N. 237 SENTENZA 21 ottobre - 19 novembre 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Patrocinio a spese dello  Stato  -  Condizioni  per  l'ammissione  al
  patrocinio - Incremento, per il solo processo  penale,  del  limite
  reddituale nel caso di coniugi e familiari conviventi. 
- Decreto legislativo 30 maggio  2002,  n.  113  (Testo  unico  delle
  disposizioni legislative in materia di spese di giustizia  -  Testo
  B), artt. 76, comma 2,  e  92,  come  riprodotti  nel  decreto  del
  Presidente della Repubblica 30 maggio 2002,  n.  115  (Testo  unico
  delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di  spese
  di giustizia - Testo A). 
-   
(GU n.47 del 25-11-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 76, comma
2, e 92 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113  (Testo  unico
delle disposizioni legislative in materia di  spese  di  giustizia  -
Testo B), come riprodotti nel decreto del Presidente della Repubblica
30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative  e
regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo  A),  promosso
dal Tribunale regionale di giustizia  amministrativa  di  Trento  nel
procedimento vertente tra H.B. e la Comunita' della  Vallagarina  con
ordinanza del 6 novembre  2014,  iscritta  al  n.  257  del  registro
ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21 ottobre  2015  il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 6 novembre 2014, il Tribunale regionale  di
giustizia amministrativa di Trento solleva, in riferimento agli artt.
3, primo comma, 24, primo e terzo comma, e 113,  primo  comma,  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale del  combinato
disposto degli artt. 76, comma 2, e 92  del  decreto  legislativo  30
maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle  disposizioni  legislative  in
materia di spese di giustizia - Testo B), «riprodotti» nel d.P.R.  30
maggio 2002, n. 115 (Testo unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A). 
    Premette il giudice rimettente  di  essere  stato  investito  del
ricorso proposto da un cittadino straniero avverso la  determinazione
con  la  quale  l'ente  territorialmente  competente  in  materia  di
edilizia abitativa aveva disposto  l'esclusione  del  medesimo  dalla
graduatoria  per  l'assegnazione   di   alloggio   pubblico,   avendo
l'interessato rinunciato alla locazione dell'appartamento  offertogli
in assegnazione, per ritenerne disagevole l'ubicazione. 
    All'atto della proposizione  del  ricorso,  il  ricorrente  aveva
anche presentato richiesta di ammissione al patrocinio a spese  dello
Stato a norma del predetto d.P.R. n. 115 del 2002, ma la  Commissione
istituita  ai  sensi  dell'art.  14  dell'Allegato  2   del   decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44  della
legge 18 giugno 2009,  n.  69,  recante  delega  al  governo  per  il
riordino  del  processo  amministrativo)  «per  deliberare   in   via
provvisoria ed anticipata su tali richieste» aveva respinto l'istanza
per mancanza del requisito del reddito. La  domanda  veniva,  dunque,
riproposta al Tribunale amministrativo  rimettente,  il  quale,  dopo
ampia disamina del requisito della non manifesta  infondatezza  della
richiesta di annullamento posta a base del ricorso, pur dichiarandosi
«consapevole  che  l'interpretazione  proposta  dal   ricorrente   e'
d'incerta sostenibilita'»,  reputava  che  le  censure  proposte  non
fossero   manifestamente   infondate,    e    cioe'    non    fossero
«inconciliabili, gia' ad un primo sommario  esame,  con  fondamentali
principi  dell'ordinamento  giuridico,   regole   esegetiche   e   di
esperienza comunemente acquisite, o con la documentazione  depositata
in giudizio». 
    Quanto, invece, al richiesto requisito  reddituale,  il  relativo
presupposto difetterebbe nel caso  di  specie.  Stabilisce,  infatti,
l'art. 76, comma 2, del d.P.R. n. 115  del  2002  che,  salvo  quanto
previsto dall'art. 92, ove l'istante conviva con  il  coniuge  o  con
altri familiari, il reddito degli stessi si  cumula  con  quello  del
richiedente; a sua volta, pero', il richiamato art.  92  -  il  quale
trova  collocazione  nel  titolo  relativo  alle   disposizioni   del
patrocinio a spese dello Stato nel processo penale - stabilisce  che,
ove l'interessato conviva con il coniuge o con  altri  familiari,  il
limite di reddito per essere ammessi al beneficio  viene  elevato  di
euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi. 
    Alla stregua di tali disposizioni,  la  domanda  del  ricorrente,
tenuto  conto  della  sua  situazione  familiare,  andrebbe,  dunque,
respinta, dal momento che il reddito del richiedente supera la soglia
prevista dal comma 1 dell'art. 76 e non puo'  essere  elevata  per  i
familiari conviventi, secondo quanto previsto per  il  solo  processo
penale; nell'ipotesi invece dell'indicata maggiorazione  anche  fuori
dal processo penale, la domanda andrebbe accolta. 
    Osserva il Tribunale rimettente che l'art. 74 del  citato  d.P.R.
differenzia il processo penale dagli altri tipi di giudizio  ma  solo
ai fini, per questi ultimi, della  delibazione  della  non  manifesta
infondatezza della domanda, mantenendo equivalente la  condizione  di
"non abbiente"  per  tutti  i  tipi  di  procedimento.  Il  combinato
disposto degli artt. 76 e 92 romperebbe, invece, l'equilibrio  tra  i
diversi processi, giacche' soltanto per il processo penale il  numero
dei familiari conviventi concorre ad elevare la soglia del reddito ai
fini della ammissibilita' del beneficio. 
    L'introduzione di soglie reddituali differenziate a  seconda  del
tipo   di   processo   sarebbe,   quindi,   priva   di    ragionevole
giustificazione, in quanto «la condizione di non abbienza e' un  dato
economico oggettivo, che e'  stato  stabilito  in  via  generale  dal
legislatore, nella sua discrezionalita', e  viene  poi  adeguato  "in
relazione alla  variazione,  accertata  dall'ISTAT,  dell'indice  dei
prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi
nel biennio precedente" (art. 77 d.lgs. 115/02)». 
    In tal modo, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con
l'art. 24, terzo  comma,  Cost.,  il  quale  fa  riferimento  ad  una
generica condizione di non abbienza senza distinzione tra i  tipi  di
giudizio, e con l'art. 3 Cost., in quanto il rito processuale diverso
non giustifica un diverso trattamento, essendo unica la finalita'  di
tutela giudiziale sancita dall'art. 24, primo comma,  Cost.,  che  in
tal modo verrebbe ad essere frustrata. 
    La disciplina contestata  risulterebbe  anche  irragionevole,  in
quanto non assegnerebbe rilevanza ai conviventi privi di reddito  per
i  processi  diversi  da  quello  penale,  determinando  un'ulteriore
incongruenza  -  peraltro  non  rilevante  nel  giudizio  a   quo   -
rappresentata dal diverso regime stabilito per la  stessa  situazione
risarcitoria, a seconda che venga fatta valere mediante  costituzione
di parte civile nel  processo  penale  ovvero  in  separato  giudizio
civile o amministrativo. 
    2.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   la   quale   ha   chiesto   una   pronuncia   di   manifesta
inammissibilita' e comunque di infondatezza. 
    La questione sarebbe inammissibile  per  carenza  di  motivazione
sulla rilevanza,  mentre  nel  merito  essa  sarebbe  infondata,  dal
momento che il processo  penale  coinvolge  il  bene  prezioso  della
liberta' personale. 
    Trattandosi, poi,  di  provvidenze  che  incidono  sulla  finanza
pubblica, la  relativa  misura  sarebbe  riservata  alle  scelte  del
legislatore, le quali, nella specie,  risulterebbero  rispettose  del
canone della ragionevolezza. 
    In prossimita' dell'udienza, l'Avvocatura generale ha  depositato
una memoria per insistere nelle richieste formulate. 
    Si e', in particolare, osservato come le norme denunciate trovino
un precedente negli artt. 3, comma 2, e 15-ter della legge 30  luglio
1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello  Stato  per  i
non  abbienti)  e  rientrino   nella   piena   discrezionalita'   del
legislatore, non apparendo ne' irragionevoli ne' lesive del principio
di parita' di trattamento. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Nel  corso  di  un  procedimento  promosso  da  un  cittadino
straniero avverso la determinazione con la quale l'ente  territoriale
competente in materia di edilizia abitativa agevolata aveva  disposto
l'esclusione   del    medesimo    dall'apposita    graduatoria    per
l'assegnazione di alloggio pubblico, avendo l'interessato  rinunciato
alla  locazione  dell'appartamento  offertogli  in  assegnazione,  il
Tribunale  regionale  di  giustizia  amministrativa  di   Trento   ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3,  primo  comma,  24,  primo  e
terzo comma, e 113, primo comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale del combinato disposto  degli  artt.  76,
comma 2, e 92 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n.  113  (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia
- Testo B), «riprodotti» nel d.P.R. 30 maggio  2002,  n.  115  (Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  di
spese di giustizia - Testo A), nella parte in  cui  viene  stabilita,
soltanto per il processo penale, la regola in forza della quale,  ove
l'interessato conviva con il coniuge o con altri familiari, i  limiti
di reddito annui per l'ammissione al beneficio sono aumentati di euro
1.032,91. 
    Rileva in proposito il giudice a quo che  lo  stesso  interessato
aveva presentato richiesta di ammissione al patrocinio a spese  dello
Stato all'apposita Commissione, di cui all'art. 14 dell'Allegato 2 al
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104  (Attuazione  dell'articolo
44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al  governo  per
il riordino del processo  amministrativo),  la  quale  richiesta  era
stata respinta per mancanza del  requisito  reddituale:  sicche',  il
ricorrente  aveva  provveduto  a  riproporla  davanti   allo   stesso
Tribunale, «sollevando anche espliciti dubbi sulla  costituzionalita'
della disciplina». 
    Nel delibare, pertanto, la legittimita'  costituzionale  di  tale
disciplina, il Tribunale rileva come il legislatore  abbia  stabilito
che, agli effetti dell'ammissione al beneficio e per tutti i tipi  di
procedimento, concorrono alla determinazione  del  reddito  "limite",
insieme a quello dell'interessato, anche  i  redditi  conseguiti  nel
medesimo periodo da ogni componente della famiglia; e che,  tuttavia,
per il solo processo penale, i limiti di  reddito  «sono  elevati  di
euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi». 
    L'avere  il  legislatore  previsto,  quindi,  limiti  di  reddito
computati secondo meccanismi diversi a seconda del tipo  di  processo
costituirebbe una scelta priva  di  ragionevole  giustificazione,  in
quanto lo status di non abbienza si fonderebbe su una  situazione  di
ordine economico e di natura oggettiva,  stabilita  in  via  generale
dallo stesso legislatore e adeguato in relazione alle variazioni  dei
prezzi. 
    Da cio' scaturirebbe, ad un tempo, la violazione degli artt.  24,
terzo comma, e 3 Cost., in  quanto,  essendo  la  condizione  di  non
abbienza comune a tutti i processi ed  essendo  unica  l'esigenza  di
assicurare il diritto di difesa, la diversita' del  rito  processuale
non  giustificherebbe  il  diverso  regime   che   scaturisce   dalle
disposizioni oggetto di censura. 
    2.- La questione non e' fondata. 
    2.1.- La disciplina del patrocinio a spese dello Stato per i  non
abbienti risulta assoggettata, sin dal  suo  esordio,  ad  un  regime
differenziato a seconda del tipo di controversie cui il beneficio sia
applicabile, con una sorta di summa divisio  tra  processo  penale  e
altri tipi di giudizio. 
    La legge 30 luglio 1990, n. 217  (Istituzione  del  patrocinio  a
spese dello Stato per i non abbienti), istitutiva, per l'appunto, del
patrocinio a spese dello Stato per i  non  abbienti,  venne  emanata,
come e' noto, a ridosso dell'entrata in vigore del  nuovo  codice  di
procedura penale  e  fu  motivata,  essenzialmente,  dall'intento  di
soddisfare le esigenze che da esso scaturivano, in considerazione del
nuovo e tendenzialmente accresciuto impegno difensivo che un  modello
di processo di tipo accusatorio naturalmente presupponeva. 
    La relativa disciplina prevedeva, infatti, il patrocinio a  spese
dello Stato solo in riferimento al processo penale (con l'esclusione,
peraltro, dei procedimenti concernenti le contravvenzioni, oltre  che
quelli  relativi  a  reati  fiscali:  art.  1,  commi  8  e  9).  Nei
procedimenti civili, il beneficio era, invece, previsto solo  per  il
risarcimento  dei  danni  e  le  restituzioni  derivanti  da   reato,
«sempreche' le ragioni del non abbiente risultino non  manifestamente
infondate» (art. 1, comma 2). Lo stesso art. 1, comma  7,  prevedeva,
peraltro, l'applicazione transitoria della  disciplina  di  cui  alla
legge medesima, «fino alla data di entrata in vigore della disciplina
generale  del  patrocinio   dei   non   abbienti   avanti   ad   ogni
giurisdizione»,  segnalando  l'intendimento  di  riordinare  l'intera
materia e, in particolare, di  rivedere  la  normativa  sul  gratuito
patrocinio - di cui, specialmente, al regio decreto 30 dicembre 1923,
n. 3282 (Approvazione del testo di legge sul gratuito patrocinio)  -,
che  continuava  in  via  transitoria  ad  essere  applicata  per   i
procedimenti diversi da quello penale. 
    Il  patrocinio  a  spese  dello  Stato  nei  giudizi  civili   ed
amministrativi fu, poi, introdotto con la legge 29 marzo 2001, n. 134
(Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del
patrocinio a spese dello  Stato  per  i  non  abbienti),  con  talune
significative peculiarita', peraltro sostanzialmente persistenti  sin
dall'esordio della  normativa  di  settore,  introdotta  dal  r.d.  6
dicembre 1865, n. 2627 (col quale e' regolato il gratuito  patrocinio
dei  poveri),  specie  per  cio'   che   attiene   al   "filtro"   di
ammissibilita' del beneficio per le cause diverse da  quelle  penali.
Con la richiamata legge n. 134 del 2001 venne dunque  stabilito  che,
per i giudizi civili e amministrativi (l'espressa estensione anche ai
processi contabile e tributario e' dovuta al d.lgs. n. 113 del  2002,
art. 2),  le  ragioni  del  non  abbiente  dovessero  risultare  "non
manifestamente infondate" (art. 15-bis, comma 1, della l. n. 217  del
1990, introdotto dalla l. n. 134 del 2001): valutazione,  questa,  da
svolgersi, in sede di ammissione anticipata, da parte  del  Consiglio
dell'ordine degli avvocati (art. 15-decies e  art.  15-quater,  comma
3), fermo restando che, in caso di provvedimento reiettivo, l'istanza
potesse essere riproposta - come avviene nel  caso  di  specie  -  al
giudice della causa (art. 15-undecies). 
    Quanto, poi, alle condizioni di  reddito,  si  stabili',  per  il
patrocinio in sede civile ed amministrativa, che il limite di reddito
fosse determinato, in caso di convivenza,  dalla  somma  dei  redditi
conseguiti, nel medesimo  periodo,  da  ogni  componente  del  nucleo
stabilmente convivente (art. 15-ter, comma  2:  salvo  che  la  causa
abbia per oggetto  diritti  della  personalita',  ovvero  quando  gli
interessi del richiedente siano in conflitto con quelli  degli  altri
componenti il nucleo, evenienze per le quali si tiene conto solo  del
reddito dell'interessato); mentre, per il processo  penale,  che,  in
caso di conviventi (salva, anche  qui,  l'ipotesi  del  conflitto  di
interessi), il limite di reddito complessivo venisse aumentato di  un
certo ammontare per ognuno dei familiari conviventi (art. 3, conforme
a quanto previsto dal testo originario della l. n. 217 del 1990). 
    Tale assetto e' rimasto, nella sua articolazione, sostanzialmente
immutato nello svolgersi delle successive vicende normative. 
