N. 241 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 marzo 2015

Ordinanza del 23 marzo 2015 della  Corte  d'appello  di  Firenze  nel
procedimento civile promosso da Molinari Massimo contro CONSOB. 
 
Sanzioni amministrative - Sanzioni amministrative emesse dalla CONSOB
  nei confronti di componenti del consiglio  di  amministrazione  del
  Monte dei  Paschi  di  Siena  -  Prevista  opposizione  alla  Corte
  d'appello  in  camera  di  consiglio  -  Violazione   di   obblighi
  internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, comma 7. 
- Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all'art. 6  della
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali. 
(GU n.46 del 18-11-2015 )
 
                        CORTE APPELLO FIRENZE 
 
    La Corte d'appello di Firenze, sezione  I  civile,  composta  dai
magistrati: 
    dott. Pietro Mascagni, presidente rel.; 
    dott. Nicola Antonio Dinisi, consigliere; 
    dott. Adone Orsucci, consigliere, 
ha pronunziato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    Nel procedimento iscritto sub n. 339/2014, promosso  da  Molinari
Massimo (avvocati F. Carbonetti, R. Della Vecchia, E. Marrocco  e  N.
Pabis Ticci); 
    Contro Commissione nazionale per le societa' e la borsa (avvocati
S. Providenti, M.L. Ermetes e A. Palombella); 
    E  con  intervento  del  P.G.  la  Corte  letti  gli   atti   del
procedimento, 
 
                        Osserva quanto segue: 
 
    La Commissione nazionale per le societa' e  la  borsa  (d'ora  in
avanti, anche solo Consob) con delibera n. 18856  in  data  9  aprile
2014 ha applicato a Molinari Massimo (unitamente ad  altri  esponenti
della Banca  Monte  dei  Paschi  di  Siena  variamente  sanzionati  -
obbligata in solido la Banca Monte dei Paschi  di  Siena  s.p.a.)  la
sanzione pecuniaria amministrativa di € 3.000,00  per  la  violazione
(ascrittagli quale componente del Comitato finanza nel periodo dal 13
gennaio 2011 al 28 maggio 2012) «... con riferimento  alle  modalita'
di pricing dei prodotti emessi dal  gruppo,  del  combinato  disposto
dell'art.  21,  comma  1,  lettera  a),  del  TUF,  che  impone  agli
intermediari di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza,
per servire al meglio l'interesse dei clienti, dell'art. 21, comma 1,
lettera d),  del  TUF  e  dell'art.  15,  comma  1,  del  regolamento
congiunto Banca d'Italia/Consob del 29 ottobre  2007,  che  impongono
agli intermediari di dotarsi di procedure, anche di controllo interno
idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento  dei  servizi  e  delle
attivita'  (periodo  della  violazione  13  gennaio  2011-30  ottobre
2012)». 
    Avverso tale delibera ha proposto opposizione a questa Corte,  ex
art. 195, comma  4  del  decreto  legislativo  n.  58/1998,  Molinari
Massimo, deducendo, oltre a motivi di  merito,  motivi  attinenti  ai
connotati del procedimento sanzionatorio dinanzi alla Consob ed  alla
disciplina dell'opposizione dinanzi alla corte d'appello. 
    In  sintesi,   l'opponente   ha   sostenuto   che   la   delibera
sanzionatoria deve ritenersi illegittima per essere stati  violati  i
principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti  istruttori
e della distinzione fra funzioni  istruttorie  e  funzioni  decisorie
posti dall'art. 195, comma 2 del TUF, e quelli  posti  dall'art.  24,
comma 1 della legge n. 262/2005, e cio' in quanto: - la Consob,  allo
scopo della disciplina al suo interno del procedimento sanzionatorio,
aveva adottato le delibere n. 15131 del 5 agosto 2005 e n. 15086  del
21 giugno 2005 (la prima relativa ai termini ed al  responsabile  del
procedimento, e la seconda agli  altri  aspetti  funzionali);  -  per
effetto di quanto sopra gli  interessati  hanno  la  possibilita'  di
presentare deduzioni  all'ufficio  sanzioni  amministrative  (cui  in
precedenza  la  divisione  operativa  ha  trasmesso  gli   atti   del
procedimento  e  le  sue  valutazioni),  e  questo,  considerate   le
valutazioni   della    divisione    operativa    e    le    deduzioni
dell'interessato,  formula  le  sue  conclusioni   in   ordine   alla
sussistenza o meno della violazione ed alla misura della sanzione  da
applicare, conclusioni delle quali  e'  destinataria  la  Commissione
che, in composizione collegiale, deve poi stabilire se  accogliere  o
meno  la  proposta  dell'ufficio  sanzioni  amministrative;  -   tale
procedimento contrasterebbe con il principio del  contraddittorio  in
quanto  nella  fase  finale  del   procedimento   ed   immediatamente
precedente la decisione della Commissione il soggetto interessato non
sarebbe posto in grado di svolgere le  sue  difese;  cio'  in  quanto
l'interessato  non  potrebbe  interloquire  con  la  Commissione  (in
sostanza la Commissione in composizione collegiale non potrebbe  «...
farsi una sua idea della vicenda oggetto della proposta sanzionatoria
e si limita a ratificare l'operato svolto dagli  uffici»  -  cosi'  a
pag. 6 dell'atto di opposizione); - la violazione  del  principio  di
conoscenza  degli  atti  istruttori  deriverebbe  dal  fatto  che  la
proposta dell'ufficio sanzioni amministrative non verrebbe portata  a
conoscenza degli interessati,  nonostante  contenga  sempre  elementi
nuovi quali quelli  attinenti  alla  quantificazione  della  sanzione
amministrativa in relazione ai criteri di cui all'art. 11 della legge
n.  689/1989;  -  sarebbe  esclusa  la   distinzione   tra   funzioni
istruttorie e decisorie in quanto, nonostante vi sia una  distinzione
di ruoli fra gli uffici, non vi sarebbe  una  «concreta  indipendenza
nell'esame  delle  questioni   sottoposte»:   cio'   in   quanto   la
Commissione,   ricevendo   la    proposta    dell'ufficio    sanzioni
amministrative «perde la sua autonomia di giudizio»  in  quanto  alla
proposta    non    si    contrapporrebbe    un'attivita'    difensiva
dell'interessato e la Commissione non avrebbe poteri di  indagine  ed
approfondimento  cosicche',  di  fatto,  l'attivita'  decisoria   che
dovrebbe  essere   demandata   alla   Commissione   sarebbe   rimessa
all'ufficio   sanzioni   amministrative   preposto    ad    attivita'
istruttoria; - elementi a conforto della  tesi  della  illegittimita'
dello specifico procedimento sanzionatorio  dovrebbero  trarsi  dalla
sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in  data  4  marzo
2014 (Grande Stevens/Italia ricorso n. 18640/10)  con  la  quale,  in
relazione al procedimento sanzionatorio di cui  all'art.  187-septies
TUF (eguale a quello di cui art. 195 dello stesso  TUF),  sono  stati
accertati vizi dovuti: a) al  fatto  che  la  relazione  dell'ufficio
sanzioni amministrative  non  viene  comunicata  agli  interessati  i
quali, quindi,  non  possono  difendersi  proprio  sul  documento  in
relazione al quale la Consob  fonda  la  propria  decisione;  b)  gli
interessati  non  hanno  la  possibilita'  di   interrogare   o   far
interrogare le persone ascoltate dagli uffici  della  Consob  durante
l'istruttoria; e)  gli  interessati  non  hanno  la  possibilita'  di
partecipare alla seduta nella quale la  Commissione  in  composizione
collegiale decide sull'applicazione della sanzione; - sempre in  tale
sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e' stato affermata
per la Commissione la sussistenza della  indipendenza  ma  non  anche
dell'imparzialita' in quanto gli uffici preposti all'istruttoria e la
Commissione  «...  non  sono  che  dei  rami  dello   stesso   organo
amministrativo, che agiscono sotto autorita' e la supervisione di uno
stesso Presidente» e cio' comporta «... l'esercizio consecutivo delle
funzioni  di  inchiesta  e  di  decisione  nel  seno  di  una  stessa
istituzione, cio' che e' incompatibile, ad avviso  della  Corte,  con
l'esigenza di imparzialita'». 
    Il procedimento di opposizione dinanzi alla corte d'appello (art.
195, comma 4 del decreto legislativo n. 58/1998)  e'  camerale,  come
reso evidente dall'art. 195, comma 7 del decreto  legislativo  citato
(«La corte d' appello decide sull'opposizione in camera di consiglio,
sentito il pubblico ministero, con decreto motivato»). 
    L'opponente nella sostanza deduce l'illegittimita' della delibera
sanzionatoria  per  carenze  di  contraddittorio  che  si   collocano
all'interno del procedimento Consob, ma non pare corretto valutare le
garanzie di difesa per segmenti del procedimento, prescindendo  dalla
considerazione della fase  eventuale,  a  cognizione  piena,  dinanzi
all'autorita' giudiziaria; al riguardo occorre richiamare i  principi
espressi dalla Corte EDU nella detta sentenza n. 18640  del  4  marzo
2014 resa in un caso in cui si discuteva di sanzioni per illeciti  ex
art. 187-ter TUF dalla Corte stessa qualificate come  sostanzialmente
di natura  penale;  giova  al  riguardo  ricordare  che  giusta  tale
sentenza (cfr. paragrafo 94) «... al fine di stabilire la sussistenza
di una  "accusa  in  materia  penale",  occorre  tener  presenti  tre
criteri: la  qualificazione  giuridica  della  misura  in  causa  nel
diritto nazionale, la natura stessa di quest'ultima, e la natura e il
grado di severita' della  "sanzione"  (Engel  e  altri  contro  Paesi
Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie  A  n.  22).  Questi  criteri  sono
peraltro alternativi e non cumulativi: affinche' si possa parlare  di
"accusa in materia penale" ai sensi dell'art. 6, § 1, e'  sufficiente
che  il  reato  in  causa  sia  di  natura  "penale"  rispetto   alla
Convenzione, o abbia esposto l'interessato a una  sanzione  che,  per
natura e livello di gravita', rientri in linea  generale  nell'ambito
della "materia penale". Cio' non impedisce di adottare  un  approccio
cumulativo se l'analisi separata di ogni  criterio  non  permette  di
arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di  una
"accusa  in  materia  penale"  (Jussila  contro  Finlandia  [GC],  n.
73053/01, § 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs  contro  Lettonia,  n.
65022/01,  §  31,  CEDU  2007-IX  (estratti))»;   parimenti   occorre
richiamare  la  giurisprudenza  della  Corte  cost.  (in  particolare
sentenza n. 104 del 2014) per la quale tutte le misure  di  carattere
punitivo  afflittivo  (ivi  comprese  evidentemente  quelle  che   l'
ordinamento interno qualifica come  sanzioni  amministrative)  devono
essere soggette alla medesima disciplina  della  sanzione  penale  in
senso stretto (principio espresso agli effetti della irretroattivita'
delle disposizioni che introducono sanzioni amministrative). 
    Premesso che non e' incompatibile con la Convenzione affidare  la
repressione di violazioni ad una autorita' amministrativa quale e' la
Consob (paragrafo 138 sentenza Corte EDU del 4 marzo 2014  cit.),  il
rispetto   della   Convenzione,   a   prescindere   da   carenze   di
contraddittorio che possano essersi verificate  in  alcune  fasi  del
procedimento, viene assicurato dalla possibilita' di ricorrere ad  un
giudice dotato di giurisdizione piena quale e' la corte d'appello; la
conclusione cui e' giunta la Corte EDU e' stata,  quindi,  nel  senso
che «... il procedimento dinanzi alla Consob non soddisfacesse  tutte
le esigenze dell'art. 6 della  Convenzione,  soprattutto  per  quanto
riguarda la parita' delle armi tra  accusa  e  difesa  e  il  mancato
svolgimento di una udienza  pubblica  che  permettesse  un  confronto
orale»; nonostante quanto precede la Corte ha escluso una  automatica
violazione dell'art. 6 della Convenzione proprio in  quanto:  1)  non
era contrario alla Convenzione che le sanzioni, giusta  la  normativa
interna, fossero inflitte da un'autorita' amministrativa quale e'  la
Consob;  2)  occorreva  che  i  soggetti  destinatari   passivi   dei
provvedimenti  sanzionatori  potessero  impugnarli  dinanzi   ad   un
tribunale in grado di dare una decisione  nel  rispetto  dell'art.  6
della Convenzione; 3) cio' era avvenuto nella fattispecie  in  quanto
gli interessati si erano avvalsi della possibilita' di  impugnare  le
sanzioni inflitte dinanzi alla corte d'appello di Torino; il problema
secondo la Corte EDU atteneva allo stabilire se tale Corte  d'appello
fosse «organo dotato di  piena  giurisdizione»  ai  sensi  della  sua
giurisprudenza (questione risolta in senso affermativo), e se udienza
svolta dinanzi a tale giudice fosse stata  pubblica;  e'  proprio  in
riferimento alla assenza di udienza pubblica  che  la  Corte  EDU  e'
giunta alla conclusione della  violazione  della  Convenzione  («161.
