N. 24 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 2015
Ordinanza del 20 giugno 2015 del Tribunale di Trani nel procedimento civile promosso da Padovano Arcangelo contro Pasculli Domenico e UNIPOL SAI Assicurazioni Spa. Spese di giustizia - Liquidazione del compenso all'ausiliario del giudice - Soppressione del termine perentorio per l'opposizione al decreto di pagamento. - Decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 («Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69»), combinato disposto degli artt. 15, comma 2, e 34, comma 17 [modificativo dell'art. 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A )»)].(GU n.7 del 17-2-2016 )
TRIBUNALE DI TRANI Sezione civile Il giudice, nella causa civile iscritta al n. 670/2013 del Ruolo Generale tra: Padovano Arcangelo, rappresentato e difeso dall'avv. Vito Luigi Cofano, ed elettivamente domiciliato in Trani, in C.so Cavour n. 108, presso lo studio dell'avv. F. Mastroviti - Opponente; e Pasculli Domenico, rappresentato e difesa dall'avv. Antonio Pellegrini, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso avvocato, sito in Bisceglie in via Moro n. 30 - Opposto; UNIPOLSAI ASSICURAZIONI s.p.a., in persona del procuratore speciale Mauro Debiaggi, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Vinci, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso avvocato, sito in Bari, via de Rossi n. 2013 - Opposta; Rilevato, in ordine al ricorso proposto, ex art. 702-bis c.p.c., il 27 febbraio 2013 da Padovano Arcangelo, con cui si e' opposto alla liquidazione effettuata in suo favore, per l'attivita' espletata quale ctu nel detto procedimento, dal giudice di pace di Bisceglie nel giudizio n. 691/2010 R.G.: che risulta infondata l'eccezione preliminare sollevata da Pasculli Domenico, riguardante la doglianza relativa alla proposizione del ricorso genericamente al Tribunale di Trani anziche' specificamente al Presidente di questo Tribunale, come invece previsto dall'art. 15 del decreto legislativo n. 150/2011, posto che, se e' vero, da un lato, che tale disposizione prevede la competenza del Presidente del Tribunale, e' altrettanto vero che le vigenti previsioni tabellari di questo Tribunale prevedono per l'appunto che i procedimenti del tipo di quelli in esame siano trattati dai giudici della Sezione civile, area «A», con delega, quindi, presidenziale, al riguardo; che, del resto, per identita' di ratio e' sufficiente richiamare quanto affermato dalla Suprema Corte sia pure con riferimento alla disposizione di cui all'art. 170 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 precedente alla entrata in vigore del decreto legislativo n. 150/2011 (decreto, quest'ultimo, applicabile ratione temporis al caso di specie), secondo cui in tema di spese di giustizia, stante la previsione di cui all'art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (secondo cui, quando sia proposta opposizione avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario del magistrato, l'ufficio giudiziario procede in composizione monocratica), la competenza a provvedere spetta ad un giudice singolo del tribunale o della corte d'appello, ai quali appartiene il magistrato che ha emanato il provvedimento di liquidazione dell'indennita' oggetto di impugnazione, da identificare con il presidente del medesimo ufficio giudiziario o con il giudice da lui delegato, con la conseguenza che, non essendo configurabili, all'interno di uno stesso ufficio giudiziario, questioni di competenza tra il presidente ed i giudici da questo delegati, ma solo di distribuzione degli affari in base alle tabelle di organizzazione, non costituisce ragione di invalidita' dell'ordinanza, adottata in sede di opposizione al decreto di liquidazione del compenso dell'ausiliario, il fatto che essa sia stata pronunciata da un giudice diverso dal presidente del tribunale (cfr. Cass. civ. Sez. II, 15 giugno 2012, n. 9879); che risulta infondata anche l'altra eccezione preliminare, sollevata sia da Pasculli Domenico che dalla Unipol Assicurazioni s.p.a., riguardante l'asserita improcedibilita' del ricorso per non essere stati notificati il ricorso e il decreto di comparizione dell'8 marzo 2013, eccezione fondata sulla ritenuta impossibilita', da parte del giudice, di disporre nuovamente la notifica del ricorso e del decreto suddetto nonche' la notifica del verbale di udienza del 23 dicembre 2013, come invece avvenuto nel caso di specie (cfr. verbale di udienza del 23 dicembre 2013); che, invero, quanto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20604/2008 richiamata dal Pasculli, secondo cui nel rito del lavoro l'appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, e' improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell'udienza non sia avvenuta, non essendo consentito - alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cosiddetta ragionevole durata del processo «ex» art. 111, secondo comma, Cost. - al giudice di assegnare, «ex» art. 421 cod. proc. civ., all'appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. 291 cod. proc. civ., e' stato superato, successivamente, in modo condivisibile dalla stessa Suprema Corte, secondo cui nel rito del lavoro, nel caso di omessa o inesistente notifica del ricorso introduttivo del giudizio e del decreto di fissazione dell'udienza, e' ammessa la concessione di un nuovo termine, perentorio, per la rinnovazione della notifica (cfr. Cass. civ., Sez. L, n. 1483 del 27 gennaio 2015); che tale principio si ritiene applicabile anche al caso di specie, non contenendo l'art. 702-bis c.p.c una previsione legale tipica che sanzioni con il divieto di accesso alla giurisdizione l'omessa notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione dell'udienza; che tale principio, del resto, e' stato affermato dalla Suprema Corte anche in casi diversi dal c.d. rito del lavoro e, in particolare, in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, sostenendo che il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza alla controparte non sia perentorio, non essendo previsto espressamente dalla legge, con la conseguenza che il giudice, nell'ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, possa, in difetto di spontanea costituzione del resistente, concedere al ricorrente un nuovo termine, avente carattere perentorio, entro il quale rinnovare la notifica (cfr. Cass, civ., Sez. U, n. 5700 del 12 marzo 2014; cfr. anche, nello stesso senso, Cass. civ. Sez. Unite, 2 maggio 2014, n. 9558); Considerato, quanto alla ulteriore eccezione sollevata dalla Unipol Assicurazioni Sai s.p.a., riguardante l'inosservanza del termine di venti giorni previsto dall'art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 e, dunque, l'improcedibilita' della domanda, invocata sul presupposto che il decreto di liquidazione fosse stato comunicato il 31 gennaio 2013 e fosse stato opposto solo con ricorso depositato il 27 febbraio 2013 (dunque oltre i venti giorni successivi a tale comunicazione): che lo stesso ricorrente ha dedotto, nel ricorso introduttivo, di avere avuto comunicazione del provvedimento in oggetto il 31 gennaio 2013 (come si evince anche dal provvedimento medesimo, prodotto dal ricorrente, e dalla relativa ricevuta della comunicazione a mezzo fax); che il ricorso risulta depositato effettivamente il 27 febbraio 2013 (dunque oltre venti giorni dopo tale comunicazione); che l'art. 15 del decreto legislativo n. 150/2011 (applicabile, si ribadisce, ratione temporis al caso di specie), nel prevedere che le controversie previste dall'art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, siano regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo, non prevede, invece, il termine di venti giorni contenuto nell'originaria formulazione dell'art. 170 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 e considerato perentorio - e, dunque, a pena di decadenza dalla opposizione - dalla giurisprudenza intervenuta sul punto (cfr. Cass. civ., Sez. 2, n. 20485 del 6 ottobre 2011; cfr. anche Cass. civ., Sez. 2, n. 9792 del 14 giugno 2012); che, infatti, il decreto legislativo n. 150 del 2011, art. 34, comma 17, ha sostituito l'art. 170, comma 1, ed abrogato i commi successivi, con la conseguenza che esso prevede ora solamente che «avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario del magistrato, del custode e delle imprese private cui e' affidato l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione» e che «l'opposizione e' disciplinata dal decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 15»; che la Corte di cassazione, di recente (cfr. Cass. civ. Sez. III, Ord., 1° aprile 2015, n. 6652), ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 17, e art. 15, comma 2, per contrasto con l'art. 76 Cost., ed in relazione alla legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 54 commi 1 e 4, ovvero per contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost., e art. 111 Cost., comma 7, nella parte in cui ne discende non essere piu' previsto che il ricorso disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 170 sia proposto entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione; che la semplice trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la questione suddetta non puo' comportare automaticamente la sospensione di questo giudizio, posto che, come affermato dalla Corte di cassazione, nel quadro della disciplina di cui all'art. 42 cod. proc. civ. - come novellato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353 - non vi e' piu' spazio per una discrezionale e non sindacabile facolta' di sospensione del processo esercitata dal giudice al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale, derivandone, cosi', l'impugnabilita', ai sensi del citato art. 42 cod. proc. civ., di ogni provvedimento di sospensione del processo, quale che ne sia la motivazione, e la conseguente fondatezza del ricorso ogni qualvolta non si sia in presenza di un caso di sospensione espressamente prevista dalla legge o rientrante nell'ipotesi