N. 238 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 luglio 2015
Ordinanza del 6 luglio 2015 del Collegio arbitrale di Palermo nell'arbitrato in corso tra Runfola Antonio ed altri contro l'Azienda ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta specializzazione Civico Di Cristina-Benfratelli. Arbitrato - Arbitrato nelle controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici, relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee - Obbligo di previa e motivata autorizzazione amministrativa, introdotto dalla legge n. 190 del 2012 (c.d. "legge anticorruzione") a pena di nullita' delle clausole compromissorie e del ricorso all'arbitrato - Inapplicabilita' ai soli arbitrati conferiti o autorizzati prima della data (28 novembre 2012) di entrata in vigore della stessa legge - Conseguente necessita' di autorizzazione per gli arbitrati conferiti dopo tale data (ma) in relazione a clausole compromissorie pattuite anteriormente - Omessa previsione che l'autorizzazione possa ritenersi surrogata da comportamenti ed atti formali che confermino il chiaro ed univoco intendimento dell'Amministrazione appaltante di coltivare l'arbitrato - Denunciata retroattiva attribuzione alla parte pubblica del diritto potestativo di impedire l'instaurazione o la prosecuzione del giudizio arbitrale - Retroattiva nullita' o inefficacia di atti giuridici legittimamente adottati - Contrasto con il principio di certezza e stabilita' dell'ordinamento giuridico e lesione dell'affidamento - Contrasto con i principi inerenti la liberta' di iniziativa economica e l'autonomia negoziale - Violazione dei principi di parita' delle parti del processo e di economicita' dei mezzi processuali - Restrizione della tutela giurisdizionale - Violazione del principio del giudice naturale individuato in via negoziale - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alla disciplina degli arbitrati risultante dal codice di procedura civile - Riferimento alla sentenza n. 108 del 2015 della Corte costituzionale. - Legge 6 novembre 2012, n. 190, art. 1, comma 25; decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, art. 241, comma 1, come modificato dall'art. 1, comma 19, della legge 6 novembre 2012, n. 190. - Costituzione, artt. 3, 24, 25, 41, 102, 108 e 111.(GU n.46 del 18-11-2015 )
Il Collegio arbitrale costituitosi in Palermo con verbale del 16.12.2013, composto dai Sigg.: Prof. Arch. Raffaello Frasca, Presidente; Avv. Vito Augusto Candia; Prof. Avv. Gaetano Armao, nella sede dello stesso Collegio in Palermo, via G. Bonanno n. 67, ha pronunciato la seguente Ordinanza ex art. 819-bis C.P.C., nella controversia tra i Sigg.: Arch. Antonio Runfola, Ing. Antonino Di Bella, Ing. Luigi Castiglia, Ing. Francesco Paolo Vizzini, rappresentati e difesi dal Prof. Avv. Salvatore Raimondi e dall'Avv. Luigi Raimondi, contro l'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione Civico Di Cristina - Benfratelli, rappresentata e difesa dall'Avv. Loredana Danile, avente per oggetto il pagamento dei compensi per l'attivita' di progettazione, direzione, misura e contabilita' dei lavori di ristrutturazione del padiglione di Chirurgia Generale dell'A.R.N.A.S. di cui al disciplinare di incarico del 13.6.2000. Fatto Nel corso degli anni 1985 - 1987, con singole deliberazioni e relativi disciplinari, la USL 58 incaricava l'ing. Paolo Li Castri, l'ing. Luigi Castiglia, l'arch. Antonio Runfola e l'ing. Paolo Vizzini, della progettazione di vari interventi finalizzati alla ristrutturazione del padiglione di Chirurgia Generale dell'Ospedale Civico di Palermo. Successivamente, l'A.R.N.A.S, succeduta de jure alla U.S.L. 58, nell'ambito dell'approvazione del programma di edilizia ospedaliera ai sensi dell'art. 38 della L.R. n. 30 del 7.8.1997, con delibera n. 5865 del 22.12.1997, stabiliva di procedere ad un unico intervento di ristrutturazione del padiglione di Chirurgia Generale. Pertanto, con delibera n. 1463 del 20.5.1998, l'Azienda conferiva incarico per la progettazione e direzione lavori di ristrutturazione del padiglione di Chirurgia Generale al gruppo di professionisti composto dall'arch. Antonio Runfola, dall'ing. Luigi Castiglia, dall'ing. Francesco Paolo Vizzini, dall'ing. Francesco Paolo Li Castri, e dall'ing. Benedetto Bagarello (poi deceduto), con contestuale approvazione del disciplinare d'incarico. Il 13.6.2000, l'A.R.N.A.S. e il suddetto gruppo di professionisti sottoscrivevano il disciplinare d'incarico, avente per oggetto la variante ai singoli progetti esecutivi che, tenendo conto delle modifiche distributive intervenute, delle nuove e mutate esigenze dell'amministrazione, nonche' delle sopravvenute disposizioni normative, integri, adegui, aggiorni e rielabori i progetti gia' redatti singolarmente dai suddetti professionisti. Con delibera n. 276 del 26.2.2003, l'A.R.N.A.S. accoglieva le dimissioni dell'Ing. Francesco Paolo Li Castri e, contestualmente, lo sostituiva con l'ing. Antonino Di Bella. Eseguita la progettazione generale esecutiva, i professionisti redigevano un progetto di 1° Stralcio funzionale, che veniva approvato e realizzato. Nel dicembre 2005, i progettisti trasmettevano all'A.R.N.A.S. gli elaborati relativi al 2° Stralcio Funzionale, intervento gia' ammesso a finanziamento ed approvato dall'Azienda committente con deliberazione n. 2479 del 27.12.2005. Durante l'esecuzione dei lavori relativi al 2° stralcio, venivano redatte perizie di variante e suppletive, secondo le indicazioni della committente. Effettuato il collaudo dei lavori, con delibera del 30.11.2011, n. 1708, l'A.R.N.A.S. stabiliva di procedere con decorrenza immediata alla revoca dell'incarico di direzione lavori delle opere in oggetto, conferendolo ad una unita' interna dell'ufficio tecnico. In data 12.1.2012, gli attori trasmettevano all'A.R.N.A.S. le parcelle, munite di visto di congruita', relative alla direzione lavori, misura e contabilita' (6° SAL) del 2° stralcio, nonche' alla redazione della perizia di variante e suppletiva. Con atto notificato in data 15.2.2013, i sigg.ri arch. Antonio Runfola, ing, Antonio di Bella, ing. Luigi Castiglia, ing. Francesco Paolo Vizzini, difesi dal prof. avv. Salvatore Raimondi e dall'avv. Luigi Raimondi, attivavano la clausola compromissoria di cui all'art. 17 del disciplinare di incarico stipulato 13.6.2000: "Tutte le controversie che possano sorgere relativamente alla liquidazione dei compensi previsti dalla presente convenzione e non definite in via amministrativa saranno, nel termine di 30 giorni da quello in cui fu notificato il provvedimento amministrativo, deferite ad un collegio arbitrale costituito da tre membri, di cui uno scelto dall'Amministrazione tra gli Avvocati dello Stato o designato dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati con la qualifica di avvocato, uno dai professionisti ed il terzo da designarsi d'intesa tra le parti o, in mancanza, dal Presidente del Tribunale competente". Col medesimo atto, gli istanti designavano quale arbitro l'avv. Vito Augusto Candia e formulavano i seguenti quesiti: 1) Accerti il Collegio arbitrale l'inadempimento dell'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione Civico Di Cristina - Benfratelli alle obbligazioni assunte nei confronti degli attori, giusta, da ultimo, il disciplinare di incarico registrato in data 13 giugno 2000 (sulla base della delibera del direttore generale 20 maggio 1998, n. 1463), avente ad oggetto "L'incarico della variante ai singoli progetti esecutivi che, tenendo conto delle modifiche distributive intervenute e delle nuove mutate esigenze dell'amministrazione, nonche' delle sopravvenute disposizioni normative e legislative, integri, adegui, aggiorni e rielabori i progetti di cui sopra, gia' redatti singolarmente dai suddetti professionisti, e relativo alla ristrutturazione, all'adeguamento alle norme di sicurezza e alla piu' recente prescrizione di legge e alla sistemazione esterna del padiglione di chirurgia generale dell'ex ospedale civico di Palermo e relativi impianti, nonche' della direzione, misura, contabilita', liquidazione e assistenza al collaudo". 2) Dica il Collegio Arbitrale che gli importi a ciascuno dovuti ammontano: € 152.618,16 per l'arch. Runfola, e 98.185,21 per l'ing. Vizzini, € 152.011,98 per ring. Di Bella, € 104.755,74 per l'ing. Castiglia, per un totale di € 507.571,09 (i citati importi sono comprensivi di IVA e CNPAIA e decurtati della ritenuta di acconto). 3) Dica il Collegio Arbitrale che spetta agli attori, su tutte le somme che ad essi verranno riconosciuti, la rivalutazione monetaria e gli interessi al tasso legale sino al momento del soddisfo. 4) Dica il collegio arbitrale, in via subordinata, che compete agli istanti, a titolo di indebito arricchimento ai sensi dell'art. 2041 cod. civ., per le prestazioni professionali svolte, l'indennizzo che sara' ritenuto di giustizia, anche in via equitativa. 5) Emetta il collegio arbitrale, in relazione alle pronunzie sui quesiti che precedono, le conseguenti statuizioni di condanna dell'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione Civico Di Cristina - Benfratelli. 6) Condanni il collegio arbitrale l'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione Civico Di Cristina - Benfratelli al pagamento di tutte le spese di costituzione e funzionamento del Collegio arbitrale, compresi i diritti, gli onorari e gli accessori di legge di competenza degli arbitri, le spese di segreteria e le spese legali e tecniche di parte attrice. L'A.R.N.A.S., in persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante pro-tempore, dott. Carmelo Pullara, con atto notificato in data 23.5.2013, nominava arbitro di propria elezione il prof. avv. Gaetano Armao. Sull'accordo di entrambe le parti, comunicata agli arbitri, veniva designato terzo arbitro il prof. arch. Raffaello Frasca. Con delibera n. 1051 del 27.6.2013, l'ARNAS incaricava l'avv. Daniela Danile di rappresentarla ed assisterla nel procedimento arbitrale. In data 16.12.2013 si costituiva il Collegio Arbitrale. Il prof. arch. Raffaello Frasca assumeva cosi' le funzioni di Presidente e chiamava ad esercitare le funzioni di segretario l'avv. Marina Bonfiglio. Il Collegio Arbitrale stabiliva la propria sede in Palermo, via G. Bonanno n. 67 ed assegnava alle parti il termine fino al 18.2.2014 per la presentazione di memorie e documenti ed ulteriore termine fino al 20.3.2014 per repliche, riservandosi di adottare i provvedimenti all'esito del deposito delle difese delle parti. Con prima memoria depositata il 18.2.2014, gli istanti insistevano su tutti i quesiti avanzati con la domanda di arbitrato e aggiornavano gli importi a ciascuno dei professionisti dovuti: oggi con l'Iva al 22%, CNPAIA e decurtati della ritenuta di acconto ammontano: € 155.068,02 per l'arch. Runfola (inclusa tassa ordine), € 99.869,10 per l'ing. Vizzini, € 154.641,67 per l'ing. Di Bella, € 106.504,20 per l'ing. Castiglia, per un totale di € 516.082,99, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali. Con memoria di risposta del 18.2.2014 si costituiva l'A.R.N.A.S., rappresentata e difesa dall'avv. Loredana Danile, giusta procura a margine rilasciata dal Commissario Straordinario pro-tempore, Dott. Carmelo Pullara, avanzando i seguenti quesiti: In via preliminare: 1) disporsi la chiamata di terzo ai sensi dell'art. 816 quinques; Sempre in via preliminare 2) ritenere e dichiarare il difetto di giurisdizione e/o competenza a favore del giudice ordinario per i motivi di cui al punto I; 3) ritenere e dichiarare il difetto di legittimazione passiva della convenuta per i motivi di cui al punto II; Nel merito: 4) rigettare la domanda di pagamento avanzata dal gruppo dei professionisti e dei conseguenti accessori per i motivi di cui al punto III ed in subordine per i motivi di' cui al punto IV; 5) rigettare la domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. per i motivi di cui al punto V; In via riconvenzionale sempre nel merito 6) accertare e dire e condannare i professionisti alla restituzione delle somme erogate per il 1° stralcio funzionale e d.l. come indicati al punto VI e per i motivi di cui al punto VI oltre interessi e rivalutazione monetaria; In subordine nel merito: 7) accertare e dire, che la domanda di pagamento va ridotta per il 1° stralcio in una misura non inferiore al 50% pari ad € 8.514,885 e per il 2° stralcio in una misura non inferiore al 50% pari ad € 173.466,435 relativamente alla progettazione e fino al 5° Sal oltre che per € 91.303,22 relativamente alla PVS per i motivi di cui al punto VII ovvero nella misura maggiore o minore che si riterra' di giustizia anche all'esito di una c.t.u.; 8) emettere le conseguenti statuizioni tutte in relazione ai quesiti posti; 9) con vittoria di spese e competenze legali del presente procedimento nonche' delle spese e competenze del collegio arbitrale. In via istruttoria, l'A.R.N.A.S. chiedeva ammettersi prova orale con i propri dirigenti ing. Salvatore Caronia e ing. Antonino Bono, nonche' consulenza tecnica. Con memoria di replica depositata il 20.3.2014, gli istanti insistevano sulle richieste e sui rilievi di cui ai precedenti atti, chiedendo il rigetto di tutte le eccezioni, domande, difese e deduzioni prospettate dall'A.R.N.A.S. Nella memoria di replica depositata il 20.3.2014, l'A.R.N.A.S. insisteva sulle richieste istruttorie, sui quesiti 1), 2), 3), 4), 5), 8), 9) proposti in memoria di costituzione, infine rimodulava i quesiti 6) e 7): In sub ordine nel merito: 6) accertare e dire che la domanda di pagamento va ridotta per il 2° stralcio in una misura non inferiore al 50% pari ad € 245.156,77 relativamente alla progettazione e fino al 6° Sal, ad € 17.265,55 relativamente alla perizia di variante e suppletiva, ad € 91.303,22 relativamente all'aggiornamento della PVS per i motivi di cui al punto VI ovvero nella misura maggiore o minore che si riterra' di giustizia anche all'esito di una c.t.u. In via riconvenzionale sempre nel merito: 7) accertare e dire e condannare i professionisti alla restituzione delle somme erogate per il 1° stralcio funzionale e d.l. negli importi come indicati al punto VII e per i motivi di cui al punto VII oltre interessi e rivalutazione monetaria; Con ordinanza del 15.4.2014, il Collegio arbitrale ammetteva la prova orale richiesta dall'A.R.N.A.S., prorogando di 180 giorni il termine per la pronuncia del lodo, ex art. 820, quarto comma, lett. a), c.p.c. All'udienza del 12.5.2014 venivano escussi i testi indotti dalla parte pubblica resistente, ing. Salvatore Caronia e ing. Antonino Bono, assegnato termine alle parti fino al 29.5.2014 per il deposito di deduzioni alla prova testimoniale e fissata l'udienza del 6.6.2014 per la trattazione e la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 6.6.2014, precisate le conclusioni, il Collegio poneva la controversia in deliberazione ed assegnava alle parti il termine del 23.9.2014 per il deposito di memorie conclusive e del 13.10.2014 per eventuali repliche. Acquisite le memorie conclusive e le repliche di entrambe le parti, con ordinanza del 6.2.2015, il Collegio arbitrale ammetteva consulenza tecnica d'ufficio, fissando l'udienza del 23.2.2015 per il conferimento dell'incarico al CTU arch. Sergio Verace, con il quesito di seguito formulato: "accerti il CTU, previo esame della documentazione prodotta in atti e con facolta' di assumere informazioni dalle parti e da terzi e di acquisire ogni elemento necessario, se il compenso dovuto ai Professionisti arch. Antonio Runfola, ing. Antonino Di Bella, ing. Luigi Castiglia e ing. Francesco Paolo Vizzini per l'attivita' dagli stessi svolta, e' pari a quello determinato nelle fatture e nei relativi pareri di congruita' dei rispettivi Ordini Professionali, quantificando anche gli interessi maturati ed in caso di risposta negativa o parzialmente negativa sul giudizio di congruita', indichi l'adeguato corrispettivo dell'opera professionale prestata secondo le tariffe professionali e le previsioni del disciplinare d'incarico sottoscritto dalle parti". Con la suddetta ordinanza, visto l'art. 820 c.p.c., il Collegio prorogava il termine per la pronuncia del lodo di giorni 180, decorrenti dalla scadenza del termine. All'udienza del 23.2.2015, il CTU dichiarava di accettare l'incarico, chiedendo termine di giorni 30 per rispondere ai quesiti, decorrenti dal 5.3.2015, data di inizio delle operazioni di consulenza. Il Collegio arbitrale concedeva il chiesto termine di giorni 30, decorrenti dall'inizio delle operazioni peritali ed alle parti sino a tale data per la nomina di eventuali consulenti di parte. Il Collegio, altresi', assegnava alle parti il termine del 16.4.2015 per la trasmissione di eventuali osservazioni al CTU e disponeva per quest'ultimo il termine del 28.4.2015 per il deposito della relazione, delle osservazioni di parte e di una sintetica valutazione delle stesse. Infine, il Consiglio fissava i seguenti termini: al 13.5.2015 per il deposito di eventuali osservazioni al CTU e precisazione delle conclusioni, al 25.5.2015 per il deposito di comparse conclusionali e al 3.6.2015 per eventuali repliche. L'A.R.N.A.S., quindi, nominava con specifica indicazione, quale consulente di parte, l'ing. Vincenzo Spera. In data 24.4.2015, il CTU depositava la relazione definitiva di consulenza tecnica. In data 13.5.2015, le parti depositavano le proprie osservazioni alla CTU. Con memoria conclusiva depositata il 25.5.2015 gli istanti insistevano in tutti i quesiti avanzati con la domanda di arbitrato, chiedevano il rigetto di tutte le richieste e difese dell'A.R.N.A.S. in quanto inammissibili e infondate e aggiornavano gli importi a ciascuno dei professionisti dovuti, secondo un prospetto cosi' riassumibile: arch. Runfola: € 147.752,41; ing. Castiglia: € 101.528,86; ing. Vizzini: € 95.318,13; ing. Di Bella: € 146.917,03. In data 25.5.2015, l'A.R.N.A.S. depositava comparsa conclusionale, in cui chiedeva raccoglimento dei seguenti quesiti: In via preliminare 1) disporsi la chiamata di terzo ai sensi dell'art. 816 quinques; Sempre in via preliminare 2) ritenere e dichiarare il difetto di giurisdizione e/o competenza a favore del giudice ordinario per i motivi di cui al punto I; 3) ritenere e dichiarare il difetto di legittimazione passiva dell'A.R.N.A.S. per i motivi di cui al punto II; 4) ritenere e dichiarare la nullita' della CTU per violazione della parita' tra le parti e del contraddittorio; Nel merito 5) di conseguenza, non tenere conto della CTU perche' nulla e rigettare la domanda di pagamento avanzata dal gruppo dei professionisti e dei conseguenti accessori per i motivi di cui al punto III ed in subordine per i motivi di cui al punto IV e per carenza di prova; 6) di conseguenza, non tenere conto della CTU perche' nulla e rigettare la domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. per i motivi di cui al punto V e per carenza di prova; 7) accertare e dire che nulla e' dovuto per la II Perizia di variante e suppletiva, poiche' intervenuta successivamente alla revoca dell'incarico giusta delibera dell'A.R.N.A.S. n. 1708/2011; In via riconvenzionale sempre nel merito 8) accertare e dire e condannare i professionisti alla restituzione delle somme erogate per il 1° stralcio funzionale e d.l. negli importi come indicati al punto VII e per i motivi di cui al punto VII oltre interessi e rivalutazione monetaria; 9) emettere le conseguenti statuizioni tutte in relazione ai quesiti posti; 10) con vittoria di spese e competenze legali del procedimento nonche' delle spese e competenze del collegio arbitrale. In data 3.6.2015, la resistente depositava memoria di replica, insistendo nelle conclusioni e domande tutte proposte. Il 12.6.2015, gli istanti trasmettevano a mezzo P.E.C. le proprie repliche, insistendo nelle domande e nelle difese precedentemente svolte. La controversia veniva cosi' posta in deliberazione. Diritto 1. Il Collegio ritiene pregiudiziale, al fine emettere il lodo arbitrale richiesto, doversi sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 25, legge n, 190/2012,in relazione agli artt. 3, 24, 25, 41, 108, 111 e dell'art. 241, comma 1 decreto legislativo n. 163/2006, come modificato dall'art. 1, comma 19, legge n. 190/2012 in relazione agli artt. 3, 24, 25, 41, 102, 111 Cost. L'art. 1, comma 19, l. n. 190/2012 ha previsto che «le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario previsto dall'articolo 240, possono essere deferite ad arbitri, previa autorizzazione motivata da parte dell'organo di governo dell'Amministrazione. L'inclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell'avviso con cui e' indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito, o il ricorso all'arbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli». Il comma 25 afferma, invece, che: "Le disposizioni di cui ai commi da 19 a 24 non si applicano agli arbitrati conferiti o autorizzati prima della data di entrata in vigore della presente legge". Il presente arbitrato e' stato incardinato dopo l'entrata in vigore della legge n. 190 del 2012, tuttavia rispetto alle determinazioni formalmente assunte dall'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione Civico Di Cristina - Benfratelli nel corso del giudizio - nell'ordine: a) nomina dell'arbitro; b) la nomina del difensore; c) il conferimento della procura ad litem; d) la condivisione nell'individuazione del Presidente; e) la nomina quale consulente di parte l'ing. Vincenzo Spera; f) l'autorizzazione alla testimonianza di fronte al Collegio di un proprio tecnico; il Collegio ha ritenuto che queste costituissero epifenomeno di univoca e reiterata volonta' della parte pubblica di coltivare l'arbitrato, in guisa da assimilare tali ed incontrovertibili manifestazioni di volonta' all'autorizzazione introdotta dal legislatore del 2012. Come si avra' modo di sottolineare tale convincimento trovava riscontro anche nella giurisprudenza amministrava che, seppur isolatamente, si era pronunciata nel senso di assimilare all'autorizzazione motivata comportamenti concludenti della parte pubblica, anche successivi all'incardinamento dell'arbitrato. 2. Quando la questione era stata gia' assunta in decisione e' stata pubblicata la sentenza della Corte costituzionale n. 108 del 2015, depositata in Cancelleria il 9 giugno 2015, che ha risolto negativamente la questione di costituzionalita' sollevata da Collegio arbitrale costituito in Roma (e relativo alla controversia tra la Seriana 2000 societa' cooperativa sociale Onlus e l'AUSL Roma E) con ordinanza del 16 giugno 2014. Il Giudice delle leggi ha cosi' dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 25, della legge 6 novembre 2012, n. 190, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 41, 108 e 111 della Costituzione, e dell'art. 241, comma 1, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), come sostituito dall'art. 1, comma 19, della legge n. 190 del 2012, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 41, 97, 102 e 111 Cost. L'ordinanza del collegio arbitrale che ha sollevato questione di legittimita' costituzionale relativamente a tali disposizioni normative aveva ravvisato che le norme appena richiamate avrebbero determinato, retroattivamente, l'inefficacia della clausola d'arbitrato anteriore all'entrata in vigore della legge ed avrebbero riservato alla parte pubblica il potere di decidere in ordine all'azionabilita' della clausola arbitrale, determinando l'insorgere di una questione pregiudiziale rispetto alla definizione nel merito della lite la cui risoluzione era stata affidata al Collegio arbitrale. Secondo la condivisibile prospettazione del Collegio arbitrale remittente, infatti, andava ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 19 e comma 25, della legge n. 190/2012. E cio' nel presupposto che l'art. 241, comma 1, del decreto legislativo n. 163/2006, nella sua formulazione in vigore dal 28 novembre 2012 (ai sensi dell'art. 1, comma 19, della legge 6 novembre 2012 n. 190, c.d. legge anticorruzione), stabilisce che "Le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario previsto dall'articolo 240, possono essere deferite ad arbitri, previa autorizzazione motivata da parte dell'organo di governo dell'amministrazione". La norma prosegue poi prevedendo che "L'inclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell'avviso con cui e' indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito, o il ricorso all'arbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli". Il legislatore, secondo il giudice delle leggi, avrebbe cosi' introdotto nell'ordinamento "una norma imperativa che condiziona l'autonomia contrattuale delle parti" (cosi' sempre la sent. n. 108 del 2015). Mentre con il richiamato art. 1, comma 25, della legge n. 190/2012 e s.m.i. il legislatore ha inteso prevedere l'applicazione di tale regime anche alle clausole compromissorie inserite nei contratti pubblici anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 190 del 2012, fatti salvi gli arbitrati nei quali gli incarichi arbitrali siano stati conferiti o per i quali sia intervenuta l'autorizzazione prima di tale data. L'Arbitrato che ha dato luogo al giudizio costituzionale - analogamente al presente - e' stato «conferito» dopo l'entrata in vigore della legge n. 190/2012 s.m.i. In termini analoghi, infatti - come precisato in fatto - gli arbitri del presente giudizio sono stati nominati nel 2013. Nel presente giudizio, peraltro, non e' intervenuta alcuna autorizzazione (ne' un diniego) da parte della l'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione Civico Di Cristina - Benfratelli, pur essendo stato l'arbitrato "conferito" dopo dell'entrata in vigore della predetta legge alla stregua della clausola compromissoria come in atti. L'art. 1, comma 19 e 25 della legge n. 190/2012, determinando la confluenza anche dell'arbitrato de quo nel campo di applicazione della disciplina scaturente dalla c.d. Legge Anticorruzione, avrebbe l'effetto di rendere inefficaci, e con evidente effetto retroattivo, pattuizioni assunte ben prima dell'entrata in vigore della legge stessa ovvero rimettendo alla parte pubblica il potere di decidere in ordine alla possibilita' di compromettere in arbitri la controversia, pur di fronte all'adozione di atti e comportamenti univoci nel senso di convenire in arbitri la controversia. Anche nella fattispecie in esame ed avuto riguardo alla peculiarita' appena descritta, pur a seguito del pronunciamento del Giudice delle leggi, la norma suscita consistenti dubbi di' legittimita' costituzionale ed impone a questo Collegio di prospettarla nuovamente alla Corte costituzionale. La questione di costituzionalita', quindi, oltre che rilevante per evidenti ragioni di pregiudizialita' rispetto alla definizione nel merito della lite insorta tra le parti, in quanto riguarda l'ammissibilita' del ricorso all'arbitrato pur in assenza di formale "autorizzazione" da parte dell'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione Civico Di Cristina - Benfratelli, appare non manifestamente infondata. Ed infatti, giusta l'art. 1, comma 25, della richiamata legge n. 190/2012 sussiste l'obbligo di autorizzazione motivata all'arbitrato siccome sancito dall'art. 241, comma 1, decreto legislativo n. 163/2006, in guisa da trovar applicazione anche in relazione a clausole compromissorie stipulate ben prima all'entrata in vigore della legge del 2012 e nonostante siano intervenute chiare ed inequivocabili manifestazioni di volonta' espresse dalla parte pubblica dopo la notificazione dell'atto di accesso arbitrale - come nel caso di specie - con evidenti effetti retroattivi che incidono non solo sui diritti e sulle liberta' garantite dagli artt. 24, 41 e 108 Cost. e comunque dagli artt. 3, 25 e 111 Cost. Non puo' revocarsi in dubbio, quindi, che la pronuncia della Corte costituzionale da ultimo citata abbia statuito sulla legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 19, della legge n. 190 del 2012, ove essa prevede che la preventiva autorizzazione motivata da parte dell'organo di governo dell'amministrazione parte del giudizio arbitrale, a pena di nullita' della clausola compromissoria, e' una norma imperativa che condiziona l'autonomia contrattuale delle parti, ma non ha riguardato la questione della compatibilita' con le richiamate norme costituzionali di un'interpretazione che, pur di fronte ad atti e compartimenti univoci della parte pubblica, ritenga tassativa l'adozione di un'autorizzazione espressa. Da quanto previsto, giusta il comma 25 dello stesso art. 1, discende che tale previsione si applica anche alle clausole compromissorie inserite nei contratti pubblici in data anteriore all'entrata in vigore della piu' volte richiamata legge n. 190 del 2012, fatti salvi gli arbitrati nei quali gli incarichi arbitrali siano stati conferiti o per i quali sia intervenuta l'autorizzazione prima di tale data. E ad avviso della Corte costituzionale, nella piu' volte citata sentenza del 2015, tale tipo di effetto si sottrae alle censure sollevate nella precedente ordinanza di rimessione del collegio arbitrale. In termini di diritto intertemporale, conseguentemente, "lo ius superveniens consistente nel divieto di deferire le controversie ad arbitri senza una preventiva e motivata autorizzazione non ha l'effetto di rendere nulle in via retroattiva le clausole compromissorie originariamente inserite nei contratti, bensi' quello di sancirne l'inefficacia per il futuro, in applicazione del principio, espresso dalla costante giurisprudenza di legittimita', secondo il quale la nullita' di un contratto o di una sua singola clausola, prevista da una norma limitativa dell'autonomia contrattuale che sopravvenga nel corso di esecuzione di un rapporto, incide sul rapporto medesimo, non consentendo la produzione di ulteriori effetti, sicche' il contratto o la sua singola clausola si devono ritenere non piu' operanti. Non si pone conseguentemente alcun problema di retroattivita' della norma censurata o di ragionevolezza della supposta deroga all'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale". La Corte, nel giudicare sulla fattispecie, si spinge a qualificare come effetto di una scelta "discrezionale del legislatore" quella di subordinare a una preventiva e motivata autorizzazione amministrativa il deferimento ad arbitri delle controversie derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, non e' manifestamente irragionevole, configurandosi come un mero limite all'autonomia contrattuale, "la cui garanzia costituzionale non e' incompatibile con la predeterminazione di limiti a tutela di interessi generali" (ordinanza n. 11 del 2003). Da qui la conclusione che "Le medesime esigenze di contenimento dei costi delle controversie e di tutela degli interessi pubblici coinvolti valgono anche in questa materia, nella quale a tali esigenze si accompagna la generale finalita' di prevenire l'illegalita' della pubblica amministrazione. Ad essa e' dichiaratamente ispirata la censurata previsione della legge n. 190 del 2012, che non esprime un irragionevole sfavore per il ricorso all'arbitrato, come sostiene il rimettente, ma si limita a subordinare il deferimento delle controversie ad arbitri a una preventiva autorizzazione amministrativa che assicuri la ponderata valutazione degli interessi coinvolti e delle circostanze del caso concreto". 3. Le norme della c.d. Legge Anticorruzione sin qui richiamate, in quanto postulano l'ineludibilita' del provvedimento di autorizzazione motivata della parte pubblica, rendendo irrilevanti evidenti ed uniche manifestazioni di volonta' al conferimento dell'arbitrato, producono effetti lesivi e pertanto debbono ritenersi incostituzionali. Ed infatti non potrebbe approdarsi a diversa conclusione circa il riconoscimento di un vero e proprio 'privilegio' della parte pubblica di porre nel nulla una clausola compromissoria per effetto di una disposizione sopravvenuta, che travolge l'efficacia e la vincolativita' di un patto spontaneamente stipulato tra le parti o a cui, comunque, la parte privata ha dato adesione. In tal guisa, sebbene con riguardo alla questione nuova che si solleva, vanno ribadite le censure gia' prospettate al cospetto di codesta Corte costituzionale con l'ordinanza sulla quale si e' gia' pronunciata, ed alla stregua delle quali deve ritenersi che legislatore ha quindi disatteso il principio della certezza e stabilita' del diritto e dell'ordinamento giuridico, che impone di non introdurre disposizioni che operino retroattivamente su clausole contrattuali esistenti, ledendo principi e diritti di rango costituzionale (nonche' quelli inerenti la liberta' di iniziativa economica e l'autonomia negoziale e di impresa ex art. 41 Cost), peraltro rafforzata dalla circostanza secondo la quale, nel caso di specie, la novella del 2012 conduce dei contratti pubblici imporrebbe di considerare irrilevanti atti e comportamenti processuali adottati dalla p.a. in spregio ai principi di proporzionalita' e parita' delle parti nel processo. Sicche' va condivisa la censura alla stregua della quale il principio dell'irretroattivita' della legge - sopratutto quando determina effetti come quelli descritti nel presente giudizio arbitrale - non consente all'atto normativo nuovo di produrre effetti, oltre che sui rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, anche su quelli sorti anteriormente ed ancora in essere se, in tal modo, si rendono nulli o comunque inefficaci atti giuridici che gia' sono stati legittimamente adottati. Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale (v. Corte Cost. n. 229/1999), l'applicazione retroattiva della norma, che restringa a tal punto diritti costituzionalmente tutelati, puo' essere giustificata solo in ipotesi eccezionali, in quei casi in cui sussistano interessi aventi parimenti rilevanza costituzionale ed a condizione che vi sia un'adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza (cfr., tra le altre, Corte Cost. n. 229/1999). Neanche nella fattispecie in esame si possono ravvisare esigenze che possano ragionevolmente giustificare, nell'ottica del bilanciamento, la decisione del legislatore di privare di efficacia, in via retroattiva, le clausole compromissorie. Infatti, se da un lato la facolta' delle parti di stipulare un patto negoziale per adire il giudice arbitrale per le future controversie e' riconosciuta e tutelata dagli artt. 24, 41 e 1o8 Cost., dall'altro lato la decisione del legislatore di estendere l'obbligo di autorizzazione motivata all'arbitrato ai rapporti scaturiti da clausole compromissorie antecedenti alla legge n. 190/2012 non risulta giustificata da un contrapposto interesse di rilevanza costituzionale di pari peso. La previsione dell'autorizzazione come disciplinata dalla legge n. 190/2012 rimessa alla parte pubblica, senza contemplare la rilevanza di atti e comportamenti adottati nel corso del giudizio arbitrale ed aventi analoga portata, appare incompatibile con la tutela di un istituto tutelato a livello europeo e costituzionale, qual e' l'arbitrato, giusta gli artt. 24, 41, 108 e 111 Cost. La previsione normativa di un obbligo inderogabile di autorizzazione come quello descritto non risulta conforme agli artt. 3, 24, 25, 41 e Cost. anche sotto altro profilo. Esso determina, infatti, una lesione dell'affidamento da parte di coloro che abbiano volontariamente e consapevolmente stipulato le suddette clausole contrattuali, senza poter prevedere che sarebbero scaturite conseguenze negative sul piano dell'accesso alla giustizia, con cio' affievolendo irragionevolmente la certezza nella stabilita' del diritto e dell'ordinamento giuridico. Come pure dei privati che, nonostante la presenza di tale obbligo, abbiano coltivato l'arbitrato anche indotti dall'adozione di atti e comportamenti univoci della p.a. In tali ipotesi, infatti, il giudice naturale ex art. 25 Cost. risulta gia' individuato, seppur in via negoziale, con la clausola compromissoria, per effetto dell'esercizio dell'autonomia privata delle parti ex art, 41 Cost. e rendendo comunque piu' difficoltoso l'accesso alla giurisdizione arbitrale, in violazione degli artt. 24, 25 e 111 Cost. Parimenti l'art. 1, comma 19, legge n. 190/2012, che modifica l'art. 241, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006 e s.m.i., risulta di dubbia costituzionalita' avuto riguardo agli artt. 3, 24, 25, 41, 102, 111 Cost. sotto ulteriori profili. In primo luogo emerge con gli artt. 3 e 111 della Cost., nella parte in cui sanciscono i principi di parita' delle parti nel processo, l'economicita' dei mezzi processuali, la garanzia della tutela giurisdizionale. Ebbene tale parita' verrebbe vulnerata, ben oltre le stesse statuizioni di codesta Corte, laddove fossero considerati tamquam non esset rilevanti manifestazioni di volonta' processuale dell'amministrazione pubblica parte del giudizio, con grave pregiudizio dell'integrita' dell'istituto arbitrale. Analoga sorte subirebbe poi il principio di economica processuale, poiche' seguendo un'interpretazione letterale della previsione sulla tassativita' dell'autorizzazione motivata dovrebbero porsi nel nulla molteplici atti processuali utili alla risoluzione della controversia per la quale le parti hanno acceduto volontariamente all'arbitrato. Appare quindi incompatibile con il delineato quadro di riferimento incentrato sulla parita' delle armi nel processo il riconoscimento di un vero e proprio privilegio processuale per la Pubblica Amministrazione vincolato a soli profili formali (l'ineludibilita' dell'autorizzazione motivata). In guisa da favorire solo una parte della controversia, realizzando un ingiustificato sbilanciamento a favore della parte pubblica, in senso analogo a quello sbilanciamento gia' censurato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2013 (con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220). Come gia' segnalato, il Giudice delle leggi ha affermato con la sentenza n. 376 del 2001, che l'arbitrato costituisce procedimento comunque assoggettato alle garanzie di contraddittorio e di imparzialita' tipiche della giurisdizione civile ordinaria, sicche' proprio sulla base di tale principio e' stato riconosciuto ai collegi arbitrali il potere di sollevare le questioni di legittimita' costituzionale degli atti normativi. Ne' d'altronde possono revocarsi dubbi sulla natura giurisdizionale dell'arbitrato, considerata la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione (cfr. di recente anche Cass. SS.UU. n. 24153/2013). Ancor piu' marcato, nella nuova prospettazione che della questione postula questo Collegio, appare poi il contrasto con l'art. 3 Cost. avuto riguardo all'ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alla disciplina degli arbitrati risultante dal c.p.c., rispetto ad un'interpretazione della richiamata norma di cui all'art. 241 del d.lgs. n. 163 del 2006 e s.m.i. che ritenga di accedere ad un approccio formale all'autorizzazione motivata all'arbitrato. 4. Sulla questione giova, altresi', richiamare la statuizione del giudice amministrativo che con riguardo al concetto di "arbitrato autorizzato", di cui all'art. 1, comma 25, della legge n. 190 del 2012, ha osservato che esso non puo' essere in tutto assimilabile al concetto di autorizzazione di cui al precedente comma 19 in quanto la previsione da ultimo richiamata varrebbe "soltanto per i contratti stipulati successivamente al 28 novembre 2012". Con la conseguenza che la previsione di cui al comma 25 riguarderebbe invece il regime delle clausole compromissorie inserite nei contratti di appalto stipulati prima dell'entrata in vigore della legge n. 190 del 2012 ma il significato dell'autorizzazione ieri richiamata non potrebbe "essere direttamente ricavata dal regime contenuto nel precedente comma 18 che richiede, in effetti, un assenso espresso per poter attivare la clausola arbitrale" (TAR Lazio, III, 10 febbraio 2015, n. 2423). In tal guisa l'autorizzazione prescritta dal comma 25 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2012 - a tenore della richiamata pronuncia del giudice amministrativo - andrebbe riferita anche a tutte quelle ipotesi in cui la stazione appaltante ha comunque mantenuto "comportamenti inequivoci idonei a far emergere la volonta' di attivare la clausola arbitrale contenuta nel contratto di appalto di che trattasi, anche prescindendo da una manifestazione espressa in tal senso". Ed in questo senso militerebbe, altresi', quanto previsto dall'art. 808 quinquies del c.p.c. alla stregua del quale "la conclusione del procedimento arbitrale senza pronuncia sul merito, non toglie efficacia alla convenzione d'arbitrato" e dal che puo' ricavarsi che la procedura arbitrale non si estingue fino a quando non vi sia una pronuncia sul merito della controversia e che, pertanto, "esiste un collegamento che parte dalla prima attivazione della clausola compromissoria fino alla conclusione della procedura arbitrale con l'adozione di un lodo che definisca il merito del contenzioso insorto tra le parti". Cio' posto, emergerebbe quindi, con nitore, che il consenso prestato dall'Amministrazione all'attivazione della clausola arbitrale espresso con atti concludenti "possa rientrare nel concetto di "arbitrato autorizzato" contenuta nell'art. 1, comma 25, della legge n. 190 del 2012" in guisa da non far ricadere la clausola compromissoria nel regime di inefficacia sopravvenuta di cui alla normativa piu' volte richiamata. In conclusione, il Collegio arbitrale, se si trova di fronte al chiaro pronunciamento della Corte costituzionale che, secondo il canone ermeneutico prescelto, impone di applicare la prescrizione circa la necessita' della preventiva autorizzazione motivata all'arbitrato, non puo' esimersi dal rilevare che la richiamata disposizione della legge n. 190 del 2012 risulta non conforme ai principi in precedenza declinati laddove non assimila all'autorizzazione, comportamenti concludenti ed atti formali, peraltro reiterati come nel presente giudizio, che consentano di rilevare la conclamata ed incontroversa volonta' della parte pubblica di coltivare l'arbitrato. Con la conseguenza di trasformare, in palese contrasto con il principio di effettivita', l'autorizzazione non nella forma di estrinsecazione dell'intendimento consapevole della p.a. di ricorrere all'arbitrato (e come tale individuabile anche in altri epifenomeni che tale volonta' possano far rilevare), ma in uno stretto vincolo formale la cui inosservanza puo' essere utilizzata in ogni momento per rendere inefficace l'attivita' svolta dal collegio arbitrale e dalla stessa parte pubblica che l'arbitrato ha coltivato. Per di piu', in una fase di prima applicazione della norma ed in pendenza di una questione di legittimita' costituzionale sulla disposizione normativa in esame, solo da qualche giorno risolta con sentenza di codesta Corte. Se come precisato da codesta Corte costituzionale nella sentenza da ultimo richiamata in materia di arbitrato, va rilevata una scelta discrezionale del legislatore che ha deciso di subordinare ad una preventiva e motivata autorizzazione amministrativa il deferimento ad arbitri delle controversie derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, non configurandosi, in tal senso, alcuna manifesta irragionevolezza, ma un «mero limite all'autonomia contrattuale, la cui garanzia costituzionale non e' incompatibile con la prefissione di limiti a tutela di interessi generali (ordinanza n. 11 del 2003)». Non puo' tuttavia revocarsi in dubbio che tale scelta risulta non conforme ai declinati principi costituzionali laddove non considera l'intervenuta adozione di atti e comportamenti che, univocamente e reiteratamente, confermino il chiaro ed univoco intendimento dell'amministrazione appaltante di coltivare l'arbitrato incardinato. 5. Questo Collegio ritiene che qualora non si tenga conto di cio', e dunque venisse dichiarata l'inefficacia della clausola arbitrale, dovrebbe riscontrarsi non "un mero limite all'autonomia contrattuale" ma una vera e propria vulnerazione della stessa incompatibile con l'ordinamento costituzionale. La norma censurata appare, sotto ulteriore profilo, di dubbia costituzionalita' in quanto determinerebbe un assetto in contrasto con gli artt. 3, e 111 della Cost., nella parte in cui sanciscono i principi di uguaglianza e di parita' delle parti nel processo e con l'art. 24 Cost. che garantisce il diritto di difesa come necessita' che le parti, tra le quali e' sorta la controversia e che si sono rivolte al giudice per ottenere la decisione sulla medesima, possano esercitare pienamente le proprie ragioni. Non si puo' non affermare che l'autonomia negoziale di cui gode la P.A. e' pur sempre limitata e funzionale, poiche' deve svolgersi nel rispetto dei principi costituzionali di legalita', d'imparzialita' e di tutela del terzo, che devono essere perseguiti nell'osservanza di criteri imperativi e continuativi, in assenza di discriminazioni e di limitazioni del diritto di azione dei terzi a tutela d'interessi legittimi. Ne consegue che lo strumento contrattuale puo' essere usato solamente nel rispetto degli scopi fissati dal legislatore. Tali condizioni vengono meno nel caso di specie. La legge n. 190 del 2012 diretta alla prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione disegna un complesso quadro di misure, dirette a contrastare fenomeni di corruzione e illegalita' sia attraverso una strategia repressiva che di prevenzione dei fenomeni illegali improntando il comportamento a parametri di lealta', di correttezza, di servizio al bene comune che dovrebbe rappresentare l'essenza stessa del pubblico dipendente, cosi' come prescrive la Costituzione, che impone di svolgere le funzione pubbliche con "disciplina e onore» (art. 54, comma 2), con imparzialita' (art. 97) nonche' di essere al servizio esclusivo alla Nazione (art. 98). La Corte, in merito alla ragionevolezza della normativa in esame, ha affermato nella sentenza piu' volte richiamata che "Le medesime esigenze di contenimento dei costi delle controverse e di tutela degli interessi pubblici coinvolti valgono anche in questa materia, nella quale a tali esigenze si accompagna la generale finalita' di prevenire l'illegalita' della pubblica amministrazione. Ad essa e' dichiaratamente ispirata la censurata previsione della legge n. 190 del 2012, che non esprime un irragionevole sfavore per il ricorso all'arbitrato, come sostiene il rimettente, ma si limita a subordinare il deferimento delle controversie ad arbitri a una preventiva autorizzazione amministrativa che assicuri la ponderata valutazione degli interessi coinvolti e delle circostanze del caso concreto". La pubblica amministrazione essendo parte attiva di un procedimento arbitrale, come nel giudizio in questione, ha non solo effettuato - sia implicitamente che esplicitamente, sebbene in forma diversa dall'autorizzazione motivata - la scelta di ricorrere a tale procedura, che dunque e' stata dalla stessa reiteratamente ponderata, ma ha dato seguito ad un iter procedimentale che ha generato una copiosa attivita' processuale e costi. Mentre la stessa parte pubblica non ha mai rilevato la palettata tassativa dell'autorizzazione motivata di che trattasi. Come ha osservato nella precedente ordinanza di rimessione il Collegio arbitrale, la disciplina dell'autorizzazione all'arbitrato determinerebbe orbene un vero e proprio diritto potestativo in merito alla instaurazione ed addirittura alla prosecuzione del giudizio arbitrale favorendo solo una parte della controversia, realizzando uno sbilanciamento a favore della parte pubblica. 6. Sembra infine utile richiamare quanto affermato dall'Autorita' nazionale anticorruzione (ANAC) con la Determinazione n. 6 del 18 dicembre 2013, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 18 del 23 gennaio 2014 - recante "Indicazioni interpretative concernenti le modifiche apportate alla disciplina dell'arbitrato nei contratti pubblici dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione". Nella richiamata determinazione l'Autorita' ha affermato che "rimane irrisolta, tuttavia, una questione di' non poco rilievo, vale a dire quella dell'inclusione nel potere di previa autorizzazione, riconosciuto all'organo di governo, anche del potere di convalidare, motivando espressamente, le clausole arbitrali gia' inserite nei bandi per gli arbitrati non ricadenti nell'ipotesi di cui all'art. 1, comma 25. Sempre secondo l'Autorita' "Nel silenzio della norma, tale aspetto appare particolarmente critico, anche in relazione all'incidenza sull'autonomia negoziale delle parti: se da un lato l'impossibilita' di convalidare le pregresse clausole compromissorie puo' ritenersi conforme alla ratio della novella, intesa a limitare il ricorso all'arbitrato, dall'altro, l'impossibilita' di convalidare le pregresse clausole compromissorie da parte dell'organo di governo si porrebbe in contrasto con il potere espressamente riconosciuto a quest'ultimo di contemplarle pro futuro. Onde evitare un'irragionevole disparita' di trattamento tra i contratti futuri, per i quali e' sempre possibile rendere l'autorizzazione, in conformita' al comma 19 dell'art. 1 della legge n. 190/2012 ed i contratti in corso, in ordine ai quali i relativi bandi di gara rechino clausole arbitrali (pur in assenza dell'autorizzazione alla data di entrata in vigore della legge sopra richiamata), si ritiene ammissibile, anche per quest'ultimi il rilascio di un'autorizzazione a posteriori". Alla stregua della determinazione sin qui richiamata - dunque - per arbitrato autorizzato deve intendersi l'arbitrato per il quale, prima dell'entrata in vigore della legge n. 190/2012, sia intervenuto il consenso dell'ente di appartenenza dell'arbitro, se del caso da parte dell'organo di autogoverno e ritiene possibile rilasciare una autorizzazione a posteriori per convalidare, motivando espressamente, le clausole arbitrali gia' inserite nei bandi per gli arbitrati non ricadenti nell'ipotesi di cui all'art. 1, comma 25. Continua in questo senso a trovare applicazione l'art. 810 c.p.c. con la precisazione che per i casi di clausole arbitrali gia' inserite nei bandi, per gli arbitrati non ricadenti nell'ipotesi di cui all'art. 1, comma 25 (arbitrati non conferiti o non autorizzati alla data di entrata in vigore della legge), e', in ogni caso, possibile e necessaria l'autorizzazione postuma. Sarebbe dunque in contrasto con gli evocati principi costituzionali ai quali va ancorato l'istituto processuale dell'arbitrato non ammettere che tale autorizzazione postuma possa avvenire anche tramite comportamenti concludenti come nel caso in oggetto. 7. In senso analogo a quanto prospettato milita anche la giurisprudenza del giudice di nomofilachia che fornisce utili riferimenti proprio con riguardo all'istituto arbitrale. Sembra utile ricordare che la giurisprudenza di legittimita' in materia di arbitrato internazionale, ad esempio, ha gia', con piu' pronunce, riconosciuto pregnante rilevanza a tali atti e comportamenti. La Cassazione civile sez. un. nella sentenza 13 luglio 2005, n. 14695 ha affermato che la cosiddetta "proroga tacita della giurisdizione" del giudice adito che si realizza, ai sensi dell'art. 18 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 in tema di competenza giurisdizionale ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, quando il convenuto, costituendosi in giudizio, non contesti la giurisdizione del giudice adito, ovvero la sollevi, in proposito, contestazioni meramente aggiuntive rispetto alle altre deduzioni difensive, svolte in merito o in rito, delle quali chieda l'esame e la risoluzione non in via subordinata rispetto alla questione della giurisdizione, ma in via prioritaria. Sempre secondo l'orientamento della Suprema Corte di Cassazione civile sez. un. 25 ottobre 2013 n. 24153 ha affermato che il difetto di giurisdizione nascente dalla presenza di una clausola compromissoria siffatta puo' essere rilevato in qualsiasi stato e grado del processo a condizione che il convenuto non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana, e dunque solo qualora questi, nel suo primo atto difensivo, ne abbia eccepito la carenza. Mentre altra pronuncia del giudice di nomofilachia (Cass. civ. sez. un. 21 ottobre 2009 n. 22236), in tema di deroga alla giurisdizione italiana a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero l'art. 41, n. 218 del 1995, ha attribuito rilevanza, ai fini dell'accettazione della giurisdizione, al comportamento concludente delle parti o idoneo a fare riconoscere la volonta' delle parti. 8. Deve quindi ritenersi che ricorrano i presupposti contemplati dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la rimessione delle questioni di legittimita' costituzionale come sin qui delineate e segnatamente la rilevanza e l'impossibilita' di definire il presente giudizio arbitrale indipendentemente dalla risoluzione delle questioni e la non manifesta infondatezza delle stesse.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 25, legge n. 190/2012,in relazione agli artt. 3, 24, 25, 41, 108, 111 e dell'art. 241, comma 1 decreto legislativo n. 163/2006, come modificato dall'art. 1, comma 19, legge n. 190/2012 in relazione agli artt. 3, 24, 25, 41, 102, 111 Cost. Dispone la notificazione della presente ordinanza alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Dispone la sospensione del giudizio arbitrale e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Cosi' deciso in Palermo nella camera di consiglio del 29 giugno 2015. Prof. Arch. Raffaello Frasca, Presidente Avv. Vito Augusto Candia Prof. Avv. Gaetano Armao Ordinanza depositata il 6 luglio 2015