Alla luce di quanto esposto,  la  Corte  ritiene  che,  anche  se  il
procedimento dinanzi alla Consob non ha soddisfatto  le  esigenze  di
equita' e di imparzialita' oggettiva dell'art. 6 della Convenzione, i
ricorrenti hanno beneficiato del successivo controllo da parte di  un
organo indipendente e imparziale dotato di  piena  giurisdizione,  in
questo caso la corte d'appello di Torino. Tuttavia, quest'ultima  non
ha tenuto un'udienza pubblica, fatto che,  nel  caso  di  specie,  ha
costituito una violazione dell'art. 6, § 1 della  Convenzione.»);  la
pubblicita' dell'udienza, nell'assunto espresso dalla  Corte  EDU  in
tale decisione, ha,  quindi,  assunto  una  funzione  centrale  e  di
necessaria chiusura del sistema delle garanzie. 
    Per altro la  giurisprudenza  della  Corte  EDU  in  ordine  alla
imprescindibilita' della udienza pubblica agli effetti  del  rispetto
dell'art. 6, § 1 della Convenzione non esprime un principio  assoluto
valido per tutti i casi; ad es. nella sentenza in  data  23  novembre
2006 nel caso Jussila  contro  Finlandia  la  Corte  EDU,  dopo  aver
ribadito che tenere un'udienza pubblica e' un principio  fondamentale
posto dall'art. 6 della  Convenzione  e  che  tale  principio  e'  di
particolare importanza nella materia penale, ha  osservato  che  «...
l'obbligo di tenere un'udienza pubblica non e' assoluto. L'art. 6 non
esige necessariamente di tenere udienza in tutti i procedimenti. Cio'
vale, in particolare, per i  casi  che  non  sollevano  questione  di
credibilita'  o  che  non  scatenano  controversia  sui   fatti   che
necessitano di  una  udienza  e  per  i  quali  i  tribunali  possono
pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle  conclusioni
presentate dalle parti e di altri  elementi.  Inoltre,  la  Corte  ha
riconosciuto che le  autorita'  nazionali  possono  tener  conto  dei
problemi di efficienza ed economicita', ritenendo, per  esempio,  che
l'organizzazione  sistematica  di  dibattiti  possa   costituire   un
ostacolo alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza
sociale ed,  in  definitiva,  impedire  il  rispetto  di  un  termine
ragionevole ai sensi dell'art. 6, § 1 ...»; ancora in  tale  sentenza
e' stato osservato che «... in un procedimento  di  prima  ed  ultima
istanza, l'udienza deve essere tenuta, salvo circostanze  eccezionali
che giustifichino di farne a meno  l'esistenza  di  tali  circostanze
dipende in gran parte dalla natura dei problemi di  cui  i  tribunali
sono investiti, e non dalla frequenza dei casi in cui  si  presentano
...». 
    La sanzione inflitta all'opponente Molinari Massimo  deve  essere
qualificata di natura lato  sensu  penale,  nonostante  l'ordinamento
interno la qualifichi formalmente come  sanzione  amministrativa,  in
quanto sono vincolanti  l'interpretazione  data  dalla  Corte  EDU  e
l'indicazione da essa fornita  dei  criteri  in  relazione  ai  quali
vagliare  effettiva  natura  di  una  sanzione;   chiarito   che   la
qualificazione data dall'ordinamento interno  non  e'  dirimente,  in
quanto occorre verificare se una sanzione sia di natura «penale» agli
effetti  della  applicazione  della   Convenzione,   non   puo'   non
considerarsi  la  particolare  gravita'  afflittiva  della   sanzione
pecuniaria prevista dall'art. 190 del decreto legislativo n. 58/1998,
per la violazione  dell'art.  21  dello  stesso  decreto  legislativo
(infrazione contestata all'opponente Molinari), in un  importo  da  €
2.500,00 ad € 250.000,00; al  riguardo  occorre  precisare  che  deve
aversi riguardo, agli effetti  che  qui  interessano,  alla  sanzione
edittale e non a quella in concreto irrogata in  quanto,  ovviamente,
l'individuazione  della  natura  della   sanzione   prescinde   dalle
circostanze che ne determinano la modulazione fra  il  minimo  ed  il
massimo; convince ulteriormente della detta natura lato sensu  penale
l'esclusione, disposta  dall'art.  190  del  decreto  legislativo  n.
58/1998 dell'applicabilita' dell'art.  16  della  legge  n.  689/1981
(pagamento in misura ridotta ), e soprattutto il regime pubblicitario
proprio delle sanzioni Consob;  al  riguardo  occorre  ricordare  che
giusta l'art. 195, comma 3 del decreto  legislativo  n.  58/1998  «Il
provvedimento  di  applicazione  delle  sanzioni  e'  pubblicato  per
estratto nel bollettino della Banca d'Italia o della Consob. La Banca
d'Italia o la Consob, tenuto conto della natura  della  violazione  e
degli interessi coinvolti, possono stabilire modalita' ulteriori  per
dare pubblicita' al provvedimento, ponendo le relative spese a carico
dell'autore della violazione, ovvero  escludere  la  pubblicita'  del
provvedimento, quando la stessa possa mettere gravemente a rischio  i
mercati finanziari o arrecare un danno sproporzionato alle parti»: la
previsione di pubblicita' (nel caso in esame e' stata  confermata  la
pubblicita' normalmente prevista per estratto  nel  bollettino  della
Consob), estensibile a  forme  ulteriori  (quali  la  pubblicita'  su
quotidiani), evidenzia ulteriormente il  carattere  afflittivo  della
sanzione, in ragione delle ripercussioni negative  sull'immagine  del
soggetto colpito dal provvedimento sanzionatorio. 
    Le considerazioni che  precedono  evidenziano  una  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  195,  comma  7  del  decreto
legislativo n. 58/1998, norma che potrebbe essere  in  contrasto  con
l'art. 117 Cost. in quanto non conforme all'art. 6 della Convenzione. 
    La questione oltre ad essere  non  manifestamente  infondata,  e'
rilevante in questo giudizio in  quanto,  accertata  la  natura  lato
sensu  penale  della  sanzione  giusta  i   vincolanti   criteri   di
valutazione posti dalla Corte EDU,  dovendo  questa  Corte  d'appello
necessariamente seguire il rito camerale imposto dall'art. 195, comma
7 del decreto legislativo n. 58/1998 (senza  che  sia  possibile  una
diversa  interpretazione,  salvo  una  inammissibile  disapplicazione
della norma, e senza che sia possibile introdurre il correttivo della
pubblicita' dell'udienza che, di per se', renderebbe non camerale  il
procedimento),  ed  essendo  il  rito  camerale,   per   definizione,
caratterizzato dalla assenza di  una  pubblica  udienza,  essendo  il
giudizio di opposizione, secondo la giurisprudenza  della  Corte  EDU
suscettibile di integrare, in presenza di determinate condizioni,  il
sistema di garanzie che deve connotare il procedimento sanzionatorio,
ove un giudizio che si svolge con il rito camerale fosse al  riguardo
inidoneo, la conclusione obbligata sarebbe l'eccepita  illegittimita'
del procedimento sanzionatorio e del provvedimento sanzionatorio  che
lo conclude. 
    Preme rilevare che il sospetto di non conformita' a  Costituzione
(art.  117,  comma  1)  investe  l'art.  195,  comma  7  del  decreto
legislativo n. 58/1998, e non anche le norme del codice di  rito  che
prevedono il rito camerale; la Corte costituzionale in ordine a  tale
rito si e'  gia'  espressa,  ed  occorre  segnatamente  ricordare  la
sentenza n. 543/1989 con la quale e' stato affermato che  secondo  la
costante giurisprudenza  della  Corte  stessa  «...  il  procedimento
camerale non e' di per se' in contrasto con il diritto di difesa,  in
quanto l'esercizio di quest'ultimo e' variamente configurabile  dalla
legge,  in  relazione  alle  peculiari  esigenze  dei  vari  processi
"purche' ne vengano assicurati lo scopo  e  la  funzione",  cioe'  la
garanzia del contraddittorio, in modo che sia escluso  ogni  ostacolo
rifar valere le ragioni delle parti»; nella stessa sentenza e'  stato
osservato che «... L'adozione della  procedura  camerale,  anche  nei
casi  in  cui  si  e'  in  presenza  di  elementi  di   giurisdizione
contenziosa, risponde  dunque  a  criteri  di  politica  legislativa,
inerenti  alla  valutazione   che   il   legislatore   compie   circa
l'opportunita' di adottare determinate forme processuali in relazione
alla natura degli interessi da regolare ed, in  quanto  tale,  sfugge
quindi al sindacato di questa Corte "nei limiti in  cui,  ovviamente,
non si risolve nella violazione di specifici precetti  costituzionali
e non sia viziata da irragionevolezza" (ordinanza n. 748 del  1988  e
sentenza n. 142 del 1970)»; la Corte cost. nella detta sentenza,  non
ha mancato di rilevare che il rito camerale non viola il  diritto  di
prova in quanto «... anche nel rito camerale in appello e'  possibile
acquisire  ogni  specie  di  prova  precostituita  e  procedere  alla
formazione di qualsiasi prova costituenda, purche' il  relativo  modo
di assunzione - comunque non formale nonche' atipico - risulti, da un
lato, sempre compatibile con la natura camerale del procedimento,  e,
dall'altro, non violi il principio  generale  della  idoneita'  degli
atti processuali al raggiungimento del loro scopo ...». 
    La questione pero' non e' quella di stabilire se il rito camerale
assicuri sufficientemente la difesa  od  il  contraddittorio,  bensi'
quella di stabilire se un'opposizione avanti ad un giudice dotato  di
giurisdizione piena ma vincolato al  rito  camerate  possa  integrare
carenze del procedimento sanzionatorio Consob; una risposta  negativa
al  quesito  porrebbe  il  detto  art.  195,  comma  7  del   decreto
legislativo in contrasto con art. 6, § 1 della Convenzione e, quindi,
con l'art. 117 Cost.; il dubbio al  riguardo  non  e'  manifestamente
infondato stante la ricordata giurisprudenza della Corte EDU  laddove
ha segnalato la particolare importanza dell'udienza  pubblica  quando
si discute di sanzioni penali; certo, come si e' detto, il  principio
della pubblicita' dell'udienza  non  e'  stato  espresso  in  termini
assoluti,  e  la  necessita'  o  meno  di  una  pubblica  udienza  va
ricostruita in relazione alla natura della questione controversa,  ma
tale operazione si risolve nel giudizio di conformita' all'art.  117,
comma 1 Cost. della detta norma, conformita' sulla quale questa Corte
non puo' non esprimere un  dubbio  sulla  base  della  giurisprudenza
della Corte EDU (analoga  questione,  per  altro,  risulta  sollevata
recentemente dalla  Corte  d'appello  di  Genova;  con  ordinanza  10
dicembre 2014-8 gennaio 2015). 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte, visto l'art. 23 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,
dichiara non manifestamente infondata la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 195, comma  7  del  decreto  legislativo  24
febbraio 1998, n. 58,  in  relazione  all'art.  117,  comma  1  della
Costituzione; dispone l'immediata trasmissione degli atti alla  Corte
costituzionale e sospende il presente giudizio;  ordina  che  a  cura
della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti  in
causa ed al pubblico ministero, nonche' al Presidente  del  Consiglio
dei ministri; dispone altresi' che l'ordinanza venga comunicata anche
ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in Firenze in camera  di  consiglio  il  15  gennaio
2015. 
 
                       Il presidente: Mascagni