N. 23 SENTENZA 13 gennaio - 11 febbraio 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze
  stupefacenti o psicotrope - Fatti di lieve  entita'  -  Trattamento
  sanzionatorio. 
- Decreto del Presidente della Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309
  (Testo  unico  delle  leggi  in   materia   di   disciplina   degli
  stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,   cura   e
  riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza),  art.  73,
  comma 5, come sostituito dall'art. 1, comma 24-ter, lettera a), del
  decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36 (Disposizioni urgenti in materia
  di   disciplina   degli   stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,
  prevenzione,  cura  e  riabilitazione   dei   relativi   stati   di
  tossicodipendenza,  di  cui  al  decreto   del   Presidente   della
  Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309,  nonche'  di   impiego   di
  medicinali), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,  comma  1,
  della legge 16 maggio 2014, n. 79. 
-   
(GU n.7 del 17-2-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  73,  comma
5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti
e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura  e  riabilitazione   dei
relativi stati di tossicodipendenza), come  sostituito  dall'art.  1,
comma 24-ter, lettera a), del decreto-legge  20  marzo  2014,  n.  36
(Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli  stupefacenti  e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati di tossicodipendenza, di cui al decreto  del  Presidente  della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonche' di impiego di medicinali),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  16
maggio 2014, n. 79, promosso dal Tribunale per i minorenni di  Reggio
Calabria nel procedimento penale a carico di A. F. con ordinanza  del
5 febbraio 2015, iscritta al n. 113 del  registro  ordinanze  2015  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  24,  prima
serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 13 gennaio  2016  il  Giudice
relatore Marta Cartabia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 5 febbraio  2015  (reg.  ord.  n.  113  del
2015), notificata il successivo  16  febbraio,  il  Tribunale  per  i
minorenni di Reggio Calabria ha sollevato - in riferimento agli artt.
3,  27,  terzo  comma,  e  117,  primo  comma,  della   Costituzione,
quest'ultimo  in  relazione  alla  decisione  quadro  del   Consiglio
dell'Unione europea del 25 ottobre 2004, n. 2004/757/GAI  riguardante
la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi  dei
reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito  di
stupefacenti e all'art. 49, paragrafo  3,  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza  il  7  dicembre
2000 e adottata a Strasburgo il  12  dicembre  2007  -  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 73, comma 5,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza),  come  sostituito  dall'art.  1,  comma   24-ter,
lettera a), del decreto-legge 20  marzo  2014,  n.  36  (Disposizioni
urgenti in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della  Repubblica
9  ottobre  1990,  n.  309,  nonche'  di  impiego   di   medicinali),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  16
maggio 2014, n. 79. 
    In particolare, il rimettente ha precisato che  pende  dinanzi  a
se' il giudizio penale a carico di A.F., minore d'eta' al momento del
fatto, imputato di  concorso  nella  coltivazione  di  15  piante  di
marijuana, nonche' nell'illecita detenzione di grammi  358,900  della
stessa sostanza, contestato come  accertato  il  7  luglio  2010.  Il
Tribunale ha, quindi, premesso che sia il pubblico ministero, sia  il
difensore    dell'imputato    hanno     eccepito     l'illegittimita'
costituzionale del citato art. 73, comma 5, del  d.P.R.  n.  309  del
1990, nella parte in cui non  prevede  un  trattamento  sanzionatorio
differenziato per  le  diverse  sostanze  previste,  rispettivamente,
nelle Tabelle I e II del medesimo decreto. 
    1.1.- In punto di rilevanza ha osservato che il  testo  normativo
censurato  deve  ritenersi  applicabile   alla   specie   in   quanto
complessivamente piu' favorevole all'imputato ai  sensi  dell'art.  2
del codice penale. 
    Piu' precisamente ha osservato che, con la sentenza  della  Corte
costituzionale n. 32 del 2014, e' stata  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decreto-legge 30
dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i
finanziamenti  per  le  prossime  Olimpiadi  invernali,  nonche'   la
funzionalita'  dell'Amministrazione  dell'interno.  Disposizioni  per
favorire il recupero di tossicodipendenti  recidivi  e  modifiche  al
testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati di tossicodipendenza, di cui al decreto  del  Presidente  della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della  legge  21  febbraio  2006,  n.  49,  per
violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost. 
    La  predetta  dichiarazione  di   illegittimita'   costituzionale
avrebbe determinato la ripresa di vigore dell'art. 73 del  d.P.R.  n.
309 del 1990 nel testo  anteriore  alle  modifiche  introdotte  dalle
disposizioni dichiarate illegittime, dunque nel testo risultante  dal
d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171  (Abrogazione  parziale,  a  seguito  di
referendum popolare, del  testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura  e  riabilitazione  dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza,
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n. 309), che distingue il trattamento sanzionatorio a seconda che  si
tratti di  sostanze  incluse  nella  Tabella  I  o  II  del  decreto.
Tuttavia, il comma 5 del medesimo art. 73, era stato  successivamente
modificato: dapprima dal  decreto-legge  23  dicembre  2013,  n.  146
(Misure urgenti in  tema  di  tutela  dei  diritti  fondamentali  dei
detenuti e di riduzione controllata  della  popolazione  carceraria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  21
febbraio 2014, n. 10, e, poi, dal citato d.l. n. 36  del  2014,  come
convertito dalla l. n. 79 del  2014,  che  prevedono  un  trattamento
sanzionatorio indifferenziato rispetto  alla  natura  della  sostanza
stupefacente. 
    Ad avviso del rimettente, avuto  riguardo  al  tempo  in  cui  fu
commesso il delitto e tenuto conto  del  fatto  che  in  concreto  il
trattamento sanzionatorio risultante dalla l. n. 79 del 2014 e'  piu'
favorevole  -  visto  che  detta  legge  ha  altresi'  mantenuto   la
diminuente  per  la  minore  eta'  e  limiti  edittali  tali  da  non
consentire l'applicazione della custodia cautelare in  carcere  -  il
testo dell'art. 73, comma 5, risultante dalle modifiche stabilite  da
quest'ultima legge, doveva ritenersi applicabile ai sensi dell'art. 2
cod. pen. 
    Da qui il rimettente ha dedotto  la  rilevanza  della  questione,
ritenendo che, nella specie, fosse configurabile la lieve entita' del
fatto e che la decisione  non  potesse,  percio',  prescindere  dalla
soluzione  della  questione  di  legittimita'  costituzionale   della
disposizione censurata, che doveva essere applicata al caso in esame. 
    1.2.- In punto di non manifesta infondatezza,  il  rimettente  ha
rilevato che la disciplina oggetto di censura  violerebbe,  in  primo
luogo,  il  principio  di  ragionevolezza:  vigerebbe,  infatti,   un
trattamento sanzionatorio differenziato a seconda delle sostanze  per
le ipotesi di non  lieve  entita',  mentre  analoga  proporzione  non
sarebbe rispettata nell'ipotesi di lieve  entita'  del  fatto,  cosi'
determinando una irragionevole asimmetria punitiva. 
    Alla predetta «irragionevolezza estrinseca» si  aggiungerebbe  la
«disomogeneita' intrinseca» del disvalore del  reato,  non  potendosi
ritenere che il  fatto  di  lieve  entita'  commesso  con  cosiddette
"droghe pesanti" sia parificabile a quello  commesso  con  cosiddette
"droghe  leggere",  stante  il   «diverso   spessore   dell'interesse
tutelato». Cio'  determinerebbe,  secondo  il  Tribunale,  anche  una
violazione del principio di uguaglianza  formale  e  sostanziale,  ex
art. 3 Cost. 
    Inoltre, il rimettente non ritiene  condivisibile  l'orientamento
giurisprudenziale - espresso, ad esempio, dalla Corte di  cassazione,
sezione quarta penale, nella  sentenza  5  marzo  2014,  n.  10514  -
secondo cui la scelta legislativa sarebbe ragionevole, in quanto,  di
fronte a specifiche modalita' del fatto (tali da connotarlo  come  di
lieve  entita'),  il  dato  della  diversa  natura   della   sostanza
stupefacente oggetto delle condotte sarebbe comunque suscettibile  di
valutazione da parte del giudice nella  determinazione  discrezionale
della pena da infliggere. Ad avviso del giudice a  quo,  infatti,  la
risoluzione del problema  della  coerenza  intrinseca  di  una  norma
complessa, qual  e'  l'art.  73  citato,  non  puo'  essere  affidata
soltanto alla discrezionalita' del giudice. 
    1.3.- Secondo il Tribunale, inoltre, sarebbe violato  l'art.  27,
terzo comma, Cost., in quanto la previsione di una sanzione unica per
condotte diverse non  garantirebbe  la  finalita'  rieducativa  della
pena,  ne'  sarebbe  conforme  al   principio   di   proporzionalita'
codificato all'art. 49, comma 3 (rectius: paragrafo 3),  della  Carta
dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea.  Tale  violazione  si
appalesa in modo piu' grave nel caso dei minorenni, per  i  quali  le
sanzioni previste potrebbero  oggettivamente  precludere  benefici  -
quali la sospensione condizionale della pena, il perdono giudiziale o
l'applicazione di sanzioni sostitutive  ex  art.  30  del  d.P.R.  22
settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul  processo
penale  a  carico  di  imputati  minorenni)  -  finalizzati   a   non
interrompere i processi educativi in corso e  a  favorire  la  rapida
uscita dal circuito criminale. 
    1.4.- Ad avviso del rimettente, infine, si  prospetterebbe  anche
la  violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  per   mancata
attuazione della citata decisione quadro  del  Consiglio  dell'Unione
europea del 25 ottobre 2004, n. 2004/757/GAI,  anche  in  riferimento
all'art. 49,  paragrafo  3,  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea. 
    In particolare, il Tribunale ha  osservato  che  l'art.  4  della
citata  decisione  quadro  richiede  la  previsione,  in  materia  di
illeciti concernenti gli stupefacenti, di pene  detentive  effettive,
proporzionate   e   dissuasive,   rimarcando    il    canone    della
proporzionalita' sin  dal  «considerando»  n.  5  premesso  al  testo
normativo e stabilendo che, per i reati minori, siano previste  «pene
detentive della durata massima compresa tra almeno 1 e 3 anni». 
    Posto che l'art. 73, comma 5,  nel  testo  impugnato,  indica  un
intervallo edittale di pena compreso tra i sei mesi e i quattro  anni
di  reclusione,  esso  violerebbe  il  citato  art.  4  della  citata
decisione quadro, sia nei  limiti  massimi  (quattro  anni,  anziche'
tre), sia nei minimi (sei mesi anziche' un anno), «qualora l'avverbio
"almeno"  dovesse  ritenersi  applicabile  solo  al   primo   termine
edittale». 
    Le disposizioni comunitarie in parola, in quanto  non  dotate  di
diretta efficacia, costituirebbero percio' norme interposte  rispetto
al parametro costituzionale rappresentato dall'art. 117, primo comma,
Cost., cosi' che la  violazione  delle  medesime  si  tradurrebbe  in
violazione di quest'ultimo. 
    Rispetto al medesimo parametro costituzionale si  porrebbe  anche
la violazione del canone di proporzionalita' indicato  nell'art.  49,
paragrafo  3,  della  Carta  dei  diritti  fondamentali   dell'Unione
europea, atteso anche il riferimento, nella decisione quadro, ad  una
differenziazione delle sanzioni in  relazione  al  diverso  grado  di
pericolosita' per la salute delle varie sostanze stupefacenti. 
    La circostanza che lo Stato sia inadempiente rispetto alla citata
normativa comunitaria, si ricaverebbe  anche  dalla  relazione  della
Commissione delle Comunita'  europee  COM(2009)669  del  10  dicembre
2009, in cui si stigmatizza il mancato  invio  da  parte  dell'Italia
delle  informazioni  obbligatorie  sull'attuazione  della   decisione
quadro. 
    Ad avviso del rimettente, occorrerebbe  percio'  che  l'impugnato
art. 73, comma 5,  del  d.P.R.  n.  309  del  1990  venga  dichiarato
illegittimo «nella parte in cui non prevede un  regime  sanzionatorio
differenziato in relazione alla tipologia e classificazione tabellare
della  sostanza  stupefacente,  conformemente  ai   parametri   anche
edittali di cui all'art. 4 della decisione  quadro  2004/757/GAI  del
Consiglio dell'Unione Europea del 25 ottobre 2004». 
    1.5.- In conclusione, il  rimettente  ritiene  che  la  normativa
censurata di cui all'art. 73, comma 5, sia illegittima per violazione
degli artt. 3, 27, terzo comma, e  117,  primo  comma,  Cost.  «nella
parte in cui 1) non distingue - nel trattamento sanzionatorio  -  tra
fatti di lieve entita' aventi  ad  oggetto  sostanze  stupefacenti  o
psicotrope di cui alla tabella I e fatti di lieve entita'  aventi  ad
oggetto  sostanze  stupefacenti  o   psicotrope   appartenenti   alla
differente tabella II dell'art. 14 del D.P.R. 309/90; 2) non  prevede
dei limiti di pena differenziati  e  conformi  ai  parametri  di  cui
all'art. 4 della Decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio [...]  e
all'art. 49, 3° paragrafo, Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE». 
    2.- Con atto depositato il  7  luglio  2015,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio   dei   ministri,   assistito   e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata non fondata. 
    Il Governo contesta l'asserita irragionevolezza  della  normativa
che, per i fatti di lieve  entita',  ha  mantenuto  un'unica  cornice
edittale, indipendentemente dalla  natura  della  sostanza.  Cio'  in
quanto  la  differente  natura   degli   stupefacenti   puo'   essere
valorizzata  dal  giudice  in  sede  di  determinazione  della  pena,
considerato anche  che  risulta  ripristinata  l'originaria  distanza
edittale, che l'ordinamento prevedeva rispetto alle pene previste per
i fatti non lievi, prima  dell'entrata  in  vigore  della  cosiddetta
legge  "Fini-Giovanardi"  (cioe'  il  d.l.  n.  272  del  2005,  come
convertito dalla l. n. 49 del 2006). 
    La ragionevolezza della disciplina  -  riconosciuta  anche  dalla
Corte di cassazione - escluderebbe di conseguenza anche la denunciata
violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost. 
    Parimenti infondata sarebbe la  censura  relativa  all'art.  117,
primo comma, Cost., in quanto - come pure riconosciuto dalla Corte di
cassazione, sezione sesta penale, con la sentenza 29 aprile 2013,  n.
18804 - la norma interposta (art. 4 della citata decisione quadro  n.
2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione europea)  non  impone  affatto
che i legislatori nazionali prevedano un trattamento differenziato in
base alla natura delle sostanze stupefacenti, ma solo che  i  massimi
edittali non scendano sotto determinate soglie di pena. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 5 febbraio  2015  (reg.  ord.  n.  113  del
2015), notificata il successivo  16  febbraio,  il  Tribunale  per  i
minorenni di Reggio Calabria ha sollevato questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 73, comma  5,  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle  leggi  in
materia di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
tossicodipendenza),  come  sostituito  dall'art.  1,  comma   24-ter,
lettera a), del decreto-legge 20  marzo  2014,  n.  36  (Disposizioni
urgenti in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della  Repubblica
9  ottobre  1990,  n.  309,  nonche'  di  impiego   di   medicinali),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  16
maggio 2014, n. 79. 
    In  particolare,  il  rimettente  ritiene  che  la   disposizione
censurata violi gli artt. 3, 27, primo  comma  e  117,  primo  comma,
della Costituzione. L'art. 3 Cost. sarebbe violato sotto  un  duplice
profilo: anzitutto per «irragionevolezza estrinseca»,  in  quanto  il
medesimo  testo  legislativo  prevede  un  trattamento  sanzionatorio
differenziato a seconda della  natura  delle  sostanze  solo  per  le
ipotesi di non  lieve  entita',  mentre,  per  le  ipotesi  di  lieve
entita', individua un unico intervallo  edittale,  senza  distinguere
tra droghe leggere e droghe pesanti; inoltre, la previsione impugnata
sarebbe anche viziata da «disomogeneita' intrinseca», a  causa  della
irragionevole parificazione, pur in presenza di un «diverso  spessore
dell'interesse tutelato», dei fatti aventi per oggetto le sostanze di
cui alla Tabella I rispetto a quelli aventi per oggetto  le  sostanze
di cui alla Tabella II di cui al medesimo d.P.R.  n.  309  del  1990.
Sarebbe poi violato l'art. 27,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto  la
previsione  di   un   trattamento   sanzionatorio   irragionevole   e
sproporzionato comprometterebbe la finalita' rieducativa della  pena.
Infine, la disposizione  impugnata  contrasterebbe  con  l'art.  117,
primo comma, Cost., in quanto non sarebbero previsti limiti  di  pena
conformi ai parametri edittali di  cui  all'art.  4  della  decisione
quadro del Consiglio dell'Unione europea  del  25  ottobre  2004,  n.
2004/757/GAI riguardante la fissazione di norme minime relative  agli
elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia
di traffico illecito di stupefacenti  e  all'art.  49,  paragrafo  3,
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,  proclamata
a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a  Strasburgo  il  12  dicembre
2007. 
    Sulla scorta di tali considerazioni il rimettente ha chiesto  che
la Corte dichiari l'illegittimita' dell'impugnato art. 73,  comma  5,
del d.P.R. n. 309 del 1990 «nella parte in cui 1) non distingue - nel
trattamento sanzionatorio - tra fatti  di  lieve  entita'  aventi  ad
oggetto sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla  tabella  I  e
fatti di lieve entita' aventi  ad  oggetto  sostanze  stupefacenti  o
psicotrope appartenenti alla differente tabella II dell'art.  14  del
D.P.R. 309/90; 2) non prevede dei  limiti  di  pena  differenziati  e
conformi ai parametri  di  cui  all'art.  4  della  Decisione  quadro
2004/757/GAI del Consiglio [...] e all'art. 49, 3°  paragrafo,  Carta
dei Diritti Fondamentali dell'UE». 
    2.- La questione sollevata deve essere dichiarata  inammissibile,
in quanto si chiede alla Corte  un  intervento  additivo  in  materia
penale, in assenza di soluzioni costituzionalmente obbligate. 
    2.1.- La giurisprudenza di questa Corte, infatti, e' costante nel
ritenere inammissibili questioni formulate con un petitum che  «[...]
per la ampiezza della sua portata additiva  [...]  non  si  configura
come unica soluzione costituzionalmente obbligata (sentenze, n. 81  e
n. 30 del 2014) », (sentenza n. 241 del 2014), in particolare  quando
«il  petitum  formulato  si  connota  per  un   cospicuo   tasso   di
manipolativita', derivante  anche  dalla  "natura  creativa"  e  "non
costituzionalmente obbligata" della soluzione  evocata  (sentenze  n.
241, n. 81 e n. 30 del 2014; ordinanza n. 190 del  2013)»,  (sentenza
n. 241 del 2014), tanto piu' in materie rispetto alle quali e'  stata
riconosciuta ampia discrezionalita' del legislatore (sentenza n.  277
del 2014). 
    2.2.- Nella specie e' fuor  di  dubbio  che  si  rientri  in  una
materia rispetto alla quale deve riconoscersi  un  ampio  margine  di
libera determinazione al legislatore, posto che si chiede alla  Corte
di intervenire sulla configurazione del trattamento sanzionatorio  di
condotte individuate come punibili (ex plurimis, sentenze n. 185  del
2015; n. 68 del 2012, n. 47 del 2010, n. 161 del 2009, n. 22 del 2007
e n. 394 del 2006). 
    2.3.-   Tale   conclusione   e'   altresi'    avvalorata    dalla
considerazione che, a seguito delle recenti modifiche normative e  in
base al «diritto vivente» consolidatosi su di  esse  (sentenze  della
Corte di cassazione, sezione sesta penale, 27 gennaio 2015, n. 15642,
sezione quarta penale, 24  ottobre  2014,  n.  49754,  sezione  sesta
penale, 8 gennaio 2014, n. 14288, sezione quarta  penale,  9  gennaio
2014, n. 7363, sezione quarta penale, 28  febbraio  2014,  n.  10514,
sezione quarta penale, 28 febbraio 2014, n. 13903), il fatto di lieve
entita' di cui al testo censurato dell'art. 73, comma 5,  del  d.P.R.
n. 309 del 1990 costituisce una fattispecie autonoma di reato, e  non
piu' una circostanza attenuante del fatto non lieve, come si riteneva
nel vigore del testo previgente alle  modifiche  introdotte  dapprima
dall'art. 2, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 dicembre 2013,
n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei
detenuti e di riduzione controllata  della  popolazione  carceraria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  21
febbraio 2014, n. 10, e,  poi,  dal  citato  art.  1,  comma  24-ter,
lettera a), del d.l. n. 36 del 2014, come convertito dalla l.  n.  79
del 2014. 
