N. 272 SENTENZA 1 - 22 dicembre 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Pubblica  amministrazione  -  Ritardo  nel   pagamento   dei   debiti
  commerciali - Sanzione del blocco temporaneo  delle  assunzioni  di
  personale. 
- Decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti  per  la
  competitivita'  e  la   giustizia   sociale)   -   convertito   con
  modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n.
  89 - art. 41, comma 2. 
-   
(GU n.52 del 30-12-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  41,  comma
2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66  (Misure  urgenti  per  la
competitivita' e la giustizia sociale), convertito con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,  n.  89,  promosso
dalla Regione Veneto  con  ricorso  notificato  il  18  agosto  2014,
depositato in cancelleria il 22 agosto 2014 ed iscritto al n. 63  del
registro ricorsi 2014. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  1°  dicembre  2015  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato Luca Antonini per la Regione Veneto e l'avvocato
dello  Stato  Paolo  Grasso  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 18 agosto 2014,  depositato  il  22
agosto 2014 e iscritto al n. 63 del registro  ricorsi  del  2014,  la
Regione Veneto ha impugnato diverse disposizioni del decreto-legge 24
aprile 2014, n.  66  (Misure  urgenti  per  la  competitivita'  e  la
giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma
1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, fra le quali l'art.  41,  comma
2, oggetto del quinto motivo di ricorso. 
    L'art. 41, intitolato «Attestazione dei tempi di  pagamento»,  e'
inserito nel Titolo III  della  legge  (Pagamento  dei  debiti  delle
pubbliche amministrazioni), e in particolare nel Capo III  (Strumenti
per prevenire il formarsi di ritardi dei  pagamenti  delle  pubbliche
amministrazioni). Il comma 2 di esso dispone quanto segue:  «Al  fine
di garantire il rispetto dei tempi di pagamento di cui all'articolo 4
del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n.  231,  le  amministrazioni
pubbliche di cui al comma 1, esclusi gli enti del Servizio  sanitario
nazionale, che, sulla  base  dell'attestazione  di  cui  al  medesimo
comma, registrano tempi medi nei pagamenti superiori a 90 giorni  nel
2014 e a 60 giorni a decorrere dal 2015, rispetto a  quanto  disposto
dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, nell'anno  successivo
a quello di  riferimento  non  possono  procedere  ad  assunzioni  di
personale   a   qualsiasi   titolo,   con   qualsivoglia    tipologia
contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata  e
continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi
di stabilizzazione in atto. E' fatto altresi' divieto  agli  enti  di
stipulare  contratti  di  servizio  con  soggetti  privati   che   si
configurino come elusivi della presente disposizione ...». 
    Il comma 1 dell'art. 41 (richiamato dal comma 2) del d.l.  n.  66
del  2014  fa  riferimento  alle  pubbliche  amministrazioni  di  cui
all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165
(Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni pubbliche), fra le quali rientrano le regioni. 
    1.1.- La Regione Veneto impugna il citato art. 41, comma  2,  del
d.l. n. 66 del 2014 per violazione degli artt.  3,  97,  117,  primo,
terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione. 
    Essa ritiene, in primo luogo,  che  la  norma  in  questione  sia
«irragionevole  oltreche'  lesiva  delle  competenze  e   prerogative
regionali», in  quanto  essa  «introduce  una  "sanzione"  del  tutto
disomogenea   rispetto   alla   violazione   cui   e'   connessa,   e
potenzialmente  contrastante  con  la  stessa,  senz'altro  corretta,
finalita' che la  dovrebbe  ispirare».  La  norma  sarebbe,  inoltre,
«priva di ogni criterio di  proporzionalita'  e  congruita'»  perche'
invece di collegare «[a]l mancato rispetto dei tempi di pagamento  da
parte  della   Pubblica   Amministrazione,   "sanzioni"   o   rectius
ripercussioni connesse e  proporzionate  all'inadempimento,  prevede,
anche in violazione del principio del buon andamento  della  Pubblica
Amministrazione, un irragionevole "blocco" totale  delle  assunzioni,
sotto qualsiasi forma, che potrebbe addirittura anche condurre ad  un
ulteriore incremento dei tempi di pagamento,  ove  il  ritardo  degli
stessi sia dovuto proprio alla carenza di personale». 
