N. 57 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 novembre 2015
Ordinanza del 30 novembre 2015 del Tribunale di Bergamo nel procedimento civile promosso da S. S. contro comune di Gorle e INPS. Straniero comunitario - Diritto all'assegno di maternita' - Condizioni - Titolarita' della carta di soggiorno. - Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), art. 74.(GU n.12 del 23-3-2016 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI BERGAMO Sezione lavoro Ordinanza ex art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. Il Giudice del lavoro di Bergamo, dott.ssa Monica Bertoncini, nella causa iscritta al n. 1710/15 R.G., sul ricorso depositato il 22 luglio 2015 nella controversia promossa da S. S. rappresentata e difesa dagli avvocati A. Guariso e M. Lavanna, in virtu' di mandato a margine del ricorso introduttivo del giudizio, ed elettivamente domiciliata in Bergamo presso lo studio dei suindicati avvocati, ricorrente contro il comune di Gorle, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. P. Strapparava, in virtu' di mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta, ed elettivamente domiciliata in Bergamo presso lo studio dell'avv. M. Buzzanca, convenuto INPS - Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. A. Imparato, per mandato generale alle liti, ed elettivamente domiciliato in Bergamo, presso l'Ufficio legale INPS. Il Giudice, sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 23 settembre 2015, sul ricorso promosso ai sensi degli articoli 28, decreto legislativo n. 150/2011 e 44, decreto legislativo n. 286/1998, osserva quanto segue: la ricorrente, premesso di essere cittadina marocchina titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari, in data 11 aprile 2014 ha dato alla luce il figlio I. R. ed ha successivamente presentato al comune di residenza domanda di indennita' di maternita' ai sensi dell'art. 74, decreto legislativo n. 151/2001 (vedi doc. 2 fasc. ricorrente). Il comune di Gorle ha inizialmente erogato la prestazione, essendo in corso l'iter amministrativo sulla domanda di carta di soggiorno presentata dall'interessata, ma successivamente ha dato disposizione all'INPS di procedere alla revoca del beneficio, stante l'intervenuto diniego della carta di soggiorno e dunque l'insussistenza del requisito di cui all'art. 74, decreto legislativo n. 151/2001 (vedi doc. 4, 6, 7 fasc. ricorrente). La S. affermava il carattere discriminatorio della condotta tenuta dal comune di Gorle e la contrarieta' dell'art. 74, decreto legislativo n. 151/2001 a disposizioni internazionali, nella parte in cui consente l'erogazione dell'assegno di maternita' solo a favore degli stranieri titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo. Il comune di Gorle, costituitosi in giudizio, evidenziava come la scelta legislativa operata con l'art. 74, decreto legislativo n. 151/2001, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, risultasse razionale e non discriminatoria. L'INPS, costituitosi a sua volta in giudizio, dopo aver preliminarmente eccepito il suo difetto di legittimazione passiva, negava la sussistenza della dedotta discriminazione, nonche' la violazione di norme nazionali o sovranazionali. Tutto cio' premesso, si osserva: per la soluzione della controversia e' dirimente la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 74, decreto legislativo n. 151/2001 nella parte in cui limita soggettivamente l'accesso al beneficio dell'assegno di maternita', oltre che ai cittadini italiani e comunitari, ai soli stranieri soggiornanti di lungo periodo, escludendo gli stranieri in possesso di permesso di soggiorno per motivi familiari (o per altri motivi); non e' dirimente l'eccezione di difetto di legittimazione sollevata dall'INPS atteso che l'eventuale ordine di cessazione della condotta antidiscriminatoria spiegherebbe i suoi effetti pure nei confronti dell'ente, tenuto al pagamento della prestazione; per quanto attiene, invece, alla rilevanza della questione di costituzionalita', occorre rilevare, innanzi tutto, come non siano in discussione tutti gli altri requisiti per l'accesso al beneficio assistenziale, essendo controversa solo la questione relativa all'estensione soggettiva del beneficio medesimo alla ricorrente, non cittadina italiana, ne' comunitaria e priva di permesso di soggiorno di lunga durata; cio' richiede pertanto la valutazione della legittimita' costituzionale dell'art. 74, decreto legislativo n. 151/2001 nella parte in riconosce il beneficio ai soli cittadini italiani o comunitari o agli stranieri titolari della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno di lunga durata); l'art. 74, comma 1, decreto legislativo n. 151/2001 stabilisce che «per ogni figlio nato dal 1° gennaio 2001, o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento dalla stessa data, alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso di carta di soggiorno ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che non beneficiano dell'indennita' di cui agli articoli 22, 66 e 70 del presente testo unico e' concesso un assegno di maternita'»; secondo il quarto comma della citata disposizione, «l'assegno di maternita' di cui al comma 1, nonche' l'integrazione di cui al comma 6, spetta qualora il nucleo familiare di appartenenza della madre risulti in possesso di risorse economiche non superiori ai valori dell'Indicatore della situazione economica (ISE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, tabella 1, pari a lire 50 milioni annue con riferimento a nuclei familiari con tre componenti»; la ricorrente e' residente in Italia e legalmente presente sul territorio nazionale in virtu' di permesso di soggiorno per motivi familiari valido fino al 19 gennaio 2016, mentre il marito ed il figlio sono titolari di permesso di soggiorno per lungosoggiornanti, cio' quindi da' conto di una presenza in Italia non avente carattere episodico; l'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) firmata a Roma il 4 novembre 1950 sancisce che «il godimento dei diritti e delle liberta' riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, ricchezza, la nascita od ogni altra condizione»; la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha reiteratamente affermato che tra i diritti patrimoniali tutelati dall'art. 1 del Protocollo addizionale I alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, si intendono anche le prestazioni sociali, comprese quelle cui non corrisponde il versamento di contributi, e che per tali diritti vige il divieto di discriminazione di cui all'art. 14 della Convenzione (in tal senso, con riferimento all'assegno di invalidita' civile cfr. sentenza 26 febbraio 1993 in causa Salesi/Italia; sentenza 30 settembre 2003 in causa Koua Poirrez/Francia nella quale si stabilisce il principio per cui «l'assegno per minorati adulti previsto dalla legislazione francese e' un diritto patrimoniale ai sensi dell'art. 1 del Protocollo I e di conseguenza soggiace al divieto di discriminazione sancito dall'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo»); deve quindi ritenersi che l'art. 14 della CEDU e l'art. 1 del relativo Protocollo addizionale, secondo l'interpretazione della Corte europea per la tutela dei diritti dell'uomo, obblighino lo Stato italiano a legiferare in materia di prestazioni sociali, anche non contributive, senza porre alcuna discriminazione in ragione della nazionalita' delle persone. Discriminazione che ricorre ogniqualvolta un dato trattamento non trovi una giustificazione oggettiva e ragionevole, non realizzando un rapporto di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e l'obiettivo perseguito (cfr. Niedzwiecki contro Germania, sentenza del 25 ottobre 2005); l'art. 74, decreto legislativo n. 151/2001, ponendo come requisito per la fruizione dell'assegno di maternita' il possesso della cittadinanza italiana o l'essere titolare di carta di soggiorno (ora permesso CE per lungo soggiorno), ha portata restrittiva e non manifestamente ragionevole, introducendo un trattamento differenziato basato solo sul dato temporale di durata della residenza rispetto ad alcune categorie di stranieri extracomunitari, senza prendere in considerazione la condizione di grave bisogno della persona soggiornante, legalmente autorizzata, che puo' versare in una oggettiva situazione di debolezza economica, tale da non consentirle di poter adeguatamente provvedere al sostentamento proprio e del figlio; la Corte costituzionale ha piu' volte evidenziato tale esigenza di tutela (cfr. sentenza 29-30 luglio 2008, n. 306, relativa all'indennita' di accompagnamento; sentenza 14-23 gennaio 2009, n. 11, relativa alla pensione di inabilita'; sentenza n. 187/2010 riguardante l'assegno mensile di invalidita'; sentenza n. 329 del 2011 concernente la indennita' di frequenza, sentenza n. 22 del 27 gennaio 2015 per le pensioni ai ciechi civili), ribadendola, da ultimo, nell'affermare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19 della legge n. 388/2000 nella parte in cui subordinava al requisito della titolarita' della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione di cui all'art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66, e dell'indennita' di cui all'art. 3, comma 1, della legge 21 novembre 1988, n. 508 (cfr. sentenza n. 22 del 27 gennaio 2015); con tale sentenza la Corte, richiamando proprie analoghe precedenti pronunce, ha ribadito come «qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalita' dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all'art. 14 della CEDU, per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo»; principi che devono trovare applicazione anche con riferimento alle misure assistenziali, ovvero «a benefici rivolti a soggetti in gravi condizioni di salute, portatori di impedimenti fortemente invalidanti, la cui tutela implicava il coinvolgimento di una serie di valori di essenziale risalto e tutti di rilievo costituzionale, a cominciare da quello della solidarieta', enunciato all'art. 2 Cost.» (cfr. sentenza n. 22 del 27 gennaio 2015); tali principi debbono essere riaffermati pure con riferimento all'indennita' di maternita', trattandosi di beneficio a tutela dei bisogni di un minore, nell'ambito di un contesto familiare di difficolta' economica, per cui non v'e' dubbio che si tratti di una prestazione diretta a soddisfare bisogni primari della persona che e' compito dello Stato tutelare e salvaguardare; il soggetto richiedente tale beneficio, infatti, si trova generalmente in una situazione di particolare debolezza, sia fisica, notoriamente legata ai mesi immediatamente successivi alla nascita del figlio, sia economica, ostativa allo svolgimento di attivita' lavorativa durante il periodo di interdizione obbligatoria, per cui la prestazione e' chiaramente posta a tutela di situazioni di bisogno rispetto a condizioni di vita minime; per tali ragioni appaiono sussistere fondati dubbi di irragionevole discriminazione legata solo a condizioni di appartenenza nazionale o comunitaria o di durata temporale del soggiorno, non ricorrendo, nella situazione in esame, neppure una situazione di presenza sul territorio nazionale del tutto episodica o di breve durata; secondo l'art. 41 del decreto legislativo n. 286 del 1998 «gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonche' i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti»; l'art. 74, decreto legislativo n. 151/2001, inibendo al soggetto extracomunitario stabilmente e regolarmente presente nel territorio nazionale, se privo di carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE di lungo periodo a norma del decreto legislativo n. 3 del 2007), la fruizione dell'assegno di maternita', diversifica, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, il trattamento di situazioni identiche senza alcuna giustificazione razionale; la norma dell'art. 74 cit. pare pure contraria ai valori di solidarieta' di cui all'art. 2 della Costituzione ed alle finalita' proprie dell'assistenza, quali emergono dall'art. 38 Cost. (estensibili anche alla persona straniera extracomunitaria) volto ad assicurare mezzi di sostentamento per la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona; l'art. 10 Cost. rimette al legislatore nazionale la disciplina applicabile allo straniero, ma secondo la giurisprudenza costituzionale, il potere e la discrezionalita' del legislatore, nell'introdurre trattamenti differenziati tra cittadini e stranieri (laddove non vengano in considerazione diritti inviolabili), incontra il limite del parametro di ragionevolezza e dei principi internazionali recepiti dall'ordinamento nazionale; la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, in tema di «sicurezza sociale e assistenza sociale», stabilisce, all'art. 34, «il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternita', (...) secondo le modalita' stabilite dal diritto dell'Unione e le legislazioni e prassi nazionali»; l'art. 74, decreto legislativo n. 151/2001, nel subordinare la fruizione dell'assegno di maternita' alla titolarita' del permesso di soggiorno CE di lungo periodo, risulta in contrasto pure con il disposto dell'art. 31 della Costituzione secondo cui la Repubblica protegge la maternita'; dall'esame complessivo del diritto dell'Unione europea non e' rinvenibile una disposizione normativa munita di completezza, precisione, chiarezza e assenza di condizioni, tale da consentire di riconoscere il diritto all'assegno in questione anche allo straniero soggiornante per motivi familiari, non in possesso dei requisiti per il conseguimento del permesso di soggiorno di lunga durata; la formulazione della norma censurata e la tassativita' del novero dei soggetti ivi elencati osta ad una interpretazione adeguatrice, considerato peraltro che, sino ad oggi, eventuali estensioni dei benefici, nel settore della previdenza ed assistenza sociale, sono avvenute per effetto di pronunce di illegittimita' costituzionale; si rende quindi necessario investire la Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 74, decreto legislativo n. 151/2001 che, in virtu' delle considerazioni sopra esposte, oltre che rilevante nell'ambito del giudizio instaurato dalla ricorrente, non appare manifestamente infondata, posto che la norma, nel subordinare il diritto al possesso di carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno di lungo periodo) e dunque al requisito della presenza nel territorio dello Stato da almeno cinque anni, introduce un requisito idoneo a generare una irragionevole discriminazione nei confronti del cittadino, in violazione degli articoli 14 della Convenzione ed 1 del protocollo aggiuntivo, cosi' come interpretati dalla Corte stessa e replicati nell'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, a sua volta richiamato dall'art. 6 del trattato sull'Unione europea, dagli articoli 2, 3, 10, 31, 38, 117, primo comma Cost.
P.Q.M. Il Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, sospende il giudizio e dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, ordinando che, a cura della cancelleria, l'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Bergamo, 26 novembre 2015 Il Giudice del lavoro: Bertoncini