prevista dall'art. 34. Va, pertanto, accolto il ricorso proposto avverso l'ordinanza con la quale il giudice abbia sospeso il giudizio in relazione alla pendenza di questione di costituzionalita' sollevata in altro processo, dovendo in tal caso il giudice, qualora ritenga rilevante la questione, investire a sua volta la Corte costituzionale e successivamente procedere alla sospensione del giudizio (cfr. Cass. civ, Sez. 6 - 1, n. 16198 del 26 giugno 2013; Sez. 2, a n. 24946 del 24 novembre 2006); che, dunque, occorre verificare se ricorrano, nel caso di specie, i presupposti di cui all'art. 23 legge n. 87/1953 per sospendere il presente giudizio e trasmettere gli atti alla Corte costituzionale; Considerato: sul punto, che la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 17, e art. 15, comma 2, per contrasto con l'art. 76 Cost., ed in relazione alla legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 54, commi 1 e 4, ovvero per contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost., e art. 111 Cost., comma 7, nella parte in cui ne discende non essere piu' previsto che il ricorso disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, e' rilevante nel caso di specie (una volta rilevata la infondatezza delle altre due eccezioni preliminari sopra esaminate), posto che tale termine - come detto in precedenza - non risulta essere stato rispettato dal ricorrente/opponente (e, dunque, ove ritenuta fondata la questione sollevata, l'opposizione risulterebbe inammissibile perche' tardiva); che, quanto alla non manifesta infondatezza di tale questione, questo giudice condivide pienamente le motivazioni riportate nella detta ordinanza n. 6652/2015 della Corte di cassazione, che di seguito si riportano: «Ora, la riforma del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, operata con il decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 15, ne ha comportato la totale riscrittura. Invero, il testo originario dell'art. 170 prevedeva, al suo comma 1, che "Avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario del magistrato, del custode e delle imprese private cui e' affidato l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione, entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione, ai presidente dell'ufficio giudiziario competente," ed i commi successivi prevedevano l'applicazione del processo speciale previsto per gli onorari di avvocato, affidandolo all'ufficio giudiziario in composizione monocratica, cui conferivano il potere di sospendere l'esecuzione provvisoria del decreto con ordinanza non impugnabile e di acquisire atti, documenti ed informazioni necessari ai fini della decisione. Il termine previsto da tale norma doveva poi qualificarsi perentorio, come presupposto gia' nella giurisprudenza specificamente intervenuta sul punto - Cass. 6 ottobre 2011, n. 20485, ovvero Cass. 14 giugno 2012, n. 9792 - e conformemente a quanto gia', invece espressamente, affermato per il termine imposto per la previgente opposizione ai sensi della legge 8 luglio 1980, n. 319, art. 11, comma 5, (fin da Cass. 21 aprile 1994, n. 3812), siccome finalizzato alla proposizione di un'impugnazione. In virtu' della legge di delega, di cui alla legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 54, primi quattro commi, il decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, ha riprotto il procedimento, gia' disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 170, allo schema del procedimento sommario, ma non ha riprodotto il termine di proposizione espressamente previsto nella disciplina originaria. Infatti, il decreto legislativo n. 150 del 2011, art. 34, comma 17, ha sostituito l'art. 170, comma l, ed abrogato i commi successivi, sicche' esso prevede ora solamente che "avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario del magistrato, dei custode e delle imprese private cui e' affidato l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione" e che l'opposizione e' disciplinata dal decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 15. "Contemporaneamente, l'art. 15 del medesimo decreto legislativo prevede: "1. Le controversie previste dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. 2. Il ricorso e' proposto ai capo dell'ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato. Per i provvedimenti emessi da magistrati dell'ufficio del giudice di pace e del pubblico ministero presso il tribunale e' competente il presidente del tribunale. Per i provvedimenti emessi da magistrali dell'ufficio del pubblico ministero presso la corte di appello e' competente il presidente della corte di appello. 3. Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente. 4. L'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato puo' essere sospesa secondo quanto previsto dall'art. 5. 5. Il presidente puo' chiedere a chi ha provveduto alla liquidazione o a chi li detiene, gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione. 6. L'ordinanza che definisce il giudizio non e' appellabile." E' evidente che del termine, originariamente previsto, non vi e' piu' traccia: sicche', in base ad elementari criteri ermeneutici in tema di successione delle leggi, dal combinato disposto del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 17, e dell'art. 15, risulta che esso e' stato soppresso, per essere stata abrogata, mediante integrale riscrittura, la norma che, in precedenza, lo prevedeva. Ma la disposizione che ha comportato tale risultato - e la cui applicazione potrebbe essere dirimente nel caso in esame - non si sottrae a dubbi di non conformita' alla Costituzione, da rilevarsi anche di ufficio. p.7. - In primo luogo, in modo non manifestamente infondato puo' sostenersi che una simile disposizione abbia oltrepassato i limiti della legge delega e quindi violato l'art. 76 Cost. p. 7.1. I principi ed i criteri direttivi della delega per la c.d. semplificazione dei riti civili sono stati posti dal comma quarto della richiamata legge n. 69 del 2009, art. 54 nei seguenti testuali termini: "a) restano fermi i criteri di competenza, nonche' i criteri di composizione dell'organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente; b) i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale sono ricondotti ad uno dei seguenti modelli processuali previsti dal codice di procedura civile: 1) i procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosita' dell'istruzione, sono ricondotti al rito disciplinato dal libro secondo, titolo 4^, capo l^, del codice di proceduta civile; 2) i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa, sono ricondotti al procedimento sommario di cognizione di cui ai libro quarto, titolo 1^, capo 3^ bis, del codice di procedura civile, come introdotto dall'art. 51 della presente legge, restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilita' di conversione nel rito ordinario; 3) tutti gli altri procedimenti sono ricondotti al rito di cui al libro secondo, titoli 1^ e 3^, ovvero titolo 2^, del codice di procedura civile; c) la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1), 2) e 3) della lett. b) non comporta l'abrogazione delle disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile; d) restano in ogni caso ferme le disposizioni processuali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, nonche' quelle contenute nel R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669, nel regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, nella legge 20 maggio 1970, n. 300, nel codice della proprieta' industriale di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e nel codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206» p. 7.2. I primi commentatori non hanno mancato di rilevare che la dimenticanza nell'indicazione del termine di decadenza per proporre opposizione, che in precedenza era di venti giorni, abbia comportato l'introduzione nel tessuto normativo di nuove contraddizioni e difficolta' operative: lacuna che e' subito apparsa insuscettibile di essere colmata in via interpretativa, poiche' i termini decadenziali, come noto, devono risultare chiari nella legge; e non si e' mancato di rimarcare come, paradossalmente, resti invece in vigore il termine di venti giorni previsto per l'opposizione contro il diniego di ammissione al gratuito patrocinio nel solo processo penale, non essendo stato infatti abrogato l'art. 99 del richiamato T.U. 115 del 2002, sicche' il termine da esso individuato dovrebbe continuare a vincolare l'opponente. Si e' pertanto da alcuni rilevato che, non potendosi giungere all'estensione, in via ermeneutica, di termini previsti per fattispecie diverse, non si avrebbe altra scelta che sollevare la questione di legittimita' costituzionale, se non altro sotto il profilo dell'eccesso di delega, quanto all'avvenuta soppressione del detto termine perentorio. Altri, al contrario ed al dichiarato fine di scongiurare un tale altrimenti evidente profilo di illegittimita' costituzionale, hanno ritenuto, anche tra i giudici di merito, evincibile in via ermeneutica un termine perentorio di proposizione dell'opposizione. p.7.3. Eppure, deve in modo convinto escludersi la possibilita' di ricavare in via interpretativa l'imposizione di un termine decadenziale, quale quello breve per proporre un'impugnazione (il quale, significativamente, e' previsto specificamente per ciascuna azione di impugnazione - ordinaria e straordinaria - in senso tecnico, a differenza di quello ordinario, di cui all'art. 327 c.p.c), ovvero quello che, in generale, puo' essere previsto per lo speciale schema procedimentale della "opposizione". Quest'ultimo consiste nell'introduzione di una fase a contraddittorio restaurato - o finalmente instaurato - ma eventuale e rimessa all'impulso della parte nei cui confronti il provvedimento, generalmente in presenza di particolari condizioni di favore per colui che lo consegue, e' stato emesso: solo tali peculiari condizioni e la garanzia della restaurazione, sia pur posticipata, del contraddittorio giustificano l'inversione della posizione processuale delle parti e l'alterazione dell'altrimenti doveroso iniziale equilibrio tra le parti (e, cosi', la stessa costituzionalita' del sistema). La deduzione in via interpretativa di un termine decadenziale non espressamente previsto, in un contesto dove anzi e' stato esplicitamente soppresso, e' in insanabile contrasto con principi generali di ermeneutica, primo fra tutti quello di specialita', applicato al diritto processuale in relazione alla tendenziale liberta' di estrinsecazione delle facolta' in cui si sostanzia il diritto di difesa. E neppure potrebbe ricostruirsi un preteso sistema generale di opposizioni e di termini perentori che le assistano, quand'anche una certa omogeneita' sia riscontrabile in tal senso nel medesimo contesto normativo (il decreto legislativo n. 150 del 2011, qui in esame) di riconduzione a specifici riti preesistenti di altri, in origine anche tra loro sensibilmente differenziati: infatti, il sistema e' un composito quadro di procedimenti ciascuno con le sue specialita', salvo solo il generale richiamo ad un contesto complessivo di riferimento, significativamente privo - nelle sue previsioni generali ovvero originarie - di previsioni decadenziali, strutturati ciascuno ed in concreto su norme processuali di stretta interpretazione, se' non francamente eccezionali. Al contempo, il termine decadenziale in parola e' coessenziale alla certezza del diritto e quindi alla funzione stessa del processo e delle scansioni temporali in cui esso deve articolarsi, onde giungere ad un vaglio della pretesa azionata, il quale possa conseguire il risultato della stabilita' quale significativo valore aggiunto rispetto alla situazione conflittuale di partenza. p.7.4. Ma sopprimere un termine decadenziale eccede certamente dall'ambito della delega, circoscritta com'e' stata questa - nella specie - alla mera "riconduzione" di un rito preesistente ad altro: cio' che implica, anche da un punto di vista semantico, una modesta attivita' di risussunzione o, a tutto concedere e nei limiti imposti, di un coordinamento sistematico si', ma pur sempre lessicale e formale, tale da consentire al nuovo articolato la conformita' al modello di riferimento ed una piu' organica ed ordinata articolazione enunciativa. Ed i relativi poteri in concreto conferiti al legislatore delegato, gia' intrinsecamente circoscritti siccome finalizzati esclusivamente a tale esito di assimilazione o comprensione, sono stati viepiu' limitati dall'imposizione della necessita' di tenere fermi i poteri ufficiosi preesistenti e tutti gli effetti processuali speciali (che non possono cioe' conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile e quindi in via diretta ed immediata in dipendenza del sistema processuale generale) della normativa originaria: il tutto a rimarcare la funzione di mero coordinamento sistematico, estrinseco e formale dei riti preesistenti in cui il legislatore delegante ha inteso risolvere o ridurre il programma di semplificazione. p.7.5. In conclusione, il termine originario di venti giorni: - non poteva essere soppresso dal legislatore delegato; - non puo' recuperarsi - se non a prezzo di aperte e non consentite violazioni di consolidati principi generali - in via ermeneutica dal contesto del codice di procedura civile o da altre norme processuali speciali od eccezionali, tali dovendo qualificarsi quelle che impongono termini di decadenza o preclusione per l'esercizio di attivita' processuali altrimenti libere; - non puo' essere surrogato dall'ordinario termine - altrimenti detto "lungo" - previsto dall'art. 327 c.p.c., siccome previsto per tutte le impugnazioni in senso tecnico (quale, a stretto rigore, l'opposizione in parola non e'); e comunque in quanto integrante una barriera preclusiva ulteriore rispetto a quella del termine c.d. breve, proprio e speciale per ciascuna di quelle; - non puo' essere surrogato dall'ordinario termine di prescrizione, siccome irragionevolmente eccessivo. Ora, l'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale di norme abrogatrici a seguito di riscontrato eccesso di delega comporterebbe la reviviscenza delle norme illegittimamente abrogate (Corte cost. 27 giugno 2012, n. 162): e, quindi, semplicemente la restaurazione del solo originario termine perentorio di proposizione di venti giorni, che sarebbe adietta al corpus normativo compiutamente riscritto, senza porsi in alcun modo in contrasto, ne' esigere alcun ulteriore coordinamento, neppure solo formale. Di conseguenza, va di ufficio rimessa alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 17, e art. 15, comma 2, per contrasto con l'art. 76 Cost., ed in relazione ai commi primo e quarto della legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 54, nella parte in cui - risultatone abrogato l'inciso, contenuto nell'originario decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, comma 1, "entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione" - piu' non e' previsto che il ricorso e' proposto entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione. p.8. - Senza rinunziare al carattere logicamente prioritario - se non assorbente - dell'impostazione della appena illustrata questione di legittimita' costituzionale in dipendenza del vizio genetico di formazione della norma denunziata, non puo' peraltro farsi a meno di prospettare, in via chiaramente subordinata - ma non meno convinta - rispetto a quella, un ulteriore profilo di non conformita' delle disposizioni in esame ai principi costituzionali, in riferimento al contenuto sostanziale ed agli indiscutibili effetti delle medesime. A tanto si perviene, in particolare, non gia' ipotizzando un legame irrisolto di alternativita' tra le due questioni, ma un collegamento di subordinazione logica di quella che si va ora ad affrontare rispetto a quella appena argomentata, invocando la deliberazione sulla seconda solo per il caso di rigetto di quella che precede (per tutte, Corte cost., 23 maggio 1995, n. 188) e, quindi, in via consecutiva tra le due (Corte cost., 17 gennaio 1993, n. 7). p.8.1. Infatti, la soppressione della previsione di un termine perentorio per la proposizione dell'opposizione avverso il decreto di liquidazione del compenso all'ausiliario del giudice involge un'ulteriore e subordinata, anch'essa non manifestamente infondata e comunque rilevante per quanto argomentato sopra suo p.5, questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost., e art. 111 Cost., comma 7: - sotto il primo profilo, poiche' viene ad essere ingiustificatamente trattata in modo diverso la fattispecie della liquidazione dell'ausiliario del giudice da ogni altra ipotesi di provvedimento reso inaudita altera parte dal giudice civile con la scansione procedimentale "decreto-opposizione-restaurazione del contraddittorio" (archetipo delle quali e' il procedimento monitorio ai sensi dell'art. 633 c.p.c. e ss.), nella quale il transito all'ultima di tali fasi, relegata ad un ruolo di eventualita' e posticipazione delle ordinarie facolta' processuali, e' sempre ancorato a termini decadenziali ed assistito da idonee preclusioni, sovente assimilate al giudicato; - sotto il secondo profilo, perche' il provvedimento inaudita altera parte indefinitamente impugnabile impedisce in radice un'efficace difesa dei diritti delle parti, mentre - ben al contrario - dall'esigenza di garantire quest'ultima discendono: da un lato, una certa immanente suscettibilita' di revisione od impugnazione del provvedimento, almeno fino a quando non sia restaurato la pienezza del contraddittorio e solo successivamente con limitazioni e scansioni; dall'altro lato, la sottoposizione della relativa facolta' a termini chiari e preclusivi, idonei a dar luogo ad un'affidabile - quanto meno relativa - immutabilita', tale da escludere una precarieta' sine die o permanente dell'accertamento e dell'eventuale condanna in sede giurisdizionale (ed apparendo, se soli residui, gli ordinari termini di prescrizione manifestamente connotati da irragionevole eccessivita'); - sotto il terzo profilo, perche' impedisce il raggiungimento dell'obiettivo, da ritenersi proprio di ogni giusto processo, di una stabilita' - almeno tendenziale - della pronunzia giurisdizionale: poiche' dai principi in materia discende (Corte cost., ord. 6 maggio 2010, n. 163; Corte cost., ord. 4 luglio 2013, n. 174) il diritto ad un equo vaglio giurisdizionale, che sia governato pero', per primarie esigenze al contempo di certezza e ragionevole durata, da scansioni temporali, il cui mancato rispetto deve essere assoggettato alla sanzione della decadenza dal compimento di determinate attivita'. p.9.». Ritenuto, dunque, che in relazione ad entrambi i condivisibili profili, principale e subordinato, indicati nella motivazione (sopra riportata) della ordinanza n. 6652/2015 della Corte di cassazione, vada disposta - ai sensi della legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 - la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con sospensione del presente giudizio ed assolvimento degli adempimenti prescritti dal citato art. 23, comma 4, della stessa legge.
P.Q.M. 1) Letto la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 17, e art. 15, comma 2, per contrasto con l'art. 76 Cost., ed in relazione alla legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 54, commi 1 e 4, ovvero per contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost., e art. 111 Cost., comma 7, nella parte in cui ne discende non essere piu' previsto che il ricorso disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, e' proposto entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione. 2) Sospende il presente giudizio. 3) Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri. 4) Ordina, altresi', che l'ordinanza venga comunicata dalla Cancelleria ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 5) Dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale. Trani, 20 giugno 2015 Il Giudice: dott. Giuseppe Gustavo Infantini