    Pertanto, in considerazione della autonomia della fattispecie qui
in esame affermatasi nell'evoluzione legislativa e giurisprudenziale,
non  sussiste  piu'  alcuna  esigenza  di  mantenere  una   simmetria
sanzionatoria tra fatti di lieve entita' e quelli  non  lievi.  Anche
sotto questo profilo, dunque, non vi e' ragione di  ritenere  che  il
legislatore  sia  vincolato   a   configurare   intervalli   edittali
differenziati a seconda della natura  della  sostanza,  nel  caso  di
reati di lieve entita'. 
    2.4.- Quanto alla misura della pena, il rimettente si  limita  ad
affermare  la  necessita'  di  una  differenziazione  dell'intervallo
edittale,    senza    pero'    indicare    quale    sarebbe    quella
costituzionalmente obbligata. 
    Nessun elemento puo' ricavarsi, in proposito, dall'invocato  art.
49, paragrafo 3, della Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea, che si limita a codificare il principio di  proporzionalita'
della pena, il quale - al pari del principio di  ragionevolezza,  che
nella giurisprudenza costituzionale e' spesso  richiamato  unitamente
ad esso - non permette a questa Corte di determinare autonomamente la
misura della pena, ma semmai di emendare le scelte del legislatore in
riferimento a grandezze gia' rinvenibili nell'ordinamento. 
    Il  sindacato  di  legittimita'  costituzionale,  infatti,  «puo'
investire le pene scelte dal legislatore  solo  se  si  appalesi  una
evidente violazione del canone della ragionevolezza, in quanto ci  si
trovi di fronte a fattispecie di reato sostanzialmente identiche,  ma
sottoposte a diverso trattamento sanzionatorio (ex plurimis,  tra  le
pronunce piu' recenti, sentenze n. 325 del 2005,  n.  364  del  2004;
ordinanza n. 158 del 2004).  Se  non  si  riscontra  una  sostanziale
identita' tra le fattispecie prese in  considerazione,  e  si  rileva
invece [...] una sproporzione sanzionatoria rispetto a condotte  piu'
gravi, un eventuale intervento di riequilibrio di  questa  Corte  non
potrebbe in alcun modo rimodulare le sanzioni previste  dalla  legge,
senza sostituire la  propria  valutazione  a  quella  che  spetta  al
legislatore» (sentenza n. 22 del 2007). Infatti, in materia di  pene,
anche nel giudizio di "ragionevolezza  intrinseca",  focalizzato  sul
principio di proporzionalita', e' fondamentale l'individuazione di un
parametro che consenta di rinvenire la  soluzione  costituzionalmente
obbligata (come avvenuto, ad esempio, nella sentenza n. 341 del 1994,
nella quale la  Corte,  dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale
della pena edittale  minima  del  delitto  di  oltraggio  a  pubblico
ufficiale, prevista dall'art. 341, primo comma, cod. pen., nel  testo
all'epoca vigente, si giovo' della comparazione  con  la  fattispecie
affine dell'ingiuria). 
    A maggior ragione, poi, questa Corte non potrebbe sostituirsi  al
legislatore,   in   nome   del   principio   di   ragionevolezza    e
proporzionalita' della pena, a fronte  di  disposizioni  che  -  come
quella in giudizio - lasciano al giudice un  margine  di  valutazione
sufficientemente ampio da permettergli di graduare  proporzionalmente
la pena anche in ragione della natura della sostanza. 
    Va  ricordato,  infatti,  che  «al  legislatore   e'   consentito
includere  in  uno  stesso  paradigma  punitivo  una  pluralita'   di
fattispecie diverse per struttura e  disvalore,  spettando,  in  tali
casi, al giudice far emergere la differenza  tra  le  varie  condotte
tramite la graduazione della pena tra il minimo e il massimo edittale
(ex plurimis, sentenze n. 250 e n. 47 del 2010; ordinanze n. 213  del
2000 e n. 145 del 1998)» (ordinanza n. 224 del 2011). 
