N. 292 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 luglio 2015

Ordinanza del 15 luglio 2015 del G.U.P. del Tribunale di Palermo  nel
procedimento penale a carico di B.G.. 
 
Mafia  -  Misure  di  prevenzione   -   Omissione   dell'obbligo   di
  comunicazione   di   variazione    patrimoniale    -    Trattamento
  sanzionatorio - Applicabilita' delle sanzioni anche con riferimento
  alle variazioni patrimoniali compiute con atti pubblici  dei  quali
  e'  prevista  la  trascrizione  nei  registri  immobiliari   e   la
  registrazione a fini fiscali. 
- Legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di  misure
  di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alla L. 27
  dicembre 1956, n. 1423, alla L. 10 febbraio 1962, n. 57 e  alla  L.
  31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare
  sul  fenomeno  della  mafia),  art.  31,   primo   comma;   decreto
  legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi  antimafia
  e delle  misure  di  prevenzione,  nonche'  nuove  disposizioni  in
  materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1  e  2
  della legge 13 agosto 2010, n. 136), art. 76, comma 7. 
(GU n.51 del 23-12-2015 )
 
                        TRIBUNALE DI PALERMO 
                  Giudice dell'udienza preliminare  
 
    In persona  del  Giudice  Giuliano  Castiglia;  nel  procedimento
indicato in epigrafe nei confronti di B. G., nato il giorno 8.12.1943
a Palermo ed ivi residente e dichiaratamente domiciliato ex art.  161
c.p.p. in viale Del Fante n.  56,  difeso  di  fiducia  dall'avvocato
Teodoro Caldarone del Foro di Palermo, con  studio  in  Palermo,  via
Giusti n. 21; emette la seguente ordinanza. 
    In data 21.10.2014 il Pubblico Ministero ha depositato  richiesta
di rinvio  a  giudizio  nei  confronti  di  B.  G.  con  la  seguente
imputazione: «reato di cui agli artt. 30, 31 legge n.  646/1982,  per
avere omesso di comunicare, pur essendo stato sottoposto, con decreto
del Tribunale di Palermo - Sezione Misure  di  Prevenzione,  in  data
18.4.2005, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale  di
pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno, confermato con  decreto
della Corte di  appello  di  Palermo,  divenuto  definitivo  in  data
26.2.2009, la seguente variazione  patrimoniale:  cessione,  in  data
29.3.2010, della propria quota di  proprieta',  dell'appezzamento  di
terreno agricolo, con annesso fabbricato rurale, sito nel  territorio
del Comune di Cefalu' (PA), contrada Monte S. Nicola,  ricadente  nel
P.R.G.  vigente  nella  sottozona  Q2   (verde   agricolo)   per   il
corrispettivo complessivo a lui spettante di € 30.000,00. In  Palermo
il 29 aprile 2.010». 
    Nel corso della conseguente  udienza  preliminare  l'imputato  ha
avanzato richiesta di giudizio abbreviato, sicche' questo Ufficio  ha
disposto che il processo proseguisse nelle forme di  cui  agli  artt.
438 e ss. c.p.p.-. 
    Nel corso del giudizio, dopo la discussione e la formulazione  ad
opera delle parti, delle rispettive conclusioni,  e'  stata  compiuta
attivita' istruttoria ai sensi dell'art. 441, comma 5, c.p.p.-. 
    Cio' posto, come emerge dalla sopra  riprodotta  imputazione,  il
Pubblico Ministero  contesta  all'imputato  B.  G.,  sottoposto  alla
misura  di  prevenzione  della  sorveglianza  speciale  di   pubblica
sicurezza con decreto divenuto definitivo in data 26.2.2009, di avere
omesso di comunicare al competente nucleo di  polizia  tributaria  la
vendita della propria quota  di  proprieta'  di  un  appezzamento  di
terreno entro il  termine  di  30  giorni  dal  compimento  di  essa,
avvenuta in data 29.3.2010, e di avere  pertanto  commesso,  in  data
29.4.2010, il delitto previsto dall'art. 31, comma 1, della legge  13
settembre 1982, n. 646. 
    Detta disposizione  punisce  con  la  pena  da  2  a  6  anni  di
reclusione e da 10.329 a 20.658 euro di  multa  «chiunque,  essendovi
tenuto, omette di comunicare entro i termini stabiliti dalla legge le
variazioni patrimoniall  indicate  nell'articolo  precedente»,  ossia
nell'art. 30 della stessa legge 13 settembre 1982, n. 646. 
    Tale ultimo articolo,  a  sua  volta,  prevede  che  «le  persone
condannate con sentenza definitiva  per  taluno  dei  reati  previsti
dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale  ovvero
per il  delitto  di  cui  all'articolo  12-quinquies,  comma  1,  del
decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito,  con  modificazioni,
dalla  legge  7  agosto  1992,  n.  356,  o  gia'   sottoposte,   con
provvedimento definitivo, ad una misura di prevenzione ai sensi della
legge 31 maggio 1965, n. 575, sono  tenute  a  comunicare  per  dieci
anni, ed  entro  trenta  giorni  dal  fatto,  al  nucleo  di  polizia
tributaria  del  luogo  di  dimora  abituale,  tutte  le   variazioni
nell'entita' e nella composizione del patrimonio concernenti elementi
di valore non inferiore ad euro 10.329,14. Entro  il  31  gennaio  di
ciascun anno, i soggetti di cui al periodo precedente  sono  altresi'
tenuti a comunicare le variazioni intervenute  nell'anno  precedente,
quando concernono complessivamente elementi di valore  non  inferiore
ad euro 10.329,14. Sono esclusi i beni destinati  al  soddisfacimento
dei bisogni quotidiani». 
    Non e' contestato ed e'  comunque  ampiamente  documentato  dagli
atti del processo quanto indicato di seguito: 
        B. G. con decreto della  Corte  di  appello  di  Palermo  del
28.11.2007, divenuto definitivo il 26.2.2009 e con il quale e'  stato
confermato il decreto del Tribunale  di  Palermo  del  18.4.2005,  e'
stato  sottoposto  alla  misura  di  prevenzione  della  sorveglianza
speciale (con obbligo di soggiorno) per la durata di anni 3 e mesi 6; 
        in data 29.3.2010, B. G. (a mezzo del suo procuratore B.  S.)
e C. S. comproprietari al 50%  di  un  appezzamento  di  terreno  con
annesso fabbricato rurale sito nel territorio del Comune di  Cefalu',
hanno venduto ad un terzo detto immobile per  il  prezzo  complessivo
di € 60.000,00; 
        di tale vendita non e' stata  data  alcuna  comunicazione  da
parte del B. (o del suo procuratore) al Nucleo di Polizia  Tributaria
di Palermo, al quale la comunicazione  doveva  essere  effettuata  ai
sensi dell'art. 30 della legge 13 settembre 1982, n. 646. 
    Pertanto, alla stregua dei dati appena indicati, non  c'e'  alcun
dubbio sul fatto che B. G. non ha comunicato  al  Nucleo  di  Polizia
Tributaria di Palermo, entro il termine di 30 giorni  previsto  dalla
legge, di avere venduto la propria quota dell'immobile sopra indicato
e, dunque, sul fatto che vi sia stata  l'oggettiva  realizzazione  da
parte di B. G. di una condotta corrispondente  al  reato  previsto  e
punito dall'art. 31 della legge 13 settembre 1982, n. 646. 
    Sennonche', nel caso di specie, la vendita e  avvenuta  con  atto
pubblico rogato in Capo D'Orlando (ME) dal Notaio Domenico  Giardina,
ossia con atto del quale il notaio rogante, pubblico  ufficiale,  era
tenuto entro brevi termini a curare - e risulta avere curato -  tanto
la trascrizione nei registri immobiliari (artt. 2671 cod.  civ.  e  6
del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, recante «Approvazione  del  testo
unico  delle  disposizioni  concernenti  le  imposte   ipotecarie   e
catastali»), quanto la registrazione a fini fiscali (art.  10,  comma
1, lettera b, e 13  del  d.P.R.  26  aprile  1986,  n.  131,  recante
«Approvazione  del  Testo  unico   delle   disposizioni   concernenti
l'imposta di registro»). 
    Proprio  in  relazione  a  tale  profilo  del  fatto,  viene   in
considerazione il dubbio del Tribunale circa  la  piena  legittimita'
costituzionale dell'art. 31 della legge 13 settembre 1982, n.  646  e
dell'art. 76, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre  2011,  n.
159. 
    In  particolare,   il   Tribunale   dubita   della   legittimita'
costituzionale di entrambe le predette disposizioni  nella  parte  in
cui esse si riferiscono anche alle variazioni  patrimoniali  compiute
con atti pubblici dei quali e prevista la trascrizione  nei  registri
immobiliari e la registrazione a fini fiscali. 
    Prima di entrare nel merito della questione,  va  osservato  che,
con l'entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2011,  n.
159,  recante  «Codice  delle  leggi  antimafia  e  delle  misure  di
prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di  documentazione
antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13  agosto  2010,
n. 136», le disposizioni contenute negli artt. 30 e 31 della legge 13
settembre 1982, n. 646, che si  riferiscono  ai  soggetti  sottoposti
alla misura di prevenzione della  sorveglianza  speciale  sono  state
inglobate, rispettivamente, negli artt. 80 e 76, comma 7, del decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Con la conseguenza che,  mentre
gli artt. 30 e 31 della legge 13 settembre 1982, n. 646, riguardano i
soggetti condannati con sentenza definitiva per i reati ivi indicati,
gli artt. 80 e 76, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011,
n. 159, riguardano i soggetti sottoposti alla misura  di  prevenzione
della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. 
    Il fatto per quale si procede e' precedente all'entrata in vigore
del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sicche'  qui  viene
direttamente in considerazione l'art. 31  della  legge  13  settembre
1982, n. 646; tuttavia, stante il carattere prettamente ricognitivo e
di coordinamento dell'anzidetto decreto legislativo e  il  fatto  che
l'art. 76, comma 7, del medesimo decreto replica, con riferimento  ai
sorvegliati speciali, la disposizione  gia'  contenuta  nell'art.  31
della legge 13 settembre 1982, n. 646, il dubbio del Tribunale  sulla
legittimita'   costituzionale   di   quest'ultimo   si    trasferisce
automaticamente sull'analoga disposizione dell'art. 76, comma 7,  del
decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. 
    Cio' posto,  secondo  un  primo  orientamento  giurisprudenziale,
minoritario e ormai superato  nella  giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione, la  fattispecie  incriminatrice  delineata  dall'art.  31
della legge 13 settembre 1982, n. 646, «anche per  l'inserimento  nel
capo 3° della legge 646 del 1982, intitolato "disposizioni fiscali  e
tributarie", appare diretta ad impedire ai soggetti di cui sia  stata
accertata la partecipazione ad associazioni mafiose di  occultare  al
fisco incrementi del proprio patrimonio»  (Cass.  pen.,  Sez.  I,  20
gennaio 2002, n. 10024). 
    Secondo un altro e ormai consolidato  orientamento,  invece,  «il
bene giuridico protetto da tale norma [...] si identifica [...] nella
tutela  dell'ordine  pubblico,  trattandosi  di   norma   diretta   a
consentire l'esercizio di un controllo patrimoniale  piu'  penetrante
da parte della Guardia di Finanza nei confronti di soggetti  ritenuti
particolarmente pericolosi [...] al fine di accertare tempestivamente
se  le  variazioni  patrimoniali  dipendano  dallo   svolgimento   di
attivita' illecite» (Cass. Pen., Sez. I, 22 novembre 2001, n. 45798). 
    In ogni caso, quale che  sia  l'opzione  ermeneutica  concernente
l'interesse tutelato dalla norma, e' pacifico in  giurisprudenza  che
si e' di fronte ad un reato omissivo proprio c.d. «di pura  creazione
legislativa», ossia ad un reato omissivo che si caratterizza  perche'
la situazione di fatto al verificarsi della quale scatta l'obbligo di
agire penalmente sanzionato  e'  in  se'  neutra,  cioe'  inidonea  a
spingere naturalisticamente e/o psicologicamente  l'uomo  normale  ad
agire a prescindere dalla conoscenza  del  precetto  che  tale  agire
impone (cfr., per es., Cass. pen., Sez. II, 21 maggio 2013, n. 25974;
Id., Sez. V, 18 ottobre 2012, n. 792). 
    Nel caso  di  specie  l'obbligo  giuridico  riguarda  i  soggetti
gravati dai precedenti giudiziari (penali o di prevenzione)  indicati
dall'art. 30 della legge 13 settembre 1982, n. 646, e ha  ad  oggetto
la comunicazione delle variazioni patrimoniali che superano un  certo
valore. Viene cioe' imposto ai soggetti gravati da  detti  precedenti
un dovere di comunicazione, la cui  inottemperanza  viene  sanzionata
penalmente, avente ad oggetto  condotte  -  ossia  il  compimento  di
determinati negozi-giuridico patrimoniali - che  in  se'  considerate
non solo non  sono  offensive  di  alcun  bene  ma  che,  anzi,  sono
ordinariamente valorizzate, tutelate e favorite dall'ordinamento. 
    Indubbiamente, siamo di fronte ad una  fattispecie  riconducibile
alla categoria dei reati di sospetto, ossia quei reati consistenti in
comportamenti che, in se'  non  lesivi  ne'  pericolosi,  inducono  a
supporre l'avvenuta commissione o la futura  perpetrazione  di  altri
reati. 
    Nello  specifico,  l'omessa  comunicazione  di   una   variazione
patrimoniale da parte  di  un  soggetto  ritenuto  pericoloso  per  i
precedenti giudiziari ingenera il sospetto che la variazione sottenda
attivita' illecite e, in particolare, reati. 
    La categoria dei reati di sospetto, al pari di quella  dei  reati
ostativi o reati ostacolo, come da tempo  sottolineato  in  dottrina,
presenta numerosi profili di  attrito  con  i  principi  cardine  del
sistema penale contenuti nella Carta fondamentale e, in  particolare,
mal si concilia con  un  diritto  penale  in  cui  l'offesa  al  bene
giuridico  costituisce  elemento  imprescindibile  del  ricorso  alla
sanzione penale. 
    E' naturale, quindi, che le fattispecie riconducibili a  siffatte
categorie   siano   state   oggetto   di   frequenti    denunce    di
incostituzionalita'  e,  conseguentemente,  di  frequenti  interventi
della Corte costituzionale. 
    Esperienza, questa, alla quale non fa eccezione la fattispecie di
cui all'art. 31 della legge 13 settembre 1982, n. 646. 
    Ed invero, da tempo, la giurisprudenza di merito non  ha  mancato
di rilevare le criticita' che  presenta  il  paradigma  punitivo  qui
considerato, facendone oggetto, agli inizi  degli  anni  duemila,  di
ripetute eccezioni  di  incostituzionalita',  sulle  quali  la  Corte
costituzionale si e' pronunciata con le ordinanze n.  442  del  2001,
143 del 2002 e 362 del 2002. 
    La prima di  tali  pronunce  tra  origine  da  due  ordinanze  di
rimessione  nelle  quali  i  giudici   a   quibus   denunciavano   la
disposizione de qua, tra l'altro, per violazione dell'art.  27  della
Costituzione, lamentando «che la sanzione prevista dall'art. 31 della
legge n. 646 del 1982 per il caso  di  inosservanza  dell'obbligo  di
comunicazione  delle  variazioni  patrimoniali»  fosse  «eccessiva  e
sproporzionata»  ed  evidenziando  come  la  previsione  ponesse  «un
obbligo puramente formale» perche', tra l'altro, «i dati  concernenti
le operazioni oggetto di comunicazione» sarebbero stati  «conoscibili
per altra via, essendo acquisti e alienazioni di immobili» - cioe' le
operazioni oggetto di quel procedimento - «realizzati attraverso atti
soggetti a forme legali di pubblicita'»; con la conseguenza  che,  ad
avviso dei predetti giudici,  «l'applicazione  delle  pene  stabilite
dalla disposizione [...] finirebbe per contrastare  -  specificamente
per la "pena minima edittale" e per la sanzione della confisca -  con
il principio di proporzionalita' della pena  e  suo  tramite  con  la
finalita' rieducativa che della pena e' carattere essenziale». 
    Nell'occasione,   la   Corte   costituzionale,   nel   dichiarare
manifestamente  infondate  le  questioni  sollevate  in   riferimento
all'art. 27 della Costituzione,  «quanto  alle  argomentazioni  delle
ordinanze di rinvio concernenti [...] la possibilita' che l'autorita'
ha di conoscere  per  via  diversa  i  dati  ai  quali  si  riferisce
l'obbligo di informazione (attraverso le forme di pubblicita'  legale
alle quali sono generalmente soggette le  operazioni  patrimoniali)»,
osservava  come  il  sistema  fornisse  «elementi  che  conducono  la
giurisprudenza,  alla  stregua  della  ratio  dell'incriminazione   e
attraverso una  lettura  conforme  a  Costituzione,  a  escludere  la
sussistenza dell'elemento soggettivo del reato quando la  pubblicita'
sia  comunque  assicurata  e  dunque  sia  di  per  se'   impossibile
l'occultamento  degli  atti  soggetti  a  comunicazione»;   e   come,
«considerando i correttivi interpretativi sopra accennati  [...],  la
previsione sanzionatoria [...]  costituisce  esercizio,  in  se'  non
arbitrario o  irragionevole,  della  ampia  discrezionalita'  che  al
legislatore e'  da  riconoscersi  quanto  alla  configurazione  degli
illeciti penali e alla determinazione delle relative sanzioni» (Corte
cost., ord. 442/2001). 
    Tali concetti sono stati ribaditi con le  ordinanze  n.  143  del
2002 e n. 362 del 2002. 
    In  particolare,  con  quest'ultima  pronuncia  -  a  fronte  del
denunciato contrasto degli artt. 30 e 31  della  legge  13  settembre
1982, n. 646, con «gli artt. 3, 13, primo comma, 25  e  27,  primo  e
terzo comma, della Costituzione, perche',  sanzionando  una  condotta
puramente omissiva, anche quando l'obbiettivo in funzione  del  quale
il legislatore  ha  posto  l'obbligo  -  obbiettivo  consistente  nel
controllo dei movimenti patrimoniali dei soggetti indiziati di  mafia
-  e'  agevolmente  raggiungibile  per  altra  via,  in   particolare
attraverso accertamenti presso uffici pubblici relativamente ad  atti
soggetti a forme legali di pubblicita', le disposizioni  violerebbero
il  principio  di  ragionevolezza  della  legge  e  il  criterio   di
necessaria proporzione tra il disvalore  del  fatto  e  la  sanzione,
vanificando la finalita' rieducativa della  pena  e  la  personalita'
della responsabilita'  penale,  attraverso  una  previsione  di  mero
sospetto di carattere preventivo - la Corte, richiamando le ordinanze
n. 143 del 2002 e n. 442 del 2001, riteneva  le  questioni  sollevate
manifestamente infondate, osservando come «il rilievo dei giudici  di
merito circa la conoscenza da parte dell'autorita'  delle  operazioni
oggetto dell'obbligo  di  comunicazione,  in  particolare  attraverso
forme di pubblicita'  legale  degli  atti»,  avesse  «condotto  altra
giurisprudenza a escludere in  radice  la  sussistenza  dell'elemento
soggettivo del reato, attraverso un'interpretazione idonea a superare
i dubbi di costituzionalita'» e come, quindi, «anche alla luce  delle
possibilita' interpretative  accennate»  dovesse  «ribadirsi  che  la
scelta  del  legislatore  di   sanzionare   penalmente   la   mancata
comunicazione delle  operazioni  patrimoniali  da  parte  di  persona
soggetta a misura  di  prevenzione  qualificata,  in  un  sistema  di
repressione del fenomeno della  criminalita'  organizzata  fortemente
caratterizzato dall'utilizzo degli strumenti  di  contrasto  di  tipo
patrimoniale», costituisse «esercizio dell'ampia discrezionalita' che
al legislatore medesimo e' da riconoscersi quanto alla configurazione
degli illeciti penali e alla determinazione delle relative sanzioni». 
    E' dunque evidente che, nel valutare manifestamente infondate  le
censure mosse nei  confronti  della  fattispecie  incriminatrice  qui
considerata, un rilievo decisivo  e'  stato  attribuito  dalla  Corte
costituzionale  all'interpretazione   della   disposizione,   sposata
all'epoca  da  una  parte  della  giurisprudenza,  che  escludeva  la
sussistenza  del  reato,  sia  pure  sotto  il  profilo  dell'assenza
dell'elemento soggettivo, per  le  condotte  consistenti  nell'omessa
comunicazione  di  variazioni  patrimoniali  compiute  mediante  atti
soggetti a forme di pubblicita' legale. 
    Sennonche',  nell'evoluzione  giurisprudenziale  successiva  alle
ordinanze  della  Corte  costituzionale   ora   richiamate,   si   e'
consolidato e definitivamente  imposto  l'indirizzo  secondo  cui  il
delitto punito dall'art. 31 della legge 13 settembre 1982, n. 646, e'
configurabile anche quando l'omissione riguardi operazioni effettuate
mediante atti pubblici (v., tra le tante,  Cass.  pen.,  Sez.  V,  18
febbraio 2003, n. 15220; Id., Sez. V, 25  febbraio  2005,  n.  14996;
Id., Sez. II, 5 aprile 2006, n. 14332; Id., Sez. I, 15  giugno  2006,
n. 25862; Id., Sez. I, 25 ottobre 2006, n. 37408;  Id.,  Sez.  V,  18
aprile 2008, n. 36595; Id., Sez. I, 17 febbraio 2009, n.  12433;  Id.
Sez. I, 24 febbraio 2010, n. 10432; Id., Sez. I, 19 maggio  2010,  n.
23213; Id., Sez. V, 21 settembre 2011, n.  40338;  Id.,  Sez.  V,  18
ottobre 2012, n. 792; Id., Sez. Il, 21 maggio 2013, n. 25974). 
    Di contro, l'interpretazione suggerita dal  Giudice  delle  leggi
nelle predette  pronunce,  cui  all'epoca  aderiva  una  parte  della
giurisprudenza di merito e che era stata sposata da alcune  decisioni
della Corte di cassazione dei primi anni duemila (Cass. pen., Sez. I,
20 gennaio 2002, n. 10024; Id., Sez. VI, 5 febbraio 2003, n.  11398),
non ha avuto piu' seguito e risulta oggi definitivamente abbandonata. 
    Si deve prendere atto, dunque,  che  l'art.  31  della  legge  13
settembre 1982, n, 646, secondo il «diritto vivente»,  punisce  anche
le omissioni di  comunicazioni  riguardanti  variazioni  patrimoniali
realizzate  mediante  atti  pubblici  soggetti  a  trascrizione   nei
pubblici registri e a registrazione ai fini fiscali, in contrasto con
le indicazioni provenienti dalla pregressa giurisprudenza della Corte
costituzionale. 
    Inevitabilmente,   quindi,   detta   disposizione   e'    tornata
all'attenzione del  Giudice  delle  leggi,  che  si  e'  recentemente
pronunciato in argomento con la sentenza n. 81 del 2014. 
    Va detto che, con l'ordinanza di rimessione che ha dato impulso a
tale ultimo intervento -  pronunciata  con  riferimento  ad  un  caso
analogo a quello oggetto del presente procedimento, in  cui  l'omessa
comunicazione riguardava  una  compravendita  immobiliare  realizzata
mediante atto pubblico notarile -, pur svolgendo una critica generale
alla disposizione incriminatrice, in particolare nella misura in  cui
essa, prescindendo non soltanto  dalla  illegittima  provenienza  dei
beni ma anche da qualsiasi intento dissimulatore, finisce col  punire
anche chi realizza una violazione meramente formale  dell'obbligo  di
comunicazione e, specificamente, chi  conclude  l'operazione  di  cui
omette la comunicazione al competente nucleo  di  polizia  tributaria
con atto pubblico  notarile,  il  giudice  a  quo  ne  ha  denunciato
l'incostituzionalita'  sotto  il  profilo  della  irragionevolezza  e
sproporzione della pena e della confisca obbligatoria ivi previste. 
    Piu' specificamente, nell'occasione,  il  giudice  rimettente  ha
censurato il carattere  irragionevole  e  sproporzionato  della  pena
della reclusione da due a sei anni e della multa da 10.329  a  20.658
euro nonche' della confisca obbligatoria, comportanti un  trattamento
sanzionatorio complessivamente addirittura  piu'  oneroso  di  quello
previsto per condotte in apparenza ben piu'  gravi,  come  quelle  di
trasferimento fraudolento di valori delineate dall'art.  12-quinquies
del  decreto-legge  8  giugno   1992,   n.   306,   convertito,   con
modificazioni, con la legge 7 agosto 1992, n. 356. 
    Denunciando il contrasto di tale  trattamento  sanzionatorio  con
gli artt. 3, 27 e  42  della  Costituzione,  il  giudice  de  quo  ha
richiesto alla Corte costituzionale un intervento che, operando sulla
pena prevista per il delitto qui considerato  e  sull'obbligatorieta'
della confisca, riconducesse i limiti edittali minimi della pena alla
misura  che  le  previsioni  generali  degli  artt.  23  e  24   c.p.
stabiliscono, rispettivamente, per la reclusione e per la  multa,  ed
escludesse il carattere obbligatorio della confisca. 
    La Corte, nell'esaminare la questione, ha ripercorso le tappe dei
propri precedenti interventi in materia. 
    Cosi',  ha  rilevato  come  «l'ipotesi   risultata   maggiormente
problematica, nell'applicazione della previsione punitiva, e'  quella
in  cui  la  variazione  patrimoniale  non  comunicata  alla  polizia
tributaria derivi da un'operazione soggetta a  forme  di  pubblicita'
legali che ne assicurino la pronta e agevole conoscibilita'»  e  come
il «caso paradigmatico» - che veniva in rilievo nel giudizio a quo  -
«e' quello della compravendita immobiliare  stipulata  mediante  atto
pubblico rogato da notaio [...] del quale il notaio rogante e' tenuto
a curare entro brevi  termini  tanto  la  trascrizione  nei  registri
immobiliari (art. 2671 del  codice  civile,  art.  6  del  d.lgs.  31
ottobre 1990, n. 347, recante «Approvazione  del  testo  unico  delle
disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale»),  quanto
la registrazione a fini fiscali (artt. 10, comma 1, lettera b,  e  13
del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, recante  «Approvazione  del  Testo
unico  delle  disposizioni  concernenti  l'imposta   di   registro»),
comunicandolo,  in   tal   modo,   direttamente   all'amministrazione
finanziaria». 
    Ha poi rilevato come «sul presupposto che, in  simili  frangenti,
l'operativita' della norma incriminatrice in esame  risultasse  priva
di adeguato fondamento razionale  e  tale  da  condurre  a  risultati
iniqui, era emerso in giurisprudenza, all'inizio degli anni 2000,  un
indirizzo interpretativo volto ad escludere la  configurabilita'  del
reato: soluzione che faceva peraltro leva, piu' che sulla carenza  di
tipicita' del fatto connessa ad un  deficit  di  offensivita',  sulla
ritenuta insussistenza dell'elemento soggettivo»; indirizzo il quale,
«muovendo dal rilievo che lo  scopo  dell'incriminazione  -  anche  a
fronte della sua collocazione nel capo III della legge  11.  646  del
1982, recante "Disposizioni fiscali e tributarie" - fosse  quello  di
impedire   l'occultamento   all'amministrazione   finanziaria   degli
incrementi  dei  patrimoni  di  soggetti  collegati  ad  associazioni
mafiose  [...],  deduceva  che  il  dolo  del   delitto   di   omessa
comunicazione delle variazioni patrimoniali non potesse essere, a sua
volta, che un "dolo di occultamento",  logicamente  non  ipotizzabile
quando l'operazione fosse stata  compiuta  con  le  modalita'  dianzi
indicate». 
    Quindi, osservando che «e' in tale quadro interpretativo  che  si
collocano» le sue «precedenti pronunce», la Corte ha ricordato  come,
«chiamata a scrutinare, a piu' riprese,  tanto  la  norma  precettiva
(art. 30 della legge n. 646 del 1982) che quella sanzionatoria  (art.
31), [...]  dichiaro'  le  questioni  manifestamente  infondate,  sul
rilievo che le citate previsioni  normative  costituivano  esercizio,
non   manifestamente   arbitrario   o    irragionevole,    dell'ampia
discrezionalita' spettante al legislatore in tema  di  configurazione
degli illeciti penali e di determinazione delle relative sanzioni:  e
cio', tanto piu' a fronte del fatto che la giurisprudenza dell'epoca,
attraverso una lettura qualificata come  «conforme  a  Costituzione»,
escludeva "la sussistenza dell'elemento soggettivo del  reato  quando
la pubblicita' sia comunque  assicurata  e  dunque  sia  di  per  se'
impossibile l'occultamento degli atti soggetti a comunicazione"». 
    Ha infine rilevato che «negli anni successivi,  tuttavia,  si  e'
consolidato nella giurispridenza di legittimita' un  orientamento  di
segno opposto, in base al quale il delitto in esame e'  configurabile
anche quando l'omessa comunicazione  riguardi  operazioni  effettuate
mediante  atti  pubblici,  soggetti  ad  un  regime  di  pubblicita',
trattandosi di atti  comunque  non  destinati  ad  essere  portati  a
conoscenza del nucleo di polizia tributaria competente ne'  ad  opera
del pubblico ufficiale rogante, ne' di altri». 
    Dopo avere  richiamato  i  propri  precedenti  sulla  fattispecie
incriminatrice qui  considerata,  la  Consulta  ha  rilevato  che  il
«rimettente denuncia come alla stregua di tale  "diritto  vivente"  -
che ingloba nel cono applicativo dell'incriminazione anche fatti che,
secondo  le  indicazioni  delle  pronunce  di  questa  Corte  dinanzi
ricordate,  avrebbero  dovuto  restarvi  estranee  -  il  trattamento
sanzionatorio della fattispecie risulti manifestamente sproporzionato
per eccesso, violando, con cio', gli artt. 3, 27, terzo Comma,  e  42
Cost.». 
    Al riguardo, la Corte, pur rilevando  che  l'intervento  proposto
dal giudice a quo, rimettendo  di  fatto  alla  Consulta  un  compito
riservato  in  via  esclusiva  al  legislatore,   ossia   quello   di
individuare la pena minima del  reato,  fosse  impraticabile  per  il
Giudice delle leggi, e pur pervenendo, quindi, ad  una  pronuncia  di
inammissibilita',  non  ha  pero'  mancato  di  osservare  come   «la
questione sollevata coglie un  indubbio  profilo  di  criticita'  del
paradigma punitivo considerato». 
    Tale «indubbio  profilo  di  criticita'»,  ad  avviso  di  questo
Tribunale, sulla scia di quanto la Corte  costituzionale  aveva  gia'
avuto modo di affermare con le ordinanze n. 442 del 2001, n. 143  del
2002, n. 362 del 2002 e di quanto, da ultimo, la  Corte  ha  ribadito
con  l'appena  richiamata  sentenza  n.  81  del  2014,   e'   quello
concernente  l'estensione  dell'incriminazione  a  condotte  che  non
ledono il bene che la norma si prefigge di proteggere. 
    In altri termini, il nodo della  questione  non  sta  nel  minimo
troppo alto della pena edittale rispetto a quello stabilito da  altre
fattispecie  incriminatrici  ma   nell'incriminazione   di   condotte
inoffensive che, come tali, non dovrebbero essere incriminate. 
    Del resto, se l'aspetto  critico e'  che  il  paradigma  punitivo
ingloba nel cono applicativo  dell'incriminazione  anche  fatti  che,
secondo la stessa Corte  costituzionale,  avrebbero  dovuto  restarvi
estranei, il rimedio non puo' essere rinvenuto in  una  rimodulazione
del trattamento sanzionatorio  minimo  ma  nell'espunzione  dal  cono
predetto di quei comportamenti che devono restare  estranei  rispetto
ad esso. 
    Al riguardo, come si e' detto, in  funzione  dell'interesse  alla
conoscenza  delle  variazioni   patrimoniali   riguardanti   soggetti
considerati, in  ragione  dei  precedenti  giudiziari,  «sospetti»  e
ritenute, in ragione  del  loro  valore,  significative,  il  sistema
impone ai «sospetti» un obbligo  di  comunicazione  delle  variazioni
significative. 
    Orbene, se in generale  l'omessa  comunicazione  delle  anzidette
variazioni puo' essere ritenuta offensiva  dell'interesse  alla  loro
conoscenza,  sicche'  puo'  essere  ritenuto   legittimo   sanzionare
penalmente tale omissione, non e' dato invece cogliere alcuna  offesa
all'interesse in questione  quando  l'omissione  riguarda  variazione
patrimoniali realizzate mediante atti soggetti a pubblicita'. 
    In tali casi non c'e' e non ci puo' essere  offesa  all'interesse
alla conoscenza delle variazioni patrimoniali. 
    Ne'  in  contrario  puo'  valere  il  rilievo  secondo  cui,  sul
presupposto che le norme mirano ad assicurare la conoscenza effettiva
delle  variazioni,  l'adempimento  delle  formalita'  inerenti   alla
trascrizione «garantisce alle Autorita' [soltanto] la possibilita' di
conoscere i  mutamenti  dello  stato  patrimoniale  dell'interessato»
mentre la segnalazione effettuata ai sensi dell'art. 30  della  legge
13 settembre 1982, n, 646,  «assicura  l'effettiva  conoscenza  della
variazione e non la mera conoscibilita' legale» (cfr.,  per  esempio,
Cass. pen., Sez. V, 18 febbraio 2003, n. 15220). 
    Da  un  lato,  infatti,  l'obiezione   non   considera   che   la
«conoscibilita' legale» assicurata  dalla  trascrizione  riguarda  la
generalita' dei consociati mentre, per quanto riguarda le  Autorita',
la trascrizione e (anche) la registrazione determinano la  conoscenza
effettiva del negozio giuridico che ne forma  oggetto,  sicche'  tali
Autorita',   a   seguito   di   detti    adempimenti,    acquisiscono
effettivamente e concretamente notizia delle variazioni patrimoniali. 
    Vero e' che le Autorita' in questione non coincidono  con  quella
specificamente indicata dall'art. 30 della legge 13  settembre  1982,
n. 646, ma - e qui sta il punto decisivo  -  va  considerato  che  il
sacrificio della liberta' personale, diritto essenziale  dello  stato
di diritto, postula una rilevante offesa ad un bene giuridico, offesa
che, come detto, non  ci  puo'  essere  quando,  essendo  l'interesse
protetto quello alla conoscenza di  determinati  fatti,  questi  sono
compiuti mediante forme che si caratterizzano proprio perche' portano
tali fatti a conoscenza delle Autorita'. 
    Alla stessa conclusione si perviene esaminando  la  questione  in
considerazione la natura  di  reato  di  sospetto  della  fattispecie
incriminatrice qui considerata. 
    Nella specie, il sospetto e'  che  l'omessa  comunicazione  della
variazione patrimoniale e, quindi, la volonta' di  non  informare  le
Autorita', sottenda ad  attivita'  illecite  e,  in  particolare,  ad
attivita' costituenti reato. 
    Orbene, allorche' la variazione patrimoniale sia  realizzata  con
atto pubblico, essendovi in tal caso oggettiva incompatibilita' della
variazione con l'ignoranza di essa da parte  delle  Autorita',  prima
ancora  che  soggettiva  incompatibilita'  con  la  volonta'  di  non
informare le Autorita' da parte dell'agente, il sospetto  sull'omessa
comunicazione non alcuna ragion d'essere e, conseguentemente, non  ha
alcuna ragion d'essere l'incriminazione di tale omissione. 
    In  conclusione,  quindi,  il   profilo   di   criticita'   della
fattispecie incriminatrice  prevista  dall'art.  31  della  legge  13
settembre  1982,  n.  646,  va  individuato  nel   fatto   che   tale
disposizione, alla stregua del "diritto vivente", ingloba anche fatti
che, essendo inoffensivi, secondo le stesse  indicazioni  provenienti
dalla Corte costituzionale, non dovrebbero esservi ricompresi. 
    Tali fatti sono costituiti dalle  omissioni  delle  comunicazioni
riguardanti le variazioni patrimoniali compiute con atti pubblici dei
quali e' prevista la  trascrizione  nei  registri  immobiliari  e  la
registrazione a fini fiscali. 
    Nella misura in cui punisce tali fatti, essendo essi  inoffensivi
del  bene  giuridico   individuabile   a   fondamento   della   norma
incriminatrice, detto paradigma punitivo assume  la  connotazione  di
reato d'autore e si pone in contrasto con gli artt. 3, 13,  comma  1,
25, comma 2, e 27, comma 3, della Costituzione. 
    Con l'art. 3  perche',  nei  casi  in  questione,  la  previsione
determina una irragionevole disparita' di trattamento  in  danno  dei
soggetti tenuti alla comunicazione ai sensi dell'art. 30 della  legge
13 settembre 1982, n. 646. 
    Con l'art. 13, comma 1, perche', nei casi in  questione,  prevede
un sacrificio del  bene  fondamentale  della  liberta'  personale  in
assenza di un'offesa ad altro bene giuridico. 
    Con l'art. 25, comma  2,  perche'  la  previsione,  nei  casi  in
questione, configura come reato,  per  coloro  che  sono  gravati  da
determinati precedenti giudiziari, fatti non offensivi di alcun  bene
che per la  generalita'  dei  soggetti  non  solo  non  costituiscono
illecito ma sono anzi tutelati dall'ordinamento, finendo pertanto per
punire la mera disubbidienza, in contrasto con  la  funzione  propria
della pena e con il distinto ruolo di essa rispetto  a  quello  della
misura di sicurezza. 
    Con  l'art.  27,  comma  3,  perche',   essendo   la   percezione
dell'antigiuridicita' del  proprio  comportamento  presupposto  della
rieducazione del condannato, con la punizione di mere  violazioni  di
doveri, non offensive  di  alcun  bene,  come  avviene  nei  casi  in
questione, la  previsione  si  pone  in  contrasto  con  la  funzione
rieducativa della pena. 
    Ad avviso di questo Tribunale, pertanto, s'impone  un  intervento
della   Corte   costituzionale   che,   dichiarandone   la   parziale
incostituzionalita', escluda dall'ambito di applicabilita'  dell'art.
31 della legge 13 settembre 1982, n. 646, le  condotte  che,  per  le
ragioni sopra indicate, non sono idonee a ledere  il  bene  giuridico
che la norma si prefigge di' tutelare. 
    A  tal  fine  si  rende  necessario  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 13, comma 1, 25, comma
2, e 27, comma 3, della Costituzione, dell'art.  31  della  legge  13
settembre 1982, n. 646, nella parte in cui si  riferisce  anche  alle
variazioni patrimoniali compiute  con  atti  pubblici  dei  quali  e'
prevista la trascrizione nei registri immobiliari e la  registrazione
a fini fiscali; nonche', parimenti, per contrasto con  gli  artt.  3,
13, comma 1,  25,  comma  2,  e  27,  comma  3,  della  Costituzione,
dell'art. 76, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre  2011,  n.
159, che riproduce oggi la previsione dell'art.  31  della  legge  13
settembre 1982, n. 646, vigente al momento del fatto per il quale  si
procede. 
    La   rilevanza   della   questione   prospettata   nel   presente
procedimento risulta di evidente percezione. 
    L'eventuale  declaratoria  di  incostituzionalita'  nei   termini
evidenziati, infatti, inciderebbe direttamente  sulla  qualificazione
giuridica della condotta descritta nell'imputazione, essendo stata la
variazione patrimoniale oggetto di  omessa  comunicazione  realizzata
mediante atto  pubblico  notarile,  determinandone  l'espunzione  dal
paradigma punitivo delineato in allora dall'art. 31  della  legge  13
settembre 1982, n. 646, ed oggi dall'art. 76, comma  7,  del  decreto
legislativo  6   settembre   2011,   n.   159,   e   conseguentemente
condizionando il contenuto della pronuncia definitoria  del  giudizio
in corso. 
P.Q.M. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento
agli artt. 3, 13, comma  1,  25,  comma  2,  e  27,  comma  3,  della
Costituzione, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
31, comma 1, della legge 13 settembre 1982, n. 646,  nella  parte  in
cui si riferisce anche alle variazioni patrimoniali compiute con atti
pubblici  dei  quali  e'  prevista  la  trascrizione   nei   registri
immobiliari e la registrazione a fini fiscali. 
    Dichiara altresi' rilevante e non  manifestamente  infondata,  in
riferimento agli artt. 3, 13, comma 1, 25, comma 2, e  27,  comma  3,
della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 76, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre  2011,  n.
159,  nella  parte  in  cui  si  riferisce  anche   alle   variazioni
patrimoniali compiute con atti pubblici  dei  quali  e'  prevista  la
trascrizione nei registri  immobiliari  e  la  registrazione  a  fini
fiscali. 
    Ordina che a cura della Cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti e al Presidente del Consiglio  dei  ministri  e
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Sospende il processo. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
        Palermo, 19 luglio 2015 
 
                   Il Giudice: Giuliano Castiglia