    2.2.- Il legislatore ha, dunque, sin dall'inizio differenziato il
trattamento  del  patrocinio   dei   non   abbienti,   mostrando   di
privilegiare le  esigenze  di  tutela  connesse  all'esercizio  della
giurisdizione penale. 
    Il che, d'altra parte, e' quanto questa  stessa  Corte  ha  avuto
modo di sottolineare in numerose occasioni, ad esempio  in  relazione
al diverso regime di liquidazione dei compensi agli avvocati, che, in
materia civile, sono ridotti della meta'. 
    A proposito della asserita disparita'  di  trattamento  esistente
fra  avvocati,  si  e',   infatti,   reiteratamente   osservato   che
l'intrinseca diversita' dei modelli del processo civile e  di  quello
penale non consente significative comparazioni fra le  discipline  ad
essi applicabili; e, d'altra parte, che la diversita'  di  disciplina
fra la liquidazione degli onorari e dei compensi nel processo  civile
e  nel  processo  penale  trova  fondamento  nella  diversita'  delle
relative situazioni. 
    Va da se', peraltro, che questa  diversita'  fra  «gli  interessi
civili»  e  le  «situazioni  tutelate   che   sorgono   per   effetto
dell'esercizio   della   azione   penale»   implica   non   gia'   la
determinazione di una improbabile gerarchia di valori fra gli  uni  e
le altre, ma soltanto l'affermazione dell'indubbia loro  distinzione,
tale  da  escludere  una  valida  comparabilita'  fra  istituti   che
concernano ora gli uni ora le altre (in particolare, le ordinanze  n.
270 del 2012; n. 201 del 2006 e n. 350 del 2005). 
    D'altra parte, e' del tutto  evidente  che  le  peculiarita'  che
caratterizzano il processo penale rispetto ai procedimenti  civili  o
amministrativi  -  significative  al  punto  da   aver   indotto   il
legislatore costituzionale a contrassegnare, nell'art. 111 Cost.,  in
termini  di  marcata  specificita'  le  caratteristiche  del  "giusto
processo penale" rispetto a quelle degli altri processi - non possono
non corrispondere ai connotati  che  caratterizzano  l'azione  penale
rispetto alle domande proposte davanti ai giudici dei diritti o degli
interessi;  sicche'  puo'  ritenersi  del  tutto  coerente   che   il
legislatore, proprio in considerazione delle particolari esigenze  di
difesa di chi "subisce" l'azione penale,  abbia  reputato  necessario
approntare un sistema di garanzie che ne  assicurasse  al  meglio  la
effettivita', anche sotto il profilo dei limiti di reddito per  poter
fruire del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti. 
    Contrariamente, pertanto, a  quanto  fa  mostra  di  ritenere  il
giudice  a  quo,  la  finalita'  di  tutela  giurisdizionale  sancita
dall'art. 24, primo comma, Cost., ma, soprattutto, la  necessita'  di
assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti  ad
ogni giurisdizione, prevista dal terzo comma  dello  stesso  art.  24
Cost., non presuppongono affatto che «gli  appositi  istituti»  siano
modellati in termini sovrapponibili per tutti i tipi di azione  e  di
giudizio: potendo, al contrario, apparire sostanzialmente  incoerente
un sistema che - a risorse economiche limitate -  assegni  lo  stesso
tipo di protezione, sul piano economico, all'imputato di un  processo
penale, che vede chiamato in causa il bene della liberta'  personale,
rispetto alle parti  di  una  controversia  che  coinvolga,  o  possa
coinvolgere, beni o interessi di non equiparabile valore. 
    Quanto, infine, alla censura  proposta  in  riferimento  all'art.
113, primo comma, Cost., peraltro in assenza  di  qualsiasi  autonoma
motivazione,  valgono  i  rilievi  svolti  in  ordine  ai  richiamati
parametri. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
del combinato disposto degli artt. 76, comma  2,  e  92  del  decreto
legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative in materia di spese di giustizia - Testo B), «riprodotti»
nel d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia -  Testo
A), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo  e
terzo comma, e 113, primo comma, della  Costituzione,  dal  Tribunale
regionale di giustizia amministrativa di Trento  con  l'ordinanza  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 19 novembre 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI