N. 221 SENTENZA 21 ottobre - 5 novembre 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Stato civile - Rettificazione giudiziale di attribuzione di  sesso  -
  Possibilita'  subordinata  alle   intervenute   modificazioni   dei
  caratteri sessuali della persona istante. 
- Legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di
  attribuzione di sesso), art. 1, comma 1. 
-   
(GU n.45 del 11-11-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
della  legge  14  aprile  1982,  n.  164   (Norme   in   materia   di
rettificazione di attribuzione  di  sesso),  promosso  dal  Tribunale
ordinario di Trento, nel procedimento vertente tra  D.B.  e  Pubblico
ministero presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Trento,
con ordinanza del 20 agosto 2014, iscritta al  n.  228  del  registro
ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 52, prima serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visti l'atto  di  costituzione  di  D.B.,  nonche'  gli  atti  di
intervento    dell'Associazione    Radicale    Certi    Diritti     e
dell'Associazione ONIG -  Osservatorio  Nazionale  sull'Identita'  di
Genere, ed altri e del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  20  ottobre  2015  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi gli avvocati Massimo Luciani per D.B., Potito Flagella  per
l'Associazione  ONIG  -  Osservatorio  Nazionale  sull'Identita'   di
Genere, ed altri, e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 agosto 2014, il Tribunale  ordinario  di
Trento ha sollevato - in riferimento agli artt. 2, 3, 32, 117,  primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 8 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (d'ora in avanti, «CEDU»), firmata a Roma il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva  con  la  legge  4  agosto
1955, n. 848 - questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1,
comma 1, della legge 14 aprile 1982, n.  164  (Norme  in  materia  di
rettificazione di attribuzione di sesso). 
    Tale disposizione prevede che «La rettificazione si fa  in  forza
di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una
persona sesso diverso da quello  enunciato  nell'atto  di  nascita  a
seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali». 
    Ad avviso del giudice rimettente, la  disposizione  censurata  si
porrebbe in contrasto con gli artt. 2 e 117, primo comma,  Cost.,  in
relazione  all'art.  8  della  CEDU,  poiche'  la  previsione   della
necessita', ai fini della rettificazione anagrafica dell'attribuzione
di  sesso,  dell'intervenuta  modificazione  dei  caratteri  sessuali
primari   attraverso   trattamenti   clinici    altamente    invasivi
pregiudicherebbe gravemente l'esercizio del diritto fondamentale alla
propria identita' di genere. 
    Viene, inoltre, denunciato il contrasto con  gli  artt.  3  e  32
Cost.,   per   l'irragionevolezza   insita    nella    subordinazione
dell'esercizio  di  un  diritto  fondamentale,   quale   il   diritto
all'identita'  sessuale,  al  requisito  della  sottoposizione  della
persona a trattamenti sanitari (chirurgici o ormonali),  estremamente
invasivi e pericolosi per la salute. 
    2.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a  decidere  in
ordine alla domanda di rettificazione anagrafica dell'attribuzione di
sesso,  avanzata  da  una  persona  non  sposata   e   senza   figli,
intenzionata ad ottenere il riconoscimento  di  una  nuova  identita'
maschile. 
    Il Tribunale rimettente, chiamato a fare applicazione dell'art. 1
della legge n. 164 del 1982, esclude la possibilita' di  interpretare
la disposizione  in  esame  nel  senso  di  ritenere  ammissibile  la
rettificazione dell'attribuzione di sesso,  anche  in  assenza  della
modificazione dei caratteri sessuali primari. 
    2.1.- In particolare, il giudice a quo  osserva  che  l'art.  31,
comma  4,  del  decreto  legislativo  1°  settembre  2011,   n.   150
(Disposizioni complementari al codice di procedura civile in  materia
di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione,
ai sensi dell'articolo  54  della  legge  18  giugno  2009,  n.  69),
prevedendo  che  «Quando  risulta  necessario  un   adeguamento   dei
caratteri    sessuali    da    realizzare    mediante     trattamento
medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata  in
giudicato»,    sembrerebbe    consentire    che    il     trattamento
medico-chirurgico  sia  solo  eventuale  (come  lascerebbe  intendere
l'avverbio "quando"). 
    Il rimettente  ritiene,  tuttavia,  che  la  previsione  di  tale
eventualita' non significhi che la rettificazione di attribuzione  di
sesso  possa  essere  ottenuta  a  prescindere  dall'adeguamento  dei
caratteri sessuali primari, bensi' soltanto che possano esservi  casi
concreti nei quali gli stessi siano gia' modificati (ad esempio,  per
un  intervento  gia'  praticato  all'estero,   ovvero   per   ragioni
congenite). 
    Nel caso oggetto  del  giudizio  a  quo,  il  Tribunale  dovrebbe
rigettare la domanda di rettificazione, non  essendo  soddisfatto  il
requisito in questione. Di  qui,  la  rilevanza  della  questione  di
costituzionalita' dell'art. 1, comma 1, della legge n. 164 del  1982,
nella parte in cui subordina la  rettificazione  di  attribuzione  di
sesso all'intervenuta modificazione dei caratteri sessuali primari. 
    2.2.-  Il  Tribunale  ritiene  la  questione  non  manifestamente
infondata, in riferimento alla violazione dei parametri di  cui  agli
artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, Cost.,  in  relazione  all'art.  8
della CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare). 
    Quanto alla denunciata violazione degli  artt.  2  e  117,  primo
comma, Cost., il giudice  a  quo  osserva  che  l'imposizione  di  un
determinato  trattamento  medico,  sia  esso  ormonale,   ovvero   di
riassegnazione chirurgica dei caratteri sessuali,  costituirebbe  una
grave ed  inammissibile  limitazione  del  diritto  all'identita'  di
genere. Ad avviso del rimettente, il raggiungimento  dello  stato  di
benessere  psico-fisico  della  persona  si  realizza  attraverso  la
rettificazione  di  attribuzione  di  sesso,  e  non  gia'   con   la
riassegnazione chirurgica sul  piano  anatomico  (dalla  persona  non
sempre voluta, come accade per la parte attrice nel giudizio a quo). 
    Vengono richiamate le sentenze della Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo che hanno riconosciuto  che  il  diritto  all'identita'  di
genere rientra a pieno titolo nella tutela prevista dall'art. 8 della
CEDU, che sancisce il rispetto della vita  privata  e  familiare.  Si
sottolinea, a questo riguardo,  che  la  contrarieta'  di  una  norma
interna alla  CEDU  si  risolve  in  una  questione  di  legittimita'
costituzionale, in riferimento alla violazione dell'art.  117,  primo
comma, Cost. 
    Con specifico riferimento alla violazione dell'art. 2  Cost.,  il
giudice a quo  evidenzia  che  la  giurisprudenza  costituzionale  ha
ricondotto nell'alveo dei diritti  inviolabili  sia  «il  diritto  di
realizzare, nella vita di relazione, la propria  identita'  sessuale,
da ritenere aspetto e fattore di svolgimento della personalita'», che
gli altri membri della collettivita' sono tenuti a  riconoscere  «per
dovere di solidarieta' sociale» (sentenza n. 161 del  1985);  sia  il
diritto alla liberta' sessuale, poiche', «Essendo la sessualita'  uno
degli essenziali modi di espressione della persona umana, il  diritto
di  disporne  liberamente  e'  senza  dubbio  un  diritto  soggettivo
assoluto» (sentenza n. 561 del 1987). 
    La disposizione censurata,  pur  riconoscendo  il  diritto  della
persona di scegliere la  propria  identita'  sessuale,  ne  subordina
l'esercizio alla modificazione dei propri caratteri sessuali  primari
da realizzare tramite un doloroso e pericoloso intervento chirurgico.
Cio' pregiudicherebbe in modo irreparabile  l'esercizio  del  diritto
stesso, finendo con il vanificarlo. 
    Di  qui,  l'insanabile  contrasto  tra  il  diritto   individuale
all'identita'  sessuale  (e   la   relativa   autodeterminazione)   e
l'imposizione del requisito della  modifica  dei  caratteri  sessuali
primari, ai fini della rettificazione dell'attribuzione di sesso. 
    2.2.1.- Con riferimento alla violazione degli artt. 3 e 32 Cost.,
il Tribunale rimettente rileva  l'irragionevolezza  della  previsione
della previa modifica chirurgica dei caratteri sessuali primari. 
    Il giudice a quo ritiene che tale modificazione  non  sia  sempre
necessaria e che, anzi, alla luce dei diritti coinvolti,  la  persona
debba  avere  il  diritto  di  rifiutarla.  Non  vi  sarebbe   quindi
ragionevolezza, ne' logicita', nel condizionare il riconoscimento del
diritto della personalita' in esame ad un incommensurabile prezzo per
la salute della persona. 
    Una  volta  riconosciuto  che  il  diritto  alla   rettificazione
dell'attribuzione di sesso costituisce oggetto di  un  diritto  della
personalita', non sarebbe consentito al  legislatore  subordinarlo  a
restrizioni tali da  pregiudicarne  gravemente  l'esercizio,  fino  a
vanificarlo. 
    3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  e
comunque infondata. 
    3.1.- L'Avvocatura generale osserva che  il  giudice  a  quo  non
avrebbe    adeguatamente    verificato     la     possibilita'     di
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata   della   normativa
censurata,  anche  alla   luce   dell'intervenuta   abrogazione   del
successivo art. 3 della stessa legge n. 164 del 1982, per la parte in
cui prevedeva la verifica  giudiziale  dell'avvenuta  esecuzione  del
trattamento chirurgico. Esso stabiliva, infatti, che  «Il  tribunale,
quando risulta necessario un adeguamento dei  caratteri  sessuali  da
realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, lo  autorizza  con
sentenza. In tal caso il tribunale, accertata  la  effettuazione  del
trattamento autorizzato,  dispone  la  rettificazione  in  camera  di
consiglio». 
    3.2.- Viene, inoltre, evidenziato che la giurisprudenza di merito
ha gia' offerto un'interpretazione costituzionalmente orientata della
disposizione in esame, nel senso che - ai fini  della  rettificazione
dell'attribuzione del sesso - non e' sempre necessario un  preventivo
intervento medicochirurgico, modificativo dei caratteri sessuali. 
    Il trattamento  medico-chirurgico  sarebbe,  infatti,  necessario
solo nel caso in cui occorra assicurare al soggetto transessuale  uno
stabile equilibrio psicofisico, ossia laddove la discrepanza  tra  il
sesso anatomico e  la  psicosessualita'  determini  un  atteggiamento
conflittuale  di  rifiuto  dei  propri  organi  sessuali.  Viceversa,
laddove non sussista tale  conflittualita',  l'intervento  chirurgico
non sarebbe necessario. 
    Al riguardo, la difesa erariale  evidenzia  che,  come  affermato
dalla giurisprudenza costituzionale, la nozione di identita' sessuale
non e'  limitata  ai  caratteri  sessuali  esterni,  ma  puo'  essere
qualificata «come dato complesso della personalita' determinato da un
insieme di fattori, dei  quali  deve  essere  agevolato  o  ricercato
l'equilibrio, privilegiando [...] il o i fattori dominanti» (sentenza
n. 161 del 1985). 
    3.3.- In prossimita' dell'udienza pubblica, l'Avvocatura generale
dello Stato ha depositato una memoria  in  cui  viene  illustrata  la
sentenza della Corte di cassazione,  sezione  prima  civile,  del  20
luglio 2015, n. 15138. In  tale  pronuncia  viene  affermata  la  non
obbligatorieta', ai fini della rettificazione del sesso nei  registri
dello  stato  civile,  dell'intervento   chirurgico   demolitorio   o
modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari,  alla  stregua
di un'interpretazione costituzionalmente orientata, e  conforme  alla
giurisprudenza della Corte EDU, dell'art. 1 della legge  n.  164  del
1982, nonche' del successivo art. 3 della medesima legge, attualmente
confluito nell'art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011. 
    Anche alla luce di tale recente arresto della  giurisprudenza  di
legittimita', la difesa erariale ha insistito perche' sia  dichiarata
l'inammissibilita' della questione  di  legittimita'  costituzionale,
per il mancato esperimento, da parte del giudice a quo, del tentativo
di interpretazione conforme alla Costituzione. 
    4.- Con atto depositato il 7 gennaio 2015, si e'  costituita  nel
giudizio D.B., parte privata ricorrente nel giudizio a quo, la  quale
ha chiesto che sia dichiarata l'illegittimita'  costituzionale  della
disposizione censurata, in accoglimento della questione sollevata dal
Tribunale ordinario di Trento. 
    4.1.- In via preliminare, la parte privata ritiene che il giudice
a quo abbia utilizzato  tutti  gli  strumenti  interpretativi  a  sua
disposizione  per  verificare  la   possibilita'   di   una   lettura
alternativa della disposizione censurata,  eventualmente  conforme  a
Costituzione,  dovendo  tuttavia  concludere  nel  senso   che   tale
interpretazione sia impedita dal tenore letterale della disposizione. 
    Ne' rileverebbe, ai fini dell'apprezzamento  del  rispetto  delle
regole   del   processo   costituzionale,    la    possibilita'    di
un'interpretazione alternativa: cio' che conta e' che  il  rimettente
se  la  sia  prospettata,  ritenendo  di  non   poterla   accogliere.
L'esistenza di tale interpretazione alternativa sarebbe  infatti,  ad
avviso della parte privata, questione che  attiene  al  merito  della
controversia, e non alla sua ammissibilita'. 
    4.2.- Nel merito, vengono richiamate le argomentazioni svolte dal
giudice  rimettente  a  sostegno  della   fondatezza   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge n.  164
del 1982, con riferimento a tutti i parametri evocati. 
    4.3.- In prossimita' dell'udienza pubblica, la difesa della parte
privata ha depositato una memoria, nella quale ha riferito, in  primo
luogo, alcuni sviluppi del giudizio a quo. 
    A seguito  di  istanza  di  riassunzione  parziale  del  giudizio
principale  presentata  dalla  stessa  parte  privata,  il  Tribunale
ordinario di Trento  ha  disposto  la  separazione  del  procedimento
relativo alla domanda, proposta in via subordinata, di autorizzazione
all'intervento chirurgico e, con  sentenza  del  25  marzo  2015,  ha
autorizzato  l'adeguamento  dei  caratteri  sessuali  da   realizzare
mediante intervento chirurgico. 
    Anche alla luce di tali sviluppi, la parte  privata  ha  ribadito
l'ammissibilita'  della  questione  di  legittimita'  costituzionale,
richiamando la disposizione dell'art. 22 delle norme integrative, che
stabilisce   il   principio   della   irrilevanza   delle   questioni
pregiudiziali rispetto alle vicende del giudizio principale. 
    Nella medesima memoria,  la  difesa  di  D.B.  ha  illustrato  la
sentenza della Corte di cassazione,  sezione  prima  civile,  del  20
luglio  2015,  n.  15138,  in  cui  e'   stata   affermata   la   non
obbligatorieta', ai fini della rettificazione del sesso nei  registri
dello  stato  civile,  dell'intervento   chirurgico   demolitorio   o
modificativo dei caratteri sessuali anatomici  primari,  in  base  ad
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata,  e  conforme  alla
giurisprudenza della Corte EDU, dell'art. 1 della legge  n.  164  del
1982. 
    5.-  Nel  giudizio  dinanzi  a  questa  Corte,   e'   intervenuta
l'Associazione Radicale Certi Diritti, chiedendo  in  via  principale
che la questione sollevata dal Tribunale ordinario  di  Trento  venga
dichiarata inammissibile per il mancato esperimento del tentativo  di
interpretazione conforme. In via subordinata, la parte  interveniente
ha chiesto che sia dichiarata l'illegittimita'  costituzionale  della
norma censurata. 
    5.1.- A sostegno della propria legittimazione all'intervento,  la
parte  interveniente  evidenzia  l'evoluzione  della   giurisprudenza
costituzionale,  nel  senso  dell'apertura  al  riconoscimento  della
legittimazione di terzi,  in  qualita'  di  enti  rappresentativi  di
interessi collettivi. 
    A questo riguardo,  l'Associazione  ha  riferito  di  promuovere,
secondo  il  proprio  oggetto   statutario,   iniziative   politiche,
culturali e sociali - anche a livello  europeo  ed  internazionale  -
tese  alla  difesa  e  al  sostegno   di   persone   lesbiche,   gay,
transessuali, bisessuali, transgender ed eterosessuali e alla  tutela
dei diritti negati dalla legislazione  italiana.  Essa  ha,  inoltre,
riferito di elaborare studi e analisi sulla condizione delle  persone
LGBTE, con particolare attenzione ai problemi  legati  all'esclusione
dal pieno godimento dei diritti previsti dalla Carta costituzionale e
dalla normativa europea. 
    5.2.- Quanto al merito della questione,  la  parte  interveniente
ritiene  che  sia  possibile  un'interpretazione   costituzionalmente
conforme dell'art.1, comma 1, della legge n. 164 del 1982. 
    L'Associazione evidenzia, in  particolare,  che  la  disposizione
censurata non specifica il contenuto delle «modificazioni  dei  [...]
caratteri  sessuali»,  alle  quali  e'   subordinata   la   rettifica
anagrafica, ne' da' indicazioni sulla natura e  la  portata  di  tali
modificazioni. 
    Se pure si puo' ritenere  che  le  operazioni  chirurgiche  sugli
organi sessuali primari rientrino nell'ambito di  applicazione  della
disposizione, si  potrebbe  parimenti  ritenere  che  la  nozione  di
«modificazioni  dei  suoi  caratteri  sessuali»  comprenda  anche   i
trattamenti ormonali, i quali determinano rilevanti modificazioni dei
caratteri sessuali, cosi' consentendo  la  rettificazione  del  sesso
anagrafico. 
    D'altra parte, la scelta in ordine ai trattamenti  terapeutici  e
chirurgici da applicare ai  casi  concreti  dovrebbe  necessariamente
essere demandata - sotto il profilo scientifico e,  comunque,  previo
il consenso informato - al medico curante, unico  soggetto  idoneo  a
valutare le condizioni psicofisiche del soggetto e a  predisporre  il
percorso clinico piu' adatto. 
    A sostegno dell'irragionevolezza di previsioni che cristallizzino
trattamenti e protocolli medici vengono richiamate quelle pronunce in
materia di procreazione medicalmente assistita, nelle quali la  Corte
costituzionale ha ribadito la centralita' del ruolo del medico  nella
valutazione del caso concreto  e  nell'applicazione  dei  trattamenti
(sentenze n. 162 del 2014 e n. 151 del 2009). 
    Viene evidenziato, inoltre, che il d.lgs.  n.  150  del  2011  ha
abrogato l'art. 3 della legge n. 164 del  1982,  il  quale  prevedeva
l'autorizzazione giudiziale dell'adeguamento dei  caratteri  sessuali
attraverso un'operazione chirurgica, quando cio' fosse necessario. La
medesima disposizione prevedeva altresi' che il tribunale, dopo avere
accertato   l'esecuzione   dell'intervento,   potesse   disporre   la
rettificazione del sesso, cosi' lasciando intendere  che  il  giudice
dovesse intervenire in relazione alla  necessita'  di  un  intervento
chirurgico. 
    L'art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del  2011  richiede  ancora
che   il   tribunale   autorizzi   con   sentenza   il    trattamento
medico-chirurgico, quando questo sia necessario al fine di adeguare i
caratteri sessuali della persona istante, ma non richiede piu'  -  ai
fini della rettificazione  -  che  il  giudice  verifichi  l'avvenuta
esecuzione dell'intervento. 
    D'altra parte, il tenore letterale della  disposizione  in  esame
non specifica quale tipo di trattamento sia necessario per  procedere
alla rettificazione  del  sesso,  ne'  differenzia  la  disciplina  a
seconda  che  si  tratti  di  trattamenti   chirurgici,   ovvero   di
trattamenti ormonali;  di  trattamenti  che  incidono  sui  caratteri
sessuali primari, ovvero sui caratteri sessuali secondari. 
    Anche alla luce degli  orientamenti  emersi  nella  piu'  recente
giurisprudenza di merito, la parte  interveniente  ritiene  possibile
un'interpretazione della disposizione censurata,  diversa  da  quella
proposta dal rimettente, e tuttavia rispettosa  del  dato  letterale.
Esso  non  opera,  infatti,  alcuna  distinzione  fra  tipologie   di
interventi volti all'adeguamento del sesso, ma richiede soltanto  che
- laddove si renda necessario un intervento chirurgico - il tribunale
lo autorizzi con sentenza. Tale interpretazione  si  concilia  con  i
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  161
del 1985, armonizzandosi altresi' con le disposizioni  costituzionali
che, diversamente interpretando l'art. 1, comma 1, della legge n. 164
del  1982,  risulterebbero  violate   per   i   profili   evidenziati
nell'ordinanza di rimessione. 
    In via subordinata, nel caso in cui non si ritenesse percorribile
tale interpretazione, la difesa  dell'associazione  interveniente  ha
chiesto    l'accoglimento    della    questione    di    legittimita'
costituzionale, come prospettata dal Tribunale  ordinario  di  Trento
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    6.- Sono inoltre  intervenute,  nel  giudizio  dinanzi  a  questa
Corte, l'Associazione ONIG - Osservatorio Nazionale sull'Identita' di
Genere, la Fondazione Genere Identita' Cultura, l'Associazione  ONLUS
MIT  -  Movimento  d'Identita'  Transessuale  e   l'Associazione   di
Volontariato Libellula, chiedendo in  via  principale  l'accoglimento
della  questione  di  legittimita'   costituzionale   sollevata   dal
Tribunale ordinario di Trento. 
    In via subordinata, le parti intervenienti hanno chiesto  che  la
questione  sia  dichiarata  inammissibile  o  non  fondata,  per   la
possibilita'  di  un'interpretazione   costituzionalmente   orientata
dell'art. l, comma l, della legge n. 164 del 1982, in base alla quale
le intervenute modificazioni dei caratteri sessuali, a seguito  delle
quali puo' essere disposta  la  rettificazione  dell'attribuzione  di
sesso,  non  consistono  necessariamente  nella   modificazione   dei
caratteri sessuali primari. 
    6.1.- In via preliminare, a sostegno della propria legittimazione
all'intervento, le parti intervenienti hanno riferito di  operare  da
molti   anni   nell'ambito   della    tutela,    dell'assistenza    e
dell'orientamento nei confronti delle persone transessuali, ponendosi
quali  essenziali   riferimenti   per   le   numerose   problematiche
giuridiche, psicologiche, culturali, sociali e sanitarie relative  al
tema dell'identita' di genere, anche nei rapporti con le  istituzioni
nazionali e locali. 
    Le stesse parti si affermano, quindi, portatrici di un  interesse
qualificato  a  prendere  parte  al  contraddittorio  relativo   alla
questione  di  legittimita'  costituzionale,  in  considerazione  del
proprio ruolo di rappresentanza  delle  singole  persone,  anche  non
aderenti alle stesse associazioni, le cui posizioni  giuridiche  sono
suscettibili di  subire  una  diretta  incidenza  dagli  esiti  della
decisione. Esse sarebbero, quindi, titolari di interessi direttamente
inerenti al rapporto sostanziale dedotto in giudizio. 
    6.2.- Viene svolta,  in  primo  luogo,  un'ampia  disamina  degli
aspetti di ordine scientifico,  sociologico  e  psicologico  inerenti
alla popolazione transgender, caratterizzata dalla discordanza tra il
genere soggettivamente percepito come proprio ed il genere  assegnato
alla nascita. 
    Viene illustrata l'evoluzione giurisprudenziale, successiva  alla
legge n. 164 del 1982, in relazione ai  requisiti  previsti  ai  fini
della rettificazione anagrafica. Vengono quindi richiamati i principi
affermati dalla giurisprudenza costituzionale, sia con riferimento al
diritto all'identita' sessuale, quale fattore  di  svolgimento  della
personalita',  che  trova  fondamento  nell'art.  2  Cost.,  sia  con
riferimento al diritto alla salute, di cui all'art. 32 Cost. 
    In particolare, vengono richiamate le pronunce con le  quali,  in
riferimento ad accertamenti invasivi integranti trattamenti sanitari,
si e' precisato che  essi  «trovano  un  limite  non  valicabile  nel
rispetto della dignita' della persona che vi puo' essere  sottoposta.
In quest'ambito il rispetto della persona esige l'efficace protezione
della riservatezza, necessaria anche per contrastare  il  rischio  di
emarginazione nella vita lavorativa e di relazione» (sentenza n.  218
del 1994). 
    Nel caso di specie,  ad  avviso  delle  parti  intervenienti,  la
protezione della dignita' e della riservatezza della  persona  devono
affermarsi come valori preminenti,  a  fronte  della  imposizione  di
trattamenti sanitari indesiderati e  potenzialmente  dannosi  per  la
salute fisica e psichica dell'interessato, in assenza di qualsivoglia
utilita' degli stessi  trattamenti  per  lo  stato  di  salute  della
collettivita'. 
    Si sottolinea, inoltre, che l'esigenza di proteggere il benessere
psico-fisico  della  persona  transgender,   come   preciso   impegno
costituzionale, impone di  agevolare  l'accesso  alla  rettificazione
dell'attribuzione di sesso, senza subordinarlo ad attivita' sanitarie
indesiderate.   Solo   un   ampio   accesso    alla    rettificazione
dell'attribuzione di  sesso,  infatti,  potrebbe  assicurare  che  la
scelta  di  sottoporsi  alla  riattribuzione  chirurgica  del   sesso
costituisca    espressione    di    una    libera    e    consapevole
autodeterminazione della persona. 
    6.3.- La difesa delle parti intervenienti ha  chiesto,  pertanto,
l'accoglimento della questione di legittimita'  costituzionale  della
disposizione  censurata,   nella   parte   in   cui   subordina,   la
rettificazione di attribuzione di sesso all'intervenuta modificazione
dei caratteri sessuali primari attraverso un  intervento  chirurgico.
In  via  meramente  subordinata  ha  chiesto  che  la  questione  sia
dichiarata inammissibile  o  non  fondata,  per  la  possibilita'  di
un'interpretazione costituzionalmente  orientata  della  disposizione
censurata, in  base  alla  quale  le  intervenute  modificazioni  dei
caratteri sessuali, a seguito delle quali  puo'  essere  disposta  la
rettificazione   dell'attribuzione   di   sesso,    non    consistono
necessariamente nella modificazione dei caratteri sessuali primari. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 agosto 2014, il Tribunale  ordinario  di
Trento ha sollevato - in riferimento agli artt. 2, 3, 32, 117,  primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 8 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (d'ora in avanti, «CEDU»), firmata a Roma il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva  con  la  legge  4  agosto
1955, n. 848 - questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1,
comma 1, della legge 14 aprile 1982, n.  164  (Norme  in  materia  di
rettificazione di attribuzione di sesso). 
    Tale disposizione prevede che «La rettificazione si fa  in  forza
di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una
persona sesso diverso da quello  enunciato  nell'atto  di  nascita  a
seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali». 
    Ad avviso del giudice rimettente, la  disposizione  censurata  si
porrebbe in contrasto con gli artt. 2 e 117, primo comma,  Cost.,  in
relazione  all'art.  8  della  CEDU,  poiche'  la  previsione   della
necessita', ai fini della rettificazione anagrafica dell'attribuzione
di  sesso,  dell'intervenuta  modificazione  dei  caratteri  sessuali
primari   attraverso   trattamenti   clinici    altamente    invasivi
pregiudicherebbe gravemente l'esercizio del diritto fondamentale alla
propria identita' di genere. 
    Viene, inoltre, denunciato il contrasto con  gli  artt.  3  e  32
Cost.,   per   l'irragionevolezza   insita    nella    subordinazione
dell'esercizio  di  un  diritto  fondamentale,   quale   il   diritto
all'identita' di genere,  al  requisito  della  sottoposizione  della
persona a trattamenti sanitari (chirurgici o ormonali),  estremamente
invasivi e pericolosi per la salute. 
    2.-  In  via  preliminare,  va  ribadito  quanto   statuito   con
l'ordinanza della quale e' stata data lettura  in  pubblica  udienza,
allegata al presente provvedimento,  in  ordine  all'inammissibilita'
degli interventi spiegati dall'Associazione Radicale  Certi  Diritti,
nonche'   dall'Associazione    ONIG    -    Osservatorio    Nazionale
sull'Identita' di Genere, dalla Fondazione Genere Identita'  Cultura,
dall'Associazione ONLUS MIT - Movimento d'Identita'  Transessuale,  e
dall'Associazione di Volontariato Libellula. 
    Per costante giurisprudenza di  questa  Corte,  sono  ammessi  ad
intervenire nel giudizio incidentale di legittimita'  costituzionale,
oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso  di  legge
regionale,  al  Presidente  della  Giunta  regionale,  le  parti  del
giudizio principale. 
    L'intervento di soggetti  estranei  a  quest'ultimo  giudizio  e'
ammissibile  soltanto  per  i  terzi   titolari   di   un   interesse
qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al  rapporto
sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari
di ogni altro, dalla norma o  dalle  norme  oggetto  di  censura  (ex
plurimis, ordinanza letta all'udienza del 7 ottobre 2014,  confermata
con sentenza n. 244 del  2014;  ordinanza  letta  all'udienza  dell'8
aprile 2014, confermata con sentenza n. 162 del 2014; ordinanza letta
all'udienza del 23 aprile 2013, confermata con sentenza  n.  134  del
2013; ordinanza letta all'udienza del 9 aprile 2013,  confermata  con
sentenza n. 85 del 2013). 
    Nella specie, le stesse intervenienti non sono parti del giudizio
principale, instaurato da D.B. al  fine  ottenere  la  rettificazione
anagrafica dell'attribuzione di sesso, ne' risultano titolari  di  un
interesse qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al
rapporto sostanziale dedotto in giudizio. 
    Da quanto esposto consegue  l'inammissibilita'  degli  interventi
indicati. 
    3.-  L'eccezione   di   inammissibilita'   della   questione   di
legittimita' costituzionale e' infondata. 
    3.1.-  L'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha   preliminarmente
eccepito l'inammissibilita'  della  questione,  evidenziando  che  il
giudice a quo non avrebbe adeguatamente verificato la possibilita' di
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata   della   normativa
censurata. 
    3.2.- Con riferimento alla necessita' dell'intervento chirurgico,
il  giudice  a  quo  esclude  la  possibilita'  di  interpretare   la
disposizione  in  esame  nel  senso  di   ritenere   ammissibile   la
rettificazione dell'attribuzione di sesso,  anche  in  assenza  della
modificazione dei caratteri sessuali primari. 
    In particolare, il Tribunale rileva che l'art. 31, comma  4,  del
decreto  legislativo  1°  settembre  2011,   n.   150   (Disposizioni
complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e
semplificazione dei  procedimenti  civili  di  cognizione,  ai  sensi
dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69),  prevedendo  che
«Quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri  sessuali  da
realizzare mediante trattamento medico-chirurgico,  il  tribunale  lo
autorizza con sentenza passata in giudicato», sembrerebbe  consentire
che  il  trattamento  medico-chirurgico  sia  solo  eventuale   (come
lascerebbe intendere l'avverbio «quando»). 
    Il rimettente  ritiene,  tuttavia,  che  la  previsione  di  tale
eventualita'  non  significhi  affatto  che  la   rettificazione   di
attribuzione  di  sesso   possa   essere   ottenuta   a   prescindere
dall'adeguamento dei caratteri sessuali primari, bensi' soltanto  che
possono esservi casi concreti nei quali i caratteri sessuali  primari
siano gia' modificati (ad esempio, per un intervento  gia'  praticato
all'estero, ovvero per ragioni congenite). 
    A sostegno di questa interpretazione, il giudice  a  quo  osserva
che, altrimenti, non si comprenderebbe l'espressione  «a  seguito  di
intervenute  modificazioni  dei  suoi  caratteri  sessuali»,  di  cui
all'art. 1, comma 1, della  legge  n.  164  del  1982.  Il  Tribunale
ritiene che «Se il legislatore avesse inteso consentire alla  persona
la rettificazione  di  attribuzione  di  sesso  a  prescindere  dalla
modificazione  dei  suoi  caratteri  sessuali  primari,  non  avrebbe
menzionato tale modificazione  nella  parte  finale  della  norma  in
esame». 
    3.3.-  La  compiuta  valutazione  di  tali  argomenti,  ancorche'
inidonea ad escludere possibili soluzioni difformi, appare indicativa
del  tentativo,  in  concreto  effettuato  dal  giudice  a  quo,   di
utilizzare  gli  strumenti  interpretativi  a  sua  disposizione  per
verificare  la  possibilita'  di  una   lettura   alternativa   della
disposizione censurata, eventualmente conforme a  Costituzione.  Tale
possibilita' viene consapevolmente esclusa dal rimettente,  il  quale
ravvisa nel tenore letterale della  disposizione  un  impedimento  ad
un'interpretazione costituzionalmente compatibile. 
    La possibilita' di un'ulteriore interpretazione alternativa,  che
il giudice a quo non ha ritenuto di fare propria, non  riveste  alcun
significativo rilievo ai fini del rispetto delle regole del  processo
costituzionale,  in  quanto  la  verifica  dell'esistenza   e   della
legittimita' di  tale  ulteriore  interpretazione  e'  questione  che
attiene al merito della controversia, e non alla sua ammissibilita'. 
    4.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982 non e' fondata  nei
sensi di cui in motivazione. 
    4.1.-  La  disposizione  in  esame   costituisce   l'approdo   di
un'evoluzione culturale ed ordinamentale volta al riconoscimento  del
diritto  all'identita'  di  genere  quale  elemento  costitutivo  del
diritto  all'identita'   personale,   rientrante   a   pieno   titolo
nell'ambito dei diritti fondamentali della persona (art.  2  Cost.  e
art. 8 della CEDU). 
    Come rilevato, infatti, da questa Corte nella sentenza n. 161 del
1985, la legge n. 164 del 1982 accoglie  «un  concetto  di  identita'
sessuale nuovo e diverso rispetto al passato, nel senso che  ai  fini
di  una  tale  identificazione  viene  conferito  rilievo  non   piu'
esclusivamente agli  organi  genitali  esterni,  quali  accertati  al
momento della nascita ovvero "naturalmente" evolutisi, sia  pure  con
l'ausilio di appropriate  terapie  medico-chirurgiche,  ma  anche  ad
elementi  di  carattere  psicologico  e  sociale.  Presupposto  della
normativa impugnata e', dunque, la concezione  del  sesso  come  dato
complesso della personalita' determinato da un  insieme  di  fattori,
dei  quali  deve   essere   agevolato   o   ricercato   l'equilibrio,
privilegiando -  poiche'  la  differenza  tra  i  due  sessi  non  e'
qualitativa, ma quantitativa - il o i  fattori  dominanti  [...].  La
legge n. 164 del 1982 si colloca, dunque, nell'alveo di una  civilta'
giuridica in evoluzione, sempre piu' attenta ai valori, di liberta' e
dignita', della persona umana,  che  ricerca  e  tutela  anche  nelle
situazioni minoritarie ed anomale». 
    Tale portata generale  e  fortemente  innovativa  dell'intervento
legislativo  in  esame  emerge  anche  dalla  formulazione  letterale
dell'art. 1, oggetto di censura, il quale  stabilisce  i  presupposti
per la rettificazione  anagrafica  del  sesso,  individuandoli  nelle
«intervenute modificazioni  dei  [...]  caratteri  sessuali».  Viene,
quindi, lasciato all'interprete il compito di definire  il  perimetro
di tali modificazioni e,  per  quanto  qui  rileva,  delle  modalita'
attraverso le quali realizzarle. 
    Interpretata alla luce dei diritti della persona -  ai  quali  il
legislatore italiano,  con  l'intervento  legislativo  in  esame,  ha
voluto  fornire  riconoscimento  e  garanzia  -  la  mancanza  di  un
riferimento testuale alle modalita'  (chirurgiche,  ormonali,  ovvero
conseguenti ad una situazione  congenita),  attraverso  le  quali  si
realizzi la modificazione, porta ad escludere la necessita', ai  fini
dell'accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del
trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili
tecniche per realizzare l'adeguamento dei caratteri sessuali. 
    E' questa la strada gia' indicata nella sentenza n. 161 del 1985,
laddove si afferma che la disposizione in esame  «riguarda  tutte  le
ipotesi di rettificazione giudiziale dell'attribuzione di  sesso,  in
quanto accertato diverso da quello enunciato nell'atto di nascita,  a
seguito  di  intervenute   modificazioni   dei   caratteri   sessuali
dell'interessato, senza, peraltro, che il disposto in esame prenda in
considerazione il modo in  cui  le  modificazioni  medesime  si  sono
verificate,  se  naturalmente  ovvero   a   seguito   di   intervento
medico-chirurgico». 
    L'esclusione del carattere necessario dell'intervento  chirurgico
ai fini della  rettificazione  anagrafica  appare  il  corollario  di
un'impostazione che - in coerenza con supremi valori costituzionali -
rimette al singolo la scelta  delle  modalita'  attraverso  le  quali
realizzare, con l'assistenza del medico e di  altri  specialisti,  il
proprio percorso di transizione, il quale  deve  comunque  riguardare
gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici  che  concorrono  a
comporre  l'identita'  di  genere.  L'ampiezza  del  dato   letterale
dell'art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982 e  la  mancanza  di
rigide griglie normative sulla tipologia dei  trattamenti  rispondono
all'irriducibile varieta' delle singole situazioni soggettive. 
    Tale impostazione e' stata  fatta  propria  anche  dalla  recente
giurisprudenza di legittimita'. Nella sentenza del 20 luglio 2015, n.
15138, la Corte di cassazione, sezione prima  civile,  ha  affermato,
infatti, che la scelta di sottoporsi  alla  modificazione  chirurgica
dei caratteri sessuali non  puo'  che  essere  il  risultato  di  «un
processo di autodeterminazione verso  l'obiettivo  del  mutamento  di
sesso». Il ricorso  alla  chirurgia  costituisce  uno  dei  possibili
percorsi volti all'adeguamento dell'immagine esteriore  alla  propria
identita' personale, come  percepita  dal  soggetto.  D'altra  parte,
sottolinea la Corte di cassazione, «La complessita' del percorso,  in
quanto  sostenuto  da  una  pluralita'  di  presidi  medici  [...]  e
psicologici mette ulteriormente in luce l'appartenenza del diritto in
questione al nucleo costitutivo  dello  sviluppo  della  personalita'
individuale  e  sociale,  in   modo   da   consentire   un   adeguato
bilanciamento con l'interesse pubblico alla certezza delle  relazioni
giuridiche». 
    Rimane cosi'  ineludibile  un  rigoroso  accertamento  giudiziale
delle modalita' attraverso le quali il cambiamento e' avvenuto e  del
suo carattere definitivo. Rispetto ad esso il trattamento  chirurgico
costituisce uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire,
attraverso una tendenziale corrispondenza  dei  tratti  somatici  con
quelli del sesso  di  appartenenza,  il  conseguimento  di  un  pieno
benessere psichico e fisico della persona. 
    In questa prospettiva va letto anche  il  riferimento,  contenuto
nell'art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011, alla  eventualita'  («Quando
risulta   necessario»)   del   trattamento   medico-chirurgico    per
l'adeguamento dei caratteri sessuali. In tale disposizione,  infatti,
lo stesso legislatore ribadisce, a  distanza  di  quasi  trenta  anni
dall'introduzione della legge n. 164 del  1982,  di  volere  lasciare
all'apprezzamento  del  giudice,  nell'ambito  del  procedimento   di
autorizzazione  all'intervento  chirurgico,  l'effettiva   necessita'
dello stesso, in relazione alle specificita' del caso concreto. 
    Il ricorso alla modificazione chirurgica dei  caratteri  sessuali
risulta, quindi, autorizzabile in funzione di  garanzia  del  diritto
alla salute, ossia laddove lo stesso  sia  volto  a  consentire  alla
persona  di  raggiungere  uno  stabile  equilibrio  psicofisico,   in
particolare in quei  casi  nei  quali  la  divergenza  tra  il  sesso
anatomico  e  la  psicosessualita'  sia  tale   da   determinare   un
atteggiamento conflittuale e  di  rifiuto  della  propria  morfologia
anatomica. 
    La prevalenza della  tutela  della  salute  dell'individuo  sulla
corrispondenza fra  sesso  anatomico  e  sesso  anagrafico,  porta  a
ritenere  il  trattamento  chirurgico  non  quale  prerequisito   per
accedere al procedimento di rettificazione  -  come  prospettato  dal
rimettente -, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di
un pieno benessere psicofisico. 
    Il percorso ermeneutico sopra evidenziato riconosce, quindi, alla
disposizione in esame il ruolo di garanzia del diritto  all'identita'
di genere, come espressione del diritto all'identita' personale (art.
2 Cost. e art. 8 della CEDU) e, al tempo stesso, di strumento per  la
piena  realizzazione  del  diritto,  dotato  anch'esso  di  copertura
costituzionale, alla salute. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,  della
legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di  rettificazione  di
attribuzione di sesso), sollevata, in riferimento agli  artt.  2,  3,
32, 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo  in  relazione
all'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848,
dal Tribunale  ordinario  di  Trento,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 novembre 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI 
 
 
                                                            Allegato: 
                      Ordinanza letta all'udienza del 20 ottobre 2015 
 
                              ORDINANZA 
 
    Visti   gli   atti   relativi   al   giudizio   di   legittimita'
costituzionale introdotto con ordinanza del  Tribunale  ordinario  di
Trento, depositata il 20 agosto 2014 (reg. ord. n. 228 del 2014); 
    rilevato che hanno depositato atti di  intervento  l'Associazione
Radicale Certi Diritti, nonche' la Associazione ONIG  -  Osservatorio
Nazionale sull'Identita' di Genere, la  Fondazione  Genere  Identita'
Cultura,   l'Associazione   ONLUS   MIT   -   Movimento   d'Identita'
Transessuale e l'Associazione di Volontariato Libellula. 
    Considerato che  nessuno  di  tali  intervenienti  e'  parte  del
giudizio principale; 
    che la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante,  le
ordinanze allegate alla sentenza n. 134 del 2013 e  all'ordinanza  n.
318 del 2013) e' nel senso  che  la  partecipazione  al  giudizio  di
legittimita' costituzionale e' circoscritta, di norma, alle parti del
giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e,
nel caso di legge regionale, al  Presidente  della  Giunta  regionale
(artt. 3 e 4 delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte
costituzionale); 
    che a tale disciplina e' possibile derogare  -  senza  venire  in
contrasto   con   il   carattere   incidentale   del   giudizio    di
costituzionalita' - soltanto a favore di  soggetti  terzi  che  siano
titolari di un  interesse  qualificato,  immediatamente  inerente  al
rapporto  sostanziale  dedotto  in  giudizio  e   non   semplicemente
regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di
censura; 
    che, pertanto, l'incidenza sulla posizione soggettiva delle parti
intervenienti non deve derivare, come per tutte le  altre  situazioni
sostanziali governate dalla legge denunciata, dalla  pronuncia  della
Corte  sulla  legittimita'  costituzionale  della  legge  stessa,  ma
dall'immediato effetto che  la  decisione  della  Corte  produce  sul
rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo; 
    che,  nel  giudizio  da  cui  trae  origine   la   questione   di
legittimita' costituzionale in discussione, gli stessi  intervenienti
non  rivestono  l'anzidetta  posizione   di   terzi   legittimati   a
partecipare al giudizio dinanzi a questa Corte; 
    che,  infatti,  le  suddette  associazioni  sarebbero   investite
soltanto  da  effetti  riflessi  della  pronuncia  di  questa   Corte
sull'art. 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n.  164  (Norme  in
materia di rettificazione di attribuzione di sesso); 
    che, pertanto, gli interventi spiegati devono  essere  dichiarati
inammissibili. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile  l'intervento  dell'Associazione  Radicale
Certi  Diritti,  nonche'  l'intervento   dell'Associazione   ONIG   -
Osservatorio Nazionale sull'Identita'  di  Genere,  della  Fondazione
Genere Identita' Cultura, dell'Associazione  ONLUS  MIT  -  Movimento
d'Identita'  Transessuale   e   dell'Associazione   di   Volontariato
Libellula. 
 
               F.to: Alessandro Criscuolo, Presidente