    La ricorrente argomenta la ridondanza  di  tali  vizi  sulla  sua
sfera  di  competenza:  «la  suddetta  violazione  dei  principi   di
ragionevolezza  e  di  buon  andamento  ridonda  certamente  in   una
violazione delle competenze costituzionali della Regione, dal momento
che questa viene indebitamente limitata nella  propria  capacita'  di
organizzazione amministrativa:  si  realizza  pertanto  una  indebita
interferenza con il IV comma dell'art.  117  che  riconosce  in  tale
ambito una competenza legislativa residuale regionale». 
    1.2.- La  Regione  Veneto  solleva  poi  una  seconda  questione.
Secondo essa, «la disposizione stabilendo  una  misura  permanente  e
dettagliata  di  blocco  totale  di  una  specifica  voce  di   spesa
concretizza  una  disposizione  puntuale  priva  del   carattere   di
principio fondamentale di  coordinamento  della  finanza  pubblica  e
pertanto [...] contrasta con gli articoli 117, I e III comma, nonche'
con l'art. 119 della Costituzione». 
    1.3.- Il 18 settembre  2014  si  e'  costituito  in  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  ma  le  argomentazioni  svolte
nella memoria di  costituzione  non  sono  pertinenti  rispetto  alle
questioni sopra illustrate: esse in  parte  attengono,  in  generale,
all'art. 119 Cost. e, in parte, riguardano i rapporti finanziari  tra
Stato e Regioni speciali. 
    1.4.- Con successiva memoria depositata il 10 novembre  2015,  la
Regione Veneto ha aggiunto un argomento a  sostegno  della  questione
fondata  sui  principi  di  ragionevolezza  e  buon  andamento  della
pubblica amministrazione, osservando che la norma impugnata penalizza
le regioni «virtuose», che hanno contenuto la spesa per il personale.
Nella memoria si rileva che, nel 2012, la Regione Veneto ha speso per
il personale una somma molto inferiore a quella di  regioni  omogenee
dal punto di vista della popolazione e che tale  disomogeneita'  «non
viene  in  alcun  modo  considerata  dalla  norma   impugnata»,   con
violazione dei principi di ragionevolezza,  proporzionalita'  e  buon
andamento della pubblica  amministrazione  e  conseguente  ridondanza
sulla   competenza   regionale   in   materia    di    organizzazione
amministrativa. 
    Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria
integrativa il 10 novembre 2015. In essa la difesa  erariale  osserva
che il blocco delle assunzioni opera solo  per  l'anno  successivo  a
quello nel quale si  e'  registrato  il  ritardo  nel  pagamento  dei
debiti,  sicche'  «[n]on  puo'  [...]  discorrersi  di   una   misura
permanente, limitativa delle [...]  prerogative  regionali  sotto  il
profilo  dell'organizzazione  amministrativa».  Inoltre  l'Avvocatura
sottolinea che la norma impugnata «si dimostra ragionevole,  giacche'
attraverso di essa il legislatore statale ha voluto evitare  che  gli
enti regionali, procedendo all'assunzione di nuovo personale,  vadano
ad incrementare ulteriormente la spesa pubblica su di essi  gravante,
sottraendo   cosi'   potenziali   risorse   da    destinare    invece
all'esecuzione tempestiva dei pagamenti». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto  ha  impugnato  l'art.  41,  comma  2,  del
decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti   per   la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,  n.
89, sollevando due distinte questioni di legittimita' costituzionale. 
    In primo luogo, la Regione censura la norma - la' dove stabilisce
che le amministrazioni  pubbliche,  esclusi  gli  enti  del  Servizio
sanitario nazionale ma comprese le  regioni,  che  «registrano  tempi
medi nei pagamenti superiori a 90 giorni nel 2014 e  a  60  giorni  a
decorrere  dal  2015,  rispetto  a  quanto   disposto   dal   decreto
legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, nell'anno successivo a quello  di
riferimento non  possono  procedere  ad  assunzioni  di  personale  a
qualsiasi titolo» - con riferimento agli artt. 3, 97  e  117,  quarto
comma, della Costituzione. 
    Secondo la ricorrente, l'art. 41, comma 2, del  d.l.  n.  66  del
2014 violerebbe  il  principio  di  ragionevolezza,  comprensivo  dei
profili della omogeneita' e della proporzionalita' della sanzione,  e
il principio di buon andamento  della  pubblica  amministrazione,  in
quanto  introdurrebbe  una  «sanzione»  disomogenea   rispetto   alla
violazione  cui  e'   connessa,   sproporzionata   e   potenzialmente
contrastante  con   la   finalita'   perseguita.   Questi   vizi   si
rifletterebbero sulle competenze costituzionali della Regione Veneto,
dal  momento  che  la  previsione  oggetto  di  censura   limiterebbe
l'autonomia    regionale    nella     materia     dell'organizzazione
amministrativa, di competenza regionale piena ai sensi dell'art. 117,
quarto comma, Cost. 
    In secondo luogo, l'art. 41, comma 2, del d.l.  n.  66  del  2014
violerebbe gli artt. 117, primo e terzo comma, e  119  Cost.  perche'
difetterebbe del carattere di principio fondamentale di coordinamento
della finanza pubblica. Si tratterebbe, infatti, di una  disposizione
puntuale, che introduce una misura permanente e dettagliata di blocco
totale di una specifica voce di spesa. 
    2.- In via preliminare e' opportuno accennare al quadro normativo
in cui la disposizione impugnata si inserisce. 
    Il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231  (Attuazione  della
direttiva  2000/35/CE  relativa  alla  lotta  contro  i  ritardi   di
pagamento nelle transazioni commerciali), come modificato dal decreto
legislativo 9 novembre 2012, n. 192 (Modifiche al decreto legislativo
9 ottobre 2002, n. 231, per l'integrale recepimento  della  direttiva
2011/7/UE relativa alla lotta contro i  ritardi  di  pagamento  nelle
transazioni commerciali, a norma dell'articolo  10,  comma  1,  della
legge 11 novembre 2011,  n.  180),  si  applica  «ad  ogni  pagamento
effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione  commerciale»
(art. 1, comma 1),  intendendosi  per  "transazioni  commerciali"  «i
contratti, comunque denominati, tra  imprese  ovvero  tra  imprese  e
pubbliche  amministrazioni,  che  comportano,  in  via  esclusiva   o
prevalente, la consegna di merci o la prestazione di  servizi  contro
il pagamento di un prezzo» (art. 2, comma 1,  lettera  a).  L'art.  4
(richiamato dalla disposizione impugnata) stabilisce che il pagamento
va effettuato entro trenta giorni dalla data di ricevimento, da parte
del debitore, della fattura o, in determinati  casi,  dalla  data  di
ricevimento delle merci o  dalla  data  di  prestazione  dei  servizi
(comma 2). Il comma 4 dello  stesso  articolo  dispone  che  «[n]elle
transazioni  commerciali  in  cui  il  debitore   e'   una   pubblica
amministrazione le parti possono pattuire, purche' in modo  espresso,
un termine per il pagamento superiore a quello previsto dal comma  2,
quando cio' sia oggettivamente giustificato dalla natura  particolare
del contratto o da talune sue caratteristiche», e che «[i]n ogni caso
i termini di cui al comma 2 non possono essere superiori  a  sessanta
giorni». 
    Il d.lgs. n. 231 del 2002 predispone  un  apparato  sanzionatorio
civilistico a presidio dei termini da esso fissati,  nell'ambito  del
quale si possono ricordare: il tasso di interesse maggiorato di  otto
punti percentuali  (art.  2,  comma  1,  lettera  e),  la  decorrenza
automatica degli interessi moratori alla scadenza del termine,  senza
necessita' di costituzione in mora (art. 4, comma 1), il risarcimento
del danno per le spese di recupero del credito (art. 6) e la nullita'
delle clausole gravemente inique per il creditore (art. 7). Mentre il
d.lgs. n. 231 del 2002 regola il  singolo  rapporto  civilistico  tra
debitore e creditore (sia esso anche una  pubblica  amministrazione),
l'art. 41, comma 2, del d.l. n.  66  del  2014  introduce  specifiche
modalita' pubblicistiche attinenti  ai  tempi  di  adempimento  delle
obbligazioni privatistiche da parte delle pubbliche  amministrazioni.
Piu' precisamente, la norma fissa per esse «tempi medi nei pagamenti»
massimi (di 90 giorni nel 2014 e di 60 giorni a decorrere dal 2015) -
con termini aggiuntivi, dunque, rispetto a quelli specifici  previsti
dal d.lgs. n. 231 del 2002 - riferiti non al singolo rapporto  ma  al
complesso dei debiti commerciali dell'ente pubblico, e predispone,  a
garanzia del loro rispetto, la sanzione del blocco  delle  assunzioni
nell'anno successivo a quello della violazione. 
    Cosi' precisato il quadro normativo  di  riferimento,  va  ancora
ricordato che l'art. 41, comma 2, del d.l. n. 66 del  2014  e'  stato
modificato, dopo la proposizione del ricorso ma in modo tale  da  non
influire  sul  thema  decidendum,   dall'art.   4,   comma   4,   del
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in  materia
di enti territoriali. Disposizioni per garantire la  continuita'  dei
dispositivi   di   sicurezza   e   di   controllo   del   territorio.
Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario   nazionale
nonche' norme in materia di  rifiuti  e  di  emissioni  industriali),
convertito, con modificazioni dall'art. 1, comma  1,  della  legge  6
agosto 2015, n. 125. Inoltre, gli artt. 4, comma 1,  e  6,  comma  7,
dello stesso d.l. n. 78 del 2015 hanno individuato due casi in cui la
sanzione prevista dalla disposizione impugnata non si applica. 
    3.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    3.1.- L'art. 41, comma 2, del d.l. n. 66 del 2014 ha di mira  una
finalita' che legittimamente puo' essere perseguita  dal  legislatore
statale anche nei rapporti  con  le  regioni.  La  fissazione  di  un
termine (aggiuntivo, come si e' visto,  rispetto  a  quelli  previsti
all'art. 4 del d.lgs. n. 231 del 2002) per il  pagamento  dei  debiti
commerciali delle pubbliche amministrazioni e la  previsione  di  una
sanzione, per il caso in cui l'ente pubblico abbia  «tempi  medi  nei
pagamenti» superiori a quel termine, non rappresentano strumenti,  in
se' considerati, incompatibili con l'autonomia  costituzionale  delle
regioni. Previsioni di questo tipo sono dirette  a  fronteggiare  una
situazione che provoca gravi conseguenze per  il  sistema  produttivo
(soprattutto per le piccole e medie imprese) e a favorire la  ripresa
economica, con effetti positivi anche per  la  finanza  pubblica  (si
pensi all'aumento di entrate tributarie derivante dal soddisfacimento
dei creditori e al  possibile  aumento  del  prodotto  interno  lordo
(Pil),  che  rileva  ai  fini  del  rispetto  del  patto  europeo  di
stabilita': sentenza n. 8 del 2013). 
    Per  le  stesse  ragioni,  anche  la   sanzione   prescelta   per
raggiungere l'obiettivo indicato, ossia il divieto temporaneo, per le
amministrazioni che si  siano  rese  inadempienti,  di  procedere  ad
assunzioni di personale, puo' rientrare nell'ambito  dei  poteri  del
legislatore statale, ancorche' essa  investa  un  aspetto  essenziale
dell'autonomia  organizzativa  delle  regioni  e  degli  altri   enti
pubblici (sentenze n. 61 e n. 27 del 2014, n. 130 del 2013,  n.  259,
n. 217 e n. 148 del 2012). 
    Al riguardo va respinto l'assunto della regione secondo il  quale
la norma impugnata non concreterebbe  un  principio  fondamentale  di
coordinamento della finanza pubblica. La materia  del  «coordinamento
della finanza pubblica», infatti, non puo' essere limitata alle norme
aventi lo scopo di limitare  la  spesa,  ma  comprende  anche  quelle
aventi la funzione di "riorientare" la spesa pubblica (come nel  caso
dell'art. 41, comma 2, del d.l. n. 66 del 2014), per una  complessiva
maggiore efficienza del sistema. Questa  Corte  ha  giustificato  una
norma statale che introduceva una  misura  premiale  (concernente  il
rispetto  del  patto  di  stabilita')  a  favore  delle  regioni  che
sviluppavano  «adeguate  politiche  di  crescita  economica»   (nella
specie, attuazione dei principi di liberalizzazione  delle  attivita'
economiche), rilevando che la crescita  economica  giova  anche  alla
finanza pubblica (sentenza n. 8 del 2013). La  previsione  impugnata,
avendo lo scopo di incentivare una piu' corretta gestione della spesa
pubblica,  nell'interesse  delle  imprese  ma   anche   del   sistema
complessivo pubblico-privato, puo' essere considerata un principio di
coordinamento della finanza pubblica, sia nella parte in cui fissa  i
termini,  sia  nella   parte   in   cui   stabilisce   la   sanzione.
Conseguentemente  va  respinta  la  seconda  censura  avanzata  dalla
ricorrente. 
    3.2.- La soluzione in concreto adottata dal  legislatore  statale
nella norma censurata dalla Regione  Veneto,  tuttavia,  si  pone  in
contrasto con il principio di proporzionalita',  il  quale,  se  deve
sempre caratterizzare il rapporto fra violazione e sanzione (sentenze
n. 132 e n. 98 del 2015, n. 254 e n. 39 del 2014, n. 57 del 2013,  n.
338 del 2011, n. 333 del 2001),  tanto  piu'  deve  trovare  rigorosa
applicazione nel  contesto  delle  relazioni  fra  Stato  e  regioni,
quando, come nel caso in esame, la previsione della sanzione ad opera
del  legislatore  statale  comporti  una  significativa  compressione
dell'autonomia regionale (sentenze n. 156 del 2015, n. 278 e  n.  215
del 2010, n. 50 del 2008, n. 285 e n. 62 del 2005, n. 272 del 2004). 
    L'art. 41, comma 2, del d.l. n. 66 del 2014, la' dove prevede che
qualsiasi  violazione  dei  tempi  medi  di  pagamento  da  parte  di
un'amministrazione    debitrice,    a    prescindere     dall'entita'
dell'inadempimento e dalle sue cause, sia sanzionata con una misura a
sua volta rigida e  senza  eccezioni  come  il  blocco  totale  delle
assunzioni per l'amministrazione inadempiente (con l'unica esclusione
degli enti del  Servizio  sanitario  nazionale  e  dei  casi  di  cui
all'art. 4, comma 1, e all'art. 6, comma 7, del gia' citato  d.l.  n.
78 del 2015), non  supera  il  test  di  proporzionalita',  il  quale
«richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura
e le modalita' di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea  al
conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto,  tra
piu'  misure  appropriate,  prescriva  quella  meno  restrittiva  dei
diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al
perseguimento di detti obiettivi» (sentenza n. 1 del 2014). 
    3.2.1.-  La  violazione  della  proporzionalita'   si   manifesta
innanzitutto nell'inidoneita' della previsione a raggiungere  i  fini
che persegue. Il meccanismo predisposto dall'art. 41,  comma  2,  del
d.l. n. 66 del 2014, infatti, non appare  di  per  se  stesso  sempre
idoneo  a  far  si'  che   le   amministrazioni   pubbliche   paghino
tempestivamente i loro debiti e non costituisce  quindi  un  adeguato
deterrente alla loro inadempienza. 
    Il  blocco  delle  assunzioni,  colpendo   indistintamente   ogni
violazione   dei   tempi   medi   di   pagamento,   puo'    investire
amministrazioni che, nell'anno di riferimento, siano state in ritardo
con il pagamento dei loro debiti per cause legate a fattori  ad  esse
non imputabili. Nel caso degli enti territoriali, in particolare,  il
ritardato  pagamento  dei  debiti  potrebbe  dipendere  dal   mancato
trasferimento di risorse da parte di altri  soggetti  o  dai  vincoli
relativi al patto di stabilita'. Il  possibile  rilievo  del  mancato
trasferimento delle risorse ai  fini  del  tempestivo  pagamento  dei
debiti e' confermato dal fatto che lo stesso  d.l.  n.  66  del  2014
contiene una disposizione (l'art. 44) che, al «fine di  agevolare  il
rispetto dei tempi di pagamento  di  cui  al  decreto  legislativo  9
ottobre  2002,  n.  231»,  regola  i   «Tempi   di   erogazione   dei
trasferimenti fra pubbliche  amministrazioni».  Quanto  al  patto  di
stabilita', si puo' osservare che il decreto-legge 8 aprile 2013,  n.
35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei  debiti  scaduti  della
pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli  enti
territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli  enti
locali), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 6 giugno 2013, n. 64, ha cercato di far fronte al problema  del
pagamento  dei  debiti  scaduti   delle   amministrazioni   pubbliche
prevedendo, fra l'altro,  «l'allentamento  del  patto  di  stabilita'
interno» (sentenza n. 181 del 2015). 
    La mancata considerazione  della  causa  del  ritardo,  al  quale
consegue automaticamente l'applicazione della sanzione prevista dalla
legge, rende ipotetica e, in definitiva, aleatoria l'idoneita'  della
norma a conseguire la sua finalita', dal momento che, nei casi in cui
il ritardo non fosse superabile con un'attivita' rimessa alle  scelte
di azione e di organizzazione proprie dell'ente pubblico, la minaccia
del blocco delle assunzioni o la sua  concretizzazione  non  potrebbe
sortire l'effetto auspicato. 
    3.2.2.-  La  previsione  impugnata  non   supera   il   test   di
proporzionalita'  nemmeno  da  un  altro  punto  di  vista,  e  anche
volendosi limitare a considerare l'ipotesi del ritardo dipendente  da
disfunzioni e negligenze dell'ente nella gestione delle procedure  di
pagamento. La rigidita' della  previsione,  sia  sul  versante  della
individuazione  della  violazione  (senza  differenziazione  fra   le
ipotesi di superamento minimo dei tempi medi prescritti e le  altre),
sia su quello delle sue conseguenze (la sanzione e' in ogni  caso  il
blocco totale), porta a ritenere, infatti, che l'obiettivo perseguito
potesse essere raggiunto con un sacrificio minore - piu' precisamente
con  un  sacrificio  opportunamente  graduato   -   degli   interessi
costituzionalmente protetti, per quanto  qui  specificamente  rileva,
delle regioni e delle relative comunita'. 
    In questo stesso contesto non puo' essere trascurato  nemmeno  il
fatto che  la  norma  non  tiene  conto  della  situazione  dell'ente
pubblico dal punto di vista della dotazione di personale.  A  seconda
di tale situazione, l'afflittivita' della sanzione in  essa  prevista
puo' variare imprevedibilmente  e  risultare  eccessiva  (e,  dunque,
sproporzionata) proprio per quelle regioni che,  negli  ultimi  anni,
hanno ridotto la propria spesa per il personale, in  ottemperanza  ai
vincoli posti dal legislatore statale. 
    3.2.3.- Per tutto quanto esposto, l'art. 41, comma 2, del d.l. n.
66 del 2014  si  pone,  sotto  vari  profili,  in  contrasto  con  il
principio di proporzionalita' ricavabile dall'art.  3,  primo  comma,
Cost., e tale violazione si risolve in una  illegittima  compressione
dell'autonomia regionale in materia di organizzazione amministrativa,
spettante alla competenza regionale piena (art.  117,  quarto  comma,
Cost.). 
    3.3.- Per ragioni non diverse da quelle  appena  considerate  con
riferimento alla lesione del principio di proporzionalita', la  norma
censurata si rivela confliggente anche con l'art. 97, secondo  comma,
Cost.: se, da un lato,  il  blocco  delle  assunzioni  e'  senz'altro
suscettibile  di  pregiudicare  il  buon  andamento  della   pubblica
amministrazione,  dall'altro  lato   la   limitazione   non   risulta
giustificata   dalla   tutela   di   un   corrispondente    interesse
costituzionale, dato che, come si e' visto, si tratta di  una  misura
inadeguata a  garantire  il  rispetto  del  termine  fissato  per  il
pagamento dei debiti. Anche  tale  violazione  si  traduce,  come  e'
evidente, in una lesione  delle  medesime  competenze  costituzionali
della ricorrente in materia di organizzazione amministrativa. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 41,  comma  2,
del decreto-legge 24 aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti  per  la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,  n.
89, in riferimento agli artt. 3, 97, secondo  comma,  e  117,  quarto
comma, della Costituzione. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI