esecutivita' della sentenza  su  menzionata,
la VI Sezione del Consiglio di Stato  ha  ritenuto  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione  di  costituzionalita'  dedotta
dall'appellante. 
    Sotto il primo profilo, l'ordinanza n. 454 del 30 gennaio 2015 ha
accertato che l'aumento degli importi  dei  canoni,  applicato  negli
anni 2007 - 2048, renderebbe il margine negativo, pari a € 8.124.134,
che, dato il conseguente aumento dell'imposta regionale, risulterebbe
pari a € 12.578.872. 
    Sotto il secondo profilo, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha
richiamato  la  precedente  ordinanza  n.  2810   del   2012   e   le
argomentazioni in essa contenute, riguardanti: 
        la sostanziale diversita' fra le concessioni di cui al  comma
251 dell'art. 1 della legge n. 296/2006, aventi finalita' turistico -
ricreative, e quelle di cui al successivo comma 252, con finalita' di
realizzazione e gestione di strutture per la nautica da  diporto;  in
particolare, e' stato posto l'accento  sulla  modesta  entita'  degli
investimenti  richiesti  dalle   prime,  a   fronte   degli   ingenti
investimenti  richiesti  dalle  seconde,  caratterizzate   anche   da
notevole impegno  gestionale  e  dalla  necessita'  di  un  piano  di
equilibrio economico - finanziario di lungo periodo, nell'ambito  del
quale  l'importo  del   canone,   come   individuato   nell'atto   di
concessione, costituisce elemento determinante definito alla  stregua
della rilevanza degli investimenti; 
        la violazione, sulla  base  delle  premesse  appena  esposte,
dell'art. 3 della Costituzione, sia sotto il profilo del  trattamento
uguale di situazioni diseguali, sia sotto il  profilo  della  lesione
del legittimo affidamento delle imprese; 
        la normativa previgente, ispirata a  un  chiaro  favore,  per
ragioni  di  incentivazione,  nei  confronti  del  secondo  tipo   di
concessioni (quelle di cui al comma 252 gia' richiamato); 
        l'affidamento ingenerato nei concessionari  sulla  stabilita'
dell'equilibrio economico - finanziario di lungo periodo impostato da
tempo per le concessioni di cui trattasi, tenuto conto del fatto  che
l'aumento dei canoni disposto con i commi 21, 22 e  23  del  d.l.  n.
69/2003, convertito in legge n. 326/2003 e rinviato  fino  alla  piu'
volte citata legge finanziaria del 2007, era stato disposto solo  nei
confronti delle concessioni con finalita' turistico - ricreative; 
        l'analogia  con  la  pur  diversa  materia  dei  compensi  da
corrispondere ai  custodi  dei  veicoli  sequestrati,  oggetto  della
pronuncia della Corte costituzionale n. 92/2013, che ha  riconosciuto
la lesione del principio di affidamento «in un fascio  di  situazioni
giuridiche ed economiche) iscritte  in  un  rapporto  convenzionale»;
l'ordinanza  n.  454/2015  sottolinea  l'analogia  della  fattispecie
oggetto di  detta  decisione  della  Corte  con  il  regolamento  dei
rapporti concessori di beni pubblici,  improntato  alla  paritarieta'
delle posizioni del privato e del potere pubblico, salva l'autotutela
spettante alla p.a.; 
        la violazione dell'art. 41  della  Cost.,  sotto  il  profilo
dell'irragionevole   frustrazione   delle   scelte    imprenditoriali
attraverso la modificazione degli elementi costitutivi  dei  rapporti
contrattuali gia' costituiti. 
    5.  Prima  di  approfondire   l'aspetto   della   non   manifesta
infondatezza della questione  di  costituzionalita'  della  normativa
applicata alla fattispecie controversa (per violazione degli artt.  3
e 41 della Carta, nei  termini  che  saranno  successivamente  meglio
illustrati), il Collegio deve indagare sulla rilevanza, nel  presente
giudizio, della questione medesima. 
    Dall'esame degli atti di causa emerge che la societa'  ricorrente
ha realizzato, in forza  della  concessione  n.  423/1976  rilasciata
dalla Capitaneria di Porto di Livorno, tre  bacini  protetti  da  una
diga foranea e da due dighe sotto flutto, con 13 pontili  e  banchine
per un'estensione di 1.200 metri, 893 posti  di  ormeggio  e  servizi
necessari alla gestione del  porto  turistico  (stazione  carburanti,
cantiere navale, direzione, torre di controllo etc.). 
    La concessione verra' a scadenza il 15 giugno 2033. 
    Nell'atto di concessione e negli  atti  integrativi  di  esso  la
societa' Marina di Punta Ala e l'autorita' concedente hanno stabilito
una misura dei canoni concessori idonea a garantire al concessionario
il recupero degli investimenti  effettuati;  proprio  per  assicurare
tale   finalita'   la   societa'   ha   ottenuto   il   prolungamento
dell'originario  termine  di  durata  del  rapporto,   che   era   di
cinquant'anni ed e' stato prolungato, come si' e' detto nel paragrafo
2), di ulteriori dieci anni. Cio' per consentire l'ammortamento degli
ulteriori investimenti necessari a garantire la corretta  gestione  e
la riqualificazione del bene demaniale di cui trattasi. 
    L'art. 4 della concessione del 1976  prevedeva  un  corrispettivo
annuo, a carico della societa' concessionaria, di 2.500.000; l'art. 5
il versamento di una cauzione di 49.000.000 a garanzia degli obblighi
assunti. 
    L'art. 16  della  concessione  prevede  che,  alla  scadenza  del
rapporto ovvero in caso di decadenza ai sensi dell'art. 47 del codice
della navigazione o di rinuncia da parte del concessionario, le opere
realizzate, con accessori e pertinenze fisse  e  in  buono  stato  di
manutenzione, resteranno  in  proprieta'  assoluta  dello  Stato;  al
concessionario nulla sara' dovuto e l'amministrazione potra' decidere
di demolire le opere e rimettere in pristino stato i luoghi a cura  e
spese del concessionario senza per  cio'  corrispondergli  alcunche',
mentre, in caso di  revoca  della  concessione,  e'  riconosciuto  un
indennizzo al concessionario secondo i criteri stabiliti nel medesimo
articolo; infine, ove le opere destinate  a  rimanere  in  proprieta'
dello  Stato  fossero  in   cattivo   stato   di   manutenzione,   la
concessionaria, previa diffida con fissazione del  termine  da  parte
dell'amministrazione, dovra' rimettere le  opere  in  efficienza.  La
concessionaria e' pure tenuta ad assicurare i beni per i danni presso
una compagnia assicurativa gradita all'amministrazione. 
    Come  attestato  nella  relazione  del  Direttore  generale   del
Ministero  Infrastrutture  e  Trasporti  -  SIIT  Servizio  integrato
Infrastrutture e Trasporti Toscana e  Umbria  prot.  n.  294  del  13
gennaio 2006, sulla base della perizia giurata depositata  presso  il
Tribunale di Bergamo il 20 febbraio 1978, il valore complessivo delle
opere alla data della perizia veniva stimato in 13.877.290.000,  pari
a € 7.167.022,16. 
    L'autorita' predetta riteneva congruo il valore, attualizzato con
gli indici ISTAT in € 42.156.424,35. L'ammontare degli interventi  di
miglioramento   qualitativo   e   di   adeguamento   alle   normative
sopraggiunte  veniva  quantificato,  in  valore  attualizzato,  in  €
5.517.521, 70. Complessivamente, quindi, le  opere  realizzate  dalla
societa' concessionaria sono state quantificate dal  SIIT  Toscana  e
Umbria in € 47.673.946,05. 
    L'applicazione della nuova misura  dei  canoni  concessori,  come
prevista dalla legge finanziaria del 2007, ha comportato  un  aumento
di € 1.783.182,61 (da € 549.443,10 a € 2.332.625,71)  delle  somme  a
tale titolo dovute dalla societa' Marina di Punta Ala. 
    L'incremento teste' descritto ha inciso  in  modo  repentino  sui
piani finanziari della societa', squilibrandolo. Come  osserva  parte
ricorrente, nella parificazione operata dalla legge  finanziaria  del
2007, sotto il profilo dei  canoni,  tra  concessioni  per  strutture
turistico -  ricettive  e  concessioni  per  la  realizzazione  e  la
gestione di porti turistici, non si e' tenuto conto  della  rilevanza
degli investimenti necessari per la realizzazione di tali  porti.  La
questione sara' approfondita al paragrafo successivo, ai  fini  della
valutazione circa la non manifesta infondatezza  della  questione  di
costituzionalita' di cui trattasi; con  riguardo  alla  rilevanza  di
tale questione nel presente giudizio, il Collegio ritiene  che  dagli
atti  di  causa  emerga  con  sufficiente   chiarezza   l'alterazione
dell'equilibrici economico - finanziario che la  societa'  ricorrente
subisce a causa dell'applicazione dei criteri di calcolo  dei  canoni
concessori di cui all'art. 1, comma 252, della legge finanziaria  del
2007. 
    6. Con riguardo alla non manifesta infondatezza  della  questione
di costituzionalita'  che  il  Collegio  intende  sollevare,  occorre
prendere le mosse dalla considerazione, cui  piu'  volte  s'e'  fatto
cenno, della diversa misura che prima del 2007  i  canoni  concessori
hanno avuto per le  concessione  di  beni  demaniali  destinate  alla
realizzazione e gestione di infrastrutture per la nautica da  diporto
rispetto a quelle con finalita' turistico  -  ricreative,  va  subito
rilevato che i due tipi di concessione  presentano  alcune  rilevanti
differenze, che con la gia' richiamata ordinanza n.  454/2015  la  VI
Sezione del Consiglio di Stato  ha  messo  in  luce:  le  prime  sono
caratterizzate dall'immediata redditivita'  dei  minori  investimenti
richiesti rispetto al piu' complesso quadro di lungo periodo  per  il
calcolo di convenienza finanziaria proprio delle seconde, destinate a
durare decenni, non solo per la rilevanza degli investimenti ma anche
per l'impegno gestionale, sicche' le  imprese  devono  approntare  un
quadro economico  -  finanziario  «nel  cui  ambito  il  criterio  di
fissazione  dell'importo  del  canone,  individuato  all'atto   della
concessione, e' elemento determinante definito  tenendo  conto  della
avanza degli investimenti.» 
    Ma un'ulteriore considerazione va fatta. Evitare che  le  imprese
concessionarie di beni demaniali operino in condizioni di  sofferenza
economico -  finanziaria  risponde  pure  a  importanti  esigenze  di
rilievo pubblicistico, poiche' esse  devono  anche  affrontare  spese
rilevanti  di  manutenzione  e  innovazione  tecnologica,  e  cio'  a
salvaguardia della sicurezza  della  navigazione  e  dell'incolumita'
pubblica. 
    Di tali differenze aveva tenuto conto il legislatore prima  della
legge finanziaria del 2007, tanto e' vero che erano  previsti  canoni
di minore entita' per le iniziative comportanti investimenti  per  la
realizzazione di opere di difficile  rimozione,  con  fissazione  del
canone a metro quadrato in misura  inversa  alla  maggiore  rilevanza
delle opere stesse (art. 10, comma quarto, della  legge  n.  449  del
1997, e art. 1, commi primo e terzo, del D.M. n. 343 del 1998). Nella
disciplina introdotta con la legge n. 296 del 2006 la tendenza si  e'
invertita, con previsione di una maggiore misura del  canone  per  le
opere di  difficile  rimozione,  proprie  delle  concessioni  per  la
nautica da diporto piu' che  di  quelle  per  finalita'  turistico  -
ricreative. 
    Cio', come rilevato gia' dalla VI Sezione del Consiglio di Stato,
in violazione dell'art. 3 della Costituzione, innanzitutto  sotto  il
profilo dell'uguale irragionevole trattamento di situazioni, come  si
e' detto, diseguali. 
    Ma l'art. 3 della Carta costituzionale appare violato anche sotto
il profilo del principio della  sicurezza  giuridica  costitutivo  di
legittimo  affidamento,  proprio  per  l'imprevista  e  imprevedibile
inversione  di  tendenza  della  normativa  in  materia   di   canoni
concessori, prima, come s'e'  appena  detto,  ispirata  da  finalita'
incentivanti per le imprese operanti nel  settore  della  nautica  da
diporto, mentre con la legge finanziaria del 2007  i  canoni  vennero
d'improvviso notevolmente aumentati e  per  di  piu'  applicati  alle
concessioni demaniali gia' in  essere. Cio' veniva a  sconvolgere  le
previsioni di  stabilita'  dell'equilibrio  economico  -  finanziario
pianificato anticipatamente e per il lungo periodo nella giustificata
aspettativa  di  un   appropriato   tempo   di   ammortamento   degli
investimenti effettuati; come osservato dall'ordinanza  n.  454/2015,
«questo equilibrio e' infatti sostanzialmente modificato nel  momento
in cui la nuova normativa  viene  ad  incidere  su  concessioni  gia'
rilasciate, in corro e di lunga  durata  nel  futuro,  disponendo  il
rilevante e repentino aumento dell'importo dei canoni (l'aumento  dei
canoni  disposto  nel  frattempo  con  i  commi  21,  22  e  23   del
decreto-legge n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326  del  2003,
rinviato fino  alla  legge  finanziaria  2007,  aveva  riguardato  le
concessioni per finalita' turistico - ricreative),  nonche'  la  loro
maggiore misura per le opere di difficile rimozione.» 
    Negli accordi che  accompagnano  la  concessione  il  privato  ha
tenuto conto di  una  certa  situazione  di  equilibrio  economico  -
finanziario e, alla luce di essa, ha aderito a  una  regolamentazione
convenzionale   dei   propri   diritti   e   dei   propri   obblighi;
l'irragionevole equiparazione delle concessioni in corso  alle  nuove
espone repentinamente i titolari di concessioni rilasciate  in  epoca
anteriore al 2007 agli effetti di una normativa fortemente  incidente
sui calcoli di convenienza calibrati su una  diversa  disciplina  dei
canoni, mentre gli imprenditori richiedenti concessioni dopo- il 2007
possono, al contrario, adeguatamente ponderare tali effetti. 
    La normativa considerata, come gia'  ritenuto  dal  Consiglio  di
Stato con  la  citata  ordinanza  n.  454/2015  (e  ancor  prima  con
l'ordinanza n. 2810/2012), appare altresi' contrastante con l'art. 41
Cost. e con il principio di libera iniziativa economica, poiche',  in
quanto applicata alle concessioni rilasciate prima del 2007,  produce
l'effetto  irragionevole  di  frustrare  le  scelte  -imprenditoriali
modificando  gli   elementi   costitutivi   dei   relativi   rapporti
contrattuali in essere. 
    Pertanto, ritenuti rilevanti per  il  giudizio  in  esame  e  non
manifestamente  infondati  i  dubbi  di  costituzionalita'   relativi
all'applicazione del comma 252 dell'art. 1 della  legge  n.  296  del
2006 alle concessioni demaniali per la realizzazione  e  la  gestione
delle infrastrutture destinate alla nautica da diporto in corso  alla
data di entrata in  vigore  della  legge,  il  Collegio  sospende  il
giudizio cautelare e di merito per la rimessione della  questione  di
costituzionalita'   sopra   illustrata    all'esame    della    Corte
costituzionale e dispone che, a cura della Segreteria, sia  trasmessa
alla Corte la presente ordinanza unitamente agli atti di causa e  che
la presente ordinanza venga notificata  alle  parti  in  causa  e  al
Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,   nonche'  comunicata   ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. 
    Ogni statuizione in rito, in merito e sulle  spese  e'  riservata
alla  decisione  definitiva,  che  sara'  assunta  a  seguito   della
fissazione dell'udienza  di  trattazione  successiva  alla  decisione
della   Corte   costituzionale   sulla    predetta    questione    di
costituzionalita'. 
 
                               P.Q.M. 
 
    il Tribunale Amministrativo Regionale  per  la  Toscana  (Sezione
Terza) con pronuncia non definitiva sul  ricorso  in  epigrafe  cosi'
statuisce: 
        a) visti gli artt. 134 Cost., 1 l.c. n. 1/1948, 23  legge  n.
87/1953,  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  252,
della legge n. 296/2006, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost.,  nella
parte in cui si applica alle concessioni per la  realizzazione  e  la
gestione  delle  infrastrutture  per  la  nautica  da  diporto   gia'
rilasciate alla data della sua entrata in vigore, nei sensi precisati
in parte motiva; 
        b) dispone la sospensione del presente giudizio  cautelare  e
di merito; 
        c) ordina l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale; 
        d) dispone che la Segreteria della Sezione curi  la  notifica
della presente ordinanza alle  parti  in  causa,  al  Presidente  del
Consiglio Ministri e  la  comunicazione  della  stessa  ordinanza  ai
Presidenti della Camera e del Senato; 
        e)  riserva  alla   decisione   definitiva   ogni   ulteriore
statuizione in rito, merito e sulle spese. 
    Cosi' deciso in Firenze nella camera di consiglio  del  giorno  3
giugno 2015 con l'intervento dei magistrati: 
        Maurizio Nicolosi, Presidente 
        Rosalia Messina, Consigliere, Estensore 
        Raffaello Gisondi, Primo Referendario. 
 
                       Il Presidente: Nicolosi 
 
 
                                                 L'Estensore: Messina