    2.5.- Ne' e' di maggiore ausilio l'art. 4 della citata  decisione
quadro  del  Consiglio  dell'Unione  europea  n.  2004/757/GAI,  pure
richiamata quale parametro interposto. 
    Quest'ultima disposizione, infatti, lungi dal determinare precisi
intervalli di pena per  le  diverse  ipotesi  di  reato  in  tema  di
stupefacenti, si limita ad esigere che il legislatore nazionale fissi
i  massimi  edittali  al  di  sopra  di  determinate  soglie  minime,
derogabili solo in pejus, secondo il cosiddetto «principio del minimo
del massimo».  Nessuna  indicazione  puo',  dunque,  evincersi  dalla
disposizione europea richiamata, ai  fini  della  differenziazione  -
richiesta dal rimettente - del trattamento sanzionatorio dei fatti di
lieve entita', in base al tipo di sostanza implicata. 
    In assenza di soluzioni costituzionalmente  vincolate  o  imposte
dal  rispetto  degli  obblighi  comunitari,   l'intervento   creativo
sollecitato a questa Corte interferirebbe indebitamente  nella  sfera
delle scelte di politica sanzionatoria riservate al  legislatore,  in
spregio al principio della separazione dei poteri. 
    2.6.-  D'altro  canto,  e'  del  tutto  evidente  che  il  vulnus
costituzionale lamentato dal rimettente non sarebbe  rimediabile  con
una mera dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 73,
comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, il  cui  unico  effetto  sarebbe
quello di eliminare del tutto l'ipotesi di lieve entita'. 
    A differenza della  questione  decisa  da  questa  Corte  con  la
sentenza n. 32 del 2014, infatti, nel  presente  giudizio  non  viene
lamentato un vizio procedurale della legge, sicche' deve  escludersi,
in  questo  caso,   ogni   «reviviscenza»   (rectius:   «ripresa   di
applicazione») delle disposizioni precedenti, che  possa  colmare  il
vuoto determinato da una eventuale pronuncia meramente ablativa della
Corte costituzionale. 
    E' appena il caso  di  aggiungere  che  una  pronuncia  meramente
ablativa  non  e'  nemmeno  oggetto  della  questione  proposta   dal
rimettente,  posto  che  una  tale  decisione  accentuerebbe  i  vizi
denunciati,   determinando   una   irragionevole   e   sproporzionata
parificazione tra fatti lievi e non lievi. 
    La richiesta rivolta a questa Corte mira, invece, ad ottenere  un
intervento additivo  e  manipolativo,  per  la  riconfigurazione  del
sistema sanzionatorio dei fatti di lieve entita'; richiesta che,  per
i motivi sopra esposti, esorbita  dai  poteri  spettanti  al  giudice
delle leggi, tanto piu' che la novella ha lasciato ragionevoli  spazi
di  discrezionalita'  al  giudice  per  tradurre  in   pene   minori,
nell'ambito di un medesimo intervallo edittale,  la  minore  gravita'
del fatto di lieve entita' quale risulti  anche  dalla  natura  della
sostanza. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre  1990,  n.
309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di  disciplina   degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione  dei  relativi  stati  di   tossicodipendenza),   come
sostituito dall'art. 1, comma 24-ter, lettera a),  del  decreto-legge
20 marzo 2014, n. 36 (Disposizioni urgenti in materia  di  disciplina
degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura   e
riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza,  di  cui  al
decreto del Presidente della  Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309,
nonche' di impiego di  medicinali),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 16 maggio 2014, n.  79,  sollevata,
in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma,  e  117,  primo  comma,
della Costituzione, quest'ultimo in relazione alla  decisione  quadro
del  Consiglio  dell'Unione  europea  del   25   ottobre   2004,   n.
2004/757/GAI e all'art. 49, paragrafo  3,  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, dal Tribunale per  i  minorenni  di
Reggio Calabria, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2016. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                      Marta CARTABIA, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2016. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI